QUANTO CONTERÀ LA VOCAZIONE MEDITERRANEA NEI PROGRAMMI FUTURI PER LA CALABRIA E IL MEZZOGIORNO;
La sede del Parlamento europeo a Strasgurgo

DOPO LE ELEZIONI, QUALE EUROPA SERVE
PER LO SVILUPPO DI TUTTO IL MERIDIONE

di PIETRO MASSIMO BUSETTAQualche anno fa Giorgia Meloni affermava che Roma avrebbe tutte le carte in regola per essere capitale d’Europa. Ma la realtà è invece che il centro dell’Unione si è spostato verso Nord. 

Mentre i centri decisionali dell’Europa sono sempre più in realtà Berlino e Parigi, più che Bruxelles e Strasburgo. Ma forse per il Mezzogiorno che l’asse si sposti verso Nord è pure più conveniente, considerati i risultati acquisiti da 162 anni di governo romanocentrico.  

E infatti al Sud serve una governance meno nordista e disattenta alle sue problematiche. Al di là delle colpe degli scarsi  risultati acquisiti, non vi è dubbio che siamo di fronte a un fallimento delle azioni per il Sud. Di fronte a un Paese spaccato in due, economicamente e socialmente, che si avvia, con l’autonomia differenziata, anche verso una spaccatura normata costituzionalmente. 

Per questo la speranza che rimane è quella di più Europa. Perché accada quello che non si è verificato, e cioè quello  che potrebbe sembrare semplicissimo, di riuscire a dare i diritti di cittadinanza a una popolazione di 20 milioni di abitanti. 

Oggi che il Mediterraneo è ridiventato centrale, l’interesse sull’area diventa sempre più evidente, ma anche il pericolo che venga sfruttato soltanto senza che sul territorio rimanga nulla. 

Il concetto propalato di batteria del Paese va in questo senso. Pale eoliche che deturpano le bellissime colline di vigne, impianti solari che sostituiscono alle verdi colline grigie distese metalliche, impianti di rigassificazione a fianco delle Valle dei templi come nel passato la raffineria di Gela a fianco delle mura puniche. E in cambio il nulla in termini di occupazione. 

Forse l’Europa, ormai bloccata ad Est dalla guerra con la Federazione Russa, può diventare un interlocutore più attento e meno predatorio. 

Ma in realtà cosa chiede il Mezzogiorno alla Europa che sta rinnovando il suo Parlamento. La prima richiesta riguarda il controllo sulla destinazione dei fondi strutturali. Troppe volte essi sono stati utilizzati in Italia per sostituire la dotazione delle risorse ordinarie. 

Anche la destinazione dei fondi del Pnrr, che sembrava avesse l’obiettivo di ridurre i divari economici e quindi dovessero essere destinati ad aumentare la base produttiva, visti gli indicatori utilizzati per la distribuzione delle risorse, tasso di disoccupazione, popolazione complessiva e reddito pro capite, in realtà in buona parte andranno a finanziare l’equiparazione dei diritti di cittadinanza, perdendo di vista il vero problema del Sud che è il diritto al lavoro. Diritti che dovevano essere finanziati con le risorse ordinarie. 

Una seconda richiesta riguarda la sostituzione del disimpegno automatico con la sostituzione dei poteri, in modo da evitare la penalizzazione dei destinatari degli interventi.

È l’approccio utilizzato con il Pnrr che dovrebbe essere esteso a tutti i fondi strutturali. L’opportunità di collegare la erogazione delle risorse al raggiungimento di obiettivi meno aleatori e più quantitativi, come incremento del Pil e aumento del numero di occupati, è un terzo obiettivo. 

Per troppo tempo si è giocato con approcci del tipo sviluppo dal basso o investimenti a pioggia che, più che avere obiettivi di bene  comune, servivano   a soddisfare le clientele fameliche di una classe dominante estrattiva, affamata di risorse pubbliche. Un altro obiettivo importante per non penalizzare i territori delle realtà industrializzate, dove esistono aree a sviluppo ritardato, come in Italia,  é una armonizzazione europea della imposizione fiscale. Perché mentre una tassazione più favorevole può essere adottata più facilmente da Paesi piccoli come l’Irlanda, diventa più complesso per Paesi grandi che se vogliono adottarla solo per aree limitate rischiano di incorrere nell’accusa di concedere aiuti di Stato.      

Un’altra richiesta sarebbe quella di incrementare più possibile gli accordi di cooperazione con il Nord Africa facendo diventare Napoli e Palermo gli avamposti culturali del rapporto con i Paesi Arabi, considerato peraltro gli interscambi che nei secoli hanno caratterizzato le due sponde. 

Magari istituendo una Agenzia Europea per promuovere tali collegamenti e incrementando  i rapporti  nel settore della formazione, della sanità, della collaborazione ai grandi progetti infrastrutturali. 

Se l’idea è quella di evitare di continuare nei rapporti di colonizzazione predatoria, un simile intervento potrebbe essere non solo opportuno ma anzi indispensabile. E certo è più facile che tali collaborazioni possano localizzarsi in realtà frontaliere piuttosto che a Bruxelles o Helsinki. 

Se la vocazione mediterranea dell’Europa vuole diventare azione e non solo sfoghi di vento è necessario che il Mediterraneo ridiventi un lago che unisce e non un cimitero che divide. 

Ma una richiesta su tutte va soddisfatta; quella di chiarire  alla Commissione che i Paesi in Italia sono due, economicamente e socialmente. Allora molti blocchi che sono legittimi quando si parla di Francia di Spagna e oggi persino di Germania, per l’Italia, ancora profondamente divisa in due parti,  non devono valere. 

E per non rimanere nel vago e dimostrare l’assunto, basta verificare con cluster adeguati come le regioni meridionali, al di là di piccole differenze, si raccolgono per quanto attiene la maggior parte degli indicatori, come tasso di disoccupazione, reddito pro capite, export  pro capite, presenze turistiche per km quadrato, km di alta velocità, numero di posti in asili nido per popolazione, e potrei continuare per molte altre variabili, nello stesso nucleo. 

Cosi come accadrebbe per il Centro Nord. Situazione analoga non esiste in nessun altro  Paese europeo. Se viene accettato tale principio di conseguenza potranno essere adottate misure differenziate,  che per altri Paesi sarebbero inconcepibili. 

L’Europa ha un interesse estremo che le differenze territoriali diminuiscano tanto da finanziare con il debito comune il Pnrr, ma lo ha in particolare quando riguarda un territorio che se fosse uno Stato indipendente sarebbe il quinto per popolazione. Dopo solo Germania, Francia, Spagna, Italia del Nord e Polonia.  (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]