SANITÀ, PROPOSTA ANCORA UNA PROROGA
PER IL COMMISSARIAMENTO DI OCCHIUTO

L’ipotesi di una ulteriore proroga del commissariamento della sanità in Calabria, affidato al Presidente Roberto Occhiuto proposta con un emendamento dal sen. Claudio Lotito potrebbe diventare un autogol, per restare in ambito di calcio (visto che Lotito è il patron della Lazio). Per una serie di ragioni: da un lato – apparentemente – si potrebbe interpretare come un consenso al lavoro fin qui svolto (e quindi è necessaria una proroga), dall’altro può significare che la politica si arrende all’ineluttabilità di una sanità “commissariata” sine die in Calabria. E se così fosse, non sarebbe una buona notizia per i calabresi che hanno diritto – dopo anni di illusioni e imperdonabili trascuranze – a una sanità degna di quasto nome. Pur avendo fior di professionisti nel campo medico-ospedaliero e di specialisti sparsi tra università e centri privati, la salute dei calabresi non gode di “buona salute” perché una volta mancano gli strumenti (o sono obsoleti e non sono mai entrati in funzione), un’altra volta mancano i farmaci, le attrezzature, i dispositivi, etc. Così non può continuare, anche se – per la verità – l’impegno del Presidente è lodevole quanto gravoso.

Nei giorni scorsi, la consigliera regionale Amalia Bruni (ricercatrice ed ex direttrice dell’Istituto di Neurogenetica di Lamezia Terme) ha ricordato le sue tante sollecitazioni (già durante la campagna elettorale di due anni fa) perché del debito sanitario calabrese se ne facesse carico l’Esecutivo («serve un patto forte con il Governo. Il commissariamento ha prodotto danni. Sul debito prodotto dai commissari non possono rispondere i calabresi, se ne deve occupare il Governo», e lo ha ribadito:  «Bisognava quantizzare il debito e d’accordo col governo nazionale stabilire la parte da pagare che spettava ai calabresi, mentre il resto accumulato in quetsi anni di gestione commissariale sarabbe stato a carico dello Stato».

Adesso, i consiglieri dem di Palazzo Campanella stigmatizzano ancor di più la situazione in una nota abbastanza “feroce”: « Mentre il ministro Schillaci osannava in Cittadella il nuovo corso della sanità calabrese capace di poter conquistare a breve l’uscita dal commissariamento, il presidente della Lazio e senatore di Forza Italia Claudio Lotito depositava un emendamento con l’approvazione del quale si arriverebbe alla proroga di un altro anno del decreto Calabria. E seppure anche Lotito ha sottolineato presunti progressi fatti nella gestione della sanità calabrese, di fatto si prosegue con una legge emergenziale ad hoc che significa esattamente il contrario dell’uscita dal commissariamento e la necessità per la Calabria di essere ancora sotto la supervisione del governo centrale. In buona sostanza Roberto Occhiuto, che pure ha ottenuto i poteri di Commissario ad acta per il piano di rientro dal debito sanitario, che erano mancati ai suoi predecessori, ha fin qui fallito. Per la maggioranza di centrodestra, evidentemente, permane ancora l’incapacità della Regione Calabria e del commissario Occhiuto di legiferare in materia».

Secondo i consiglieri del gruppo regionale dem, «Le notizie apprese a mezzo stampa evidenziano come il senatore Lotito, incaricato dalla Calabria e dal collega di partito Occhiuto, arriva in soccorso con un emendamento che per l’intero 2024 prevede la proroga delle leggi speciali ed emergenziali per la Calabria. E seppure potrebbe esserci anche qualche risvolto positivo da questa proroga, è chiaro che nessun progresso è stato fatto fin qui e che ci troviamo davanti alla situazione di sempre: bocciatura per la sanità calabrese, perché la proroga del decreto riconsegna ad Occhiuto poteri speciali allungando i tempi del commissariamento perché fin qui, è evidente, il governatore non è stato in grado di rispettare il cronoprogramma per fare uscire la Calabria dalla gestione commissariale«.

Detto in altri termini – spiegano ancora i consiglieri dem – «è Occhiuto che non ha fatto “i compiti a casa” e per tramite di Lotito fa chiedere al governo un altro anno di decreto Calabria.  Nell’emendamento si legge che la situazione dei Lea non è gestibile dalla Calabria, che l’erogazione dei servizi minimi è in alto mare e che, soprattutto, le Aziende sanitarie ed Aziende ospedaliere possono continuare ad essere governate da commissari senza dover attingere dalle graduatorie per direttori generali. Se non è una bocciatura politica e generale della gestione della sanità calabrese questa, davvero non sapremmo come altro interpretare l’emendamento Lotito. E vi è pure di più: l’ammissione di un gravissimo errore per quanto riguarda l’impignorabilità per Asp e Aziende ospedaliere sommerse dai debiti. Pesantemente ripresi anche dall’Unione europea – conclude la nota del gruppo del Pd – governo centrale e regionale altro non hanno potuto fare che correggere ed eliminare l’impignorabilità “fraudolenta” fin qui mantenuta in vita per le  Asp. A conti fatti l’emendamento Lotito, utilizzando termini calcistici a lui cari, è un “gol a porta vuota” per l’allungamento sine die del commissariamento della sanità calabrese».

Dal canto suo, il Presidente Occhiuto sbandiera come un grande successo il maxi bando di concorso per la selezione di 263 medici da destinare all’area dell’emergenza di urgenza intra ed extra ospedaliera in tutte le aziende sanitarie e ospedaliere della Calabria: per la prima volta in Calabria – a quanto pare – ci sono più domande che posti a disposizione (i concorsi prima andavano quasi deserti). In effetti, sono pervenute 443 domande, a dimostrazione della forte attrattività del bando e della capacità del territorio – dice Occhiuto – e della sanità calabrese di richiamare l’attenzione di tanti giovani medici, abituati oggi a percorsi lavorativi troppo incerti, e pertanto alla ricerca di contratti stabili.

Secondo il Presidnete Occhiuto, il successo del concorso – uno die più grandi del Paese – è anche merito della chiarezza del percorso del bando», le cui prove indizieranno tra una ventina di giorni.  Sono disponibili 53 posti per anestesisti (90 le domande pervenute), 1 posto in neuro radiologia (12 domande pervenute), 9 in cardiologia (77 domande pervenute), 39 in ortopedia (24 domande), 16 in neurologia pe ril trattamento degli ictus (41), 145 per medicina d’urgenza (189). (rrm)

“UNA SCUOLA GIUSTA” PER LA CALABRIA
NON GLI ACCORPAMENTI DANNOSI

In Calabria, e particolarmente in alcune aree della Regione, il panorama dei servizi è sempre più caratterizzato da una serie di controversie che, giocoforza, conducono verso accorpamenti degli stessi.

Con l’aggravante, non certo trascurabile, di arrecare un danno esclusivo a quelle zone periferiche e marginali rispetto agli equilibri dei centralismi storici.

Gli Enti intermedi calabresi, ognuno per propria parte, fedeli ai dettami imposti già dal Governo Draghi e perpetuati dal Governo in carica, hanno (ma sarebbe più oppurtuno dire avrebbero) proceduto a parametrare le autonomie delle proprie Istituzioni scolastiche. Il parametro richiesto, nel rispetto della norma, prevede un minimo di 1000 studenti per Istituto nei comuni superiori a 15mila abitanti e almeno 600 studenti per quei Comuni inferiori al dato demografico su riportato.

Quanto premesso, a introdurre le scellerate scelte che, nelle ultime ore, la Provincia di Cosenza ha consegnato in Regione con la bozza di dimensionamento scolastico provinciale. Nel richiamato contesto, si sta consumando una delle peggiori pagine della storia del centralismo legato al potere dei Capoluoghi storici. Una Città come Corigliano-Rossano (75mila ab.), dall’alto dei suoi oltre 5000 studenti frequentanti gli Istituti di secondo grado, vede accorpate le proprie scuole a 3 elefantiaci Istituti d’istruzione superiore.

Si pensi che centri come Castrovillari, con meno della metà della popolazione studentesca rispetto alla Comunità  jonica e un dato demografico che comunque supera i 15mila abitanti, mantiene lo stesso numero di Dirigenze. Nella città Capoluogo, poi, dove il corpo studentesco si assesta su circa 9670 alunni (compresi circa 1500 studenti in forza ad ex autonomie di Comuni dirimpettai al Capoluogo), il numero delle autonomie d’istituto si equalizza su 9. Storture, dunque, che non hanno eguali e non lasciano spazio a fraintendimenti: senza una rinnovata visione di territorio, l’area jonica è destinata alla lenta e latente soccombenza. E pari discorso dicasi per gli Istituti comprensivi che vedono falcidiate ben 3 delle 9 autonomie a fronte di 7610 discenti.

È surreale pensare che per tutelare l’autonomia di scuole storiche come il Liceo Telesio (500 studenti circa), o numeri che non suffragherebbero 3 autonomie (Castrovillari, 2577 studenti), si faccia razzia del dimensionamento jonico, dove il dato della popolazione scolastica avrebbe tutelato — secondo i dettami disposti dallo Stato — almeno 5 Dirigenze per gli Istituti superiori e 7 per i Comprensivi.

Rincara la drammaticità della questione aver disegnato in riva allo Jonio, dalla cabina di regia di piazza XV Marzo, un polo liceale unico di 2000 studenti. Tale operazione, per motivi legati ad un drappello di studenti in più nell’ex polo rossanese rispetto a quello coriglianese, vedrebbe l’unica Dirigenza sull’area bizantina della Città. E va da sé che un’azione del genere potrebbe acuire gli spiriti separatisti di quei nostalgici che ancora oggi aizzano sentimenti scissionisti fra le due estinte Città. Con l’aggravante di additare scelte insensate al processo di fusione amministrativa e non già alle decisioni prese nelle fredde stanze del potere provinciale. Quartier generale — quello della Provincia bruzia — che, con ogni probabilità, disconosce finanche dove l’area jonica sia allocata. Vieppiù, nella consapevolezza che, con piccole levigature, entrambi i poli liceali jonici avrebbero potuto mantenere le proprie autonomie.

Quanto dichiarato, la dice lunga su come il centralismo cali dall’alto imposizioni che infliggono ulteriori squilibri in aree già pervase da problematiche importanti. Il tutto, per tutelare ed ovattare contesti che a stento riconoscono il significato del termine disservizio. Acclarando — e il file che dimensiona le autonomie scolastiche nei Centri della Provincia di Cosenza lo comprova — che l’ambito bruzio si conferma terra di figli e di figliastri. Vieppiù, conclamando l’inquadramento della terra jonica nella seconda delle su richiamate casistiche.  Ad aggravare, ancora, la drammatica condizione di trattamento inflitta allo Jonio è il dato che non tiene conto delle linee guida regionali sul livello di criticità dei Comuni della Provincia di Cosenza.

