di NICOLA SICILIANI DE CUMIS – Di Tonino Sicoli, uomo tutto arte, Calabria e umanità. Marito premuroso e amoroso di Giuliana; padre attento e riuscitissimo nell’educare con Giuliana Federico: ora un apprezzato chirurgo dell’Umanitas di Milano, dove Tonino si è spento due giorni fa tra le braccia dei suoi. Lui ed io ci conoscevamo da quarantacinque anni a questa parte. Di tempo in tempo, Tonino mi regalava i suoi splendidi cataloghi, talvolta con mie collaborazioni; io ricambiavo come potevo, con libri editorialmente austeri e dimessi, ma pur sempre nella persuasione che si andasse nella stessa direzione. Periodicamente capitava di incontrarci a Roma o in Calabria: l’ultima volta, fu un paio d’anni fa, all’uscita del carcere di Siano per la consegna delle copie d’un libro speciale: uno splendido album di fotografie a colori, sulle radici del MAON, il Museo dell’Arte dell’Ottocento e del Novecento da lui inventato e diretto; e di tutta la sua carriera. E fu quella una volta di più, all’ingresso della Casa Caridi di rinverdire una vecchia sua idea: il proposito di progettare e di realizzare un museo di opere d’arte dentro il carcere, con catalogo, pannelli, bacheche, didascalie ecc. All’album aveva tenuto che anch’io partecipassi, con un testo introduttivo. Che gli piacque.
Negli ultimi mesi stava male; e, nel sentirlo l’ultima volta un paio di mesi fa, avvertii che parlava a fatica (gli avevo telefonato per una consulenza sul designer Albe Seiner, mi rispose a tono). Parlava lentamente, ma era intellettualmente vivacissimo. Non avrei mai potuto pensare ad un esito, così rapido e catastrofico. Non ci avrei pensato, semplicemente perché erano i nostri progetti più recenti ad avere per noi la meglio: non ricordi del passato, ma visioni del futuro. E si che ne avevamo di ricordi. Tanti.
Nei nostri discorsi, fino a pochi mesi fa, campeggiava in primo piano il Tonino del “faremo”, del “facciamo”. Il Tonino che commenta i comuni amici in comune tuttora in “crescita” con i loro progetti in corso (come Gianni Amelio alle prese con nuovi film e romanzi, Agostino Bagnato con le sue tante attività, il maestro elementare, scrittore e cantautore Italo Scalese, l’amico poeta cosentino Mario Gelsomino).
I miei primi ricordi della sua determinata militanza intellettuale risalgono ai lontani anni Settanta-Ottanta, con un Tonino brillante giornalista, studioso di ottima stampa nazionale, critico d’arte ricercato e serio uomo di scuola, con sporadici incarichi nelle Università dello Stato. E tuttavia titolare e direi quasi “Rettore”, diversi anni dopo, di quell’Accademia sui generis, che con la sua creatività e direzione scientifica e politico- culturale, è diventato il su citato MAON. Un ruolo, questo di Direttore del Museo di Rende, che gli permetteva di svolgere un suo proprio continuativo compito di storico, di critico e di divulgatore dell’arte otto-novecentesca. Con alle spalle, una carriera di insegnamento superiore, che era cominciata con i bambino delle medie: ma Tonino non trascurava né i bambini delle scuole elementari, né gli adulti, come se cercasse in tutti l’artista che potrebbe essere celato in ciascuno. E fu per l’appunto nell’Accademia di Belle Arti di Catanzaro che ci conoscemmo da collega a collega in occasione del primo Corso abilitante residenziale per nuove leve di insegnanti da ostentari: lui Professore di materie artistiche, io docente di Pedagogia e Scienze dell’Educazione. Ricordo che nell’incontrarci la prima volta a Catanzaro, a piazza Matteotti, di fronte alla Fontana del Cavatore di Giuseppe Rito, nel presentarci botta e risposta “Sicoli”, “Siciliani”, ci venne a tutti e due da ridere: come se, con i nostri cognomi ritagliati e incollati l’uno sull’altro, entrambi avessimo inteso prenderci gioco di noi stessi… Fu qualche giorno dopo, durante una lezione collegiale un Accademia, fu il primo a farmi capire il perché dell’arte astratta. Cominciando a dire dei tagli di Lucio Fontana e dei sacchi d Alberto Burri: “Tutto sta nella intenzione dell’artista”. Così capii pure il perché di un Pinocchio di legno da me scoperto per caso tra i rami di un albero non sarebbe potuto essere la stessa cosa di un Pinocchio scolpito a ragion artistica veduta da uno scultore consapevole della sua azione poetica. E ci fu così il tempo che il mio amico carissimo Tonino Sicoli, diventato presto amico di famiglia negli anni del mio assistentato nell’Università della Calabria e nel biennio del quindicinale Regionale del PCI QuestaCalabria. Ci collaborammo insieme con Gianfranco Manfredi, Filippo Veltri, Luigi Lombardi Satriani, Gaetano Lamanna, Giovanni Mastroianni e tanti altri… Sull’argomento, sa tutto Mariangela Aiello, una brava studentessa calabrese della Sapienza, che deve a QuestaCalabria la sua tesi di laurea sull’Università di Arcavacata in un periodo cruciale della sua vita in una fase storica della regione di grandi speranze e di successive altrettanto grandi delusioni.
