;
LO SFOGO / Francesca Lagatta: Tutte le categorie in Italia sono protette, tranne i giornalisti

LO SFOGO / Francesca Lagatta: Tutte le categorie in Italia sono protette, tranne i giornalisti

di FRANCESCA LAGATTA – Al Peperoncino Festival c’è stato un piccolo intoppo. Le forze dell’ordine hanno avuto il sospetto che un ragazzo stesse per aggredire Giuseppe Conte e l’hanno subito bloccato. Considerato che c’erano forse trenta, quarta uomini tra scorta, carabinieri, polizia e finanzieri, in un attimo è successo il finimondo.

Io ero a due metri Conte e per forza di cose sono rimasta coinvolta nella ressa. Niente di che, a parte lo spavento, ho solo un leggero dolorino alla spalla e probabilmente un livido in più. Sono inconvenienti del mestiere che metti in conto quando scegli di fare questo lavoro e tanto domani succederà un’altra cosa e dovrai pensare a quello, ciò che è successo oggi sarà già un ricordo lontano. Non hai nemmeno il tempo di metabolizzare.
Quello che non avevo messo in conto quel giorno che inconsciamente e stupidamente ho scelto di diventare giornalista, sono le palate di merda che devi ingoiare notte e giorno, da parte da chicchessia. Dovete credermi. Quello del giornalismo, per un fatto culturale, non è nemmeno considerato un lavoro, non qui, non nella nostra terra e noi addetti siamo sempre un peso per qualcuno, siamo sempre presi di mira di qualcuno, diamo sempre fastidio a qualcuno. Siamo sempre ripresi, rimproverati, invitati, redarguiti da qualcuno, come si fa con i bambini. Siamo il parafulmine della frustrazione e della rabbia di chiunque e non ti puoi nemmeno lamentare. Sembra che sia tutto lecito.
D’altronde te lo sei scelto tu questo lavoro, no? Sentite qualcuno mai difendere un giornalista?
Tiri fuori la telecamera? Tutt che ti guardano come un alieno, manco se avessi estratto un’arma. Ti metti a fare le riprese? Si incazza il pubblico che non vede quello che ha davanti, poi si incazza quello che dice che non devi riprendere quella scena, poi si incazza quell’altro che dice che non puoi fare l’intervista, che sei di troppo, che sei la persona sbagliata al momento sbagliato, sempre. E forse un po’ è anche vero. Tutto pretendono che diamo risalto alle cose, ma poi nessuno pensa a noi, al fatto che siamo lavoratori e, non ci crederete, anche esseri umani. Noi non facciamo le interviste, le dobbiamo elemosinare, non facciamo le riprese, andiamo in trincea a guadagnarci un minuto di immagini tra chi sbuffa da una parte e chi sbuffa dall’altra, non abbiamo un posto riservato, un angolo, una corsia, niente. Non è colpa di nessuno, eh, è proprio un fatto culturale.
Il giornalismo non è riconosciuto come lavoro, non ci puoi fare niente. Non la cambi questa mentalità. Se fai il giornalista c’è sempre qualcuno che ti fa sentire sempre un po’ un ladro, come se stessi rubando qualcosa e non guadagnandoti il pane. Eppure, ve lo assicuro, ci facciamo il mazzo da mattina a sera. Vi assicuro che senza il giornalismo non esisterebbe verità né democrazia.
Torniamo a Diamante. Ero tra la folla perché dovevo intervistare Conte, ma Conte pensava ai selfie, giustissimo, e io ovviamente ero d’intralcio. Ho chiesto a lui niente, ho chiesto ai suoi collaboratori, niente, anzi, mi hanno invitato gentilmente a togliermi dai piedi.
Quando è scattata la ressa ho fatto quello per cui sono pagata: documentare la cronaca. Ma pure in questo caso qualcuno mi ha detto senza troppo garbo di abbassare la telecamera a lasciar lavorare le forze dell’ordine. Perché loro lavoravano, io no. Io stavo giocando, non avevo niente di meglio da fare che rischiare di prendere una gomitata in testa e finire a terra schiacciata dalla folla. Anzi, grazie a chi mi ha tenuto dai fianchi facendo sì che io non cadessi a terra. Non so chi tu sia, ma grazie.
Domani del rischio che mi sono presa continuando a filmare, nonostante tutto, non mi ringrazierà nessuno, anzi, tante, tantissime persone saranno arrabbiate per quelle immagini che sarebbero dovute rimanere nel cassetto. E nessuno mi chiederà scusa, né per avermi colpito alla spalla, pur non volendo, né avermi dato l’ennesima umiliazione che non meritavo. Tanto siamo solo dei cazzo di giornalisti di merda che stiamo sempre tra i piedi. Ma chi se ne fotteva se mi facevo male io?
Ok, va tutto bene. Maltrattare i giornalisti è prassi, quasi un atto dovuto, una legge non scritta che si applica tutte le volte, tutte le sante volte che andiamo a lavorare, tutte. Tanto tutto tace, ma chi cazzo vuoi che difende un giornalista? Dove sono le leggi che ci tutelano? Se io alzo la voce con un poliziotto è oltraggio a pubblico ufficiale, se un poliziotto alza la voce con me, per esempio, è un poliziotto buono. Tutte le categorie in Italia sono protette, tranne i giornalisti. E chi lo sa perché, boh.
Comunque questa piccola contusione alla spalla la considero un’altra medaglia al petto, ma no, e lo dico con tutta la rabbia che ho stasera in corpo, non era questo quello che immaginavo quando ho scelto di diventare una giornalista. E non sapevo nemmeno di dover sopportare tanto odio e tanto veleno tutti i giorni della mia vita. Altrimenti quel giorno piuttosto mi sarei spezzata una gamba.
Sento che la mia pazienza sta per raggiungere il limite. (fl)