Ebbene, mentre nel calderone delle Comunità a criticità “0” si concentra tutta la cinta di Municipalità che coronano la Città di Cosenza, Corigliano-Rossano giace in criticità “3”. Quasi la più alta della scala e ben oltre anche alcuni centri della Sila Graeca.

A questo punto sarebbe lecito chiedersi se nelle sale dei bottoni della Provincia di Cosenza siano a conoscenza del livello dei collegamenti infrastrutturali esistenti sullo Jonio. Così come, se siano state o meno parametrate scelte tenendo conto che i Comuni annoverati in criticità “0” distano dalla Città Capoluogo un intervallo di tempo compreso tra i 5 ed i 15 minuti di percorso, mentre lungo lo Jonio spostarsi da un Comune all’altro (e talvolta anche nello stesso Comune) equivale a fare un viaggio. Con ogni probabilità, la risposta a questi interrogativi non arriverà da parte di quegli Enti a cui lo Jonio torna utile solo per calcoli di natura meramente elettorale. Tuttavia, è bene si sappia che determinate scelte — nel nostro caso illogiche — vengono varate nei Capoluoghi. Pertanto, senza il sacrosanto diritto di un riconoscimento in tal senso a Corigliano-Rossano (ed in comunione con la Città di Pitagora), puntualmente ci ritroveremo a dover commentare e riflettere su tagli capestri applicati senza la benché minima cognizione di causa e senza la reale percezione del tessuto territoriale jonico; così come la storia degli ultimi decenni ci ha ripetutamente dimostrato.

Inoltre, le Popolazioni joniche così come la politica locale dovrebbero comprendere che la soluzione non può limitarsi a resistere agli accorpamenti (scolastici e non solo).

Le proteste, così come i pianti di coccodrillo, servono a poco. Si smetta, quindi, di perseverare nelle battaglie di Pirro sui social. In mancanza di un’azione corale finalizzata al riconoscimento di un’autonomia politica — scevra da lacci e laccioli che legano scampoli della vita amministrativa, sindacale e delle professioni joniche ai poteri del centralismo storico — non si andrà da nessuna parte. È necessario, altresì, estirpare il problema alla radice, cercando di stimolare lo sviluppo economico di tutto l’Arco Jonico.

Il progetto di elevazione a Capoluogo di Corigliano-Rossano e l’idea di creare un’area metropolitana tra Gallipoli e Crotone rappresenterebbero opportunità interessanti per creare posti di lavoro e rinvigorire l’economia locale. Le menzionate iniziative potrebbero promuovere il turismo e il settore terziario, offrendo nuove prospettive di lavoro per i residenti. Senza la creazione di nuovi posti di lavoro, d’altronde, i prossimi anni saranno anche peggiori rispetto a quelli appena trascorsi: il dato demografico continuerà a calare e lo Jonio reciterà la parte del gatto che si morde la coda.

Nel frattempo è bene che la politica, a tutti i livelli istituzionali, s’impegni per scongiurare sciagurare operazioni di taglio indiscriminato ed insensato.

E, contemporaneamente, le popolazioni joniche si mobilitino! Sarebbe opportuno che i Cittadini evitassero la malsana abitudine dell’eccesso di delega.

Concentrandosi, magari, su azioni che possano consentire al territorio jonico di aspirare alla propria autonomia, liberandosi dal cappio centralista. Autonomia, fra l’altro, suffragata dai numeri e non già figlia di capricci o barricate campaniliste.

Solo così facendo sì potrebbe procedere a scelte e decisioni consapevoli, poiché ad operare sarebbero persone del luogo che, presumibilmente, dovrebbero conoscere i limiti e le potenzialità del territorio in cui vivono. (rcs)

ARDUO ABBATTERE GLI ABUSI IN CALABRIA
ESEGUITO MENO DEL 10% DI DEMOLIZIONI

In Calabria si fa fatica a demolire le costruzioni abusive. Lo dice il terzo report di Legambiente “Abbatti l’abuso” che analizza l’abusivismo edilizio nelle regioni a rischio. In Calabria, Campania, Lazio, Puglia e Sicilia si fa fatica a demolire: dal 2004 a dicembre 2022 il numero delle demolizioni eseguite è stato solo del 15,3%; in Calabria il dato è di appena il 9,6%.

«Il nuovo rapporto di Legambiente sull’abusivismo edilizio evidenzia, purtroppo, la gravità della situazione – afferma Anna Parretta, presidente di Legambiente Calabria. La nostra regione è, in maniera persistente, in fondo alle classifiche negative a partire dai dati sulla trasparenza sino al numero di ordinanze di demolizione eseguite sul totale di quelle emesse nel corso degli anni, appena il 9,6% nell’arco di quasi un ventennio, ed al numero di immobili acquisiti al patrimonio dei comuni, pari all’1,2%. Un quadro molto preoccupante perché in Calabria l’abusivismo edilizio deturpa troppo spesso e da troppo tempo luoghi di grandissima bellezza sia sulle coste che nell’entroterra, interessa anche territori a rischio idrogeologico e sismico e pesa come un macigno sul futuro della Calabria. L’Amministrazione regionale ha iniziato a dare primi i rilevanti segnali come l’annunciata demolizione, a breve, di Palazzo Mangeruca. La direzione giusta, quanto doverosa, è quella della   tutela dell’ambiente e della salvaguardia dell’incolumità di persone ed attività economiche, percorribile solo con il ripristino della legalità e con l’abbattimento degli immobili non sanabili».

In Italia l’abusivismo edilizio, concentrato soprattutto al sud e lungo le coste, resta una piaga difficile da curare. A fronte di un territorio sfregiato dal cemento illegale che non conosce crisi, nella Penisola si fa fatica a demolire mentre cresce il numero delle ordinanze. Dal 2004 a dicembre 2022 nelle regioni più a rischio – Calabria, Campania, Lazio, Puglia e Sicilia – il numero delle demolizioni eseguite è stato del 15,3% dei 70.751 immobili abusivi per i quali è stato stabilito l’abbattimento da parte dei 485 Comuni che hanno risposto in maniera completa al monitoraggio civico promosso da Legambiente, pari al 24,5% del campione totale.

In Calabria il dato è ancora più basso: soltanto il 9,6% delle ordinanze di demolizione è stato eseguito.  La provincia calabrese con il maggior numero di ordinanze di demolizione eseguite è Cosenza (361) pari al 9,2% delle ordinanze emesse (3.907), Vibo Valentia ha la maggiore percentuale di ordinanze di demolizione eseguite (195) su quelle emesse (1.051) pari al 18.6%, seguono Reggio Calabria e Catanzaro mentre Crotone non ha fornito nessuna risposta completa.

In Calabria sono state emesse 6.197 ordinanze di demolizione con una media di 1 ordinanza ogni 297,1 cittadini. Nelle cinque regioni considerate, sommando anche le risposte parziali, il numero totale delle ordinanze emesse si attesta a 83.430. Rilevante l’incidenza del mattone illegale nei comuni costieri dove si arriva ad una media di 395,9 ordinanze di demolizione a Comune, cinque volte quella relativa ai Comuni dell’entroterra.

A scattare la fotografia, si diceva, è il III Report di Legambiente sull’abusivismo edilizio, presentato a Roma, che fa il punto sulle cinque regioni più esposte all’invasione del mattone illegale: le quattro a tradizionale presenza mafiosa e il Lazio, che figurano stabilmente nelle prime posizioni della classifica sull’illegalità ambientale stilata ogni anno nel Rapporto Ecomafia. Quattro gli indicatori presi in considerazione dall’associazione ambientalista per il suo monitoraggio civico: trasparenza, ordinanze di demolizione e abbattimenti eseguiti, trascrizioni immobiliari nel patrimonio comunale, trasmissione alle prefetture delle ordinanze di demolizione non eseguite.

Per quanto riguarda la Trasparenza, la regione più virtuosa, relativamente al tasso di risposta, è la Sicilia: con 154 comuni su 391 che hanno risposto in modo esaustivo, sfiora il 40% (39,4%) del totale. La Calabria, invece, è ultima con il 13,4%. La provincia più “trasparente” è quella di Trapani, con il 52% dei Comuni che hanno risposto. La peggiore quella di Crotone, con nessuna risposta.

Ordinanze di demolizione e abbattimenti eseguiti: dai Comuni lungo la costa sono state emesse 43.278 ordinanze (corrispondenti al 61% del totale) ed eseguite 6.731 (62,2% del totale). Nei Comuni dell’entroterra, quelle emesse sono state 27.473 (39,1% del totale) e quelle eseguite 4.077 (pari al 38% del totale). La regione con il maggior numero di ordinanze emesse è la Campania (23.635), quella con il migliore rapporto tra ordinanze emesse e quelle eseguite è la Sicilia, con il 19,2%, seguita da Lazio 17,2%, Campania 13,1% e Puglia 10,2%. In fondo alla classifica figura la Calabria, con il 9,6%.  La provincia con il migliore rapporto tra ordinanze emesse ed eseguite dai Comuni del suo territorio è quella di Rieti (41,8%), la peggiore è quella di Catanzaro, con appena il 2,7% di abbattimenti eseguiti. Tra i comuni capoluogo tra i peggiori spicca ancora Catanzaro (0,7%).

Trascrizione degli immobili abusivi nel patrimonio del Comune: il numero è basso se non addirittura inesistente. La media nelle cinque regioni è del 5,6%. Solo la Sicilia fa un po’ meglio, con il 12,5%. La Calabria registra nel complesso 75 immobili abusivi trascritti al patrimonio immobiliare, appena l’1,2 %. Per quanto riguarda le città capoluogo, la prima è Catanzaro, con il 9,7%, Roma supera di poco il 5%, le altre sono a zero. Trasmissione delle pratiche di demolizione non eseguite da parte dei Comuni ai prefetti competenti per territorio: solo il 2,1% delle ordinanze emesse è stato inviato in base all’art.10bis della legge 120/2020 ai prefetti. In Calabria il dato scende all’1,4%. Limitando l’analisi ai soli Comuni costieri, nelle cinque regioni, con solo 617 ordinanze trasmesse il dato percentuale scende all’1,4%.

«L’abusivismo edilizio – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – è un’autentica piaga che tiene in ostaggio il territorio, la legalità e lo sviluppo del nostro Paese ormai da molti decenni. Parliamo di un fenomeno che, anche negli ultimi anni, nonostante la crisi edilizia e quella pandemica, si mantiene su livelli preoccupanti, addirittura in crescita nel 2022 come valori assoluti. Il Governo Meloni invece di annunciare nuovi possibili condoni, potenzi l’attività di demolizione delle case abusive e dia più ruoli e responsabilità ai prefetti. Da anni, Legambiente sostiene la necessità di non procrastinare un intervento nazionale e risolutivo».

