ANCHE IL GOVERNO È “SBARCATO” A CUTRO:
«LOTTA ASPRA AI TRAFFICANTI DI MORTE»

di SANTO STRATI  – Nessuno slogan facile “basta tragedie in mare” con cui il Governo Meloni poteva lavarsi la coscienza, mondandosi dal peccato originale di aver ereditato due leggi infami sull’immigrazione (la Bossi-Fini e il decreto Salvini) di cui ha aggravato ulteriormente le conseguenze.  Invece, è stato varato un decreto immigrazione – votato all’unanimità – con un obiettivo preciso: inasprire la lotta ai trafficanti di morte, aumentando le pene (da 20 a 30 anni) ed estendendo la giurisdizione anche fuori delle acque italiane. Un impegno, a parole, encomiabile e degno di considerazione, anche se – duole dirlo – non si sconfigge la tratta di esseri umani aumentando le pene (che quasi sempre poi non vengono eseguite per varie ragioni), ma andrebbe affrontato il tema delle partenze alla radice.

Innanzitutto c’è da dire che gli scafisti sono altri disperati che prendono ordini da chi effettivamente organizza e gestisce i viaggi della disperazione. È come per il traffico di droga: il pusher è l’ultima ruota del carro, l’ultima pedina, dietro ci sono organizzazioni criminali che da questi traffici finanziano sicuramente terrorismo, guerre e altre losche attività di respiro internazionale. Chi scappa (da guerre, violenza, miseria) è costretto a sottostare agli infami ricatti dei trafficanti di morte che li tengono ostaggio del primo imbarco disponibile. Se non c’è un’intesa internazionale – come auspicato dal ministro degli Esteri Tajani – con i Paesi da cui partono i viaggi della disperazione sarà difficile, se non impossibile interrompere la tratta di esseri umani e il Mediterraneo continuerà a essere il cimitero dei migranti. Quante morti ignote, quanti scomparsi in mare, quanta sofferenza di cui si sa sempre troppo poco. Non bastano il cordoglio e la solidarietà alle vittime, il ringraziamento ai soccorritori (a Cutro è stata collocata una targa in memoria delle vittime), ma servono provvedimenti di altra natura. Il nostro compito – ha detto la Meloni – è cercare soluzioni ai problemi, fare quello che si deve fare. Aggiungiamo noi, “trovare” le soluzioni significa individuare intese anche trasversali perché l’opposizione non può solo stare a contestare le scelte, deve contribuire a indicare percorsi e alternative, in nome di quell’umanità che è un vanto del nostro Paese. E ai calabresi il premier ha espresso il ringraziamento del Governo e la vicinanza a tutto il Mezzogiorno, punto d’attracco preferito dei disperati.

Sostanzialmente il premier Giorgia Meloni esce benissimo da un imbarazzo che il suo staff le aveva provocato: una sua visita immediata a Cutro (prima di partire per l’India) sarebbe stata non solo auspicabile, ma avrebbe evitato le polemiche sulle dichiarazioni improvvide del ministro dell’Interno Piantedosi. Avrebbe mostrato una notevole sensibilità del Governo nei confronti della tragedia. In altri termini le avrebbe giovato in reputazione e si sarebbe evitata gli attacchi (strumentali, bisogna dirlo per onestà intellettuale) di una sinistra che non può vantare a suo favore una politica dell’immigrazione (negli anni in cui governava) degna di questo nome.

La convocazione del Governo a Cutro è stata una mossa tattica per recuperare terreno, «un segnale simbolico e concreto» – ha detto la Meloni – ma serve a marcare una linea politica di intransigenza che dichiara apertamente (ma con armi spuntate) una feroce lotta ai trafficanti di esseri umani del Mediterraneo. Pero, gira intorno al problema della disperazione. Forse, non sarebbe male che nei Paesi da cui partono le carrette del mare – previo accordi internazionali con gli Stati – si creassero di punti di ascolto e di contatto per venire incontro alle migliaia di disperati. Anche se in alcuni Paesi come l’Afghanistan – ha fatto presente il Presidente Occhiuto – non c’è nemmeno l’ambasciatore italiano.

Sia ben chiaro, l’Italia non è in grado di dare accoglienza a tutti, né la modifica del decreto flussi ridurrà il numero di quanti scappano pagando il doppio di un biglietto aereo di prima classe per una scommessa sulla vita. Né si può immaginare – come richiede il Governo Meloni – di selezionare solo chi ha fatto corsi di formazione per far arrivare risorse fresche in agricoltura e nell’industria: parliamo di Paesi sottosviluppati, spesso piagati da guerre, carestie, miseria: ma quale formazione professionale? Eppure, tra i migranti disperati ci sono medici, professionisti, tecnici che scappano utilizzando l’unica via possibile, quella illegale. La vera modifica del decreto flussi dovrebbe essere la possibilità di poter venire incontro – selezionando con criteri di sicurezza, ovviamente – chi scappa. Giacché la condizione di profugo è troppo genericamente affidata a una burocrazia insopportabile. Parliamo di rifugiati: tutti quelli che viaggiano per mare – tranne pochi criminali in cerca di fortuna in un Paese che applica male la legge e facilita l’impunità – sono rifugiati, non sono migranti clandestini. La loro clandestinità è una condizione necessaria per scappare, visto che per loro non ci sono visti di uscita né sufficiente spazio nei cosiddetti corridoi umanitari. E allora, il problema è duplice: salvataggio e accoglienza prima (quando necessari) e condizioni di vita dignitosa una volta arrivati sul suolo italiano. Questo non vuol dire spalancare le frontiere, ma sicuramente richiede di affrontare con occhio diverso il problema.

Le norme attuali – ancor più penalizzanti per chi ha l’onere del soccorso – sono stringenti, ma chi viene soccorso in mare e portato a terra non può essere accusato di immigrazione clandestina. Ma non può nemmeno essere “buttato” in uno dei tanti centri di accoglienza che hanno fatto la fortuna di alcuni avventurieri italiani che ne hanno preso in più occasioni la gestione. E bene ha fatto il ministro Piantedosi a sottolineare l’esigenza di poter ricorrere al commissariamento dei centri di permanenza temporanea .

La Meloni si è detta convinta che la lotta ai trafficanti sia il primo obiettivo: ribadiamo, non sono gli scafisti (che vanno comunque perseguiti e condannati pesantemente) ma occorre individuare e colpire i veri boss della migrazione clandestina. L‘intelligence serve proprio a scovare i responsabili: occorre un intervento internazionale, sotto l’egida dell’Onu, che scopra i centri veri del traffico di esseri umani. L’aumento delle pene per i trafficanti potrà intimorire appena un po’ gli scafisti (ripetiamo altri disperati, pur senza coscienza, al soldo dei veri trafficanti) ma non stronca il traffico. In buona sostanza, bisogna individuare e colpire i veri trafficanti, le menti di questo infame mercato di nuovi “schiavi”.

Il modello di inclusione Mimmo Lucano, da molti disprezzato e oltraggiato, in realtà è il percorso che si dovrebbe seguire ripopolando i borghi abbandonati, ripristinando le case diroccate, offrendo opportunità di inserimento e crescita sociale, perché la lotta – più che giusta annunciata dalla Meloni – ai mercanti di carne umana va fatta senza tregua, ma senza dimenticare l’obbligo cristiano dell’accoglienza e della fraternità verso chi fugge dalla propria terra.

