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È il giorno di Natuzza, il bel ricordo della scrittrice Giusy Staropoli Calafati

di GIUSY STAROPOLI CALAFATI – Il cuore trema. L’anima si tormenta.

Non trova pace né in cielo, né in terra. Un tumulto la agitata. E inquieta essa si contorce, e scalpita. Non trova rigettu. È tempestusa. Si vota e si rivota. Suspira. Il giorno di ognissanti, Natuzza Evolo, tornava da Gesù.
Con lui aveva giocato quando era bambina. Con lui aveva parlato quando era cresciuta. E ora con lui si addormentava.
«Vegnu mio Signuri, mai fu’ chju’ pronta io pe’ tia m’abbrazzu lu splenduri di la Madonna mia».
Una vita consegnata a Gesù e alla Madonna. Adorna di dolori, sofferenze, povertà e miseria.
«Accettu stu doluri o mio dolci Gesu’ ca spartendu a sufferenza, suffri i menu puru tu».
Una vita accettata sulla carne e dentro al cuore. Una croce portata in braccio e sopra le spalle. Dentro la pancia calda come quando è gravida. Dentro l’anima obbediente che tutto accetta.
Una vita nata per il prossimo suo, concepita dal bene affinché generi altro bene. Partorita dalle viscere della preghiera e come gli infanti accoccolata sulle ginocchia di sua madre. Col pensiero ai figli del mondo.
Ai giovani, uniche rose sopra i piedi della Madonna. Ai giovani suoi, a quelle creature preziose che Dio presta al mondo, di cui la fa madre, e che oggi, insieme, con con forza, tornano a chiamare a sé, alla presenza unanime nella spianata della gioia a Paravati.
«Oi giuvani belli, veniti ‘cca’ undi mia, a tutti anzemi vi dicu a Madonna chi volia!». (gsc)