Ora che Tonino non c’è più, mi mancheranno la sonorità della sua voce volontariamente sostenuta, velata di un principio di raucedine, ma mai invasiva, mai tracotante. Veicolo sempre di pensieri non banali e di sensibilità critica. E fu sulle pagine di Paese Sera, sorretta sempre dalla cultura generale del giornalista-specialista di razza, divulgatore scientifico e inquieto e inquietante esploratore di ardue materie artistiche, che apparvero servizi culturali memorabili: sui Bronzi di Riace e su Mattia Preti, su Mimmo Rotella e sugli “antropologi per un solo giorno” a proposito del libro di un collega insegnante di scuola media e la prima intervista su Colpire al cuore di Gianni Amelio. E poi, su il Quotidiano della Calabria, articoli sulla riscoperta di Andrea Cefalì, su Umberto Boccioni, su Margherita Sarfatti ecc. ecc.
Ora che non c’e più Il critico militante, lo storico versatile e acuto padrone delle tecnologie informatiche in amichevole gara con Antonio Viapiana, siamo tutti più poveri. . L’amico che abbiamo perduto era tra l’altro un curioso indagatore delle immagini dei Santi e delle tecniche compositive delle opere d’arte dei paesi di tutto il mondo a confronto con quelli occidentali. E sapeva tutto dell'”estetica del brutto”, sentendosi allievo elettivo a distanza di Gillo Dorfles e di Umberto Eco… Era arrivato così ad indagare il meridionalismo della “questione post-meridionale”; e ad essere tra i primi estimatori degli interdisciplinari Luigi Di Sarro e Fiorenzo Zaffina.
Un uomo, Tonino, dalle curiosita illimitatei, dalle capacità organizzative di un manager eticamente corretto e tecnicamente rigoroso, dalla calabresità alimentara dalle tante Calabrie dalla preistoria ai giorni nostri, ma altresì protesa sull’Italia, sull’Europa, sul mondo. Ricordo i pregi dell’autodidatta di genio che s’era saputo fare Maestro di generazioni di artisti… Non posso ricordarli tutti (Vincenzo Paonessa, Fabcomà, Franco Toscano, ecc.), ma ciascuno di loro impegnato in una mission collettiva emancipatrice regionale e non solo, e al tempo stesso liberi di seguire ciascuno il proprio estro esperienziale e magari sperimentale. L’uomo, Tonino, l’uomo del ludico e del ludiforme, del gioco che viene facendosi lavoro. E primo controllore e censore autocritico delle avventure “futuriste”, illimitatamente espansive del bello e del brutto, delle perenni tentazioni dell’irrazionale e delle contraddizioni di un’arte disinteressatamente aperta al sociale, tra la lotta senza sosta di una presa di posizione storico-culturale, educativa, formativa e un’ opzione comunitaria, militante, etico-politica, apertamente partigiana. Dalla parte di Picasso e della sua indimenticabile modella calabrese d’eccezione Rita Pisano. (nsdc)