Una curiosità: il Consiglio dei Ministri in Calabria non è una novità: l’aveva già convocato Giuseppe Conte, quando in pompa magna la ministra Grillo alla Prefettura di Reggio presentava, con malcelato orgoglio, sostenuta dalla truppa pentastellata calabrese, il decreto per la sanità calabrese che tanti guasti ha poi provocato. Come se già non fosse abbastanza disastrata la sanità calabrese, che il “buon” Occhiuto sta perigliosamente cercando di rimettere in sesto (e su cui si giocherà l’eventuale bis da governatore).

Ma oggi non parliamo di sanità, parliamo di umanità, che i calabresi hanno dimostrato di avere in quantità industriale e di come il Governo pensa di risolvere il problema. Il nuovo decreto immigrazione non è esaustivo e mostra diverse lacune. Il nuovo reato che va a integrare il testo unico sull’immigrazione prevede responsabilità precise a carico degli scafisti. È un deterrente, non una soluzione per interrompere i viaggi della disperazione. In attesa di una soluzione che pur appare lontana, questo provvedimento non distolga dagli obblighi di accoglienza. (s) 

Strage migranti, la Premier Meloni: «valuto prossimo Cdm a Cutro»

Ho valutato di celebrare il prossimo Cdm a Cutro sull’immigrazione». È quanto ha dichiarato il presidente del Consiglio dei ministri, Giorgia Meloni, in un punto stampa ad Abu Dhabi.

«La situazione è semplice nella sua drammaticità: non ci sono arrivate indicazioni di emergenza da Frontex», ha spiegato la premier ai microfoni, aggiungendo che «la rotta, inoltre, non è coperta dalle organizzazioni non governative e nulla dunque hanno a che fare con le politiche del governo. Nonostante noi lavoriamo per fermare i flussi illegali, abbiamo continuato a salvare tutte le persone. Questa è la storia. Io davvero non credo ci siano materie su cui esagerare così per colpire ciò che si considera un proprio avversario».

«Noi siamo molto abituati – ha detto ancora – ad accorgerci dei problemi quando c’è una tragedia ed invece c’è chi ne parla da quando è a palazzo Chigi nel disinteresse generale. Io cerco soluzioni, l’Italia non può risolvere la questione da sola, ma per evitare che altra gente muoia vanno fermate le partenze illegali. Un modo per onorare la morte di persone innocenti è cercare una soluzione».

Giorgia Meloni ha ribadito che il Governo «ha sempre fatto tutto quello che potevamo fare per salvare vite umane quando eravamo consapevoli che c’era un problema, in questo caso non siamo stati consapevoli perché non siamo stati avvertiti, voi avete tutte le evidenze a conferma di questo fatto e se qualcuno sa qualcosa di diverso è bene che ce lo dica».

«Noi, dall’inizio – ha spiegato ancora – continuiamo a fare tutto quello che possiamo per impedire che il lavoro degli scafisti continui a mettere a repentaglio le vite umane».

Il presidente Meloni, poi, ha detto di aver parlato con Bin Zayed (sovrano di Abu Dhabi ndr) di immigrazione, di come favorire flussi legali impedendo flussi illegali, di come fermare una tratta vergognosa e cinica che mette a repentaglio la vita delle persone e credo non sia passato un solo giorno senza che mi sia occupata di questa materia».

Meloni, poi, ha parlato della lettera scritta dal sindaco di Crotone, Vincenzo Voce, in cui ha scritto che se Meloni «non ha ritenuto di portare la sua vicinanza come presidente del Consiglio, venga a portarla da mamma».

«La lettera del sindaco di Crotone non l’ho letta tutta», ha spiegato Meloni, aggiungendo che «posso solo dire che io sono rimasta colpita dalle ricostruzioni di questi giorni. . Ma davvero, in coscienza, c’è qualcuno che ritiene che il governo abbia volutamente fatto morire 60 persone? Vi chiedo se qualcuno pensa che se si fosse potuto salvare 60 persone, non lo avremmo fatto. Vi prego, siamo un minimo seri». 

Il presidente della Regione, Roberto Occhiuto, ha giudicato «positivamente l’iniziativa del premier Meloni, che ha manifestato l’intenzione di celebrare il prossimo Cdm sul tema immigrazione a Cutro. Un gesto di grande attenzione per le vittime della tragedia di domenica scorsa, per la comunità cutrese, e per la Calabria intera».

«A caldo posso dire che se il governo viene qui solo per fare passerella, allora sarebbe meglio di no. Ma non credo», ha detto il sindaco di Cutro, Antonio Ceraso, all’Adnkronos.

«Io lo interpreto questo annuncio come un gesto di solidarietà a di attenzione», ha spiegato, ricordando che «è venuto nei giorni scorsi il presidente della Repubblica, vuol dire che non possiamo essere lasciati soli. Non si tratta solo dei morti, mi chiedo le mamme che hanno perso i figli o il marito, che vita faranno? Un dramma nel dramma. Lo ritengo un fatto positivo che il governo venga qui in massa, questa comunità è come se avessi perso i propri figli».

«Anche se io ritengo che non è solo un fatto di governo nazionale ma europeo…», ha detto ancora Ceraso, ribadendo che «non penso si tratti di una passerella».

«Io ho visto un Capo dello Stato molto provato e addolorato – ha concluso – credo che non la sia solita visita di rito. È la prima volta che un presidente del consiglio tiene sotto attenzione la nostra comunità, che non è solo ‘ndrangheta». (rrm)

L’OPINIONE / Gregorio Corigliano: Meloni ha vinto per abbandono di campo, e il Pd non è morto

di GREGORIO CORIGLIANOMeloni ha vinto. Ha vinto, secondo me, per abbandono di campo. Che vittoria è quella della Regionali in Lombardia e nel Lazio. Una vittoria con poche persone che hanno votato. Sempre vittoria è mi direte. Non è vero. Un conto è se avessero votato il 51 per cento degli elettori, un conto diverso è con elettori al minimo della storia. Manco negli Stati uniti, dove notoriamente, da sempre, non vota parecchia gente.

E che dire dei votanti Leghisti? Se non ci fosse stato il disegno di legge sulla c.d. devolution  o su quella che si chiama adesso autonomia differenziata, Matteo Salvini avrebbe fischiato alla luna. Non c’è ombra di dubbio. Da qui l’urgenza della Meloni e del Consiglio dei ministri di approvare il disegno di legge Calderoli. Senza questo la presidente del Consiglio avrebbe, come si dice oggi, cannibalizzato l’ex capitano. Invece si è salvato per il rotto della cuffia. Ai leghisti è bastata una promessa per votare il loro leader, che neanche Bossi, pur con la voglia di farlo, è riuscito a scavallare.

E Maroni è passato a miglior vita!  In Lombardia, a parte il candidato sbagliato del Pd, tal Majorino che sarebbe stato meglio chiamare Minorino, il PD avrebbe dovuto convergere sulla Moratti oppure non farla candidare, almeno avrebbe reso più voti. Soprattutto se il pd delle lunghe primarie, asfissianti, avesse trovato un candidato della società civile o avesse convinto il sindaco Sala. Non si può inventare un minorino e per di più all’ultimo istante, pur sapendo che Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia avrebbero sparato a cannonate.

Mentre il Pd, con un mortaretto bagnato. Nel Lazio, come si fa a correre sapendo che c’era la bravissima giornalista del mare, Donatella Bianchi, che comunque Conte, il leader di nulla, ha sbagliato a candidare. Non avrebbe dovuto. E non solo perché la scelta era stata fatta prima, ma perchè era stato scelto un candidato di esperienza politica e amministrativa riconosciuta.

