L’ex sindaco di Riace, Mimì Lucano, simbolo dell’integrazione e dell’accoglienza, non può ritornare al suo paese: il tribunale del riesame ha confermato il provvedimento di divieto di dimora a Riace. La Cassazione aveva in gran parte smontato l’impianto accusatorio rinviando al Tribunale del riesame il domicilio coatto al contrario, inflitto a Lucano. Per i giudici reggini, però, non sono cambiate le esigenze cautelari che impongono di tenere lontano dal paese che ha amministrato per tre mandati l’ex sindaco.
Mimì Lucano, come si ricorderà, la scorsa settimana è stato rinviato a giudizio con altri 26 indagati (prima udienza l’11 giugno), ma contava di poter rientrare a Riace, a casa sua. Curiosamente può andare dove vuole, può stare dove vuole, tranne che a Riace. Le decisioni dei giudici non si commentano, come le sentenze che vanno accolte e applicate una volta emesse, però l’accanimento nei confronti dell’ex sindaco di tenerlo lontano dalla città che ha saputo trasformare in simbolo di accoglienza, appare quantomeno contraddittorio.
Lucano dovrà rispondere di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e i giudici decideranno la sua posizione, assolvendolo o condannandolo, ma, visto che sono passati un bel po’ di anni dai fatti contestati, perché imporre un confino all’incontrario? Attendiamo le motivazioni, ma sarebbe bello che qualcuno, al di là del linguaggio giuridico, spiegasse quali ragioni obbligano a tenere lontano il sindaco Mimì dalla sua gente. (s)