di PINO CINQUEGRANA – Irene Gaeta non voleva venire in Calabria, non era la sua terra, sull’insistenza del Santo di Pietrelcina, che le motivò persino le necessità per la realizzazione della “Cittadella”, la romana d’adozione Irene (nata a Lanciano, in Abruzzo, ma che aveva sposato un calabrese di Filadelfia trasferitosi nella capitale), si avventura a cercare la terra che le aveva fatto vedere San Pio in una delle visioni e, alla fine, dopo tanto, tantissimo peregrinare (oltre un anno) riconosce il luogo sulla mezza collina di Drapia, sul golfo di Tropea, che il frate di Pietrelcina le aveva fatto vedere in sogno.
Durante il primo sopralluogo lo sguardo era catturato dalle grosse spine che da tempo avevano ammantato e soffocavano la natura presente: piante e ruderi, pozzi e quant’altro. Tutto il terreno si presentava agli occhi del visitatore in una condizione che chiunque avrebbe rinunciato a scegliere il luogo magari sospettando persino che quella fosse la giusta rivelazione.
Comunque, ci si è resi dubito conto che se quello fosse il posto, allora erano necessari tanti, tantissimi soldi da spendere. All’inizio, non fu nemmeno facile ottenere tutta una serie di permessi e documentazioni per potere iniziare i lavori: dalla pulizia, allo sbancamento, agli scavi, alle costruzioni. Irene Gaeta si trovò sola tra tanta “apparente” solitudine. Nella piena indifferenza delle autorità calabresi, almeno nella fase iniziale, che durò quasi dodici anni, al punto che diverse persone accanto a Irene Gaeta premevano per abbandonare l’idea, in quanto si sarebbe tratto di un sogno irrealizzabile. Ogni volta che si veniva a proporre questa decisione, Padre Pio si faceva fisicamente sentire dicendo alla sua Figlia Spirituale: “Vai avanti! Vai avanti!”, invitandola ad avere fede. Donna battagliera, Irene, anche con i santi, alla fine accetta di proseguire. Che altro poteva fare!
La figlia Anna, architetto negli Stati Uniti, decise di affiancare la madre in questa avventura donandole uno studio progettuale che, in qualche modo, rispondeva alle “esigenze” di Padre Pio: un centro medico di ricovero per bambini con gravi patologie oncologiche; una prima accoglienza, anche per post degenti ospedalieri non completamente in grado di provvedere a sé stessi. Un centro ricerca, orientato allo studio di piante officinali indicate per la cura dei tumori ed altre patologie (quelle che Padre Pio segnalava esistere sul quel terreno di Drapia, proprio in località Vento); delle residenze per le famiglie dei degenti e per il personale, una tenuta agricola a supporto del progetto e, infine, il Santuario a Gesù Re dei Re.
Dopo avere visionato anche altri progetti mirati per la costruzione di una nuova Cittadella di Padre Pio, Irene si rivolge all’Architetto Luciano Messina ignaro del pregresso. A lui Irene Gaeta chiede fermamente di realizzare il progetto definitivo con l’obbligo di rispettare il delicato equilibrio eco-ambientale del posto. Nasce una équipe di lavoro intorno al professionista con la quale viene confezionato il “Progetto della prima pietra”. Tutto è deciso. Si comincia nel nome di Padre Pio, sotto la ferrea guida di Irene Gaeta, sua Figlia Spirituale, che, nel frattempo, incontra gli studenti delle scuole vibonesi e della Calabria a cui porta il messaggio di questa nuova “creatura” voluta dal cielo.
Alla presenza del Vescovo della Diocesi di Mileto S.E. Luigi Renzo, verrà celebrata sul luogo una Santa Messa con la benedizione da parte del Vescovo della “Prima Pietra con una reliquia de San Pio”. La pietra viene cementata nello spazio stabilito da parte da parte dagli operai alla presenza di Irene, l’Architetto, alcuni giornalisti.
La mano del progettista Luciano Messina più volte fu guidata dallo stesso Padre Pio che, in sogno, gli dava i dovuti suggerimenti come il fare cubare gli spazi o fare entrare la luce dall’alto. Mentre la signora Irene Gaeta riceveva questo messaggio da Padre Pio: «è un progetto grande… e ci vogliono tanti soldi… ma è grande grande e lì, si verranno a curare da tutte le parti del mondo. Tutti pensano che sia per gli altri, ma non sanno che può essere per sé stessi, per i propri figli, i propri nipoti e per la discendenza a venire. Vai avanti Figlia mia».
I lavori prendono corpo giorno dopo giorno, e l’architetto Messina, con la moglie avvocato Paola Conforti instancabile coordinatrice, il direttore scientifico dottoressa Marcella Marletta, il naturalista ed agrotecnico Armando Gariboldi e la stessa Irene, oltre ad altri “folli” amici che rapidamente si aggregano a questa nuova alba per la Calabria, faranno la spola da Roma e da altre parti d’Italia verso Drapia per seguire, attimo dopo attimo, ogni fase dell’imponente progetto, messo nelle sapienti ed affidabili mani di un abile ed appassionato costruttore locale, Antonio Gentile.
Mentre la signora Angela Braghò e le sue figlie, tra le prime a sostenere ed accogliere Irene nei rapporti con le istituzioni ed il comune, fanno da preziosi “facilitatori locali”. Intanto arriva anche qualche donazione da parte di semplici cittadini, quanto da imprenditori del luogo. E il progetto comincia lentamente a prendere respiro e a fare intravedere anche le sue grandi potenzialità sociali, generando prima curiosità e poi speranza nella popolazione locale, dopo i primi tempi di comprensibile diffidenza.
Vale la pena, a questo punto, ricordare che sino ad oggi le risorse economiche che hanno consentito l’acquisto dei terreni e la costruzione delle strutture sin qui realizzate è stato frutto solo di donazioni private, spesso di persone umili e certo non ricche, a volte anche di chi poteva permettersi qualcosa in più (e non solo denaro ma anche competenze, lavoro, conoscenze). Sempre con lo spirito di servire e di partecipare a qualcosa di bello, di utile e di unico.
Una disponibilità che oggi, per andare avanti ed essere portata a termine secondo il progetto di San Pio, richiederà di centuplicare risorse ed energie e che fa capire a tutti la necessità di trovare gli aiuti necessari è fondamentale. (pc)