Il Pd ha perso? Ha perso, è scontato. Ma ha vinto. E non perché abbia surclassato i Cinque stelle o il duo fasano Renzi-Calenda. Ha vinto proprio perché andato oltre ogni aspettativa degli stessi democratici. È al 20 per cento! Che, nelle condizioni date, è stato il miglior risultato possibile. Nonostante l’impegno di Letta a perdere. Quanti anni luce sono passati da quando si è dimesso? Ed ancora è qui, anzi e lì, pur bravissimo e di livello alto, a far danni! Come si fa a farlo ancora parlare, pur sapendo che non ha più le phisique du role? Per restare in Calabria, come si fa a dire che Oliverio, che non affascina più, non è del Pd, solo perché aveva presentato un’altra lista. La verità è che fin quando non arriva fine mese, e non avranno votato anche i non iscritti, il Pd non c’è. E pur non essendoci non è morto. Vedremo se vincerà il vecchio partito con Bonaccini, persona per bene, indiscutibilmente, ma sostenuto da tutto il vecchio armamentario oppure Elly Schlein che,pur avendo alle spalle Franceschini, che da tempo ha fatto il suo tempo, per non dire altro, raccoglie, pare i consensi di chi è fuori dalle logiche incomprensibili, oggi, del partito. La accusano di essere fluid. Ma chissenefrega. 

È ben vista, è capace, può creare un nuovo centro sinistra in grado di duellare coni fratelli d’Italia? Ed allora ben venga. Di Conte, che ancor è lì, non pensiamo il bene possibile, vive in un movimento che non si farà mai partito, perchè è bollato dalla nascita. E il duo Fasano? Non canta anzi non ha mai cantato e suonato bene: Renzi e Calenda non hanno fatto centro, anzi. Se Renzi sorride perché ha il fascino che tutti i partiti, o quasi, gli riconoscono, cosa diversa è per Calenda che si è alzato un mattino ed ha fondato un partito, con buona pace di quanti si sono arruolati, sperando di trarne vantaggio.

Solo per questo, diciamo la verità. I dirigenti fidavano sul successo di Azione, solo per conquistare un posto in Parlamento, non per fare politica. Da consiglieri regionali, che sono rimasti a destra-destra, e quanti non sono stati neanche rieletti consiglieri comunali. Non avrà futuro, detto oggi, la fusione, non per incorporazione, ma propriamente detta, tra Italia Viva ed Azione, che non agisce. E se si pensasse, tutti insieme, i tre partiti (!) della Misericordia, di farne uno come si deve?

È che ognuno, poco o niente, vuole contare da solo e non con gli altri. La fusione farebbe sparire le velleità singole – ed una finestrella al Tg1, ancora per poco- in favore di un raggruppamento nuovo in grado di fidelizzare quanti non stano con la Meloni. E non sono pochi credo. (gc)

L’OPINIONE / Massimo Mastruzzo: Il presidente Meloni vuole barattare l’autonomia con il presidenzialismo?

di MASSIMO MASTRUZZO – Giorgia Meloni nei suoi discorsi iniziali da prima ministra aveva messo in chiaro alcuni punti programmatici della sua azione di governo.

In particolare per quanto riguarda L’annosa questione meridionale, aveva sottolineato come la maggioranza volesse mettere al centro del suo operato:“Il Sud non più visto come un problema, ma come un’occasione di sviluppo per tutta la nazione”. 

A tal riguardo Meloni prometteva che lei e la sua squadra avrebbero lavoreranno sodo per colmare un divario infrastrutturale che definisce inaccettabile, eliminare le disparità, creare occupazione, garantire la sicurezza sociale e migliorare la qualità della vita. “Dobbiamo riuscire a porre fine a quella beffa per cui il Sud esporta manodopera, intelligenze e capitali, che sono invece fondamentali proprio in quelle regioni dalle quali vanno via. Non è un obiettivo facile”, ma il suo impegno su questo sarà “totale”.

Tra il dire e il fare c’è l’autonomia differenziata

La Repubblica è “una e indivisibile”, recita l’articolo 5 della Costituzione. Come sono indivisibili i diritti che spettano a tutti i cittadini a parità di condizione. L’autonomia differenziata messa in moto dal ministro Calderoli e preconfezionata dai governi precedenti, ribalta con un escamotage questi principi fondamentali della carta costituzionale disgregando di fatto i diritti dei cittadini del Sud Italia.

Difatto ci sarebbe un obbligo costituzionale di garantire in tutta Italia i Lep (Livelli Essenziali delle Prestazioni), ovvero si dovrebbero assicurare a tutti i cittadini italiani il godimento di tutti i diritti e servizi (per garantire i Lep servono naturalmente importanti investimenti soprattutto dove i servizi è i diritti sono più carenti). Ma tra le righe del provvedimento è stato inserita una parolina che aggira il preciso obbligo costituzionale: determinare.

Il modo infinito del verbo determinare inserito nella parte in cui si accenna ai Lep aggira di fatto l’obbligo costituzionale di realizzare le Prestazioni Essenziali per tutti i cittadini. Determinare le prestazioni da garantire per tutti i cittadini italiani infatti, letteralmente, non significa affatto realizzare. L’escamotage trovato da Calderoli&c., nell’indifferenza, a quanto pare, della presidente Meloni, sta proprio nella sostanziale differenza tra determinare e realizzare.

Giorgia Meloni ha barattato il Sud in cambio del presidenzialismo?

Giorgia Meloni, da capogruppo di Fdi, per correggere “il regionalismo differenziato”,  presentava, in data 15.1.2014, alla Camera dei Deputati  la proposta di Legge Costituzionale n.1953, con la quale proponeva, all’art. 2 comma 1, “L’articolo 116 della Costituzione è abrogato”,quindi l’abrogazione della famigerata Autonomia Regionale Differenziata. Cosa c’è allora dietro a questo cambio di rotta, forse la presidente del Governo Italiano vuole barattare l’Autonomia Regionale Differenziata, che penalizza una parte del territorio italiano, il Sud, con il Presidenzialismo?   (mm)

[Massimo Mastruzzo è del direttivo nazionale del Movimento Equità territoriale]

SOLE E VENTO E CON LA RIGASSIFICAZIONE
MEZZOGIORNO PIATTAFORMA ENERGETICA

di PIETRO MASSIMO BUSETTA – Una visione sistemica quella che traspare dal discorso che Giorgia Meloni ha fatto nell’ambito della XV Conferenza delle Ambasciatrici e degli Ambasciatori d’Italia nel mondo.  Che merita un apprezzamento per la visione, vista l’abitudine a sentire i nostri politici più pronti  a guardare agli interessi del back garden di ciascuno, soprattutto da quando rappresentanti di movimenti territoriali si sono impadroniti di parte del potere. 

Non deve stupire troppo questa posizione, considerato che  Giorgia Meloni prima di essere Presidente del Consiglio è leader del partito Fratelli d’Italia, che ha una vocazione unitaria e nazionalista. 

Ma va bene sentire che la vocazione del Paese è quella di essere centrale rispetto ad una visione di una Eurabia, fondamentale per gli assetti dell’Europa, considerato che l’allargamento ad Est, pur se necessario, sta provocando danni consistenti agli equilibri internazionali. 

Questa è la visione giusta, quella che vede, finalmente, la localizzazione geografica di uno stivale proteso verso il NordAfrica, quasi a toccarlo, che guarda il canale di Suez, via d’acqua fondamentale per unire l’Estremo Oriente alla Mittel Europa. 

