di ERNESTO MANCINI – E così il Presidente Sergio Mattarella ha firmato il disegno di legge Calderoli (approvato in via definitiva dalla Camera il 16 giugno scorso) che stabilisce le procedure per arrivare alle intese con le Regioni ai fini dell’autonomia regionale differenziata. Pertanto, il disegno di legge sarà promulgato, pubblicato e diventerà legge dello Stato nei prossimi giorni.
È facile prevedere i trionfalismi di Lega & Co che si vanteranno di questo “nulla osta” del Quirinale: “se Mattarella, uomo saggio ed esperto di legittimità costituzionale, ha firmato vuol dire che ha condiviso il contenuto della legge sicché è tutto legittimo nonché perfettamente costituzionale”.
Non è così.
Bisogna dire a chi millanterà questa firma come implicita certificazione di legittimità costituzionale, che la firma del Presidente su una legge è un “atto dovuto” ed è rifiutabile solo in caso di provvedimenti che si configurano come “attentato alla Costituzione” o che appaiano ictu oculi “palesemente incostituzionali” (per esempio: nuova legge ordinaria che preveda la pena di morte per la quale la Costituzione all’art. 27 pone invece espresso divieto).
Non trattandosi di tali fattispecie estreme, il Presidente ha l’obbligo di firmare senza che ciò in alcun momento significhi condivisione o approvazione della proposta legislativa che gli è stata sottoposta.
Al riguardo va ricordato quanto lo stesso Mattarella ha già avuto modo di insegnare. Nel Corriere della Sera del 4 gennaio 2019 (pag.3), Marzio Breda, tra i più stimati quirinalisti, riportava l’episodio in cui il Presidente, incontrandosi con un gruppo di studenti affrontava il tema del ruolo Capo dello Stato nella firma degli atti del Governo o del Parlamento. Un ragazzo gli chiede: «Quando le capita di firmare atti che non le piacciono come si comporta?». Risposta: «Quando mi arriva qualche provvedimento, una legge del Parlamento o un decreto del governo, io, anche se non lo condivido appieno, ho il dovere di firmarlo. Anche se la penso diversamente, devo accantonare le mie convinzioni perché devo rispettare quello che dice la Costituzione: che la scelta delle leggi spetta al Parlamento e la scelta dei decreti che guidano l’amministrazione dello Stato spetta al governo. E se non firmassi andrei contro la Costituzione. C’è un caso in cui posso, anzi devo non firmare: quando arrivano leggi o atti amministrativi che contrastano palesemente con la Costituzione. Ma in tutti gli altri casi non contano le mie idee, perché non è a me che la Costituzione affida quel compito, ma ad altri, al Parlamento e al Governo. E io ho l’obbligo di firmare, perché guai se ognuno pensasse che le proprie idee prevalgono sulle regole dettate dalla Costituzione. La Repubblica non funzionerebbe più».
Ineccepibile e chiarissimo, che più chiaro non si può.
D’altra parte, cosa pensi Mattarella dell’Autonomia Differenziata è già noto dai testi ufficiali dei suoi più recenti discorsi.
In occasione della sua visita in Calabria del 30 aprile scorso, il Presidente ha avuto modo di affermare che “la separazione delle strade tra le Regioni del Nord e quelle del Sud comporta gravi danni alle une ed alle altre”.
Il 9 maggio successivo identica affermazione nella manifestazione Civil Week di Milano «Una separazione delle strade tra territori del Nord e territori del Meridione recherebbe gravi danni agli uni e agli altri».
Dunque, il Presidente ha firmato la legge Calderoli non avendo poteri interdittivi sulla stessa e non volendo doverosamente fare prevalere le sue idee su quelle del Parlamento. Un grande Presidente, come al solito, perfettamente ligio ai limiti dei suoi poteri costituzionali.
Ed ora cosa succede?
Va detto che la legge Calderoli è solo una legge “procedimentale” e cioè una legge che segna il percorso per giungere alle intese Stato/Regioni ma che in alcun momento stabilisce le dimensioni di tali intese, la quantità o la tipologia delle materie da assegnare concretamente ed in modo differenziato alle Regioni.