Secondo Laura Biffi, coordinatrice dell’Osservatorio nazionale Ambiente e legalità di Legambiente, «A frenare il processo di risanamento delle aree massacrate da decenni di anarchia urbanistica e illegalità  è quella politica, locale e nazionale, che, a dispetto della consapevolezza maturata tra i cittadini, rimane ostaggio di interessi a breve e brevissimo termine. Tra tentativi di condono, più o meno espliciti, proclami a favore di un falso “abusivismo di necessità” e disinteresse al tema, si continua – nei fatti – ad avallare il “mattone illegale”. Nell’ultimo rapporto sul BES dell’Istat, realizzato in collaborazione con il Cresme, l’abusivismo edilizio è stimato in crescita del 9,1%. E la situazione nelle regioni del Sud viene definita come “insostenibile”, con 42,1 abitazioni costruite illegalmente ogni 100 realizzate nel rispetto delle regole”.

Legambiente rilancia sei proposte al Governo Meloni chiedendo in primis più ruolo e responsabilità ai prefetti, restituendo il senso originario all’art.10bis della Legge 120/2020, se necessario, anche con un nuovo intervento legislativo. La norma era stata approvata dal Parlamento per fare fronte alle mancate demolizioni da parte dei Comuni degli abusi non sanabili nonostante tre condoni edilizi, l’ultimo nel 2003, con un’assunzione dell’onere da parte dello Stato. Pochi mesi dopo l’entrata in vigore della norma, un’improvvida circolare del ministero dell’Interno, ne ha di fatto bloccato l’applicazione, restringendola solo agli abusi edilizi accertati dopo l’entrata in vigore della legge e “salvando” così decine di migliaia di manufatti illegali.

Tra le altre azioni da mettere in campo Legambiente chiede di lavorare su: 2) Danno erariale. Il ruolo della Corte dei conti è decisivo, per verificare, quantificare e imputare in maniera sistematica l’eventuale danno erariale causato dalle mancate entrate nelle casse comunali del corrispettivo economico dovuto per l’occupazione da parte degli abusivi di immobili non demoliti e diventati di proprietà comunale. 3) Prescrizione e demolizione. Per quanto riguarda le demolizioni per via giudiziaria, alla base degli interventi deve essere posta la sentenza che accerta il reato e non, invece, quella di condanna del reo. 4) Ricorsi al Tar. È necessario prevedere lo stop all’iter di demolizione solo in presenza di un provvedimento di sospensione da parte di un tribunale, altrimenti non c’è motivo per bloccare le procedure. 5) Chiusura delle pratiche inevase di condono. Legambiente propone di istituire un fondo di rotazione con uno stanziamento pari a 100 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2024 al 2026. 6) Emersione degli immobili non accatastati. L’Agenzia delle entrate rende disponibili le informazioni relative ai fabbricati non accatastati acquisite sulla base delle immagini aeree e delle verifiche di cui al DL 78/2010, ai ministeri dell’Ambiente e Sicurezza energetica, delle Infrastrutture, ai Comuni e ai Prefetti per la verifica della regolarità edilizia e non solo fiscale. (rrm)

NON SI PARLI SOLTANTO DI PONTE: AL SUD
SONO TROPPO POCHE LE INFRASTRUTTURE

di PIETRO MASSIMO BUSETTA Basta parlare di ponte. Riportiamo l’argomento alla sua giusta dimensione. Un modo di attraversare tre chilometri di mare e cancellare la vergogna di utilizzare mezzi da preistoria come i ferry boat.

Ma basta poter attraversare velocemente tre chilometri di mare, con un collegamento stabile,  per risolvere i problemi degli altri 800 che servono per collegarsi all’ultima città in rete dell’Italia unita? Cioè quella Napoli/ Salerno che è diventata la nuova Eboli? Se così fosse sarebbe una nuova presa in giro.

Il Mezzogiorno non è collegato, forse per una volontà se non strutturata certo per comportamenti convergenti. Si potrebbe rappresentare come una realtà con collegamenti point to point, per quanto attiene alle vie aeree, cioè tra le varie città meridionali e al massimo le principali città del Nord, mentre soffre dei collegamenti multipoint, quelli che dovrebbero attraversare, come innervamento o come una rete di capillari, tutto quello che rappresenta il 40% del territorio nazionale. 

Tale approccio si é avuto in parte anche con le strade/ autostrade, mentre per le ferrovie anche il collegamento con il Nord é ancora un pio desiderio. Bene il passaggio di ieri diventa una cesura tra prima e poi. L’interesse nazionale va nel senso di mettere a regime e collegare in modo serio le aree del Sud per farle decollare, perché questo è l’unico modo per recuperare quella dimensione economica che ci spetta all’interno dell’Europa.  Ed è noto che la base per lo sviluppo economico sia una buona infrastrutturazione. 

Anche la Zes unica non attrarrà alcun investimento dall’esterno dell’area se le realtà locali non saranno collegate adeguatamente. Come si può pensare che la nomina di Agrigento capitale della cultura possa diventare da un mero riconoscimento, dovuto ad una città con 2000 anni di storia, manifestazione che possa incrementare, non solo temporaneamente, il flusso turistico, se per raggiungerla oggi da qualunque aeroporto servono tre ore di auto in strade dissestate o tre di treno, con perlomeno due cambi? 

E chi mai organizzerà un convegno internazionale in una città nella quale per presentare un “paper” non ti serve la giornata canonica ma tre giorni di viaggio? 

E pensate che una grande multinazionale localizzerà i suoi impianti all’interno di quella che è una foresta amazzonica, bellissima ma irraggiungibile, quale ancora oggi, senza alta velocità ferroviaria e con autostrada completata solo per finta, rimane la Calabria?  

E a che servirà costruire un ponte avveniristico, il Messina bridge, se non cominciamo a lavorare in maniera seria su quel grande porto naturale che è Augusta, che dovrebbe diventare insieme a Gioia Tauro l’hub portuale più importante del Paese e dovrebbe competere con i grandi porti del Nord a cominciare da Rotterdam? 

Ma quanti sanno che tale porto impiega tra addetti diretti ed indiretti oltre 700.000 persone, un numero sufficiente per risolvere definitivamente tutti i problemi di occupazione della Sicilia? Ma bisogna cominciare a considerare questa zona non come la colonia da sfruttare, ma il nostro West, come quello che fece ricco gli Stati Uniti d’America. 

Anche qui vi è l’oro. Perché cosa sarebbero le spiagge salentine, la costa Messina Trapani, il Cilento, tutta la costa ionica e tirrenica della Calabria se non l’oro da estrarre e sfruttare adeguatamente. E non è oro la posizione geografica di piattaforma logistica del Mediterraneo di fronte a Suez, dove l’energia è facilmente recuperabile dal sole e dal vento, che ha 140 km di distanza dalla Tunisia? 

Non è oro tutto quello che i greci ci hanno lasciato tanto da essere chiamata l’area Magna Grecia, cioè  più grande e più importante della stessa realtà da cui provenivano i migranti dell’Egeo? Così come è oro oggi avere un capitale umano formato, che tutti gli europei ci invidiano e corteggiano e spesso strapagano, e che non riusciamo ad utilizzare nel posto nel quale vorrebbe rimanere, vivere e contribuire al suo sviluppo.

Per questo l’impegno ora va nel senso di puntare ad un programma pluriennale, in parte già partito, ma che non può essere di serie B, come l’alta velocità farlocca della Palermo Catania, che si propone di fare appena 200 km in due ore, né può tollerare che la Messina Palermo in treno  si percorra  ancora in tre ore, e non sia previsto il suo raddoppio. 

Così come è assurdo che per arrivare al tacco dello stivale di Santa Maria di Leuca bisogna programmare giornate di viaggio. Certo nessuno si illuda che basti infrastrutturare per risolvere tutti i problemi. La strada dello sviluppo é come quella del Paradiso lastricata di buone intenzioni e mille  difficoltà, e certo la lotta alla criminalità organizzata deve camminare di pari passo agli investimenti infrastrutturali. 

Così come non basta che un posto sia facilmente raggiungibile perché diventi un sistema turistico interessante quale può essere quello  della costa adriatica di Rimini o il miracolo egiziano di Sharm el-Sheikh, ma è necessario un piano che si ponga il problema di attrarre i grandi players internazionali non solo  del lusso ma anche dei grandi villaggi turistici. 

La parola magica è intervento sistemico. Così come la miscela esplosiva scoppia solo se tutti gli elementi sono nella misura corretta, così le esigenze della crescita hanno bisogno delle infrastrutture, così come del controllo della criminalità organizzata, di un piano che guardi al turismo come un’attività industriale e di una logistica di appoggio, di vantaggi fiscali per l’attrazione di investimenti dall’esterno dell’area, di un cuneo contenuto che renda il corso del lavoro più basso, di grandi eventi sportivi, politici e commerciali, che lancino le aree nel mercato internazionale, di una attenzione della rete pubblica televisiva adeguata.

E di risorse importanti che ritorneranno magari moltiplicate come ha ben capito la Germania riunita.

Con i fichi secchi e senza un progetto complessivo sarà difficile valorizzare l’area che può diventare la nuova frontiera dell’oro, ma può essere anche una palla al piede di un Paese che non comprende. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

GRANDE EREDITÀ DELLA PRESIDENTE JOLE
QUANTA CALABRIA NELLA SUA BREVE VITA

Si respirava tanta aria di Calabria ieri pomeriggio nella nuova Aula dei Gruppi parlamentari di Montecitorio, nel ricordo dell’indimenticata Jole Santelli. Commemorata  a tre anni dalla scomparsa con la pubblicazione, a cura della Camera, dei suoi scritti e suoi discorsi da parlamentare.

Sono già passati tre anni da quella orribile mattina del 15 ottobre 2020, quando si diffuse la notizia della morte della Presidente Jole. Da tutta la Calabria ci fu un grande, sincero e autentico cordoglio comune. In molti sapevano del male che l’aveva aggredita, ma, fedele al suo stile di vita, aveva affrontato con determinazione la gravità della malattia, lavorando fino all’ultimo momento della sua esistenza.

Per presentare la pubblicazione degli scritti e dei discorsi, alla Camera, moderati dalla giornalista Giancarla Rondinelli (che aveva cordialissimi rapporti di amicizia e affetto con la Santelli) si sono alternati il Presidente della Camera Lorenzo Fontana, il vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri Antonio Tajani, il presidente emerito della Camera Luciano Violante e il sottosegretario alla Presidenza Alfredo Mantovano.