In una visione che non sia quella estrattiva ma di collaborazione utile e opportuna, anche per evitare che la povertà di alcuni popoli porti a forme di emigrazione epocali che poi mettono in discussione gli equilibri sociali anche dei Paesi europei. 

Bene ha fatto  il Presidente del Consiglio a mettere in evidenza come l’Italia possa diventare la piattaforma energetica di tutta l’Europa, bene ha fatto a dire che un investimento in energie rinnovabili fatte nel Mezzogiorno ha un rendimento di oltre il 30% in più rispetto a quello fatto in altre parti d’Europa. 

E il Mezzogiorno è disponibile a mettere a disposizione le sue dotazioni  di sole e  di vento, nonché la sua vicinanza ai territori del Nord Africa per riuscire a contribuire allo sviluppo economico dell’Italia e dell’Europa.

Non è per una forma di egoismo però che il Mezzogiorno pretende che oltre all’osso, rappresentato dall’essere piattaforma energetica e dall’ospitare impianti di rigassificazione, solari, idraulici,  voglia anche quella carne rappresentata dalla valorizzazione della sua posizione geografica che lo vede frontaliero di Suez. 

Per questo saremo  grati alla Meloni se insieme alla  puntualizzazione della vocazione  ad essere batteria europea aggiunga anche quella di essere il punto di arrivo di una parte delle merci, che oggi, inopinatamente, attraversano tutto il Mediterraneo e parte dell’Atlantico,  per arrivare nei porti di Rotterdam, Aversa, Amburgo, lasciando in essi l’attività manifatturiera che serve per trasformare i semilavorati che arrivano dall’Estremo Oriente.

Augusta, Catania, Gela, Licata, Palermo, Trapani, Gioia Tauro, Napoli, Bari, Taranto, Brindisi, Reggio Calabria, Messina, devono diventare punti di arrivo delle merci provenienti da tutta l’area del Medioriente,  piuttosto che da quella cinese e indiana.

Questi territori sono vocati a ricevere le merci molto più di quanto non lo siano Genova e Trieste,  oltre che ovviamente Rotterdam, perché oggi è impensabile che grandi navi max porta container continuino a girare, inquinando con le emissioni di CO2 l’atmosfera, quando potrebbe la merce viaggiare  su treni veloci di alta capacità ferroviaria se solo il nostro Paese avesse la determinazione e il  coraggio, oltreché una visione sistemica, per collegare Augusta con il ponte sullo stretto costruito e l’alta velocità capacità ferroviaria alla rete nazionale esistente, per poter fare arrivare in tempi brevi e senza inquinamento le merci a Berlino o invece  a Colonia piuttosto che a Parigi. 

Ma non solo il Paese deve capire finalmente che, essendo frontalieri di un’Africa che vediamo ad occhio nudo, possiamo anche essere punto di riferimento per una sanità di eccellenza per la loro classe media, piuttosto che per la formazione dei loro quadri direttivi, che non devono per forza arrivare alla London School of Economics o alla meno prestigiosa Bocconi di Milano, ma che possono tranquillamente studiare, favoriti da un clima molto simile al loro, presso Atenei prestigiosi meridionali. 

Roma è stata centrale nelle dinamiche di potere solo quando si estendeva verso il Nord Africa, ma diventa periferica e  marginale se la proiezione è verso il Nord/Est  europeo. Ciò è avvenuto  grazie all’atteggiamento colposo anche di Romano Prodi, sotto la cui Presidenza della Commissione si attuò quell’allargamento ad Est, tanto desiderato dai cugini tedeschi per motivi molto comprensibili, ma senza un adeguato potenziamento delle risorse dedicate al Nord Africa per consentire la pacificazione e la crescita di quei territori. 

Mentre il nostro Paese dovrà smetterla di concentrare tutti gli organismi internazionali, come ha fatto anche con la richiesta fallita di Ema, l’agenzia del farmaco,  nella parte nord del Paese, nella quale peraltro vi è una carenza di risorse umane perché  si va verso il pieno impiego, con una  disoccupazione frizionale assolutamente non più diminuibile. 

La visione di Giorgia Meloni, che guarda il Paese nella sua interezza, è quella che serve e certo non può essere portata avanti se si continua  a giocare con i desideri repressi  di Calderoli, Zaia e Fontana o di Bonaccini.    

È necessario che prevalga finalmente una visione sistemica che guardi al futuro del nostro Paese, che non può certamente prevedere che il 33% del degli italiani e il 40% del territorio rimangano a fare da colonia rispetto a tutta l’altra parte.

Che abbiano come progetto di futuro quello dell’emigrazione di massa, come alcuni vorrebbero o quello dell’assistenzialismo diffuso come altri accarezzano. 

Questo Paese ha bisogno di più capitali. Non ne può avere una sola che si chiama Milano, perché, oltre a quella naturale che tutti ci rappresenta, ce n’è un’altra che si chiama Napoli certamente,  ed è un Paese di tanti campanili,  nel quale Bologna, Firenze, Palermo,  Bari, Catania, Torino sono altrettanti centri culturali e di attrazione che devono essere valorizzati. 

Per fare questo abbiamo bisogno di statisti non certo di giocatori che contemporaneamente vogliono fare gli arbitri, in una visione che non sia ferma e permeata da vecchi pregiudizi di appartenenze politiche, che hanno dimostrato nella loro azione tutta la loro inconsistenza. (pmb)

(courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia)

L’OPINIONE / Pietro Massimo Busetta: Il discorso pieno di buone intenzioni e di dubbi della presidente Meloni

di PIETRO MASSIMO BUSETTAUnderdog: una perdente poteva essere la nostra Presidente del Consiglio, ma é riuscita a cambiare il suo destino. Possiamo dire che anche il Mezzogiorno è un underdog, per definizione, ma come il Presidente ha la voglia e l’orgoglio di essere  vincente, non solo per se stesso ma per tutto il Paese. 

Settanta minuti di intervento alla Camera per un progetto di Paese, quello di Giorgia Meloni, che guarda alle nuove generazioni, in un riequilibrio tra giovani  ed adulti. Il pensiero dominante, come afferma durante il suo intervento, è quello di stravolgere i pronostici ed in questo la Presidente é accomunata al destino che sembra avere questo Sud, in genere trascurato. 

Certo il limite che ogni Presidente del Consiglio ha sempre avuto rimane. Cioè quello di considerare il Paese come fosse uno. In realtà i Paesi sono due ed una ricetta unica per entrambi non funziona. Come sempre é stato, se guardiamo alla locomotiva 1 trascureremo quella che dovrebbe essere la locomotiva 2, che per partire ha bisogno di cose diverse rispetto alla prima. 

Ritorna il leitmotiv del Mezzogiorno batteria del Paese, “paradiso delle rinnovabili”  lo ha definito, sottovalutando il fatto che il servizio che la realtà meridionale dovrebbe rendere  sarebbe opportuno avesse un contraltare in investimenti produttivi, ad alta intensità di manodopera nel manifatturiero. In realtà, in linea con quello che è accaduto spesso nelle dichiarazioni dei Governi precedenti, in questo discorso iniziale di Meloni per la fiducia alla Camera, il Mezzogiorno è molto presente:

«Sono convinta che questa svolta sia anche l’occasione migliore per tornare a porre al centro dell’agenda Italia la questione meridionale. Il Sud non più visto come un problema ma come un’occasione di sviluppo per tutta la Nazione. Lavoreremo sodo per colmare un divario infrastrutturale inaccettabile, eliminare le disparità, creare occupazione, garantire la sicurezza sociale e migliorare la qualità della vita. Dobbiamo riuscire a porre fine a quella beffa per cui il Sud esporta manodopera, intelligenze e capitali». 

