UN RISORGIMENTO AMMINISTRATIVO PER
RILANCIARE E SVILUPPARE L’ARCO JONICO

di DOMENICO MAZZA – Ritorna, nuovamente, alla ribalta un argomento su cui si dibatte da tempo. L’idea, che si ritaglia sempre più spazio tra Catanzaro e Lamezia, è quella di un rilancio amministrativo del punto più stretto d’italia: l’istmo. Questa volta, a riproporre il tema è un’associazione lametina che promuove la volontà di costituire una nuova grande Città nella lingua di terra compresa tra il Tirreno e lo Jonio.

Mi hanno colpito molto le spiegazioni fornite dai Referenti del Movimento per il rilancio della prospettiva: «Dare un volto nuovo alla Calabria nella parte centrale del suo territorio».

Motivazioni affatto peregrine, piuttosto dettate dalla constatazione di un ritardo che l’area centrale della Calabria sconterebbe rispetto ai più emencipati contesti di Cosenza-Rende e della città metropolitana di Reggio Calabria. Si profila, quindi, una nuova narrazione finalizzata a costituire il primo ambito urbano della Regione. Quanto asserito, affinché l’area istimica ritorni in maniera dirompente nelle dinamiche decisorie del centralismo storico calabrese. Lo stesso sistema di potere politico che, storicamente, ha caratterizzato la regione Calabria come territorio suddiviso a tre teste. Dunque — appurate una serie di variabili che nell’ultimo decennio avrebbero arriso alla Città bruzia e a quella dello Stretto, contrariamente a quanto avvenuto su Catanzaro e Lamezia — è stato tracciato un segmento di pensiero per immaginare una rinascita del contesto centrale regionale.

In tutto questo ragionamento le aree direzionali della Regione (RC, CZ-Lamezia, CS-Rende), ognuna per propria parte (Reggio già Città Metropolitana, CS-Rende-Castrolibero prossime alle fusione amministrativa e CZ-Lamezia in procinto di porre le basi per la costituzione di una nuova Città dell’istmo), continuano a disegnare strategie politiche atte a mantene ruoli di centralità nei processi decisori regionali.

Le periferie joniche, invece, probabilmente perché ancora non consce di rappresentare un quarto dell’intera popolazione regionale, quisquiliano alla ricerca di qualche Santo a cui votarsi. Alludo al Crotonese e alla Sibaritide, storiche appendici marginali dei rispettivi centralismi storici.

Eppure, i dati raccolti nell’ultimo Rapporto Svimez sul reddito Irpef pro-capite non lasciano spazio a fraintendimenti: Crotone é ultima fra i Capoluoghi e Corigliano-Rossano fanalino di coda delle Città calabresi per reddito pro-capite. La prima registra circa 17mila e la seconda non va oltre i 14mila, a fronte di una forbice compresa tra 21 e 19mila euro pro-capite nei Capoluoghi storici.

Quanto riportato, dovrebbe invogliare le Classi Dirigenti joniche a studiare soluzioni per allontanare le due Città e le Comunità ad esse dirimpettaie dal ciglio del baratro. La creazione di nuova e più qualificata offerta di lavoro, dovrebbe essere un imperativo per frenare il dilagante depauperamento demografico di un contesto che oggi appare senza la benché minima prospettiva di crescita.

Anche un bambino capirebbe che, nel caso di Corigliano-Rossano, la sola fusione amministrativa non basta. Così come, nella contingenza pitagorica, non sarà certo la prossima reintroduzione del suffragio universale all’Ente intemedio a cambiare la narrazione dei luoghi.

È quanto mai necessario un processo di risorgimento amministrativo che restituisca all’Arco Jonico la spettante centralità. È tempo che a Corigliano-Rossano si inizi seriamente a parlare di Capoluogo e a Crotone di allargamento di un succinto e impalpabile ambito provinciale. Se non altro, per costituire un embrione gestionale che possa, ragionevolmente, porsi come collettore tra i contesti lucano, bruzio e dell’istmo e come cerniera funzionale tra l’area dello Stretto e la Puglia.

È improcrastinabile porre le basi per la creazione di un humus direzionale lungo l’area compresa tra la Sibaritide e il Crotonese. I prossimi investimenti previsti in campo infrastrutturale, d’altronde, non arridono ai nuclei urbani jonici. I preventivati inteventi lungo la statale 106 non avvicinano le città di Corigliano-Rossano e Crotone. Ancora, lo scriteriato tracciato della nuova AV taglia fuori lo Jonio. È necessaria una presa di coscienza da parte degli Amministratori. C’è bisogno di più Stato lungo l’Arco Jonico….

C’è bisogno, soprattutto, di ristabilire processi di pari dignità ed equità territoriale tra l’estremo levante calabrese ed il resto dei territori regionali. Non è possibile assistere al solito riassunto che vede nella Calabria del nord-est la narrazione della cenerentola d’Europa. Bisogna avere il coraggio d’osare: servono idee sfidanti, non miserie progettuali. La politica si rimbocchi le maniche e provi a mappare un nuovo orizzonte di crescita sociale. Siamo in estremo ritardo, ma ancora in tempo per declinare una rinnovata prospettiva di rilancio che restituisca all’Arco Jonico sviluppo e benessere. (dm)

IL SUD TRADITO DAI SUOI PARLAMENTARI
PER L’AUTONOMIA LA LOTTA SARÀ LUNGA

di PINO APRILE – La trappola in cui il Paese si è messo da solo, il progetto scellerato dell’Autonomia differenziata, è approdato alla Camera dei deputati, dopo aver incassato l’approvazione del Senato, grazie alla quinta colonna terrona nella maggioranza di governo, che ha votato contro il Sud. Non uno di loro ha avuto un residuo conato di dignità che gli permettesse di ricordare in nome e per conto di chi siede su quei banchi (e se poi il partito lo punisce non ricandidandolo, chi glieli ridà ventimila euro al mese?). Se dei parlamentari del Sud dovessero sostenere (ce ne sono) di aver votato contro la loro gente “secondo coscienza”, stessero attenti, che se uno speleologo riuscisse a rintracciarla, la coscienza, potrebbe denunciarli per diffamazione.

E non c’è da aspettarsi sorprese positive dai deputati meridionali di maggioranza. Né avveniva qualcosa di diverso, quando la maggioranza era un’altra: il più acceso pro Autonomia differenziata era il presidente dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini e, nel suo Pd, chi azzardava distinguo, era di fatto messo a tacere; l’allora segretario nazionale Letta prometteva ai veneti più Autonomia differenziata della Lega.

Cchiù pila (‘a pila, in Calabria, sono i soldi) p’ tutti! E poi Fassino, e tanti altri. In tutti i partiti (pure qualcuno nella Lega) c’è la consapevolezza che l’Autonomia differenziata sfascerà definitivamente il Paese, creerà tali e tanti scontri, che sarà impossibile continuare a tenerlo unito, sia pur così fintamente e malamente come è stato finora. Il folle disegno di legge di Calderoli (noto produttore di porcate, come lui stesso ammise, per la riforma elettorale; esternatore di bordate razziste contro i meridionali; autore di gesti clowneschi, come il falò delle leggi inutili a cui furono costretti, perché lui ministro, incolpevoli vigili del fuoco), quel folle disegno, dicevo, porterà alle stelle, nel nostro Paese, le disuguaglianze. Gli studiosi di questa branca dell’economia mostrano che, non importa con quali regimi, quando il livello delle disuguaglianze supera quota 40 nella scala del coefficiente di Gini (che le misura), è la violenza a ridurle: terrorismo, sommosse, colpi di stato, rivolte, guerre civili, rivoluzioni. Esagero? Il terrorismo lo abbiamo già avuto e stagioni di grandi disordini (vedi la lunga battaglia per le terre usurpate) pure.