È stata una commemorazione sobria, che sarebbe piaciuta alla Santelli. È stata ricordata, soprattutto da Antonio Tajani, la sua determinazione e  la sua grande passione politica, che aveva al centro la Calabria, la sua terra. Il suo slogan, da quando era entrata nella politica attiva da deputata prima, da sottosegretaria poi, e infine, da Presidente della Regione, la prima donna a guidare la Giunta, è sempre stato: «Bast a lacrime! La Calabria si deve risvegliare». E se Violante ha sottolineato come da deputata la Santelli avesse saputo coniugare territorio e amore per il Paese, superando le tentazioni di localismo piagnone, il ministro Tajani ha ricordato il suo carattere schietto e disinvolto. Aveva il culto della sua terra – ha evidenziato Tajani –: quando fu pronto un video sulla Calabria insistette perché lo vedessi con lei diverse volte. Era entusiasta come una bambina felice perché vedeva i colori della sua terra, ne annusava i sapori e voleva che le stesse suggestioni venissero condivise da chiunque non conosceva la Calabria o ne aveva un’immagine distorta.

Una donna forte che anche davanti alla sfida più grande – ha detto Tajani – quella che l’avrebbe sconfitta, non si è tirata indietro per offrire la sua capacità, le sue competenze, la sua passione al servizio della Calabria.

Le persone forti – ha detto il ministro Tajani – sono quelle che hanno paura ma la paura la vincono: Jole Santelli era tutto questo. «Riflettere sui suoi scritti sarà certamente utile, non solo per i suoi compagni di partito ma anche per chiunque sia interessato alla politica. Credo che arricchisca ognuno di noi. Era una donna che si batteva per quello in cui credeva e lo faceva sempre con il sorriso.

«Jole sapeva essere una persona divertente, era donna di parte e delle istituzioni. Riusciva a essere contemporaneamente tutte queste cose. Ed era apprezzata e rispettata anche dagli avversari politici. Questo è il miglior riconoscimento».

Il sottosgeretario Mantovano, che ha portato il saluto della Presidente Giorgia Meloni, parlando della Santelli ha insistito sulla sua preparazione e la sua determinazione.

«Questi due elementi – ha detto Mantovano – hanno attraversato la sua breve, vita, metà della quale al servizio delle istituzioni, e si ritrovano costantemente nei suoi discorsi che mostrano una sorprendente attualità». Mantovano ha ricordatoo quando Jole Santelli decise di dimettersi da sottosegretario al Lavoro del governo Letta a seguito della decisione di Forza Italia di togliere l’appoggio, mentre altri suoi colleghi restarono nell’esecutivo e fondarono un altro partito. «Lungi da me sindacare scelte fatte da altri, ma permettetemi di dire che ho molto apprezzato la sua scelta»

Il Presidente emerito della Camera Luciano Violante, oggi presidente della Fondazione Leonardo – Civiltà delle Macchine, ha riferito, su sollecitazione di Giancarla Rondinelli, delle sue frequenti conversazioni con la Santelli, nel  rispetto di due diverse posizioni politiche.

«La cosa di cui abbiamo parlato spesso – ha detto Violante – è la questione meridionale, di questo meccanismo di rappresentanza politica che piange in Calabria e ride a Roma, cioè di un parlamentare meridionale che non si impegna per lo sviluppo della regione ma si limita a fare da mediatore puramente e semplicemente tra il lamento meridionale e le risorse nazionali. Lei questo lo contestava profondamente». La giustizia era l’altro tema di cui discutevamo – ha proseguito il presidente emerito della Camera – «e ci trovavamo perfettamente d’accordo sul tema della terzietà del magistrato». Violante ha poi voluto sottolineare l’attaccamento della Santelli con la sua terra: «È molto difficile essere parlamentare del territorio e parlamentare nazionale, molti fanno una scelta, lei faceva le due cose insieme. Caso rarissimo».

Il suo impegno politico degli anni parlamentari è testimoniato da questo libro, ma il suo impegno da Presidente è una grande eredità lasciata alla Calabria. Una terra che rispecchia molto il suo carattere: forte, determinata, mai doma. Il suo lascito è nell’aver indicato che «si può fare» purché ci sia volontà politica e grande determinazione, senza condizionamenti o favoritismi, ma con l’obiettivo di centrare il percorso di crescita che la Calabria ha davanti. Un percorso che troppi ostacoli esterni (a cominciare dalla burocrazia tiranna) rendono difficile per chiunque. Non lo sarebbe stato per la Presidente Jole, che ha tracciato un solco preciso per i suoi successori. «La Calabria ce la può fare, ce la farà!».

Alla cerimonia, oltre alle sorelle di Jole, Roberta e Paola Santelli, hanno preso parte tra gli altri, il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri, il vicepresidente della Camera Giorgio Mulè, la presidente di Azione Mara Carfagna, grande amica di Jole, i deputati calabresi Francesco Cannizzaro e Giuseppe Mangialavori, l’ex sottosegretario Mario Tassone, la deputata Matilde Siracusano, il Presidente dell’Autorità di Sistema portuale dei Mari Tirreno meridionale e Ionio ammiraglio Andrea Agostinelli, il quale ha voluto partecipare all’evento di commemorazione della Santelli «quale segnale doveroso verso una Presidente che tanto ha fatto per il porto di Gioia Tauro e per l’intero territorio regionale». Tra gli altri ospiti, il prefetto Gianni De Gennaro, l’ex sottosegretario Pino Soriero e l’ex deputato Maurizio D’Ettore. (rrm)

IL PORTO DI GIOIA È VIVO E NON SI FERMA
A DIFENDERLO C’È TUTTA LA CALABRIA

di ANTONIETTA MARIA STRATI – La Calabria è dalla parte di Gioia Tauro. E lo ha dimostrato al flash mob di ieri adi fronte al Gate dello scalo portuale, proprio per difendere quell’infrastruttura che rischia di chiudere a causa della direttiva Ets della Commissione Europea, che impone la tassazione sull’emissione di Co2.

L’appello è uno: Rivedere quella direttiva che rischia di danneggiare non solo il Porto di Gioia Tauro, con un forte ridimensionamento e una grave ricaduta in termini economici ed occupazionali, ma anche tutto il Paese, come già denunciava il presidente di Unioncamere Calabria, Antonino Tramontana.

Un appello che, a quanto riporta l’europarlamentare Denis Nesci, è stato ascoltato. «Su richiesta del ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, c’è stato l’impegno del Consiglio europeo Ambiente di una discussione sulla revisione della direttiva europea che impone la tassazione sull’Emissione di Co2

«Un’apertura che permette di seguire gli sviluppi istituzionali con maggiore fiducia – ha detto Nesci – e con la rinnovata consapevolezza di una costante attenzione del Governo Meloni e dell’autorevole impegno del Ministro Pichetto Fratin in merito a una questione cruciale per il futuro delle infrastrutture portuali del Mediterraneo, come quella di Gioia Tauro».

Ma la fiducia non basta, servono fatti. E un fatto è certo: per adesso Il Porto di Gioia Tauro non si ferma. Anzi, «si è stretta intorno al proprio porto ed ai suoi lavoratori, confidando che una azione politica trasversale ed unita possa riflettersi, a livello di Unione europea, in un sollecito “riesame” della Direttiva Ets», come ha spiegato il presidente dell‘Autorità Portuale, Andrea Agostinelli.

Al flash mob indetto dall’Autorità  di Sistema Portuale dei Mari Tirreno e Ionio hanno aderito numerosi esponenti delle istituzioni regionali, parlamentari ed europarlamentari calabresi, oltre 50 sindaci, tutte le sigle sindacali, le imprese portuali, tra le quali l’azienda Tonno Callipo, con 52 dipendenti accompagnate dal presidente Pippo CallipoTra le associazioni di categoria, ha partecipato Aldo Ferrara, presidente di Unindustria Calabria, e quindi l’intera comunità portuale.

Tutti insieme, in una coloratissima manifestazione di fronte al gate portuale, hanno fatto cerchio intorno al porto di Gioia Tauro che offre lavoro a circa 4 mila addetti tra diretto ed indotto, produce quasi il 50% del Pil privato calabrese e rappresenta la più grande piattaforma logistica dell’Italia e dell’Europa meridionale, uno dei più grandi hub portuali del Mediterraneo. 

«La Direttiva 2023/959 “Emission Trading Scheme”, cui deve essere riconosciuto il merito di perseguire interessi nobili quali la tutela dell’ambiente, tuttavia preoccupa, e non poco, l’assetto della logistica europea con il rischio di un effetto distorsivo nel settore strategico dei trasporti marittimi – ha spiegato Agostinelli –. Le stesse Istituzioni europee sono consapevoli del rischio di delocalizzazione degli hub di transhipment europei, tanto da aver previsto una norma specifica antievasione che, sebbene comprovi la fondatezza del rischio, non risolve assolutamente il problema, poiché mantiene un favor ai porti nord-africani in tema di rimborso delle emissioni prodotte».

«Dobbiamo combattere», ha detto il presidente della Regione, Roberto Occhiuto, presente alla manifestazione, affinché «la direttiva a venga applicata con un’eccezione per Gioia Tauro e Malta. Dobbiamo fare in modo che, nei prossimi anni, questo porto diventi fondamentale non solo per il transhipment, deve essere un porto dove le merci vengono anche scaricate e lavorate, creando ricchezza per il territorio».

«Il messaggio più importante lo danno le istituzioni con la loro presenza – ha ribadito –. Riscontro che mai, come negli ultimi anni, attorno al porto di Gioia Tauro, che si è sviluppato a volte aldilà degli interessi delle istituzioni locali e nazionali, oggi c’è un grande interesse da parte di tutti».

«Il porto di Gioia Tauro è una ricchezza per l’intero territorio – ha concluso –. Vedere i lavoratori e i sindaci schierati dalla stessa parte, tutti insieme, per difendere questa infrastruttura è per me motivo di grande soddisfazione».

Il Consiglio regionale, con il vicepresidente del Consiglio regionale Pierluigi Caputo (in rappresentanza del presidente Filippo Mancuso) e i capigruppo di centrodestra in Consiglio regionale Michele Comito (FI), Giuseppe Neri (Fd’I), Giuseppe Gelardi (Lega), Giacomo Crinò (Forza Azzurri), Giuseppe Graziano (Unione di Centro) e Giuseppe De Nisi (Coraggio Italia hanno rilanciato da Gioia l’appello affinché «si impedisca la perdita di competitività degli scali europei, a partire dal Porto di Gioia Tauro, una vera eccellenza del Sud e del Paese».