Cosa si poteva chiedere di più? Con la valorizzazione della sua posizione geografica, come piattaforma logistica per attrarre merci dai traffici internazionali che passano da Suez, e con l’esigenza  simmetrica di essere adeguatamente infrastrutturato per consentire che Augusta, Gioia Tauro e tutti i porti del Sud abbiano e completino la loro vocazione commerciale. Non cita il ponte sullo stretto di Messina. Evidentemente permangono ancora alcune timidezze malgrado il ponte é all’interno del programma di Governo 

 Timidezza che invece non ha avuto quando ha  parlato  delle autonomie differenziate, per le quali c’è stato un impegno a portarle avanti, non avendo forse completamente chiaro che tale attuazione non può che portare alla spaccatura del Paese, anche se parlando“ di un processo virtuoso in un quadro di coesione nazionale“, si trova in una contraddizione in termini. 

Come i due concetti di autonomia, quello di Meloni e di Zaia, possano essere compatibili è un mistero che presto saremo in condizioni di svelare, considerato che la Lega preme sull’acceleratore,  senza alcun possibilità di frenata e certamente non pensa ad un quadro di coesione nazionale. Anzi l’obiettivo è proprio quello di passare da i diritti individuali uguali per tutti a territori che trattengano la maggior parte delle risorse che producono.

Il riferimento poi  a “Sua Santità Papa Francesco“, che sostiene che la vera dignità si acquisisce non essendo assistiti dallo Stato ma con un lavoro, necessità di una chiosa sul fatto che  queste possibilità nel nostro Sud non esistono, e che il problema non è l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, considerato che non esiste offerta mentre la domanda riguarda circa 3 milioni di cittadini, che dovrebbero avere un’occupazione per raggiungere quel rapporto esistente nelle realtà a sviluppo compiuto di uno a due, tra occupati e popolazione.

Se poi avere un lavoro significa obbligare la gente a spostarsi verso le realtà dove ancora vi è un’offerta consistente e allora non si capisce come tutto è compatibile con le affermazioni circa l’esigenza che i cervelli e le professionalità rimangano nelle realtà meridionali. 

Purtroppo la sensazione netta è che questa insistenza di quasi tutte le forze politiche sull’esigenza dell’abolizione del reddito di cittadinanza  sia in realtà una pressione per far si che riprenda in modo consistente il flusso migratorio verso Nord. Infatti recentemente si è interrotto perché evidentemente, per salari ridotti  e periodi contenuti,  come quelli estivi, molti lavoratori avendo la possibilità  di un reddito di sopravvivenza non accettano di essere sradicati e di tagliare i legami familiari.

Ma se si parla di “scommettere sull’Italia perché sia occasione di investimento ma anche di buoni affari”  bisogna considerare che le politiche devono essere differenziate per le due parti. E che se il cuneo fiscale deve essere diminuito in tutto il Paese, come è giusto, deve rimanere una differenza rispetto al cuneo fiscale esistente nelle zone economiche speciali, altrimenti la localizzazione di imprese avverrà sempre nell’area settentrionale, come recentemente è  avvenuto con la Intel. Insomma un discorso con tante buone intenzioni ma anche tanti dubbi. Ma non é poco.

IL SUD NON PIÙ VISTO COME UN PROBLEMA
MA OCCASIONE DI SVILUPPO PER IL PAESE

di SANTO STRATI – La dichiarazione programmatica (per i prossimi cinque anni) del nuovo presidente del Consiglio Giorgia Meloni induce tendenzialmente all’ottimismo, anche se a prima vista sorge spontaneo dire “film già visto”. Ma non bisogna essere necessariamente scettici: occorre tenere a mente una regola che nella vita aiuta molto, mettere alla prova chi fa promesse. Se le mantiene avrà riconoscenza eterna, se restano dichiarazioni d’intenti non succede nulla: al Sud siamo abituati a impegni programmatici mai portati a termine, conosciamo i bei discorsi e la convinzione di cui sono pervasi, ma troppe volte le promesse (soprattutto prima delle elezioni) si sono perse nel vento. I meridionali conoscono la rassegnazione che non significa però rinuncia ai propri diritti, semmai prevale, amaramente, la consapevolezza di avere ancora una volta sbagliato col voto.

Fatta questa premessa, stendiamo un po’ di cenere sul capo, e ritiriamo ogni riserva che in fondo in fondo non eravamo riusciti a dissipare: è stato, quella della Meloni Presidente del Consiglio, un discorso tosto, a tutto tondo sulle fin troppo note criticità del Paese, sulle scelte che occorrerà fare, sulle strategie da adottare. Giorgia a capo dei suoi “fratelli” ha smesso gli abiti della pasionaria rimbalzate dal piccolo schermo (Yo soy Giorgia – gridava agli spagnoli di Vox, con repetita  – in italiano – all’ammirante popolo delle destra e del centro destra), e indossato l’abito buono delle istituzioni: «ci muoveremo secondo il mandato che ci è stato conferito su questo tema dagli italiani: dare all’Italia un sistema istituzionale nel quale chi vince governa per cinque anni e alla fine viene giudicato dagli elettori per quello che è riuscito a fare».

Parole non al vento, ma convincenti ma assolutorie verso chi ha gridato al lupo prim’ancora che del lupo s’intravedessero i peli (»non sono stata brava a spiegarmi, magari» e hanno mostrato determinazione e carattere. Anche per quanto riguarda il Mezzogiorno, pur ribadendo cose dette e stradette, il modo in cui le ha dette, però, permette di guardare con davvero poche perplessità ai suoi progetti: la Meloni ha preso una brutta gatta da pelare, per orgoglio e legittima aspirazione non poteva rinunciare, ma è solo all’inizio e dovrà mostrare di sapere gestire adeguatamente l’impossibile, continuando in quello che (anche i suoi) non hanno fatto completare a Draghi. Per ironia della sorte il suo “avversario” e oppositore politico è diventato un faro d’ispirazione. C’è la sensazione di voler cercare da parte della Meloni una velata trasversalità che si traduca in un’opposizione che non sia meramente di facciata: serve il contributo di tutti, pur avendo i numeri per governare. Occorre che ognuno faccia la sua parte, perché non è una questione di ideologie, ma di diligenza, nell’esclusivo interesse degli italiani.

Un suggerimento ci permettiamo, però,  di darglielo: trovi il tempo e si rilegga Il principe. Machiavelli spiega in maniera semplicissima la ricetta per fare in modo che il principe riesca nella sua impresa: si deve circondare di giusti e capaci consiglieri, non può fare tutto da solo e, soprattutto, si deve guardare dai mistificatori del potere. I quali, inevitabilmente, tenteranno di curare i propri interessi e non quelli del principe, che sono poi quelle del principato, ehm, scusate, del Paese. Le analogie con l’Italia di oggi sono molte: leggere la storia per capire e interpretare il futuro. Con umiltà e voglia di fare: saranno, perciò, tante le occasioni per capire come risponderà questo nuovo esecutivo alle mille problematiche che attanagliano il Paese. e tra le mille insidie. E il Presidente Giorgia dovrà guardarsi dal fuoco amico, perché sia Lega sia Forza Italia già mostrano insofferenza per il suo (fin qui indiscutibile) successo.

