di ENZO VITALE* – Come mai l’Università non si pronuncia su un progetto “fragile”, come definito dal suo già Rettore, l’ingegnere e urbanista prof. Alessandro Bianchi, oltre che “poco attento” all’identità dei luoghi, per come descritto dal presidente del Comitato scientifico del Louvre, archeologo e architetto prof. Salvatore Settis?
Un imbarazzato silenzio attanaglia il Dipartimento Pau (patrimonio, architettura, urbanistica). Comprensibile, visto che allegato al progetto di fattibilità tecnica ed economica dell’arch. Giuseppina Vitetta troviamo il parere della prof. Francesca Martorano del Pau. Lo abbiamo letto. Interessante ed esaustivo, con buoni spunti e sostanzialmente corretto nella sua essenzialità. Mi sarei stupito di trovare punti oscuri. Con una sola eccezione, al punto sette delle conclusioni, in cui si legge a proposito di “eliminazione di barriere superflue”: “Potrebbero essere rimossi ad esempio i parapetti, oggi fortemente degradati, che delimitano la piazza”.
È un’affermazione che collide con quanto esposto in dettaglio nelle pagine precedenti, non motivata nè giustificata, buttata così senza alcun legame con quanto dichiarato in precedenza. È stato “suggerito” il suo inserimento dopo che il committente aveva letto il pregevole pezzo, in cui peraltro vengono poste delle precisazioni sullo storico dello scorrere delle acque torrentizie nella zona, suggerimenti ampiamente trascurati? Oppure è stata una banale svista? Comunque è un non sense: non si demolisce un manufatto storico sol perché è degradato: lo si restaura adeguatamente. Personalmente propendo per la seconda ipotesi anche se non mi sento di escludere la prima.
Comunque, è un’affermazione quantomeno imbarazzante, soprattutto perché ha legittimato l’azione dei demolitori. Infatti, l’arch. Vitetta, chiamata a deporre di fronte alla Commissione cultura della Regione, dopo il rinvio della decisione per acquisire anche il suo parere, a riguardo della prevista “demolizione” si è giustificata dicendo che aveva avuto il parere da parte del Pau e che, comunque, avrebbe riutilizzato il materiale lapideo di risulta (ovvero, mutatis mutandis, con le pietre del Colosseo costruire in situ uno stadio al fine di salvaguardarne la memoria).
È così che la Commissione cultura della Regione Calabria ha avuto l’occasione, purtroppo non persa, per essere annoverata tra i demolitori di piazza De Nava, esempio della scuola razionalista architettonica italiana del primo Novecento. (rrc)
*Presidente Fondazione Mediterranea