Insomma, una “scatola vuota” (vedi i primi commenti su Repubblica del 26.06.24) che va riempita (o non riempita) di contenuti. Ed è proprio qui che si accenderà lo scontro fra chi vuole il massimo (Veneto – Lombardia, 23 materie con Calderoli tutt’altro che ministro dello Stato ma grand commis o procuratore del velleitarismo regionale) e chi, avendo a cuore l’unità della Repubblica non è disposto a concedere nulla di più di quanto le regioni non abbiano già, ed anche abbondantemente, in base all’assetto costituzionale attuale.
Ed è qui che si vedrà lo scontro tra chi vuole un regionalismo competitivo ed egoistico, foriero di sostanziale separatismo tra regioni del nord e resto d’Italia (non solo sud) e chi vuole, come i nostri Padri Costituenti del 1948, un regionalismo cooperativo e solidale che rechi utilità e progresso per tutto il Paese, nord compreso (artt. 2, 3 e 5 Costituzione).
È qui che si vedrà come il nuovo titolo V del 2001 non potrà mai essere interpretato ed applicato fino al punto da trasferire le materie concorrenti e strategiche per lo Stato alla competenza esclusiva delle Regioni (istruzione, sanità, trasporti, energia, ecc. ecc.). Verrebbero infatti snaturate le disposizioni del titolo V ed il loro collegamento con gli art. 2,3 e 5 della Costituzione che impongono l’uguaglianza dei cittadini, l’unità e l’indivisibilità della Repubblica.
È qui che si vedrà come la questione dei Livelli essenziali di prestazione è solo uno specchietto per le allodole in quanto si tratta di livelli che saranno “determinati” ma tutt’altro che “finanziati” per ridurre il gap tra i vari territori del Paese.
Ha fatto benissimo il Comitato nazionale per il ritiro di ogni Autonomia differenziata, l’unità della Repubblica e l’uguaglianza dei diritti – Tavolo No Ad, a diffidare formalmente il Governo a “non muovere foglia” se prima non vi sarà un quadro chiaro, complessivo, ragionato sotto ogni profilo (sociale, economico, istituzionale) delle concessioni che lo Stato intende fare, per quale motivo e con quali effetti sull’unità della Repubblica e dello stesso interesse strategico dello Stato. Da quel quadro emergerà tutta la irragionevolezza delle pretese regionali ed il caos istituzionale che ne deriverà in caso di cessione, peraltro dichiaratamente asimmetrica.
Non serve impugnare (e l’esito positivo sarebbe molto dubbio) una legge solo procedimentale ma bisogna prevenire e contestare le modalità con le quali questa legge verrà applicata. Ed il cuore di questa applicazione sono le pre-intese Stato/Regione nelle quali si vedrà quanto i sedicenti patrioti siano disposti a svendere l’unità e l’indivisibilità della Repubblica ai noti secessionisti.
Altra cosa sarà il referendum abrogativo su questa legge Calderoli del 19 giugno u.s e la precedente normativa inserita furbescamente (ma il gioco è già scoperto) nella legge finanziaria n. 197/2022 art. 1 commi da 791 a 891) per impedirne la remissione alla volontà abrogativa della maggioranza dei cittadini. In quel caso non vi è questione di legittimità o meno ma di semplice volontà dei cittadini di mantenere o meno la legge ed ogni eventuale sua applicazione.
Si prospetta, insomma, una lotta dura nella quale l’associazionismo, la dottrina giuridica ed economica preponderante, il parere di tutti gli enti specialisti e le manifestazioni civiche non basteranno. Ci vuole lotta civile, lotta giurisdizionale, lotta politica e referendaria dalle quali nessuno può chiamarsi fuori, come invece è già avvenuto con media e partiti intervenuti solo a misfatto compiuto.
Infine, va detto che Il Presidente Mattarella è Presidente della Repubblica e cioè di un’entità superiore che, a mente dell’art. 114 della Costituzione si compone di Comuni, Città Metropolitane, Province, Regioni e Stato. Ma egli è anche, per espressa denominazione dell’art. 87 della Costituzione, Capo dello Stato, cioè uno dei soggetti di cui si compone la Repubblica. Egli sarà pertanto chiamato a difendere gli interessi dello Stato qualora, come potrebbe accadere in fase di applicazione della legge Calderoli, il regionalismo egoistico sarà favorito da un Governo cedevole, a danno dello Stato, per mera tattica di mantenimento del potere. Ed in quel caso ci troveremmo di fronte alla “manifesta incostituzionalità” oggi non eccepibile. (em)