Torniamo ai propositi del Presidente Giorgia sul Mezzogiorno: «Sono convinta che questa svolta che abbiamo in mente sia anche l’occasione migliore per tornare a porre al centro dell’agenda Italia la questione meridionale. Il Sud non più visto come un problema, ma come un’occasione di sviluppo per tutta la Nazione. Lavoreremo sodo per colmare un divario infrastrutturale inaccettabile, eliminare le disparità, creare occupazione, garantire la sicurezza sociale e migliorare la qualità della vita. Dobbiamo riuscire a porre fine a quella beffa per cui il Sud esporta manodopera, intelligenze e capitali che sono invece fondamentali proprio in quelle regioni dalle quali vanno via. Non è un obiettivo facile, ovviamente, ma il nostro impegno su questo sarà totale».

Il Presidente Giorgia non ha trascurato di parlare anche dell’autonomia differenziata, un «progetto virtuoso già avviato da diverse regioni italiane». Non ha ragionato sui rischi di allargamento del divario Nord-Sud nel caso passi l’autonomia, ma ha rasserenato sull’idea di unità: «ogni campanile, ogni borgo è un pezzo della nostra identità da difendere. Penso in particolare a quelli che si trovano nelle aree interne, nelle zone montane e nelle terre alte, che hanno bisogno di uno Stato alleato per favorire la residenzialità e combattere lo spopolamento».

A proposito di Sud, la Meloni ha detto che «se le infrastrutture al Sud non sono più rinviabili, anche nel resto d’Italia è necessario realizzarne di nuove, per potenziare i collegamenti di persone e merci, ma anche di dati e comunicazioni. Con l’obiettivo di ricucire non solo il Nord al Sud, ma anche la costa tirrenica, la costa adriatica e le isole al resto della Penisola. Servono – ha sottolineato – investimenti strutturali per affrontare l’emergenza climatica, le sfide ambientali, il rischio idrogeologico e l’erosione costiera, e per accelerare i processi di ricostruzione dei territori colpiti in questi anni da terremoti e calamità naturali».

È l’economia del mare, grazie alla favorevole posizione dell’Italia nel Mediterraneo «che può e deve diventare un asset strategico per l’Italia intera e in particolare per lo sviluppo del Meridione. E penso alla bellezza. Sì, perché l’Italia è la Nazione che più di ogni altra al mondo racchiude l’idea di bellezza paesaggistica, artistica, narrativa, espressiva. Tutto il mondo lo sa, ci ama per questo e per questo vuole comprare italiano, conoscere la nostra storia e venire in vacanza da noi. È un orgoglio certo, ma soprattutto è una risorsa economica di valore inestimabile, che alimenta la nostra industria turistica e culturale. E aggiungo che tornare a puntare sul valore strategico dell’italianità vuol dire anche promuovere la lingua italiana all’estero e valorizzare il legame con le comunità italiane presenti in ogni parte del mondo che sono parte integrante della nostra».

«Non è un Paese per i giovani – ha detto –. La nostra società nel tempo si è sempre più disinteressata del loro futuro, persino del diffuso fenomeno di quei giovani che si autoescludono dal circuito formativo e lavorativo, così come della crescente emergenza delle devianze, fatte di droga, alcolismo, criminalità. E la pandemia ha decisamente peggiorato questa condizione e, di fronte a questo scenario preoccupante, la proposta principe di certa politica in questi mesi è stata promettere a tutti la cannabis libera, perché era la risposta più facile. Ma noi, a differenza di altri, non siamo qui per fare la cosa più facile. Intendiamo: lavorare sulla crescita dei giovani a 360 gradi, promuovere le attività artistiche e culturali e, accanto a queste, lo sport, straordinario strumento di socialità, di formazione umana e di benessere; lavorare sulla formazione scolastica, per lo più affidata all’abnegazione e al talento dei nostri insegnanti, spesso lasciati soli a nuotare in un mare di carenze strutturali, tecnologiche e motivazionali; garantire salari e tutele decenti, borse di studio per i meritevoli; favorire la cultura di impresa e il prestito d’onore. Lo dobbiamo a questi ragazzi, ai quali abbiamo tolto tutto per lasciar loro solo debiti da ripagare. E lo dobbiamo all’Italia, che 161 anni fa è stata unificata dai giovani eroi del Risorgimento e che oggi, dall’entusiasmo e dal coraggio dei suoi giovani, può e deve essere ricostruita».

Ottimi intenti e applausi a scena aperta dalla maggioranza della coalizione: il presidente Giorgia deve convincere ora il resto del Paese che tornare a crescere è un obiettivo possibile. Citando Steve Jobs, ai giovani ha ribadito «siate affamati, siate folli e vorrei aggiungere anche siate liberi». Se si offrono le opportunità, in Calabria e nel Mezzogiorno, si scoprirà che i nostri ragazzi questi slogan li hanno assimilati già prima del discorso del fondatore della Apple: sono soprattutto “liberi”, ma vorrebbero anche la libertà di scegliere il proprio futuro a casa loro. Non partono più braccia, ma, più drammaticamente, cervelli a impoverire ulteriormente il territorio calabrese: dovrebbe essere questo il primo obiettivo dell’esecutivo Meloni, offrire lavoro e opportunità di crescita. Gli altri governi hanno contributo a rubare il futuro ai nostri giovani, bisogno cominciare a restituirgliene un bel po’. (s)

Corbelli (Diritti Civili) alla Meloni: «Sgarbi ministro della cultura»

di PINO NANOVittorio Sgarbi, Ministro dei Beni Culturali. Lo chiede, con un appello pubblico, a Giorgia Meloni, Premier indicata dal centro destra a guidare il prossimo Governo, il leader del Movimento Diritti Civili, Franco Corbelli, vecchio amico e compagno di innumerevoli battaglie civili e di giustizia del noto storico dell’arte, cofondatore, insieme allo stesso Corbelli, 27 anni fa, nel giugno del 1995, del Movimento Diritti Civili. 

In una nota affidata alle agenzie Franco Corbelli spiega «le ragioni per le quali è giusta e importante la nomina di Vittorio Sgarbi che –sottolinea Corbelli – può essere oltre che il miglior Ministro dei Beni Culturali, il miglior garante dei diritti civili nel Governo Meloni».

Il suo ruolo – precisa il leader del Movimento Diritti Civili – dovrà andare, infatti, anche oltre il suo stesso dicastero. «Vittorio Sgarbi dovrà essere il portavoce e la sentinella del popolo all’interno del Consiglio dei ministri per scongiurare nuove leggi liberticide e repressive, che hanno, in questi ultimi tre anni, segnato, purtroppo in modo drammatico e irrimediabile, la vita di milioni di italiani». 

Corbelli non va per il sottile, e con grande determinazione spiega che «Sgarbi fuori dal Parlamento è già un vulnus per la democrazia e il mondo della cultura del nostro Paese. Come lo è del resto l’assenza di un esponente del Movimento Diritti Civili. Anche per questo il noto critico d’arte va adesso coinvolto nel nuovo Esecutivo di centrodestra (sua area politica di riferimento per la quale si era candidato per una missione quasi impossibile: la sfida contro Casini nel collegio senatoriale blindato, per il centrosinistra, di Bologna) con un dicastero che nessuno più di lui è, per esperienza, competenza e cultura, in grado di guidare autorevolmente: quello dei Beni Culturali». 