E l’Italia è già il Paese, con Stati Uniti, Gran Bretagna, in cima alla classifica per disuguaglianze (ci ho scritto un libro su: Tu non sai quanto è ingiusto questo Paese). L’Autonomia differenziata porterà le disuguaglianze fuori controllo. E cosa avverrà dopo è immaginabile. Chiudere gli occhi, liquidare il rischio con un giudizio di timori eccessivi sventolati da chi non vuole la delittuosa riforma (perché clamorosamente incostituzionale), è gettarsi la questione alle spalle, per non affrontarla. Ma pur di imbarcare i voti tossici della Lega (dai cinquestelle a Draghi, con dentro pure il Pd, e ora Meloni), le si è consentito di portare avanti questo scempio, con il retropensiero di farlo arenare prima o poi (lo stesso Salvini sospettato di questo, nel partito) e adesso ci si rende conto che si è superato il punto di non ritorno e ci si trova con una bomba con la miccia accesa fra gambe. Persino molti dei peggiori sostenitori di questa porcheria sanno che sarà un disastro o, nella migliore delle ipotesi, un salto nel buio. Ma hanno promesso troppo, per troppo tempo, e non possono tornare indietro, devono tenere il piede sull’acceleratore, pur sapendo che si va contro un muro.

L’Autonomia differenziata è una mossa disperata del Nord: si sono venduti tutto, pure le squadre di calcio e reggono il livello di vita saccheggiando le casse statali con ogni scusa, Expo, Olimpiadi invernali, autostrade inutili o dannose (dalla Brebemi alle Pedemontane lombarda e veneta) e opere pubbliche che hanno il solo compito di continuare a succhiare soldi (vedi il Mose), pure le avversità atmosferiche, dalla siccità, se non piove per tre giorni, all’alluvione, se piove per tre giorni. Ora fanno pure pagare il biglietto per entrare a Venezia, dove l’acqua alta porta indennizzi milionari (le inondazioni a Sud, solo danni). Il gioco di far rimbalzare a Nord i soldi nazionali ed europei destinati al Mezzogiorno, non regge più, perché è stato così esasperato, che i terroni hanno mangiato la foglia della “spesa storica” e ora si vuol rendere il furto “costituzionale”. Come legalizzare le rapine, se i rapinatori sono scoperti. La fregatura è incartata bene con la parola “Autonomia”, tanto da far dimenticare quella che segue: “differenziata”. Che tradotto è: ognuno fa i cavoli suoi, ma non alla pari, a me sempre più, quasi tutto, e a te sempre meno, quasi niente.

I colonizzati mentali del Sud, persino qualcuno in buona fede (il che spiace), dicono che il Sud, con l’Autonomia, potrà giocare la sua partita. Ma “differenziata”, vuol dire che le Regioni più ricche (con i soldi di tutti) scendono in campo in 33 contro 11 (forse), l’arbitro e i segnalinee comprati, e poi “Vinca il migliore”. La posta in gioco però resta quella: la cassa comune. Le Regioni più ricche vi infileranno le mani prima, con l’Autonomia differenziata, e porteranno via gran parte del malloppo “legalmente” (oggi, per fotterne meno, devono ricorrere a trucchi vari). E non lasceranno manco gli occhi per piangere. I complici meridionali in Parlamento (fatti salvi pochi in buona fede, ma la fede par di capire sia l’unica cosa buona, se ci credono) ripetono a pappagallo le puttanate che la Lega spaccia da decenni: “Così anche il Sud dovrà darsi una classe dirigente più responsabile”.

Sì, e sarà tre volte Natale. Da dove spunterebbero ‘sti dirigenti miracolosamente pronti grazie a un ulteriore furto di risorse meridionali? E come sarebbero: come Roberto Formigoni o Giancarlo Galan e quindi vedremo pure loro in galera? O come i dirigenti leghisti che mirano al Guiness dei primati di condannati e inquisiti e hanno fatto sparire 49 milioni persino dalla cassa del partito? O come il presidente della Lombardia, Attilio Fontana, e il suo ex assessore alla Sanità che hanno gestito così bene la pandemia, da fare della loro regione la peggiore al mondo, nella circostanza? Ma di che parlano? “Gestiremo le nostre risorse”, si illudono.

Già, perché fanno tutto ‘sto casino per rubartele e poi te le lasciano? Succederà come già avviene per l’energia, il petrolio: quello che è del Sud diventerà “nazionale” (magari pure le spiagge, i beni archeologici, la mozzarella di bufala se la sono quasi presa e così via sino alle orecchiette e cime di rapa) e quello che è del Nord, è del Nord. Contrattare con questi razzisti e loro complici, per poi vantarci di aver ottenuto che la catena che ci mettono al collo è più lunga e quindi siamo più liberi? E farci dire, quando la bestialità di un apartheid all’italiana mostrerà i suoi effetti: “Ma c’eravate anche voi, lo abbiamo deciso insieme!”.

Sullo scempio di questa legge hanno lanciato i loro allarmi l’Unione europea, la Corte dei Conti, i maggiori costituzionalisti, la Banca d’Italia, l’Ufficio parlamentare del Bilancio, Confindustria, Ordini professionali come quello dei medici, sindacati e dirigenti della scuola, l’Associazione dei sindaci del Sud, la Svimez, le maggiori università, la Conferenza episcopale… Eh, ma Calderoli dice… Ah, be’, allora, se l’ha detto lui, sotto processo per razzismo, esponente del partito che ha il segretario nazionale condannato per razzismo contro i napoletani, che invia “governatori” leghisti a tenere per le redini i pur proni dirigenti terroni e quando dei giovani leghisti lucani (Padre perdona loro. O falli neri, ch’è meglio) osarono obiettare qualcosa, il gauleiter padano in terra infidelorum minacciò: «Vi piscio in faccia». Contenti loro: “la pioggia dorata”.

Ricordate il detto: “E gli alberi votarono per l’ascia, perché aveva il manico di legno”? Da lunedì 29, alla Camera, è cominciata la discussione sull’Autonomia differenziata. Ci si aspetta che l’opposizione si opponga. Sotto osservazione, quindi, ci saranno i parlamentari meridionali della maggioranza. Racconteremo ai loro elettori cosa faranno (hanno già votato un ordine del giorno per far pagare meno gli insegnanti al Sud). Se volete fare le porcherie, metteteci la faccia. E se non lo fate voi, lo faremo noi del Movimento Equità Territoriale (Met), perché chi vi ha eletto, sappia. Dovreste esser contenti che si sappia, se convinti di aver fatto bene. In caso contrario, perché non vorreste: ve ne vergognate? Magari!, sarebbe un bel segno. Pur se molti di voi sembrano aver perso, da mo’!, la capacità di farlo. (pa)

IN CALABRIA SONO 400 I MINORI IN AFFIDO
SI VALORIZZI QUESTA PREZIOSA RISORSA

Secondo gli ultimi dati riferiti all’anno 2021, sono 401 i minori che vivono in servizi residenziali, di cui sessanta cinque sotto i dieci anni e sei sotto i due anni, quattrocento quelli in affido a parenti o a nuclei etero familiari.
Questo lo scenario in Calabria nella ricorrenza della Legge 184 del 4 maggio 1983 che sancisce il diritto del minore ad una famiglia e regola uno dei principali strumenti di tutela per l’infanzia: “l’affido familiare”.

Come Coordinamento delle Associazioni di famiglie affidatarie e adottive della Calabria possiamo portare numerose esperienze positive di minori accolti in questi 40 anni, ora adulti e molti diventati genitori.

L’affido familiare si fonda sull’essenziale principio di tutelare e proteggere i bambini e gli adolescenti da situazioni gravemente pregiudizievoli. Vorremmo tutti che non ci fosse bisogno di affido ma non è così, purtroppo.

Il principio del “superiore interesse dei bambini e degli adolescenti a vivere e a crescere nelle loro famiglie di origine” va adeguatamente controbilanciato dal diritto degli stessi a cure adeguate o a non essere maltrattati o vivere in contesti violenti o malavitosi, a non essere abusati.

I bambini che noi accogliamo arrivano dopo anni di permanenza in famiglie fortemente disturbate, minate da tossicodipendenza, disagio psichico, violenza.

Occorre agire con determinazione, ponendo al centro il benessere del minore e concedendo alle famiglie affidatarie, formate e sostenute, la possibilità di favorire la loro crescita in un ambiente sano.