«A ognuno è richiesto di fare la propria parte. Il 23 ottobre, in Consiglio regionale, approveremo una specifica mozione, per contribuire a fermare un tributo esoso per i mercantili che scelgono di fare scalo nei porti europei del Mediterraneo, prima di approdare in quelli del Nord Europa o americani. È una scelta dissennata, che, da un lato, non contribuisce a ridurre le emissioni di Co2 e, dall’altro, arrecando un danno all’economia del settore e all’indotto, non aiuta l’Europa, a pochi mesi dal voto, a rinforzare nei cittadini la fiducia nei suoi valori fondanti», hanno detto.

Il presidente Mancuso, non presente alla manifestazione per motivi personali, ha comunque evidenziato come «se la direttiva europea divenisse efficace, sarebbe un delitto a sangue freddo per la più rilevante piattaforma logistica dell’Italia e dell’Europa meridionale da cui dipende il destino di 4 mila addetti. E un colpo pesantissimo per il diritto allo sviluppo del Sud e del Paese».

La consigliera regionale, Pasqualina Straface, presente anche lei alla manifestazione, ha chiesto, «con forza, la correzione di questa norma sbagliata, affinché si possano interessare tutti i porti del Mediterraneo senza distinzione garantendo così il libero mercato senza penalizzare un’infrastruttura a discapito di un’altra».

«Colpire l’infrastruttura di Gioia Tauro vuol dire colpire l’economia calabrese e l’occupazione, e pertanto il messaggio che oggi abbiamo voluto lanciare è inequivocabile: il porto di Gioia Tauro non si ferma!», ha concluso.

Tonino Russo, segretario generale di Cisl Calabria, ha ribadito come «oggi, più che mai, è necessario rilanciare il Porto di Gioia Tauro».

«Due sono le questioni in gioco, una più urgente dell’altra – ha proseguito –. Innanzitutto, il rinvio dell’entrata in vigore, prevista per il primo gennaio 2024, della direttiva UE sulla riduzione delle emissioni in atmosfera nel settore marittimo, che costringerebbe le compagnie di trasbordo, per evitare pesanti sanzioni, ad attraccare in porti extraeuropei, magari di fronte alle coste italiane. Se non si darà a queste compagnie il tempo di adeguare i propri mezzi navali, sarà altissimo il rischio di blocco dell’attività di Gioia Tauro, con perdita di leadership dell’importantissima infrastruttura e di posti di lavoro».

«L’altra urgenza – ha aggiunto il sindacalista – è quella di progettare il rilancio dell’attività del Porto, valorizzandone tutte le potenzialità. Deve essere sicuramente potenziato il transhipment, ma è necessario altresì puntare ad esempio alla crocieristica per attrarre un turismo internazionale che possa godere delle bellezze della Calabria, dei suoi paesaggi, del suo ambiente, della sua archeologia».

«La vasta area retroportuale con l’area industriale, il gateway ferroviario e il rilancio del trasporto su rotaia, l’intermodalità integrata nave-ferro-gomma e tutto quanto può fare ancora di più del Porto un punto di riferimento nel Mediterraneo, rappresentano grandi opportunità di crescita da cogliere senza indugio. Prioritaria in questa direzione è l’esigenza di accelerare sulle infrastrutture di collegamento previste da Pnrr e fondi complementari. Le risorse europee e nazionali da investire non mancano e possono essere indirizzate verso obiettivi raggiungibili – ha concluso il Segretario generale della Cisl calabrese – per evitare il rischio che il Porto rimanga una cattedrale nel deserto».

La deputata della Lega Simona Loizzo, non presente alla manifestazione per motivi parlamentari, ha assicurato la sua presenza «in ogni dove per difendere e tutelare la principale infrastruttura dello sviluppo della Calabria e del Mediterraneo. Se non vi fossero mai state azioni derivate da ambientalisti estremi e politici radical chic non sarabbe servito l’impegno nostro, espresso, in tempi non sospetti, ad essere chiodo martellante contro misure concepite sull’ideologia senza saper guardare agli effetti che producono».

«Prendendo spunto dal filosofo: “Non si tratta per noi di sapere se è avvenuto questo o quello, ma di sapere che la ragione comanda per sé, ed indipendentemente da tutti i fatti, ciò che deve avvenire”  – ha aggiunto –. Quella forza della ragione di tutti i calabresi che dobbiamo condurre in modo unitario ad essere una barriera umana affinché sia modificato il decreto della vergogna che favorisce i porti mediorientali a danno dei nostri violando ogni principio di libero mercato. Moratoria subito per riparare al torto da chi ha creato il danno senza conoscerne le conseguenze. Non si tratta ora di far processi a chi ha sbagliato, ma di avere un fronte ampio che sia muraglia consapevole contro una scelta illogica che provocherebbe il collasso della Calabria produttiva».

«Vogliamo una crescita felice – ha concluso – ed evitare il cimitero industriale ad un Porto tra i primi del Mediterraneo. Le transizioni non possono danneggiare una parte geografica, la nostra, ma vanno concertate difendendo tutti i territori in modo equo, come la Lega per Salvini, in ogni sua articolazione, ha sempre sostenuto. Pur non presente oggi al Porto di Gioia Tauro, il mio impegno con tutti i nostri parlamentari a Roma e in Europa sarà continuo e costante per far decadere il decreto. Sono a disposizione di sindaci, lavoratori, aziende e calabresi per evitare una catastrofe cui non abbiamo alcun bisogno».

«Il nostro porto va sostenuto e rilanciato», ha dichiarato il sindaco f.f. della Città Metropolitana di Reggio Calabria, Carmelo Versace.

«Era un obbligo prendere parte ad una manifestazione che mira a tutelare un bene non solo reggino e calabrese, ma un patrimonio per l’Italia e l’Europa intera», ha detto Versace, invocando «una presa di coscienza da parte della Commissione europea affinché si ravveda rispetto alle nuove direttive ambientali in tema di trasporto marittimo».

«I limiti imposti agli armatori – ha continuato – potrebbero significare un danno incalcolabile per il Porto di Gioia Tauro – ha continuato – che va, invece, sostenuto e rilanciato anche per la mole di investimenti fatti negli anni e per una storia ultra decennale che lo ha trasformato nella vera porta del Mediterraneo».

«Siamo al fianco dell’Autorità portuale, dei lavoratori e del territorio – ha concluso Carmelo Versace – contro il rischio che, dal prossimo gennaio, si possano ridimensionare le attività dei terminal europei, come appunto Gioia Tauro, generando concorrenza sleale».

Il sindaco Franz Caruso, che non ha potuto partecipare per impegni istituzionali, non ha voluto far mancare il proprio sostegno all’iniziativa assicurando la presenza del Gonfalone della Città. Al contempo ha indirizzato ai sindaci di Gioia Tauro e di San Ferdinando, Aldo Alessio e Gianluca Gaetano, una lettera di piena condivisione rispetto alle preoccupazioni espresse nel “Manifesto per la difesa del Porto di Gioia Tauro” «che – afferma il sindaco Franz Caruso – sottoscrivo convintamente, consapevole dell’importanza che il Porto di Gioia Tauro riveste per lo sviluppo della Calabria, dell’intero Mezzogiorno e di tutto il Paese».

«Le misure europee “Fit for 55” – scrive il primo cittadino di Cosenza – che adeguano la legislazione vigente in materia di clima ed energia per conseguire il nuovo obiettivo dell’UE  di una riduzione minima del 55 % delle emissioni di gas a effetto serra entro il 2030, è indubbiamente un obiettivo auspicabile, ma  va perseguito in maniera graduale, con estrema responsabilità ed alle stesse condizioni per tutti. La direttiva europea, infatti, riguarda solo pochi porti su scala mondiale, rischiando di favorire altri porti  non soggetti alle stesse regole».
«Ritengo il tema di grande importanza, soprattutto in relazione ad una infrastruttura portuale come la nostra che rappresenta un vero motore occupazionale ed economico – ha continuato il primo cittadino – per cui credo debba essere affrontato con lungimiranza e visione intanto dal Governo Nazionale che, invece, su Gioia Tauro, sulla Calabria e sul Mezzogiorno non mostra di avere alcuna attenzione. Non mi pare, infatti, di avere sentito neanche l’eco delle proteste da parte del Governo italiano volto a bloccare la direttiva europea, per modificarla al fine di renderla più equa e prudente».
Il sindaco Franz Caruso condivide con i colleghi Alessio e Gaetano «che difendere l’ambiente dai cambiamenti climatici in corso è un dovere delle Nazioni e degli uomini, ma occorre farlo tutti insieme riavviando il nastro delle azioni da intraprendere con la massima responsabilità».
«A Tal fine – ha concluso il sindaco Franz Caruso – esprimo la mia piena disponibilità a portare avanti ogni altra iniziativa volta a promuovere  la salvaguardia del porto di Gioia Tauro ed il futuro occupazionale ed economico della Calabria». (ams)

GRANDE MOBILITAZIONE PER GIOIA TAURO
TUTTI A DIFENDERE IL PORTO E IL FUTURO

di RAFFAELE MALITOOggi la Calabria avrà, a Gioia Tauro, un appuntamento con la storia del suo passato e con quella del suo futuro: al centro di questo straordinario evento, come mai è accaduto, tutte le sue espressioni e  rappresentanze istituzionali, sociali, economiche e culturali si ritroveranno, nel grande piazzale antistante il porto, per difendere e dare un senso ai sacrifici del passato e alle prospettive di sviluppo della regione e dello stesso Paese.

Tutti insieme, i sindaci della Piana, il presidente con gli assessori della Giunta Regionale, i dirigenti di Cgil, Cisl e Uil, della Confindustria calabrese: senza dubbi e incertezze, tutti, nei giorni scorsi, si sono alzati a difendere, con documenti e osservazioni politico-economiche, il futuro del grande Porto, indicato da più parti a rischio di drastici ridimensionamenti o, addirittura, della fine della sua eccezionale crescita di questi ultimi anni.

L’allarme è suonato dopo l’emanazione della direttiva comunitaria, 2023/959, che estende, nel sistema Ets (Emission Trading System) le misure restrittive per le emissioni di gas a effetto serra  anche al settore marittimo nella misura del 62% rispetto ai livelli del 2005 entro il 2030. Una mannaia che taglia con un colpo le attività portuali e destina alla chiusura o quasi dei programmi di sviluppo del grande Porto di Gioia Tauro facendo a pezzi una storia che viene da lontano e destina al fallimento ogni prospettiva di sviluppo della Calabria. L’idea del porto di Gioia Tauro, nasce quando l’Italia democratica risponde ai tentativi della destra di fare della rivolta di Reggio l’occasione per un golpe fascista, quello fallito di Junio Valerio Borghese e Licio Gelli, con un programma di sviluppo industriale destinato a Reggio e provincia. È il famoso “Pacchetto Colombo” annunciato, nel 1971: Il V Centro siderurgico a Gioia Tauro con la previsione di 7.500 addetti, la Liquichimica e le Officine di grandi riparazioni ferroviarie a Saline Joniche, gli stabilimenti tessili a S. Gregorio di Reggio di Reggio Calabria.  