Corbelli dice molto di più: «Sgarbi, ricordo, al di là della cultura e competenza, è un liberale e libertario, uno storico e convinto garantista, cofondatore, nel 1995, del Movimento Diritti Civili. Aspetto poi non certo irrilevante, negli ultimi tre anni, segnati dolorosamente e tragicamente dalla pandemia, ha combattuto insieme a Diritti Civili, La Verità e pochissimi altri, contro la persecuzione da parte del Governo, dei tecnici e tele virologi, dei partiti di maggioranza e di tutta la stampa mainstream (radio, tv, giornali, web, social)che hanno avallato la deriva autoritaria, nei confronti di milioni di italiani, pacifici e inermi, che sono stati ghettizzati e isolati brutalmente, solo perché avevano legittimamente detto no ad un siero sperimentale, per una comprensibile paura o per validi motivi di salute».

E la tragedia delle morti improvvise e delle gravi reazioni avverse, che continua, purtroppo, in modo sempre più impressionante, «dimostra – dice testualmente ancora Franco Corbelli – quanto fossero giuste e motivate quelle preoccupazioni e le paure di questa gente che Sgarbi ha, insieme a noi, sempre difeso. Anche per questo oggi Vittorio Sgarbi merita di sedere nel Consiglio dei Ministri. Con lui Ministro -conclude Corbelli- ci sentiamo, personalmente e come Movimento Diritti Civili, rappresentati, al di là del colore politico del Governo, che non ci interessa e non ci appartiene». (pn)

PARTE LA XIX LEGISLATURA, 24 I CALABRESI
E OCCHIO ALL’AUTONOMIA DIFFERENZIATA

di SANTO STRATI – Prende il via oggi la diciannovesima legislatura, si aprono Camera e Senato col primo, fondamentale, adempimento, quello di eleggere i presidenti dei due rami del Parlamento. Si tratta delle più rilevanti cariche dello Stato, dopo il Presidente della Repubblica, e ci si aspettava che il centro-destra, vincente nella coalizione che si è presentata alle urne il 25 settembre, avesse già da tempo individuato le figure (di prestigio) cui far convergere i voti delle due assemblee. A tarda sera, secondo voci abitualmente bene informate, c’era ancora maretta e nessuna intesa sui nomi e già questo la dice lunga sul tipo di governo che gli italiani dovranno aspettarsi.

Giorgia Meloni ha vinto le elezioni e con la vagonata di voti popolari presi è legittimata a ricevere l’incarico di formare il nuovo esecutivo. Il problema non è la Meloni, ma sono gli alleati, rissosi e amareggiati (soprattutto Salvini) che non sembrano disposti a fare sconti ai Fratelli di Giorgia nella spartizione delle caselle del potere. Mentre Berlusconi si mostra tutto sommato aperto e disponibile per sostenere senza preclusioni di sorta un esecutivo guidato dalla Meloni, Salvini, in queste ore, si sta giocando la sua stessa sopravvivenza alla guida della Lega. Il suo braccio di ferro (già svantaggiato) con la Meloni riguarda la messa in discussione della sua leadership tra i padani e i nuovi elettori del Sud. I primi guardano con molto scetticismo alle aperture e ai sorrisi elargiti da Salvini al Mezzogiorno e agli “incauti” elettori meridionali che si sono lasciati incantare; gli altri, dal Sud, cominciano a subodorare che le lusinghe meridionaliste del segretario della Lega in realtà nascondevano un grande inganno. La parola magica si chiama autonomia differenziata, ovvero il federalismo fiscale basato sulla spesa storia delle regioni: chi più ha speso più prende, i “poveracci” del Sud poveri erano e poveri resteranno, con una feroce discriminazione negli investimenti e nella perequazione dei diritti dei bambini e delle donne, dei giovani e dei lavoratori che subiranno ancora di più i perversi risultati del divario nord-sud, destinato ad diventare sempre più ampio.

Il fatto è che il futuro governo a presumibile guida Meloni  (il presidente Mattarella non può ignorare l’evidente indicazione popolare) pare entrato in crisi prim’ancora di aver ricevuto l’incarico. La Meloni si è resa immediatamente conto in che guaio s’è cacciata (vista la drammatica condizione economica e sociale del Paese) ma ha fatto prevalere la voglia di rivalsa, l’ambizione di essere incoronata prima donna premier in Italia, sulla considerazione  che se ha avuto problemi Draghi a contenere il disagio sociale, non sarà una passeggiata per il futuro governo mettere mano contemporaneamente al caro bollette, alla guerra, all’inflazione, al lavoro che non c’è e a un debito pubblico ormai senza più freni. La prima verifica riguarda la composizione del nuovo governo: prevarrà il criterio delle competenza, della capacità e dell’esperienza o, disgraziatamente, prevarranno – come al solito – le ragioni dell’opportunismo politico, per “pagare” le solite “cambialette”  della campagna elettorale? Se la Meloni vuole governare adeguatamente non faccia l’errore di assegnare ministeri secondo il criterio di appartenenza, ma si imponga subito con scelte che potranno dare spessore all’esecutivo. La formula magica esiste ed è un composto di rigore morale misto a competenza e capacità: gli italiani non ci credono, ma ci sperano.

Certamente sarà un esecutivo da togliere il sonno al futuro premier: se ci fossero risorse finanziarie a sufficienza, beh, i problemi si potrebbero anche affrontare, ma la prima domanda che dovrà farsi il futuro presidente incaricato sarà: “dove troviamo il denaro necessario?”.

Per questo un’elezione (concordata) a primo colpo per i due presidenti di Camera e Senato sarebbe stato un buon segnale per il Paese, per rassicurare gli animi su un’intesa (di centro-destra) che potrebbe (e dovrebbe) garantire stabilità, soprattutto per superare la crisi. Invece, come già detto, ieri sera si parlava di un’auspicabile elezione entro la giornata di oggi del Presidente del Senato (La Russa?) mentre per la Camera ci sarà un po’ di maretta prima di trovare un accordo. Non è una buona partenza, pur con un’opposizione rassegnata già prima delle elezioni a contare sempre meno e obbligata a raccogliere i cocci di una fallimentare strategia di consenso.

Ricordiamoci che l’ex premier Conte ha vinto (perdendo per strada buona metà dei voti conquistati nel 2018) solamente facendo un uso spregiudicato del populismo più vieto: messa da parte la pochette da taschino e levata la giacca s’è improvvisato (con successo, bisogna dire) novello Masaniello tutto teso e proteso a difendere il reddito di Cittadinanza. “O votate noi o perdete la prebenda di fine mese”: più o meno questo è stato il  leit-motiv della campagna di un Movimento 5 Stelle che tutti davano pronto a scomparire. È stato abile Conte, ma il suo gioco – opposizione intransigente, promette – alla lunga si scontrerà non solo col malcontento popolare ma anche su i tanti ex parlamentari grillini “abbandonati” e illusi. 

Chi avrebbe scommesso che i grillini avrebbero preso quattro seggi in Calabria, facendo diventare la regione un formidabile e incredibile serbatoio di voti? Eppure è così. 

E allora questa nuova legislatura (XIX) avrà il suo daffare per rasserenare i tumultuosi affanni degli italiani e muoversi tra troppe contraddizioni che rischiano di separare in modo netto il Nord e il Sud. Il riferimento, è evidente, è il provvedimento più volte tentato dalle tre regioni del Nord (Emilia, Lombardia e Veneto) ma regolarmente (per fortuna!) stoppato in Parlamento: questa volta, però, l’autonomia differenziata la vogliono sul serio e Salvini – aizzato da un ritrovato (ripescato?) Umberto Bossi si trova a giocarsi il consenso delle ricche regioni settentrionali, di quelli che votavano la Lega Nord e rivogliono tale parola sul simbolo al posto del nome di Salvini. Ma si giocherà la credibilità del Sud e tutto il Parlamento dovrà fare salti mortali per impedire il varo di una legge-infame che interpreta a uso e consumo del Nord il titolo V della Costituzione.