Troppo spesso i tempi di valutazione delle famiglie di origine e gli interventi di recupero non sono sincronizzati con le tappe cruciali dello sviluppo dei minori che si ritrovano in situazioni di trascuratezza e maltrattamento per un tempo inadeguato.

Con una tendenza che non si riesce ad interrompere del collocamento di minori piccoli e piccolissimi in servizi residenziali.

Ciò, perpetuato nel tempo, porta allo sviluppo di giovani adulti fragili e problematici.

Aspettiamo l’irreparabile domandandoci poi perché non si è fatto nulla? Bisogna intervenire sulla mole di situazioni in attesa di provvedimenti dei giudici che giacciono nelle cancellerie dei tribunali per effetto della mancanza di personale e risorse di ogni tipo.

Auspicabile investire fondi per sostenere le famiglie disponibili all’accoglienza nella loro formazione, famiglie sempre meno numerose e demotivate, con situazioni sempre più complesse da affrontare.

Poi finanziare percorsi di cura e di presa in carico delle famiglie d’origine, a cui i bambini vengono momentaneamente allontanati, affinché possano davvero recuperarsi.

È necessario costruire relazioni basate sulla fiducia e non sulla paura, tra istituzioni, famiglie d’origine, famiglie affidatarie e associazioni familiari.  L’affido familiare è una risorsa preziosa che merita di essere promosso e sostenuto livello regionale/territoriale.

Alla Regione Calabria con la quale si è aperto, con il presidente della Giunta regionale Roberto occhiuto e con l’Assessore al Welfare Emma Staine, un dialogo su questi temi rinnoviamo la richiesta promuovere il recepimento e la contestualizzazione delle Linee di indirizzo nazionali sull’affido, di coinvolgere gli Ambiti Territoriali Sociali e i Distretti Sanitari, nonché i Tribunali per i Minorenni, per un’operatività concreta e continua nell’ascolto dei bambini e delle bambine a rischio di allontanamento dalla famiglia e nel dare risposte adeguate ai loro bisogni. Con il riconoscimento essenziale del ruolo delle reti familiari previsto dalla linee guida per la progettazione e l’esecutività dei provvedimenti.  (Le Associazioni di famiglie affidatarie della regione Calabria M’Ama D:P:D:B sede operativa della Calabria, Comunità Papa Giovanni XXIII, Centro Comunitario Agape, Forum Associazioni familiari, Centro Emmaus, Meta Cometa, Coop Kroton, Masholw)

OCCHIUTO VUOLE LA CALABRIA AZZURRA ALLE EUROPEE TRA VOTI E ASPIRAZIONI

di CARLO RANIERIIndiscrezioni  varie, dicono che la candidatura di Giusi Princi alle Europee (promossa e rimossa, al posto di Rosaria Succurro) è stato voluta dall’assessore Gianluca Gallo recordman delle preferenze, il quale aspira a ruoli più importanti: vicepresidente e poi Governatore con Occhiuto Ministro. Serve ridimensionare il temuto deputato reggino di FI Cannizzaro, aspirante  governatore della Regione Calabria, stoppato da Occhiuto che per ora “non vuole fare il Ministro”, decadere dalla carica, con successiva rielezione in Regione la Lgs. scade il 4 ottobre 2026. Se eletta la Princi con un buon risultato nel reggino, Cannizzaro potrebbe essere nominato Sottosegretario per il Sud.

Elezioni europee del 7 e 8 Giugno 2024 circoscrizione Italia meridionale composta da: Abruzzo 1.269.963 – Basilicata 547mila – Calabria 1,8 – Campania 5,6 milioni di abitanti (solo Napoli e provincia ha 3,1 milioni di abitanti) – Molise 289.413– Puglia 3,9 milioni.

La scheda elettorale è unica, si vota per una delle liste e si possono esprimere da una a tre preferenze. Si possono dare  da una a tre preferenze, votando, nel caso di due o di tre preferenze, candidati di sesso diverso.

Proiezioni circoscrizioni Meridionali, seggi: 18

Fratelli d’Italia: 26,6%, seggi: 6 (voti 1.561.000)

Partito Democratico: 20.3, seggi: 5 (voti 1.115.000)

Movimento 5 Stelle: 15,6%, seggi: 2 (voti 871.000)

Lega: 8,6%, Seggi: 1 (voti 471.000)

Forza Italia:  8,4%, seggi: 1  (voti 460.000)

Azione 4,2%, seggi: 1 (voti 230.000)

Totale: 16 seggi. Due seggi saranno attribuiti con i resti di cui uno certamente a Forza Italia.

Per Forza Italia, sarà eletto il ministro Antonio Tajani (possibile scatti il secondo seggio), che cederà il posto al secondo,  probabilmente Fulvio Martusciello (nel 2019 voti 47.548) – oppure Lucia Vuolo, ex Lega uscente 2019 voti 41.728 – altra ex M5S Isabella Adinolfi uscente 37.790 o Alessandra Mussolini probabile candidata a Presidente della Regione Campania nel 2025). 

La sponsorizzazione del Presidente Roberto Occhiuto per la sua Vice, ha un duplice scopo: far diventare la Calabria una regione azzurra, mandarla in Europa, cosi esce dalla cittadella dove è diventata potente  e ingombrante, bravissima  a intrecciare relazioni ministeriali, oscurando gli altri componenti della Giunta.

Nei palazzi regionali, si dice che il Presidente della Regione, abbia rinunciato a fare il Ministro a seguito di una riunione politica a Cosenza (un paio di settimane addietro), dove perentoriamente gli è stato detto di non dimettersi (ha smentito le dimissioni attraverso  un comunicato stampa?). Nell’ambiente si vocifera che la precisazione è arrivate per tranquillizzare il centro-desta cosentino e catanzarese, che non vogliono assolutamente  il reggino Cannizzaro prossimo Presidente della Regione Calabria. Via la Princi e gli uomini della sua struttura speciale già nella struttura speciale  del cugino al consiglio regionale,  limitati i collegamenti con la cittadella, di fatto  depotenziate le ambizioni presidenziali del coordinatore regionale.

Giusi Princi potrebbe essere eletta solo se Forza Italia in Calabria prende almeno il 18%? (circa  98.000 voti), con 40.000 preferenze, per essere la  più votata dopo Tajani o nel caso del secondo seggio dopo Martusciello.  Il personale scolastico reggino si sta mobilitando in suo favore, ma gli altri partiti non sono fermi, molto attivo l’uscente è Denis Nesci, pupillo della Meloni (con 51.748 voti non è eletto nel 2019 ma ripescato in seguito), da tempo ha una segreteria nel centro storico di Reggio Calabria molto frequentata e con validissimi collaboratori.

Le elezioni europee precedenti insegnano che con meno di 40.000 preferenze in Calabria non si viene eletti. Laura Ferrara, del M5S, è stata eletta per ben due volte ha preso oltre 40.000 preferenze nella nostra Regione

Unica chance per la Preside è che, il Ministro e leader Tajani la sponsorizzi come seconda preferenza, certamente ci sono pressioni in tal senso, ma i leader viaggiano da soli, non vogliono scontentare nessuno.

Il cugino tenterà di fare l’accoppiata Martusciello/Princi, ma si sa già di un accordo elettorale tra campani Martusciello/ Mussolini (probabile candidata  governatore nel 2025). In politica servono riferimenti territoriali ai vari livelli, non ha senso che un campano faccia votare una calabrese.

Diversa ma simile è la situazione nella Lega calabrese dove viene data al 7,4% nella circoscrizione ma al 5,5% in Calabria, i resti più altri andranno nel Nord-Est. Può conquistare solo 1 seggio con il capolista il generale Roberto Vannacci, che in caso di elezioni in altre circoscrizioni potrebbe cedere il posto ma a chi?

Aldo Patriciello ( 83.546 voti nel 2019) in netto calo di consensi ex di FI nel 2019 il partito ha preso 13,32% di voti. Il deputato ha molte legislature sulle spalle, eletto nel 2009 nelle liste del popolo della libertà al Parlamento europeo. Una lunga carriera politica che ha deluso i suoi elettori, ora transitato nella lega sarà votato? È risaputo che chi cambia partito spesso non viene rieletto.