Di quel vasto e suggestivo programma sul quale spese la sua vita politica il leader socialista Giacomo Mancini, resta solo il Porto previsto a servizio del polo siderurgico.  A innalzare la barriera della democrazia contro ogni tentativo eversivo che si era materializzato a Reggio, in quegli anni, si era aggiunta la grande manifestazione dei cinquantamila, venuti da tutt’Italia con ogni mezzo, treni, navi, pullman e auto, con lo slogan “Nord e Sud uniti nella lotta”, voluta dalla potente e prestigiosa federazione dei metalmeccanici, guidata dai carismatici leader Bruno Trentin della Fiom-Cgil, Pierre Carniti della Fim-Cisl, Giorgio Benvenuto della Uilm-Uil.  Bruno Trentin, tornerà nella Piana di Gioia Tauro per guidare una grande manifestazione di popolo contro i ritardi di attuazione delle decisioni del governo e  delle Partecipazioni statali sulle quali gravava l’impegno di realizzazione del Centro siderurgico.                                                                                                                     

Qualche anno dopo, la pietra gettata, simbolicamente, in mare, per l’inaugurazione dei lavori, la lanciò il ministro alla Cassa per il Mezzogiorno, Giulio Andreotti, nel 1975, criticato, poi, anche per alcune battute ironiche che si lasciò sfuggire sulle sorti del polo siderurgico che, del resto, l’Iri già cominciava a mettere in dubbio facendosi forte della crisi del settore metalmeccanico e automobilistico. A fine anni 80 il porto, fallita l’ipotesi siderurgica, cambia destinazione, da porto industriale  a polifunzionale: vengono rimodulati i programmi di infrastrutturazione, l’assetto operativo, i piani di sviluppo.

La posizione geografica mediana lungo la direttrice Suez- Gibilterra e baricentrica nel Mediterraneo ne fanno un’occasione d’oro, uno scalo privilegiato per il transhipment di contenitori e di merci. La svolta avviene nel 1994 con l’attività operativa  per iniziativa  di Angelo Ravano che con la sua  Contship dà inizio all’era d’oro del porto Gioia Tauro nel sistema  nazionale dei trasporti marittimi  catturando l’interesse e la scelta di approdo da parte  delle maggiori compagnie  internazionali di navigazione.   

Oggi l’ l’attività portuale di trasbordo è gestita dalla Med Center Container Terminal della MSC che dispone  di piazzali per lo stoccaggio e la movimentazione dei container che si sviluppano per un milione e 500mila metri quadrati e di un terminale destinato al trasbordo di auto lungo il lato nord del canale che si estende per 280 metri quadri. Un grande porto con profondità fino a 18 metri consentendo l’approdo delle grandi navi, banchina che si estende per 3,4 Km, con una larghezza  di 200 metri, 250 nel tratto iniziale, l’ imboccatura  larga 300 metri, un bacino di evoluzione di 750 metri. L’area portuale esterna si estende per 440 ettari.  Completano i dati di massimo rilievo della  complessa struttura operativa portuale  22 gigantesche gru: sei delle quale, enormi, arrivate dalla Cina dopo un periplo dell’Africa per l’impossibilità di attraversare il Canale di Suez, sono alte 87 metri, con uno sbraccio di 54 metri in grado di arrivare fino a 24 file di container sistemati sulle grandi navi.  

Sono dati eccezionali che spiegano il traguardo raggiunto dal porto di Gioia Tauro: primo in Italia per traffico di merci, decimo in Europa.     La partita in gioco è, si diceva, di importanza storica per la Calabria che non può far svanire una straordinaria opportunità di sviluppo che è costata, a partire dal 2007 , 118 milioni di euro di fondi pubblici: 74  milioni relativi alla programmazione europea 2007-2013 e 44 per l’attuale programmazione. Dei 44 milioni investiti per il 2014-2020, 33 milioni derivano dal Fers regionale e si riferiscono alla risorse della politica di coesione europea: i progetti riguardano il completamento della viabilità del comparto Nord, l’adeguamento della banchina nord e la realizzazione del gateway ferroviario. Altri interventi sono previsti con la disponibilità dei relativi, cospicui finanziamenti per gli accessi diretti alla ferrovia e abbattere l’emissione di co2.  

Insomma ci sono tutte le condizioni attuali e future perché l’hub portuale di Gioia Tauro diventi corridoio intermodale comunitario e nodo di rilevanza nazionale e crocevia di diverse modalità di trasporto. La strategia è quella di incrementare l’utilizzazione di una modalità ambientale sostenibile. Ridurre i tempi di percorrenza delle merci, ridurre i costi di trasporto, ridurre l’inquinamento ambientale prodotto dal trasporto su gomma, massimizzare le ricadute economiche e territoriali legate alla logistica nazionale.
È semplicemente tragico che tutto questo non conti nulla e si avanzi la funesta prospettiva di un destino di ridimensionamento o chiusura del porto: di questo possibile evento si sono fatti interpreti con una nota di drammatica consapevolezza, oltre a tutti i sindaci della Piana di Gioia Tauro, i rappresentanti e i dirigenti della Confindustria e Ance di tutte e cinque le province calabresi in una riunione plenaria nei giorni scorsi. E hanno lanciato un vero e proprio grido d’allarme: c’è il rischio – hanno scritto – di scrivere l’ultimo e il più triste capitolo della storia di  un’infrastruttura  logistica il cui apporto funzionale è strategico non solo per la Calabria ma per tutto il Paese.

E aggiungono: i temi della sostenibilità ambientale, importantissimi e strettamente connessi alla strategia di sviluppo per la Calabria, non devono essere utilizzati in maniera strumentale e ideologica per condannare al declino lo scalo portuale di Gioia Tauro.                                      

In effetti stando ai dati diffusi dall’autorità portuale lo scalo determina quasi il 50% del Pil privato, è la più grande piattaforma logistica dell’Italia e dell’Europa meridionale e uno dei più grandi hub del Mediterraneo. Verrebbero meno con il suo declassamento gli investimenti dei player internazionali del transhipment, che sarebbero riversati nei porti extra-europei, magari Tangeri già pronta ad accoglierli; gli insediamenti produttivi della Zes soffrirebbero dei vantaggi e delle agevolazioni connesse, scomparirebbe la possibilità di attrarre investimenti nazionali e internazionali. Confindustria aggiunge, infine, che svanirebbe anche la possibilità che l’area del porto sia scelta quale sito ottimale per il rigassificatore, destinando la Calabria a diventare centrale nella stessa strategia energetica nazionale.                 

Ma accanto e strettamente legate allo sviluppo del Porto sono le grandi e dolorose questioni sociali della sorte che toccherebbe agli oltre 1.600 addetti  dell’attività portuale e  ai 4.000 lavoratori dell’indotto: una vera e propria sciagura che condannerebbe o all’emigrazione che, per tanti, con lo sviluppo e la crescita del Porto si è fermata o alla ricerca disperata del lavoro precario e, con essa, alla condanna di una vita senza certezze.                                                                              

La vicenda tristissima di Gioia Tauro non può che essere assunta  dal governo come un impegno  primario: la richiesta, che viene avanzata da più parti, è di una moratoria che rinvii nel tempo la direttiva comunitaria 2023/959 sulle emissioni del gas serra estesa anche al settore marittimo. 

Diversamente, fermare lo sviluppo del Porto e dei progetti ad esso connessi significa, molto semplicemente e drammaticamente, come ha scritto Confindustria Calabria, troncare di netto il futuro della Calabria, del Mezzogiorno, dell’Italia intera. (rm)

LA CALABRIA SEMPRE PIÙ PAESE DI VECCHI
POTENZIARE SANITÀ PER ANZIANI E FRAGILI

di ANTONIETTA MARIA STRATI – La Calabria rischia di diventare sempre più un paese di vecchi. È quanto è emerso nel corso del 37esimo Congresso nazionale ella Società italiana geriatria ospedale e territorio al Campus universitario “Salvatore Venuta” Corpo L dell’Università Magna Graecia di Catanzaro.

Tra i temi analizzati l’invecchiamento della popolazione e il ruolo strategico della geriatria. Secondo l’Istat, nel 2065 l’età media della popolazione calabrese salirà a 51,9 rispetto ai 45 di oggi.

Il Censimento della popolazione in Calabria del 2021, pubblicato il 19 settembre 2023, rileva come l’età media si sia innalzata rispetto al 2020 da 45,2 a 45,5 anni. Gli effetti più rilevanti saranno nel medio periodo: come si evince dai dati ISTAT 2018 sulle previsioni demografiche, nel 2065 l’età media della popolazione calabrese salirà a 51,9, superiore a una media nazionale di 50,1 anni. La percentuale di over65, attualmente il 20,9%, salirà fino al 36,3%, valore più alto di quello previsto per l’Italia nel suo complesso. Parallelamente, diminuirà la popolazione giovane (0-14 anni), determinando uno squilibrio tra queste due componenti della popolazione.

«In Calabria i presidi residenziali sociosanitari sono circa 1,6 ogni 10mila abitanti, contro una media nazionale di 2,1. I posti letto totali solo l’1,8% di quelli disponibili in Italia, mentre per gli anziani sono 95 per 10mila abitanti, rispetto ai 222 di media nazionale» sottolinea Giovanni Ruotolo, Vicepresidente Sigot.

L’Italia si conferma uno dei Paesi più anziani del mondo e con ulteriori prospettive di invecchiamento: entro il 2050 la proporzione di anziani tenderà a raddoppiare, passando dall’11% al 22% della popolazione totale. Un mutamento demografico che impone provvedimenti in ogni ambito, a partire dal campo scientifico, dove diventa strategica la geriatria con la sua specificità e la sua importanza in quanto disciplina cardine per il paziente anziano fragile complesso. Questa attenzione è tanto più importante in una regione come la Calabria, i cui numeri in sanità sono meno efficienti rispetto al resto d’Italia e dove il processo di invecchiamento è destinato ad accelerare nei prossimi anni.

