di FILIPPO VELTRI – Questa parola, dignità, che è stato il filo rosso del discorso di Sergio Mattarella una settimana fa, quando ha parlato nell’aula di Montecitorio, è una parola importante, poco usata e quindi fuori dal linguaggio comune e da quello della politica anche di più.
Eppure è fondamentale nell’atteggiamento umano e il Presidente della Repubblica anche da questo punto di vista ci ha veduto giusto e lungo. Dignità è infatti da ricercare in ogni rapporto civile, in una società inclusiva che non escluda nessuno, nell’accettazione dell’altro, nel rispetto di genere, in una informazione libera. In tutto.
Dignità «è un Paese libero dalle mafie, dal ricatto della criminalità, dalla complicità di chi fa finta di non vedere», ha tra l’altro detto Mattarella e il suo discorso mi è venuto e tornato in mente vedendo la mostra della DIA (la direzione investigativa antimafia) che c’e’ stata nei giorni scorsi a Palazzo di Giustizia di Catanzaro.
Poi: la dignità si raggiunge con la capacità di dialogo con gli altri schierati anche su fronti avversi, nel rispetto delle istituzioni cui tocca la responsabilità di essere esempio su questo percorso. Una speranza che speriamo si avveri. «La speranza siamo noi, auguri alla nostra speranza». Con le parole di David Sassoli, uomo dell’inclusione e delle istituzioni, scomparso troppo presto, il presidente Mattarella ha dato il via ad un settennato difficile ma affascinante. Ed è andato oltre: dignità, ha detto, è opporsi al razzismo e all’antisemitismo. Dignità è impedire la violenza sulle donne. Dignità è combattere la schiavitù e la tratta degli esseri umani. Dignità è contrastare la povertà. Dignità è lotta all’abbandono scolastico. Dignità è azzerare le morti sul lavoro. Dignità è rispetto per gli anziani che non possono essere lasciati soli. Dignità è un paese dove le carceri non siano sovraffollate. Dignità è rispetto delle persone disabili. Dignità è un paese libero dalle mafie.
In sintesi, una dignità fondata sull’Europa della pace, sulla democrazia della partecipazione, su una giustizia riformata, sulla lotta a disuguaglianze e miserie.
Mattarella ha fatto un autentico capolavoro e non sfugge quanto lo sforzo del Capo dello Stato di guardare oltre l’emergenza si sposi con la linea “aperturista” contenuta nelle ultime misure del governo Draghi suggerendo così al Paese che malgrado tutto ce la stiamo facendo, riusciamo a venirne fuori, si può parlare anche di cose che non siano la pandemia e il Covid. La posta in gioco – i fondi dell’Europa assieme all’uscita dalla pandemia – è troppo alta per esporci a una scommessa elettorale dall’esito incerto. Per tutto ciò la partita quirinalizia se da un lato è stata letta come una débâcle della politica, o parte di essa, dall’altro restituisce a parlamento e partiti la responsabilità di decidere il loro destino.
Per chi temeva un presidenzialismo di fatto potrà essere un sollievo, per gli altri è la vera prova da superare nel senso che arrivare alle urne del 2023 senza una chiara offerta di alternative (intendo, programmi, visione della società, priorità sul fronte sociale e del lavoro, difesa e promozione della dignità di ciascuno) sancirebbe il fallimento di una classe politica denunciato da alcuni come già consumato. (fv)