L’outsider potrebbe essere la cosentina Simona Loizzo, una prima della classe che ha vinto tutte le sfide elettorali: Regione Calabria e Camera dei Deputati. Sarà lei la sorpresa? si dice che sia manifestamente contro l’autonomia differenziata  e che si professa meridionalista, ma dovrà conquistarsi il voto dei calabresi con molte preferenze e dichiarare il suo programma a favore della Calabria .  

Comunque i voti veri si contano nelle urne e  resta un’incognita il numero dei votanti che potrebbe scendere sotto il 50% ed in questo caso la Calabria avrà probabilmente zero eletti al Parlamento europeo (escluso Nesci di FdI).

Nelle europee con il proporzionale  e la preferenza il biscotto, cioè l’elezione, si deve guadagnare meno preferenze meno eletti nella regione di appartenenza.

Regolamento elettorale, sono ammesse all’assegnazione dei seggi le liste che hanno conseguito sul piano nazionale almeno il 4% dei voti validi espressi. I seggi sono attribuiti proporzionalmente ai voti conseguiti in ambito nazionale con il sistema dei quozienti interi e dei maggiori resti. I seggi conseguiti da ciascuna lista sono quindi riassegnati alle circoscrizioni in proporzione ai voti ottenuti in ciascuna di esse. Determinato il numero dei seggi spettanti alla lista in ciascuna circoscrizione, sono proclamati eletti i candidati con il maggior numero di voti di preferenza. (cr)

[Carlo Ranieri è ex funzionari prima della Giunta e poi del Consiglio regionale]

IL PONTE E LA NECESSITÀ DI SPIEGARE BENE
AI CITTADINI QUALI VANTAGGI PORTERÀ

di PIETRO MASSIMO BUSETTA – Anche l’Europa dice sì al ponte sullo stretto di Messina, sempre più ponte del Mediterraneo ma anche dell’Europa. Via libera del Parlamento Europeo alle linee guida aggiornate per lo sviluppo della Rete transeuropea dei trasporti (Ten-T), che collega oltre 420 grandi città dell’Ue. 

L’intesa raggiunta con gli Stati membri a dicembre, adottata a Strasburgo con 565 voti a favore, 37 contrari e 29 astenuti, prevede, tra i punti, l’inclusione di un riferimento allo Stretto di Messina, per aggiungere al cosiddetto corridoio ‘Scandinavo-Mediterraneo’ un “collegamento fisso o un Ponte” per collegare Villa San Giovanni a Messina, che potrebbe dunque accedere ai finanziamenti europei. 

Sempre più quindi il ponte acquisisce quel ruolo che deve avere: cioè un collegamento tra Hong Kong-Singapore e Stoccolma. Per fortuna!Perché il rischio che diventasse argomento di cortile per chi ritiene che sia un collegamento per far vedere più frequentemente e con meno difficoltà il ragazzino innamorato di Messina con la sua fidanzatina di villa San Giovanni o di Reggio Calabria diventava sempre più grande. 

O anche che fosse il ponte di qualcuno, con un vizio ormai inveterato per osteggiarlo, e  di farlo diventare da parte di una opposizione ideologica il mausoleo di Berlusconi e adesso il ponte di Salvini.

Le  polemiche che hanno riguardato i tre Comuni coinvolti più pesantemente, e che certamente pagheranno un prezzo molto alto negli anni della costruzione e che vorrebbero decidere se l’opera deve essere realizzata oppure no, vanno in tal senso.  

Così come sono sulla stessa linea i comitati degli abitanti delle zone che andranno espropriate per fare posto ai piloni del ponte, che è vero che saranno rimborsati ai prezzi di mercato,  e forse anche a qualcosa in più, ma è anche vero che saranno remunerati   esclusivamente per le parti in regola e questo diminuirà enormemente  il valore di molti immobili totalmente abusivi o con parti abusive e non sanate.  

L’istituto dell’esproprio per pubblica utilità mette in atto un meccanismo che fa violenza. Ed entra a gamba tesa nella  vita della gente.    

 Comunità, come in questo caso, che hanno, regole, abitudini, conoscenze, socialità, in generale vita, che scorrono con certo ritmo,  saranno  costrette a modificare le loro abitudini e il loro stile di vita, abbandonare gruppi  consolidati, per iniziare un nuovo percorso.

Di tutto questo gli abitanti coinvolti, probabilmente, non ne avranno alcun vantaggio, perché gli effetti positivi si riverberanno sul Paese e sull’Europa, e in seconda battuta sulla Sicilia e sulla Calabria. 

Molta gente ha subito nella vita forme di esproprio per il passaggio di una strada, o per la costruzione di un asilo nido o una scuola, o un parco pubblico. Ma essendo quest’opera unica al mondo, con dei piloni che raggiungono i 400 metri di altezza, che ovviamente avranno  una base enorme, insisteranno su una zona ampia e anche  molto abitata. Né poteva essere scelto un altro posto considerato che quello è il punto in cui le coste si avvicinano maggiormente. 

Si spiegano così le preoccupazioni non solo degli abitanti che saranno sottoposti all’esproprio, ma anche delle amministrazioni locali, che indagano, correttamente, sull’impatto sulle proprie popolazioni, ma anche sullo sconvolgimento che porterà nelle loro città la costruzione di una simile, fantastica, definita faraonica e certamente unica nel suo genere, opera. 

Negli ultimi giorni prevale quindi una sindrome Nimby (Not In My  Back Yard), non nel mio cortile, modificata. Nel senso che non trattandosi di un’opera che può essere fatta in un altro posto, come per esempio una centrale nucleare o un deposito di rifiuti, la sindrome assume la veste della contrarietà all’opera perché si tratta di un progetto “anacronistico, dannoso, sbagliato”, come sostenuto dal segretario PD Elly Schlein, con una veemenza adatta ad altre battaglie, considerato peraltro che molti dei maggiorenti del PD, come Romano Prodi e Dario Franceschini, Enzo Bianco, si erano dichiarati a favore. 

Ma ormai il percorso è in uno stato avanzato e probabilmente già in una fase di non ritorno quindi conviene occuparsi di come far si che le comunità locali non abbiano solo svantaggi dalla costruzione dell’opera. 

Quindi i sindaci di Reggio Calabria, Messina e Villa San Giovanni vanno ascoltati e coinvolti in una operazione che spieghi alle città interessate i vantaggi che per la costruzione dell’opera, sia nel breve, che nel medio e lungo termine, si avranno a favore delle loro comunità.         

Evitando che il periodo dei cantieri  diventi un inferno di camion che attraversano le strade, con polvere ovunque, un traffico impazzito e magari, come si è ventilato, con anche la mancanza d’acqua per i cittadini per le esigenze della costruzione. I problemi della costruzione di infrastrutturazioni che impattano sulle città li conosciamo tutti. Bisogna evitare che alcuni paghino troppo perché se le comunità si ribellano poi la costruzione potrà avvenire soltanto, come è accaduto con la Tav, a condizione che vi sia un controllo armato delle forze di polizia. 

La speranza è che Pietro Ciucci, il presidente della società Stretto Di Messina, valuti adeguatamente la problematica e intervenga in modo opportuno  perché si riducano i disagi in modo consistente. Il costo dell’opera è enorme; che vi siano delle voci importanti di costo nel progetto per evitare che alcuni soltanto paghino il prezzo  di una infrastruttura così fondamentale non solo é opportuno ma indispensabile. 

Non bisogna ripetere l’errore che è stato fatto addebitando alle due Regioni direttamente coinvolte il 10% del costo dell’opera, perché questa deve essere correttamente guardata come un collegamento per lo sviluppo, nei confronti dell’Europa e dell’Africa. 