«Gli anziani con multimorbilità e i malati fragili, ossia chi ha perso la propria autonomia funzionale, sono in costante aumento– ha spiegato la prof.ssa Angela Sciacqua, Professore di Geriatria e Direttore della Scuola di Geriatria presso l’Università Magna Grecia di Catanzaro e Direttore della Geriatria Universitaria AOU Renato Dulbecco –. In Calabria vi sono oltre 400mila pazienti cronici e di questi circa il 40% hanno tra i 75 e gli 84 anni, mentre il 50% ne ha più di 85, con solo la percentuale rimanente che sta tra i 65 e i 74: una mole importante di pazienti cronici è dunque composta da anziani che spesso sono anche fragili. Per far fronte a questo fenomeno in crescita serve una sinergia tra gli ospedali, che assistono i malati acuti, e le strutture sul territorio, che devono garantire una buona qualità di vita dopo la degenza ospedaliera con strutture residenziali e assistenza domiciliare integrata, ma le strutture sono ancora insufficienti. Serve poi una rete di assistenza domiciliare integrata tra Medici di Medicina Generale, infermieri, assistenti sociali, specialisti, ma il primo ostacolo si incontra nella carenza di personale».

«Nel nostro Ateneo abbiamo aumentato i posti di specializzazione in geriatria a 14 – ha spiegato – diventando una delle scuole in Italia con più posti e quindi un modello virtuoso in un momento in cui vi è una domanda crescente di questa specializzazione, che sviluppiamo a 360°, in ospedale e sul territorio, ossia in ogni struttura dove il geriatra dovrebbe essere presente».

Altro punto su cui si è concentrato il Congresso sono state le Linee guida sulla Valutazione Multidimensionale della persona anziana. Si tratta di uno strumento che «permette di determinare un percorso condiviso nella presa in carico dei pazienti anziani ricoverati in ospedale con malattie acute o riacutizzazione di malattie corniche, riducendo le ri-ospedalizzazioni e i trasferimenti in casa di riposo (le istituzionalizzazioni). Inoltre, diventerà più agevole la gestione dell’anziano a domicilio, riducendo i ricoveri ospedalieri non appropriati e alla fine migliorando la qualità di cura e assistenza. Si tratta di un cambio di paradigma a livello assistenziale, che per essere implementato necessita di un percorso di adattamento del nostro sistema sociosanitario che richiederà tempo e aggiustamenti organizzativi».

Gli anziani rappresentano una popolazione eterogenea in termini di stato di salute ma anche funzionale, cognitivo, psico-sociale ed economico. La Valutazione Multidimensionale studia tutti questi domini (o “dimensioni”) in maniera integrata con strumenti e scale diagnostiche definiti “clinimetrici”, cioè basati su parametri quantificabili numericamente, al fine di sviluppare e attuare un piano di cura il più possibile personalizzato sulle reali necessità della persona anziana. Da questa esigenza è partita l’iniziativa dei geriatri di Sigot, in collaborazione con i colleghi di Medicina Generale della Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie (SIMG), con il supporto metodologico dell’Istituto Superiore di Sanità, e con il contributo di altre 25 società scientifiche che si occupano dell’assistenza dell’anziano: uno sforzo congiunto che ha portato alla realizzazione di queste Linee Guida, realizzate secondo un approccio rigoroso, con metodo “Grade” secondo quanto previsto e indicato dal Sistema Nazionale delle Linee Guida (SNLG) dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss). Una volta approvate, le Linee Guida saranno pubblicate sul sito dell’ISS e diventeranno consultabili dal personale socio-sanitario, le ASL, le Regioni, i Ministeri, e naturalmente gli utenti anziani e caregivers.

«La collaborazione tra le diverse specialità ha posto la geriatria come elemento cardine nella continuità delle cure e nel passaggio dell’anziano dall’ospedale al territorio – ha sottolineato il prof. Alberto Pilotto –. La Valutazione Multidimensionale (VMD) è essenziale per promuovere la continuità delle cure e dell’assistenza di cui gli anziani hanno bisogno. La carenza sul territorio di strutture dedicate all’assistenza della persona anziana spesso vanifica gli sforzi dell’ospedale: in altri termini, il paziente viene curato nella fase acuta, ma poi non sempre viene assistito al meglio nelle fasi altrettanto importanti di post-acuzie e di recupero funzionale creando i ben noti fenomeni della ri-ospedalizzazione e della istituzionalizzazione».

«Ciò avviene in un contesto – ha detto ancora – in cui il numero delle persone anziane è in continua crescita. Per questo vi è la necessità di disegnare e attuare percorsi appropriati, efficaci ed efficienti di continuità delle cure dall’ospedale al territorio. Insomma, è richiesto oggi  un cambio organizzativo e gestionale del nostro sistema socio-sanitario pubblico che queste linee guida sulla Vmd della persona anziana possono favorire, come dimostrato abbondantemente dalla letteratura scientifica prodotta negli ultimi 40 anni in tutto il mondo».

Per il dott. Ruotolo, «superata la fase emergenziale, l’ospedale deve affidare la gestione dei pazienti cronici a percorsi territoriali. Per questa transizione è strategica la figura del geriatra, coadiuvato da altri operatori sanitari a supporto, e una valutazione multidimensionale che permetta di identificare il setting esatto per ogni paziente, che può spaziare dal domicilio nei casi più lievi fino agli hospice per le situazioni più a rischio. La transizione ospedale-territorio va declinata sulle malattie più sensibili: patologie cardiovascolari, neurodegenerative, respiratorie, malnutrizione e sarcopenia».

«Le malattie cardiovascolari sono in Italia la prima causa di morte – ha proseguito –. alla BPCO, terza causa di morte, sono legati il 55% dei decessi per malattia respiratoria: in Italia ci sono 3,5 milioni di persone con BPCO e ognuna costa 3500€ l’anno, il 3% di tutta la spesa sanitaria. La Valutazione Multidimensionale può migliorare la gestione di questi pazienti e rendere più virtuoso il bilancio della spesa sanitaria».

A chiudere il congresso, la discussione intorno ai Pronto soccorso intasati, della diminuzione dei posti letto ospedalieri che, come rilevato «nel 2020 a stento raggiungevano il valore di 3.2 per 1000 abitanti, tra i più bassi in Europa, di cui solo 0.05 ogni 1000 abitanti di Geriatria. Tutto questo mentre continua ad aumentare, in termini assoluti, il numero di anziani».

Per il dott. Filippo Fimognari, direttore scientifico di Sigot, «è proprio il combinato disposto di anziani in crescita e diminuzione dei posti letto ospedalieri il motivo ovvio del dramma dell’affollamento del Pronto Soccorso».

«Affollamento che, si badi bene – ha evidenziato – non è dovuto ai giovani con patologie non gravi (che rapidamente vengono inviati al domicilio), ma allo stazionamento in Pronto Soccorso di un crescente numero di anziani con patologie gravi, già arruolati per il ricovero ospedaliero, ma che rimangono lì per giorni dato che i posti letti nei reparti sono pochi».

«Un recente studio nazionale condotto su più di 20 milioni di accessi ha infatti dimostrato che i ricoveri degli anziani sono più clinicamente giustificati di quelli dei giovani, poiché vengono disposti dal medico di Pronto Soccorso quasi sempre in condizioni di vera emergenza-urgenza, com’ è ovvio attendersi per organismi già indeboliti dalle molte malattie croniche di base».

«Il problema dell’appropriatezza clinica di ricorso all’ospedale da parte degli anziani – ha affermato il Presidente Sigot, Lorenzo Palleschi – non è quindi in entrata, ma in uscita: i reparti fanno fatica a dimettere pazienti ormai stabilizzati ma che ancora necessitano di assistenza qualificata, perché il territorio non è ancora attrezzato per accoglierli».

«Non basta quindi il potenziamento delle cure territoriali – ha continuato – oggi aiutato dai fondi del Pnrr, ma occorre aumentare il numero di posti letto negli ospedali, soprattutto nei reparti di Geriatria, anche eventualmente convertendo altre risorse ospedaliere».

«I reparti ospedalieri di Geriatria, infatti – ha proseguito – lavorano secondo un modello assistenziale che, come dimostrato da molteplici studi internazionali, migliora gli esiti di salute degli anziani facilitandone il ritorno e la permanenza a domicilio».

«Ed è il caso di sottolineare – ha continuato Palleschi  – che la forza statistica di queste evidenze scientifiche è uguale a quella che ha promosso la diffusione delle Stroke Units per l’ictus cerebrale, mentre la diffusione delle Geriatrie ospedaliere non è stata paragonabile».

«Prima che sia troppo tardi le istituzioni sanitarie centrali rimuovano le condizioni a tutti note – definanziamento del sistema sanitario pubblico, restrizioni normative nelle assunzioni – che di fatto impediscono alle aziende sanitarie di aumentare i posti letto in ospedale, mettendo a rischio la salute dei cittadini e la serenità organizzativa degli operatori sanitari – ha concluso – nella vana illusione che il potenziamento del territorio sia sufficiente a far fronte alla crescente domanda di salute di una popolazione che invecchia». (ams)

SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE
REGOLA I LIVELLI ESSENZIALI ASSISTENZA

di ETTORE JORIO – Una sentenza della Corte costituzione, la n. 233 del 21 novembre 2022 (red. Antonini), cui non è stato dato il giusto e meritato risalto. Ciò perché non si è bene compreso il senso RIGUARDA L’ASPETTO DEI FINANZIAMENTI  e delle sue pesanti ricadute sul sistema del finanziamento della salute. Sulle sue regole e sui divieti. Tutto questo è avvenuto nonostante la sentenza sia da considerarsi uno strumento di pregio assoluto di esaltazione dei Lea e, con questo, dell’ineludibile rispetto della finalità di utilizzo della quota del Fondo sanitario nazionale destinata al loro finanziamento.

Al di là Lea non si passa
La sentenza, invero molto articolata, mette la parola fine accogliendo una eccezione sollevata dalla Corte dei conti, Sezioni riunite in speciale composizione, relativamente alla legge di stabilità regionale per il 2016 della Regione Sicilia. Più precisamente, ne sancisce l’incostituzionalità nella parte in cui prevedeva per il sessennio 2016-2021 il ricorso a una quota del Fondo sanitario nazionale per estinguere un prestito contratto con lo Stato da utilizzare nel convenuto piano di rientro sanitario. Rilevando al riguardo una chiara alterazione interpretativa di un importante precetto della regolazione di armonizzazione dei sistemi contabili e dei bilanci regionali.

Più esattamente, del principio di cui all’art. 20, comma 1, del d.lgs. 118/2011 – peraltro in contrasto con la delega di cui alla legge nr. 42/2009 – che sancisce e pretende che nel bilancio delle Regioni/Province autonome ci debba essere «un’esatta perimetrazione delle entrate e delle uscite relative al finanziamento del proprio servizio sanitario regionale».