Del resto la truppa dei parlamentari calabresi di 19 tra deputati e senatori, in realtà è composta da 17 “nativi” (il magistrato Scarpinato è stato paracadutato da Palermo e la Roccella da Bologna), ma è rimpolpata da tre deputati di origine calabrese eletti in altri seggi:  Antonino Iaria dei 5 Stelle, architetto eletto in Piemonte, Giusy Versace, ex deputata di Forza Italia, orgogliosamente reggina, eletta in Lombardia,  e lady B (Marta Fascina) attuale compagna di Berlusconi, originaria di Melito Porto Salvo, deputata uscente, rieletta a Marsala. In più ci sono Nicola Carè (eletto all’estero) che è di Guardavalle (CZ), e, al Senato l’ex presidente del Senato (che ha sangue calabrese per parte di padre), Mario Borghese (deputato uscente del Maie) e, soprattutto, il prof. Marco Lombardo (di Martone, RC), eletto al Senato con Azione, in Lombardia. Un drappello che, pur avendo la Calabria nel cuore (?) non avrà la forza di fare molto. Ma non è detto…

A seconda di come sarà composto il futuro Governo di Giorgia Meloni, ci sono due caselle di sottogoverno che fanno gola ai calabresi: alla Sanità punta Giuseppe Mangialavori (senatore uscente e aspirante viceministro), ma soprattutto medico senologo che ne capisce di scienza, mentre il posto lasciato vacante da Dalila Nesci (non rieletta) di sottosegretario per il Sud e la coesione territoriale sembra fatto su misura per la vulcanica Wanda Ferro. Sarebbe una bella rivincita per i calabresi. E a suggello servirebbe alle infrastrutture un visionario che pensi a realizzare il Ponte… (s)  

A GIORGIA LA LEGA PRESENTERÀ IL CONTO
CON LA “CAMBIALETTA” DELL’AUTONOMIA

di SANTO STRATI – C‘è una “cambialetta” elettorale che Salvini presenterà a breve a Giorgia Meloni: l’autonomia differenziata che il Nord (Lombardia, Veneto ed Emilia) reclama da tempo, facendo valere l’ingiusto e crudele criterio della spesa storica. Sarà il modo di recuperare l’elettorato settentrionale che non sorride più tanto a Salvini, come faceva prima, quando la Lega aveva accanto l’appellativo Nord. Questo ovviamente significherà che il leader leghista dovrà farsi bifronte per non scontentare il Nord e non perdere completamente (già un primo salasso l’ha subito) l’elettorato del Mezzogiorno. Un’operazione difficile, di acrobazia politica che ha decisamente poche possibilità di successo.

La domanda, allora, è cosa farà Giorgia Meloni che nelle regioni meridionali (ma non solo) ha raccolto a piene mani senza, abilmente, sbilanciarsi nei rapporti Nord-Sud. L’unica concessione è stata al Ponte sullo Stretto: siccome fa trend, da buona frequentatrice di Twitter, la Meloni ha seguito l’onda senza esporsi più di tanto. 

La grana vera, in realtà, sarà la richiesta leghista di approvare in tempi rapidi il federalismo fiscale basato sulla spesa storia, meglio conosciuto come autonomia differenziata. Sarà “merce di scambio” per dire sì ai progetti di presidenzialismo che i Fratelli di Giorgia covano nonostante non abbiano i numeri costituzionalmente necessari per le modiche alla Carta. Ma dopo le elezioni – dovrebbero saperlo entrambi –, le cambiali generalmente non si pagano mai… 

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TRA INTOLLERANZA E DISEGUAGLIANZE, TORNA LA LEGA DI BOSSI?

di ORLANDINO GRECOPer chi ha realmente a cuore le sorti del Sud ed è impegnato quotidianamente nel rilancio di una prospettiva di unità concreta del Paese, non saranno passate inosservate le ultime mosse politiche del “senatùr”, Umberto Bossi, miranti la riorganizzazione della Lega. 

Più che di Lega, infatti, si torna a parlare di Lega Nord, con quella che a tutti gli effetti diventa la prima corrente del partito nato in Veneto nei primi anni ‘90. “Per il Nord riparte la battaglia” è il titolo dell’iniziativa scritto nel manifesto, su sfondo verde. Un chiaro ed inequivocabile messaggio evocativo delle storiche battaglie leghiste per il primato e l’indipendenza del Nord sul resto del Paese.

Una manifestazione rispetto alla quale non si sono fatte attendere le svariate adesioni di militanti ed amministratori locali del Nord stanchi, a loro dire, di una gestione salviniana poco attenta agli interessi dei territori storicamente rappresentanti la roccaforte del partito. Dunque un Nord autonomista, in pieno fermento, sarebbe pronto a ripartire e a riorganizzarsi sui principi della “Roma ladrona” e del Sud parassitario, alla luce anche del mal digerito sorpasso di Fratelli d’Italia sulla Lega.

Il silenzio che in queste ore caratterizza la neo deputazione meridionale, e non per ultimo Salvini, è imbarazzante e desta preoccupazione. Il Paese è sofferente a causa degli ulteriori danni economici inflitti dalla pandemia e dalla crisi energetica, non abbiamo bisogno di ulteriori elementi di divisione in un dibattito pubblico che già stenta di suo a trovare risoluzioni alle tante emergenze. 

I parlamentari leghisti eletti al Sud conoscono il divario economico ormai insostenibile tra le due Italie? 

Lo sanno che il reddito medio pro capite di Milano ammonta a 29.980€ è quello di Vibo a 10.080€? Hanno contezza lor signori di come la Spesa Storica penalizzi i Comuni del Meridione? Si sono mai imbattuti nei servizi minimali offerti a queste latitudini nell’ambito socio-sanitario, pur pagando le Regioni del Sud cifre che superano il miliardo per finanziare la sanità lombarda? È giusto che il denaro a un giovane che vuole aprire qualsiasi attività arrivi a costare il doppio che al Nord?

La smettano una volta per tutte di utilizzare la maschera salviniana per raggiungere solo e soltanto mere postazioni personali e lo stesso Salvini rompa gli indugi e sgomberi il campo dalle ambiguità. Ci dica Salvini se Bossi parla a nome personale o ancora rappresenta la voce del più obsoleto leghismo. Stiamo parlando di colui il quale, prima del verdetto dei riconteggi elettorali, era nell’immaginario di Salvini un candidato in pectore per il ruolo di Senatore a vita. Sostenere il manifesto di Bossi sarebbe l’ennesima beffa verso un Sud che non solo subisce da tempo l’iniqua redistribuzione di risorse per asili, scuole e infrastrutture ma anche verso quei tanti elettori che genuinamente hanno fornito supporto elettorale ad un partito che non può permettersi simili prese per i fondelli.

Oggi è tempo che i tanti cittadini meridionali, i molti sindaci e amministratori che come me sono in trincea diventino movimento, facciano de L’Italia del Meridione, per le nostre ragioni fondative, lo strumento politico pronto alle barricate contro ogni forma di diseguaglianza ed intolleranza verso il Sud. Il mancato rispetto verso le vocazioni territoriali rappresenta una miope visione ormai sconfitta dalla storia e dunque non avalleremo nuove forme di oscurantismo.