Mentre forse era opportuno che una percentuale del Mose di Venezia fosse pagato dai veneti, considerato che il grande vantaggio di non far scendere sotto l’acqua alta la città lagunare sono per quella economia, anche se il bene è patrimonio dell’umanità, non ha alcun senso addebitare a calabri e siciliani una parte del costo di un collegamento europeo, correttamente inserito nel corridoio scandinavo Mediterraneo.      

Spiegando adeguatamente il senso dell’opera   molte cose diventano sensate, a partire da un costo consistente  fino a finire a un contributo importante da parte dell’Unione Europea. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

«ALLO SVILUPPO DEL PAESE SERVE IL SUD»
LA CALABRIA DICE GRAZIE A MATTARELLA

di PINO NANONon poteva andare meglio di così. Il Primo Maggio che il Presidente Sergio Mattarella è venuto a festeggiare ieri in Calabria è stato un Primo Maggio davvero molto speciale. 

Chi si sarebbe mai aspettato, appena qualche anno, di vedere il Presidente Mattarella vestito di bianco, con una muta termica che gli permettesse di accedere alle gabbie di surgelazione della Gias di Mongrassano, ma era l’unico modo forse per lui per capire meglio cosa significa per un operaio lavorare ogni giorno a temperature al di sotto dei 25 gradi centigradi per assicurare un processo di refrigerazione che tuteli al massimo la qualità del prodotto e la salute dei mercati. 

Il Presidente per un giorno diventa operaio dello Stato, osservatore attento e scrupoloso dei diritti della casse operaia, difensore strenuo e rigoroso delle speranze e delle attese di chi lavora. Non poteva darci immagine più esaltante il Capo dello Stato ieri facendosi vedere vestito in questa maniera. 

Ma la cosa che più commuove di questo suo incontro con il mondo operaio calabrese è tutta questa stratta di mani, una catena infinita di mani che si incrociano, si incontrano, si stringono, si cercano, mai nessuno prima di lui da queste parti aveva mai avuto modo di trovare così tanto affetto e soprattutto così tanta ammirazione.

Presidente, mi permetta di scriverlo, ma lei non poteva fare regalo più bello ieri a questa terra di disperati. 

Ha visto con quanta partecipazione gli operai che lei è venuto a salutare le sono corsi incontro? E ha visto la festa che le hanno fatto nelle stalle della Granarolo a Castrovillari? Guardi, io c’ero, ma neanche la visita del Papa di qualche anno fa a Cassano aveva commosso così tanto.

Molto più del Pontefice, mi perdonino i vescovi di Calabria, ma la sua visita di ieri nella Sibaritide è stato l’atto di fede più bello e più plateale che un uomo di Stato potesse dedicare ai calabresi.

Nel discorso ufficiale che lei ha poi tenuto alla Granarolo di Castrovillari c’è un senso della solidarietà sociale senza paragoni, c’è l’abbraccio corale del Paese ad una terra ancora troppo lontana dai grandi potentati economici italiani, ma c’è soprattutto l’alito pesante della riconciliazione, della speranza, della riscoperta del Sud, della difesa delle minoranze, dell’esaltazione del nuovo e del bello:

Sa quale è stato il regalo più bello che lei ieri ha fatto ai calabresi? L’aver parlato della Calabria senza mai usare il termine “’ndrangheta”, termine che per anni ha segnato la storia anche più intima di tutti noi. Finalmente si parla della Calabria come polo di interesse economico per le grandi potenzialità che esprime, e finalmente il racconto che ne fa l’uomo del Quirinale è pieno di luce e di certezze. 

Presidente sa una cosa? 

Il regalo che lei ha fatto ieri ai calabresi è un regalo doppio, e sa perché? Perché basta andare a vedere il sito della Presidenza della Repubblica e cercare una traccia della sua visita di ieri, e qui è davvero il trionfo di una narrazione che il suo ufficio stampa non ha mai dedicato a nessun’ altra realtà come questa.

Ma non solo il suo discorso ufficiale, devo dire solenne, austero, quasi “religioso” per lo spessore morale con cui lei spiega il diritto al lavoro e con cui lei coniuga il significato della Festa del Primo Maggio. Ma accanto al testo integrale del suo discorso ai calabresi, e alle immagini del suo arrivo nel “tempio di Gloria Tenuta”, e poi ancora il suo arrivo tra i produttori di latte a Castrovillari, ci sono oltre dieci fotografie diverse di questa sua visita in Calabria, immagini che danno di questa regione una dimensione finalmente nuova rispetto al passato, e da cui si ricava l’idea di un polo agroalimentare di respiro davvero internazionale.

E mi ha fatto un certo effetto sentirla parlare, qui ai piedi del Pollino, di intelligenza artificiale, ma anche questo dettaglio va letto nel solco dell’attenzione e della “venerazione istituzionale” con cui lei si è mosso ieri tra gli operai calabresi.

Non poteva lasciarci ricordo più di lei Presidente, venendo ieri in Calabria, ma sa qual è la cosa che della giornata di ieri un vecchio cronista come me si porterà per lungo tempo ancora nel cuore? 

È l’applauso lunghissimo, continuo, insistente, convinto, accorato che gli operai della GIAS, tutti in camice bianco, le hanno dedicato mentre lei passava con la sua auto al di là dei cancelli d’entrata della fabbrica per raggiungere poi Castrovillari, e che le telecamere di Teleuropa Network trasmettevano in diretta sulla rete, una diretta televisiva durata tre ore, che mi ha permesso di seguire da vicino la sua visita come se io fossi a soli due metri da lei.

E a Castrovillari, infine, l’applauso infinito che ha accolto l’arrivo dell’elicottero che la stava portando a vedere le nostre stalle e le nostre vacche da latte. Emozionante, infinitamente emozionante. (pn)

LA CALABRIA DEL FUTURO INIZIA OGGI CON
LA VISITA DEL PRESIDENTE MATTARELLA

di PINO NANOPer la Calabria e per i calabresi oggi è una giornata storica e speciale. Lo scriviamo con la consapevolezza assoluta di quello che diciamo. “Storica”, perché il Capo dello Stato viene in Calabria per parlare di lavoro e per anticipare qui a Mongrassano e Castrovillari il Primo Maggio di tutta Italia. 

Giornata “speciale”, perché il Capo dello Stato viene in Calabria dopo essere stato un anno fa per lo stesso motivo nel distretto industriale di Reggio Emilia, che è uno dei distretti industriali più importanti d’Europa. 

Cos’è? Un riconoscimento di qualità? Un segnale di fiducia? Un attestato di amicizia? Una semplice cortesia istituzionale? Un modo per parlare ancora di noi, dopo la tragedia di Cutro?

Qualunque cosa essa sia, per tutti noi oggi è una giornata solenne e da ricordare negli anni che verranno, perché nella Piana di Sibari, dove tutto sembra ancora sole e deserto, fame e precarietà, abbandono e silenzio, scetticismo e diffidenza, paura e omertà diffusa, qui arriva oggi il Presidente della Repubblica. 

E Sergio Mattarella viene appositamente fin qui per salutare gli industriali calabresi che in questa zona hanno sfidato la sorte e le intemperie della politica e della burocrazia regionale, costruendo di fatto, e in piena solitudine, un polo industriale che oggi, da solo, fattura milioni di euro.

Eccola la nuova Calabria. Se non altro, questa è la Calabria del futuro.

Chi in questa regione non ama parlare di “eccellenze”, non si rende conto che solo la storia di alcune “eccellenze” come questa dei Tenuta per esempio, o dei Nola, o della stessa Granarolo, rende poi merito al resto della regione nel confronto generale con il paese. 

E solo certe storie di eccellenza come questa del polo industriale di Mongrassano e di Castrovillari permettono al Capo dello Stato di venire in Calabria per esaltare il mondo del lavoro. 

Pensateci bene, sembra quasi una contraddizione di termini, ma là dove manca il lavoro, il Presidente viene a esaltare la Festa del Lavoro. Niente di più bello. Niente di più edificante. Niente di più provocatorio. Grazie Presidente.