Da considerarsi in senso stretto.
A ben vedere, una prescrizione rigida, perché indispensabile per «consentire la confrontabilità immediata fra le entrate e le spese sanitarie iscritte nel bilancio regionale e le risorse indicate negli atti» di programmazione finanziaria sanitaria.
Per pervenire a tale interessante e dettagliata narrativa, la Consulta ha tratto i suoi anzidetti convincimenti, di non potere assolutamente distogliere, foss’anche un euro, risorsa alcuna destinata a finanziare i Lea. Ciò nella considerazione che con i quattrini destinati alla cura delle persone non si possono effettuare pagamenti di altro. Ciò in senso assoluto.
Non è la prima volta che lo dice. Nell’arrivare a una siffatta pregiata conclusione la Corte costituzionale ha fatto tesoro di due suoi precedenti specifici nella materia.
Quanto alla copertura erogativa assoluta dei Lea, la Consulta ha preso atto di quanto sancito nella sentenza nr. 132/2021 (red. Modugno) nella quale è stata ribadito che la loro tutela erogativa non è esposta ad alcuna deroga, tanto da sottolineare che un tale invalicabile limite risiede nella distinzione legislativa tra le prestazioni sanitarie per i Lea e le altre prestazioni sanitarie.

Un distinguo severo, questo, che è ricavabile dal divieto di destinare «risorse correnti, specificamente allocate in bilancio per il finanziamento dei Lea, a spese, pur sempre di natura sanitaria, ma diverse da quelle quantificate per la copertura di questi ultimi». Da qui, la previsione specifica insediata nell’art. 20 del d.lgs. 118/2011 che «stabilisce condizioni indefettibili nella individuazione e allocazione delle risorse inerenti ai livelli essenziali delle prestazioni». Una asserzione, questa, cristallizzata nella sentenza n. 197/2019 (red. Orione).

Ciò con l’unica eccezione, contenuta nel successivo art. 30, comma 1, terzo periodo, a favore di quelle Regioni/province autonome virtuose, capaci di erogare i Lea ai livelli più dignitosi realizzando risparmi gestori. In quanto tali liberi di essere destinati a finalità diverse, sempre sociosanitarie.

Oltre la lettera, c’è ben altro
A ben leggere la sentenza viene a maturarsi una interpretazione innovativa che è nelle corde del Giudice delle leggi, che certamente influenzerà il giudicato del Giudice contabile, sia in sede di parificazione dei rendiconti regionali che in sede di controllo.
Considerato, infatti, che nessuna Regione/provincia autonoma, prescindendo se in piano di rientro o meno, sia nella condizioni ipotizzate nel suddetto art. 30 del d.lgs. 118/2011 di assicurare i Lea nella loro dimensione qualitativa ideale e generare, nel contempo, risparmi di gestione da destinare ad altra attività sanitaria extra Lea, il divieto va ben oltre il pagamento del mutuo di cui alla sentenza in esame.

Ma qualora foss’anche rinvenibile, per una sorta di illusione ottica, ogni risparmio dovrà essere ove mai “investito” in prestazioni socio sanitarie che vadano oltre i Lea ma giammai in sopportazione di oneri finanziari. Sarebbe come pagare le rate di un leasing con le spese di cura di una epatite ovvero con una diagnostica per immagini salvavita negata.

Istruzioni per tutti, anche per revisori e giudici dei conti
Ma il discorso va ben oltre. La chiara lettura che fa la Corte costituzionale della disciplina retributiva dei Lea, da essere garantiti su tutto il territorio nazionale uniformemente, impone una profonda esegesi delle regole. Con il principio fissato dal Giudice delle leggi, di divieto assoluto e di suprema indisponibilità dei finanziamenti per coprire ciò che non sia Lea, si arguisce una ulteriore regola di divieto.
Il problema (grave e frequente) si pone anche in relazione a pagamento dei debiti pregressi consolidati, ovverosia non soddisfatti con quelle quote del Fsn destinate, per competenza (si badi bene!), all’erogazione dei Lea, dei quali gli anzidetti debiti erano a essi strumentali. Ciò avuto riguardo, in senso però favorevole e dunque derogatorio, – a detta del Giudice delle leggi – per quei debiti comunque irrisolti rientranti nel perimetro sanitario, sempreché gli stessi sia provati in tal senso da una corretta contabilità analitica, in verità molto infrequente. Una distinzione, questa, che sembra emergere dalla sentenza n. 233/2022, difficile da condividere sul piano della regolazione contabile.

Infatti, non si riesce a capire il perché di questa differenza di trattamento, nel senso di vietare – da una parte – il pagamento di un mutuo attraverso il quale si sono saldati debiti accumulati e –dall’altra – consentire la corresponsione della debitoria pregressa, purché insediata nel perimetro. Delle due, una: o si vieta di distogliere, comunque e in ogni modo, i quattrini destinati i Lea oppure non lo si consente solo in favore di un mutuo bancario. L’egualitarismo reale non sarebbe affatto d’accordo.
Ma si sa nel nostro Paese, capita anche questo. Per non parlare della ricaduta che avrà il dictum costituzionale in quelle Regioni ove si è più abusato nel non rendere esigibili i Lea e nell’accumulare allegramente debito (figuriamoci in quelle commissariate). Un problema, finora troppo trascurato spesso anche da parte di alcune Sezioni regionali di controllo. (ej)

SIBARI-CROTONE: NON SI FACCIA LA GUERRA
SUI MUSEI “UNITI”, MA MODELLO CULTURALE

di DOMENICO MAZZA – Si dice spesso che l’area jonica del nord est calabrese manchi di una destinazione e di un’offerta culturale ricca, atta ad attrarre flussi di visitatori anche in periodi non tipicamente legati alla stagione estiva.

Eppure, a ben pensarci, non è certo la cultura a latitare nell’estremo sol-levante della nostra Regione. Piuttosto, fa difetto la capacità di tradurre in pacchetto tutte una serie di proposte che se amalgamate in un unico contenitore, con ogni probabilità, potrebbero rappresentare un biglietto da visita originale e variegato.

Si pensi ai 17 tra manieri, castelli e torri d’avvistamento sparsi tra Rocca Imperiale e Capo Rizzuto. Si continui con i due parchi archeologici di Sibari e Capo Colonna e si aggiunga il parco di Castiglione a Paludi. Si passi poi ai musei, partendo da Crotone e Sibari per comprendere tutte una serie di strutture adibite a custodia culturale sparse nei tanti Centri storici prospicienti la linea di costa ed adornanti i sinuosi colli e le aspre vette della Sila Graeca.

Insomma un’offerta che avrebbe tutte le carte in regola per riscrivere un nuovo paradigma conoscitivo che dalla Magna Graecia si spinge alle contaminazioni bizantine per arrivare alle influenze sveve e normanne. Il tutto, sostanzialmente, concentrato in un raccolto fazzoletto di terra, visitabile in 48/72 ore di permanenza sul territorio.

Da questo punto di vista, l’idea di amalgamare l’offerta dei musei di Sibari e Crotone, lascia presagire un buon punto di partenza. Tuttavia, l’operazione potrebbe risultare inutile se, di pari passo, non si procederà ad avvicinare i punti d’interesse sparsi sul territorio ed oggi logisticamente distanti.

A tal riguardo, vorrei mutuare le dichiarazioni rilasciate, di recente, dal Direttore della rete museale calabrese, nel merito del disegno legislativo attuato dal Ministero della Cultura di convogliare ad unica direzione i parchi archeologici di Sibari e Crotone.

Ebbene, forse anche per sedare un eccessivo ed ingiustificato campanilismo, funzionale poi alle pervese dinamiche attuate dai centralismi storici per creare situazioni di scontro e guerre fra poveri (condizione che, fra l’altro, connota le aree joniche sin dalla notte dei tempi), Filippo Demma é stato perentorio. Costui ha dichiarato che questa idea non deve essere vista come il tentativo di sopraffazione di un’area sull’altra o di imposizione del rilanciato modello Sibari a Crotone.

Invero, la lettura dell’operazione andrebbe inquadrata e circoscritta in ottica d’unica “Area Vasta Culturale”. Un’opportunità, dunque, in cui la cultura potrebbe diventare il mezzo efficace per invogliare la messa a regime di una serie di infrastrutture strategiche già presenti sul territorio. Tuttavia, oggi, sottodimensionate, mal governate, e, finanche, parzialmente o totalmente inutilizzate.

Il pensiero va ai 4 Hub della mobilità civile (aeroporto Sant’Anna, porti di KR e CoRo, nodo ferroviario di Sibari), al contempo — considerata l’offerta agroalimentare di qualità presente nel territorio — sfruttabili per il trasporto cargo. Tali asset dovranno, necessariamente, essere avvicinati da investimenti infrastrutturali di rammendo, contribuendo, realmente, alla loro effettiva rifunzionalizzazione.

Vieppiù, fornendo i presupposti per un incremento considerevole dell’offerta di lavoro: vera piaga da decubito di un territorio da troppo tempo assopito, stanco e riluttante al cambiamento ed alla propositività. Senza dimenticare quella rete blu che si potrebbe imbastire mettendo in connessione i 7 attracchi distribuiti tra la Sibaritide ed il Crotonese con i 17 sparsi nel golfo di Taranto. Invero, una potenzialità inimmaginabile. Purtroppo, ad oggi, tenuta ferma, immobile, improduttiva.

Alla politica, pertanto, il compito di rimboccarsi le maniche e disegnare una prospettiva diversa per un area dalle innate potenzialità, ma spesso (e volentieri) dimenticata.

I mezzi ci sono, e sono molteplici. Le risorse certe del Recovery e i fondi POR potrebbero essere un ottimo punto di partenza. Non già per finanziare interventi a pioggia, sparsi in mille rivoli, e dalla dubbia efficacia.

Inutili, inoltre, ai fini di una crescita armoniosa e propositiva del territorio. Piuttosto, andrebbero immaginate, pensate e realizzate opere di collettamento degli ambiti, utili a rafforzare la coesione sociale e territoriale. Con l’obiettivo, non ultimo, di creare un sano principio di sussidiarietà tra le tante Municipalità coinvolte.

I flussi legati alla necessità di conoscere il territorio tutto, in definitiva, andrebbero favoriti prima in ambito locale per poi risultare appetibili anche agli avventori che decidessero di visitare un’area meravigliosa, pregna di cultura e dalla fantastica ospitalità.

Solo la creazione di un percorso comune in cui i territori crotonesi e sibariti possano guardare insieme nella stessa direzione, potrebbe cambiare il paradigma di un’area omogenea, demograficamente forte e straordinariamente assortita.

Un’area Vasta composta da radici comuni, declinate poi in diverse ed iridate peculiarità: l’Area Vasta dell’Arco Jonico. L’ambito territoriale dall’unica storia e dall’unica comune destinazione. (dm)

[Domenico Mazza è del Comitato Magna Graecia]