Ma non a caso gli industriali cosentini salutano questa mattina l’arrivo del Presidente Mattarella con i giusti toni di questa nota ufficiale: «La presenza nel cuore del Distretto Agroalimentare del cosentino del Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella, in occasione della Festa del Lavoro e dei lavoratori, rappresenta un avvenimento di rilevanza assoluta per tutti. Siamo felici e onorati che il Presidente abbia accolto il nostro invito a festeggiare una ricorrenza così ricca di valori simbolici e sostanziali, visitando aziende d’eccellenza del sistema associativo del territorio». 

Giovan Battista Perciaccante, Presidente di Confindustria Cosenza, ricorda allo stesso Mattarella il ruolo centrale e strategico del Distretto Agroalimentare del cosentino, «ricompreso in un ambito territoriale che trova origine nell’area industriale della città, che a sua volta ricomprende l’Università della Calabria, che si allarga nell’area produttiva di Mongrassano, che si sostanzia, si estende e si completa nell’area della Sibaritide con i poco più di 30 comuni che le fanno da corona».

«Intorno alle realtà produttive che saranno oggetto di visita, la Gias di Mongrassano e Granarolo di Castrovillari – precisa il presidente Perciaccante – sono oggi presenti importanti aziende agricole inserite nella filiera corta della trasformazione, così come nelle produzioni di qualità dell’ortofrutta destinate ai primari mercati del fresco, tanto nazionali che esteri. Un insieme di imprese in cui le attività del settore agricolo, quelle del settore della trasformazione industriale e quelle del terziario, tanto tradizionale che innovativo, hanno raggiunto un livello di rete produttiva e di integrazione funzionale veramente eccellente». 

Il futuro, insomma, è tutto qui, in questa lingua di terra dove oggi Mattarella pronuncerà il suo tradizionale messaggio di Primo Maggio al Paese. 

Gli stessi vertici di Unindustria Calabria sottolineano «la straordinarietà di questo evento capace di accendere i riflettori nazionali sulle potenzialità di un territorio poco conosciuto ai più e su un tema, quello del lavoro, di assoluta importanza per la crescita economica delle comunità».

La cerimonia in programma per questa mattina prevede gli interventi ufficiali del presidente di Confindustria Cosenza Giovan Battista Perciaccante, che aprirà i lavori della cerimonia, poi del presidente di Granarolo Gianpiero Calzolari, del rappresentante dei lavoratori Gaetano Piraino, dello stesso Ministro del Lavoro Marina Calderone, con le attese conclusioni del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Importante il messaggio che gli industriali di Calabria affidano oggi allo stesso Mattarella.

«Parleremo di legalità, di sostenibilità ma anche di tradizione e innovazione, di cultura del lavoro e dell’importanza che le competenze e le risorse umane hanno per le nostre imprese. Il patrimonio più importante per le imprese sono i propri collaboratori e il patrimonio più vitale per i territori sono le imprese: creatrici di ricchezza e portatrici di dignità e libertà. Abbiamo lavorato in grande sinergia con il Quirinale, la Prefettura della provincia di Cosenza con il Prefetto Vittoria Ciaramella ed il suo staff, le Forze dell’Ordine, le aziende e gli enti competenti alla realizzazione di questa storica visita del Presidente Mattarella. Siamo pronti a scrivere insieme una bella pagina di storia del territorio».

Tutto è pronto, dunque, per la festa di oggi. 

Il programma ufficiale prevede per le ore 10.40 l’atterraggio dell’elicottero presidenziale di fronte all’area Gias- Tenuta. Qui il Presidente sarà accolto dal Prefetto della provincia di Cosenza, dal Presidente Regione, dal Presidente della Provincia e dal sindaco di Mongrassano. 

Il Presidente a questo punto sarà accompagnato all’interno dello stabilimento Gias dove sarà accolto dalla Presidente della GIAS Gloria Tenuta, vecchia conoscenza del Capo dello Stato per averla lui stesso nominata nel 2018 Cavaliere del Lavoro, e quindi la vista ufficiale dell’azienda e il saluto ufficiale del Capo dello Stato alle maestranze presenti in azienda. Qui il Capo dello Stato sarà salutato ufficialmente dal presidente di Confindustria Cosenza Perciaccante 

Alle 11.30-11.40 il Presidente si sposterà nell’area industriale di Castrovillari alla Granarolo, dove visiterà lo stabilimento del latte e incontrerà i lavoratori del settore.

Alle 12 è prevista quindi la cerimonia ufficiale per la “Festa del Lavoro e dei lavoratori”, con il saluto e il messaggio finale del Ministro del lavoro Maria Elvira Calderone e del Capo dello Stato Sergio Mattarella. Che subito dopo farà rientro a Roma. (pn)

L’INSPIEGABILE INSISTENZA SU AUTONOMIA
CHE NON FARÀ BENE AL PAESE E ALLA LEGA

di PIETRO MASSIMO BUSETTAMa è questione di vita o di morte l’approvazione dell’autonomia differenziata prima del voto per le europee dell’8 e 9 giugno? Pare proprio di sì. E in realtà i motivi che portano Calderoli ad andare a marce forzate sono molti. 

Perché per La lega è ormai diventato uno scalpo da mostrare alle prossime elezioni. Non solo ma per lo stesso Matteo Salvini è probabilmente un salvacondotto per la sopravvivenza. 

Ma anche per Calderoli l’esigenza di salvare la faccia, dopo gli impegni sbandierati e le carte false fatte, con commissioni improbabili  bipartisan, dimissioni eccellenti, violazioni di regolamenti e minacce più o meno larvate di far saltare il banco del Governo, é imprescindibile.      

Infine Fontana e Zaia diventerebbero delle belve se saltasse l’accordo all’interno della maggioranza di far andare contemporaneamente avanti autonomia e premierato. E la Lega avrebbe difficoltà con le frange più estremiste esterne  ormai esistenti, capeggiati da Bossi, che vogliono tornare alla Lega delle ampolle e di Alberto da Giussano.

Ovviamente gli interessi di Forza Italia, diretta competitrice nella corsa ad essere il secondo partito per percentuale di consenso all’interno della coalizione di centrodestra, sono opposti.

La paura di perdere consenso, in conseguenza di tale legge, soprattutto nel Mezzogiorno è grande. Conseguentemente anche le posizioni espresse da alcuni Presidenti di Regione, appartenenti al Partito fondato da Berlusconi, in particolare Roberto Occhiuto, peraltro vicepresidente del Partito, ma adesso si è aggiunto anche Renato Schifani, sono chiare e certamente non a favore dell’autonomia, se prima non si è nelle condizioni di finanziare i Lep, cioè i servizi essenziali delle prestazioni in tutto il Paese, in particolare al Sud dove le carenze sono evidenti e gridano vendetta nei confronti di una Nazione sempre più duale. 

Ma è noto che per avere i livelli essenziali, nemmeno parliamo di quelli uniformi, sarebbero necessari annualmente 100 miliardi di euro da destinare al Sud,  come é stato detto da più centri studi nazionali, a cominciare dalla Svimez.

Risorse che il Paese non ha certamente. E allora si assiste a un gioco delle tre carte, per cui invece di parlare di finanziamento dei Lep si parla di individuazione di essi, si cerca di far passare le autonomie per le materie cosiddette non “leppizzate”, come per esempio l’energia.      

Insomma un gioco poco serio che mette in discussione oltre che l’unità della coalizione, che alla fine però si compatterà come sempre, e farà passare il “capriccio” della Lega, chiamato “spacca Paese”, anche la sua credibilità.     

Infatti tale riforma comporta non solo danni prevedibili di carattere economico per il bilancio dello Stato, ma anche alimenta una contrapposizione tra le due realtà del Paese duale, pericolosissima e che può  mettere in discussione l’Unità raggiunta nel 1860. 

Purtroppo si sta portando avanti una esigenza legittima in un momento sbagliato. È comprensibile che le realtà a sviluppo compiuto vogliano maggiore autonomie di gestione. Avendo raggiunto livelli adeguati di capacità amministrative, e contemporaneamente una classe dirigente che si occupa del bene comune, vogliono che alcune prerogative siano gestite  in periferia, che in genere é vero che conosce meglio le esigenze dei cittadini e dei territori. 

Anche se nella richiesta di autonomia il vero tema è quello di trattenere il cosiddetto residuo fiscale, cosa naturale in un paese sviluppato in modo equilibrato, ma che diventa dirompente in uno che ha le disuguaglianze dell’Italia. 

E allora quello che chiede la Lega è di mettere il carro davanti ai buoi, cioè di procedere con forme accelerate di federalismo e di trattenuta di risorse, teoricamente prodotte nelle realtà regionali che le incassano, in una realtà che ha invece bisogno di diminuire le disuguaglianze, di dare gli stessi servizi a tutti i cittadini, di equiparare i diritti di cittadinanza, di mettere in funzione quel secondo motore di sviluppo, che può dare risultati eccellenti, se solo viene aiutato in modo corretto e non solo a parole. 

Quella seconda locomotiva sempre tenuta nei depositi e mai partita veramente, che ancora ha capitale umano da utilizzare, siti da usare senza quell’affollamento ormai intollerabile che si registra nella pianura padana, una localizzazione felice estremamente vicina all’Africa, in un momento così importante per quel Continente e in una situazione in cui l’Europa vuole sempre più avvicinarsi ad esso. 

Quando tutto questo dovesse accadere e il reddito pro capite delle realtà meridionali si dovesse avvicinare a quello delle aree più sviluppate allora il tema di mantenere le risorse nelle realtà che le  producono potrebbe trovare un normale accoglimento, perché ognuno potrebbe gestire autonomamente, al di là ovviamente delle esigenze che alcune materie rimangano a livello centrale, come la sanità, la formazione, l’energia, l’infrastrutturazione, i porti e molte delle materie che sono state chieste che vengano delegate alle regioni con l’autonomia in approvazione.  

Tale esigenza per non perdere quell’unità funzionale che serve ad avere una catena di comando breve ed efficiente. 

In un momento in cui la Lega e Matteo Salvini in particolare si spendono in un modo assolutamente imprevisto per collegare con il ponte sullo stretto di Messina a Hong Kong e Singapore, Berlino e Stoccolma, dimostrando una visione delle esigenze del Paese non comune, insistere sull’autonomia fa perdere a tale partito quel carattere di forza nazionale che le sta facendo diminuire il consenso, soprattutto nel Sud. 

Forse uno stop in questo momento diventa inconcepibile e impraticabile, ma trovare un modo per evitare l’accelerazione voluta e avere più tempo per considerare molti aspetti trascurati, una via di fuga che contemperi l’esigenze di tutti, potrebbe far capire al Paese che la Lega è diventata una forza adulta, non più esclusivamente territoriale, spendibile anche oltre il lombardo veneto, e acquisire una credibilità che stenta ad avere nelle regioni del Sud.  (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

CALABRIA E MEZZOGIORNO: C’È IL RISCHIO
CHE VADANO SPRECATI I FONDI UE 2021-2027

di PAOLA LA SALVIA – Il complesso scenario economico italiano, aggravato dalle conseguenze dei vari conflitti in corso, pone ancora una volta in primo piano la questione di un Paese tuttora ancorato a due differenti velocità di sviluppo, come se il divario tra un Mezzogiorno in difficoltà e un Centro Nord in linea con l’Europa fosse ineluttabile.

Fin dall’Unità d’Italia si è cercato di porre rimedio a tale situazione sul piano Istituzionale attraverso ingenti stanziamenti di risorse pubbliche, tuttavia con risultati decisamente deludenti, difatti tuttora permane sia un divario tra le regioni settentrionali e quelle meridionali sia una diseguaglianza interna alle stesse aree del Mezzogiorno. L’analisi delle difficoltà strutturali che opprimono il Sud italiano, sia in termini di struttura produttiva che di assetto istituzionale, evidenzia una situazione complessiva di fragilità che impone la ricerca di radicali elementi di discontinuità nelle politiche di sviluppo.

 Per superare tale Gap è indispensabile disegnare nuove e più efficaci azioni che consentano al Mezzogiorno di intraprendere un percorso di sviluppo, autonomo e responsabile, in grado di valorizzare i tanti elementi positivi comunque presenti in questi territori. 

I Fondi che l’Unione Europea destina ai Paesi hanno lo scopo di aiutare le Regioni meno sviluppate ad avvicinarsi alla media europea e ridurre gli squilibri interni ai Paesi, a livello economico e sociale, per esempio attraverso un’omogenea crescita economica e il miglioramento della qualità della vita dei cittadini in tutte le regioni. Dunque, tempistiche più efficienti e una programmazione più coesa tra le regioni potrebbero aiutare nella spesa dei fondi. In particolare, considerato il delicato periodo che l’Italia sta attraversando, i fondi strutturali e quelli provenienti dal Piano Next Generation Eupotrebbero essere la chiave per una ripresa economica e sociale più rapida.

Al riguardo, purtroppo, sono preoccupanti gli ultimi dati pubblicati recentemente dal Sole24. Siamo giunti quasi a metà del periodo di programmazione 2021-2027 e la spesa italiana del Fondo europeo di sviluppo regionale e del Fondo sociale europeo è di appena 535 milioni di euro, meno dell’1% dell’ammontare complessivo delle risorse disponibili pari a 74 miliardi. Si tratta della spesa effettiva già realizzata e di cui si può quindi chiedere il rimborso a Bruxelles.

I progetti considerati ammissibili (quasi 35mila) e dunque in via di realizzazione assorbono quasi 4,8 miliardi (il 6,5 del totale) La Commissione Europea ha espresso le proprie preoccupazioni per una situazione definita “quasi bloccata” e ritiene molto difficile raggiungere l’obiettivo dei 7 miliardi di spesa a fine 2025. Una spinta alla spesa potrebbe arrivare dagli accordi per la coesione tra Regioni e Governo voluti dal Ministro Fitto. Tra le Regioni, sono riuscite a spendere qualche decina di milioni di euro solo le più sviluppate e la Calabria purtroppo non è ancora tra queste. È urgente accelerare i programmi, spendere bene le risorse, evitando sprechi e inefficienze. 

La competenza sui Fondi Europei è soprattutto delle Regioni ma molte di esse non hanno un apparato tecnico adeguato a produrre progetti sui fondi europei e poi per seguirli adeguatamente. La Commissione Europea è molto esigente per quello che riguarda la qualità dei Progetti, per il loro monitoraggio in corso di esecuzione e infine per la rendicontazione delle somme assegnate. Sarebbe necessario, a tal fine, favorire la formazione del personale in modo da avere, nelle strutture regionali, esperti nell’organizzazione europea.

Il monito, quindi, è di continuare a spendere, e inoltre di guardare molto di più rispetto al passato alla qualità della spesa. Come dire, spendere è una condizione necessaria, ma non sufficiente affinché un programma regionale riceva una valutazione positiva.

I Fondi Europei costituiscono per la Calabria e le Aree del Mezzogiorno un’importante occasione di crescita e sviluppo che non può andare sprecata. (pls)

 

L’AUTONOMIA DIFFERENZIATA, A SCUOLA
SI RIVELERÀ UN VERO E PROPRIO DISASTRO

di SERGIO DRAGONE – A subire in Calabria gli effetti devastanti dal progetto di autonomia differenziata sarebbe, più di altri, il sistema scolastico. Se passasse nell’attuale stesura il progetto Calderoli, la nostra regione non potrebbe, per via di una spesa storica molto elevata in materia di istruzione, chiedere ulteriori risorse e dovrebbe perfino pensare di ridurre quelle esistenti per adeguarsi alla media nazionale. All’orizzonte ci sarebbero tagli, accorpamenti ulteriori e inevitabili chiusure di istituti ritenuti poco “produttivi”. Un disastro, insomma.

Un freddo ragionamento tecnico porterà a dire che il sistema scolastico calabrese costa già troppo, ci sono troppe scuole e pochi alunni, ci sono troppi docenti e peraltro con anzianità di servizio che determina maggiori costi in fatto di stipendi. Mentre, ad esempio in Lombardia, con una spesa storica pro capite inferiore alla media nazionale e con una maggiore efficienza del sistema (un numero maggiore di studenti per classe, docenti più giovani e meno costosi) il sistema potrebbe essere ulteriormente potenziato con un allineamento delle risorse.

La comparazione sugli effetti che l’autonomia differenziata potrebbe avere in Calabria e Lombardia in materia di istruzione è contenuta nell’interessante tesi di laurea brillantemente discussa all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza dal catanzarese Giuseppe Tallini, dal titolo “Autonomia differenziata: evoluzione normativa, implicazioni pratiche e focus sull’istruzione”, nell’ambito del corso di laurea in Gestione d’Azienda.

Si parte da un dato fondamentale, la spesa storica in materia di istruzione che in Calabria è di 949,07 euro per abitante, mentre in Lombardia è di 653,70 euro/abitante. Ecco come lo spiega Giuseppe Tallini.

Potrebbe ravvisarsi quale primaria motivazione la diversa conformazione orografica dei due territori che, in Calabria, è tale per cui maggiore è la dispersione geografica degli abitanti residenti sul territorio. Riprendendo qualche concetto già espresso in precedenza, infatti, un già basso valore di densità della popolazione della Calabria, contro quello della Lombardia, più di tre volte alto rispetto a quest’ultima, promuove seppur non da solo la crescita della spesa storica; stante la necessità di garantire un adeguato accesso all’istruzione in una regione dove non sempre ampie distanze sono colmate da un servizio di trasporto adeguato, è necessario accrescere le scuole esistenti che, quindi, per quanto troppo numerose rispetto alla popolazione studentesca e, per tale motivo di minori dimensioni, comunque impatteranno sul fabbisogno finanziario della Regione in materia di istruzione.

Nello studio si evidenzia che il numero medio di studenti per scuola è 999,48 in Lombardia, mentre in Calabria è di 708,41, più basso della media nazionale che è di 889,45. Il numero di studenti per classe è di 21 per la Lombardia, mentre in Calabria è di 17 a fronte di una media nazionale di 20. Sintomi di scarsa efficienza, dunque.

Una considerazione che è possibile trarre dalle risultanze di cui sopra è che, avendo la Calabria un numero medio di studenti per scuola inferiore rispetto alla Lombardia, il cui KPI è maggiore alla media nazionale, per garantire alla popolazione studentesca calabrese l’accesso all’istruzione sarebbero sufficienti in Calabria un minor numero di scuole rispetto a quelle esistenti ove, però, venissero raggiunti maggiori livelli di efficienza che alla luce delle caratteristiche orografiche del territorio sarebbe possibile perseguire adottando misure quali, per esempio, accorpamenti e miglioramento del servizio di trasporto.

A conferma delle considerazioni alle quali si è giunti, conseguono in Calabria, dunque, rispetto alla Regione Lombardia, ma anche alla media nazionale italiana, un maggior numero di scuole con un esiguo numero di iscritti e, conseguentemente classi numerose nella quantità ma non nel numero di frequentanti, come dimostra anche il numero medio di classi per istituto che in Calabria è nettamente inferiore alla Lombardia e alla media nazionale. Tale frammentazione, laddove maggiore, implica necessariamente, sebbene con una minore incidenza, un aggravio di spese strutturali per la manutenzione e, non solo, di ciascun edificio e di costi strettamente correlati al personale scolastico, docente e non docente, necessario al funzionamento di ciascuna scuola, come accade per la Calabria. Se, dunque, preponderante è la spesa per il personale sul complessivo fabbisogno finanziario in materia di istruzione è evidente come, un “obbligata” numerosità delle strutture scolastiche, a cui corrisponde, prima di ogni altra cosa, un maggior fabbisogno di risorse umane, contribuisca ad una sostenuta spesa storica rispetto alla Lombardia.”

Un altro elemento che emerge dalla ricerca è l’impatto sugli stipendi del personale.

Oltre quanto appena concluso, non può essere tralasciato un altro aspetto che impatta sulla spesa storica, ovvero l’età anagrafica dei docenti. A tal proposito giova attenzionare la situazione economica e sociale attuale che vede i giovani emigrare per ragioni professionali verso il nord e, i lavoratori più anziani a rimanere al sud; se, dunque, l’anzianità di servizio implica un maggior stipendio per i docenti è evidente come inevitabile sia, anche a parità di personale, una maggiore spesa per le regioni meridionali e, quindi, anche per la Calabria.

Esiste anche un notevole divario dal punto di vista qualitativo e dei risultati in questa comparazione Calabria-Lombardia.

Se, dal punto di vista quantitativo quindi, si rileva in Lombardia un minor fabbisogno necessario a finanziare la funzione istruzione, ovvero una minore spesa storica pro capite, dal punto di vista qualitativo una minore dotazione di risorse non preclude migliori risultati rispetto alla Calabria in cui, da una valutazione dei risultati scolastici perseguiti dagli studenti si è rilevata una minore qualità dell’istruzione. Il divario, se poco significativo, emerge nei primi anni di scuola e, dunque, nella scuola dell’infanzia, segue un trend crescente man mano che gli studenti avanzano nel grado e ordine di scuola, divenendo particolarmente significativo negli ultimi anni del percorso scolastico. Tra le motivazioni sottostanti, pertanto, rilevano senz’altro le diverse dotazioni strutturali delle scuole a beneficio degli studenti (in Calabria, per esempio, solo il 20% delle scuole ha in dotazione una mensa e, addirittura, solo il 17% una palestra) oltre che un contesto economico e sociale differente e fenomeni diffusi quali la dispersione scolastica e una minore offerta di attività extra scolastiche da parte delle istituzioni.

E dunque cosa potrebbe accadere se l’impianto di Calderoli restasse immutato?

Ritornando all’istruzione, a parità di età i ragazzi del sud sono di qualche anno indietro rispetto a quelli del nord, il che rappresenta una seria problematica nell’ambito di una stessa comunità nazionale; si pensi, a tal proposito, a cosa potrebbe accadere se ogni Regione potesse gestire autonomamente e, sulla base del proprio gettito, l’ordinamento scolastico e, più in generale, l’intero comparto. Ne conviene, dunque, un problema non solo economico e finanziario; sebbene le Regioni che ad oggi detengono nella spesa storica di alcune funzioni un trend maggiormente crescente rispetto ad altre, alla luce dell’autonomia differenziata potrebbero subire tagli nella dotazione di risorse tali da peggiorare ulteriormente la qualità e quantità dei servizi offerti, a scapito della popolazione in essa residente. La questione diviene, per tale ragione, anche e soprattutto sociale al punto da suscitare l’interesse della Chiesa che, fin dalla fine degli anni novanta sostiene un’idea di sviluppo che metta al centro le persone, le risorse e le peculiarità dei territori e non solo indicatori economici.”

L’analisi di Tallini arriva a giudicare “insostenibile” il progetto di autonomia differenziata nell’attuale stesura.

Viene ritenuto insostenibile il progetto di autonomia differenziata attualmente proposto poiché nella sostanza distante da una crescita unitaria coerente con i principi di solidarietà, sussidiarietà e coesione sociale stante una serie di peculiarità che, piuttosto, promuovono l’individualismo e una crescita difforme; basti pensare alla volontà di procedere alla determinazione dei costi e fabbisogni standard che rendono impossibile la valorizzazione delle potenzialità di un territorio o, ancora, all’impossibilità di sovraccaricare il bilancio dello Stato di ulteriori costi e oneri che, implicitamente, rende impossibile il perseguimento dei livelli essenziali delle prestazione. A distanza di anni, quindi, dall’introduzione di una tale riforma sarebbe, dunque, opportuno pensare ad interventi che, prima di ogni cosa, possano colmare le differenze attualmente esistenti tra le regioni, tra nord e sud in particolare e, poi, coerentemente con quanto sancito dalla Costituzione della Repubblica italiana, riconoscere maggiori e ulteriori forme di autonomia alle Regioni. Se opportunamente applicato e gestito, infatti, tale progetto potrebbe rivelarsi un adeguato volano ad una maggiore crescita e sviluppo, uniformi, del paese tutto”. (sda)