Ad Acquappesa si è svolta la cerimonia di commemorazione in ricordo dell’imprenditore Lucio Ferrami, assassinato il 27 ottobre 1981 dalla ‘ndrangheta, al bivio per S. Iorio in Contrada Zacconi ad Acquappesa.
«Noi siamo la memoria che abbiamo e la responsabilità che ci assumiamo. Senza memoria non esistiamo e senza responsabilità forse non meritiamo di esistere» ha dichiarato Maria Teresa Morano, coordinatrice delle Associazione Antiracket calabresi, prendendo in prestito le parole di Jose Saramago, nell’introdurre la cerimonia, che ha visto la partecipazoone dei rappresentanti dell’Associazione Antiracket di Cosenza, dei presìdi locali di Libera “Lucio Ferrami” e “Sergio Cosmai”, delle Forze dell’Ordine e dell’Associazione Antiracket Lamezia, la famiglia della vittima, il sindaco di Acquappesa, i cittadini e la classe III B della Scuola Primaria di Secondo Grado di Acquappesa.
Due corone di fiori sono state deposte per rinnovare la memoria del commerciante coraggioso.
Ferrami, cremonese d’origine, si era trasferito a Guardia Piemontese per lavoro e lì aveva conosciuto Maria Avolio, sua futura moglie. Con lei aveva deciso di mettersi in proprio avviando la “Ferrami ceramiche” per la vendita al dettaglio di materiali da costruzione. Da subito la ditta destò l’interesse del clan locale Muto che iniziò ad avanzare richieste di estorsione, mai accolte.
Alla denuncia seguì il vuoto della giustizia e, un anno dopo, l’agguato mortale in cui perse la vita sotto gli occhi di sua moglie. Ferrami, vittime innocente di mafia all’età di trentadue anni, scontava la colpa di aver compiuto un gesto rivoluzionario a cui la Calabria di 40 anni fa non era ancora pronta.
Nel corso del processo in Corte di Assise, in secondo grado furono assolti mandanti ed esecutori dell’omicidio, prima condannati all’ergastolo, con formula dubitativa. Fu sua moglie a ricostruire l’intera vicenda, denunciando la Procura della Repubblica di Paola competente sull’indagine, il silenzio delle Istituzioni e l’indifferenza delle forze dell’ordine.
Per tre decenni la famiglia Ferrami fu lasciata sola, e Lucio venne dimenticato anche dalla cronaca.
Nel 2014 le cose iniziarono a cambiare, grazie alla nascita dell’Associazione Antiracket di Cosenza che porta il suo nome. «Gli imprenditori hanno iniziato a fare rete, a sostenersi e proteggersi – ha raccontato nel suo intervento Alessio Cassano, già presidente della stessa associazione – chi è solo è facile preda dei clan. Abbiamo restituito dignità al ricordo di Ferrami, che ora viene celebrato ogni anno. E a ciò si aggiunga che lunedì 25 ottobre si è tenuta l’udienza preliminare del processo scaturito dall’operazione Katarion contro il clan Muto, cui è imputabile l’omicidio, in cui ci siamo costituiti parte civile».
«L’orologio si è fermato alle 19.15». La parola è passata subito a Maria Avolio, vedova Ferrami. «Ogni giorno percorro questa stessa strada, e il dolore è sempre lo stesso. Dimenticare l’episodio e quello che è successo dopo è impossibile. Ma ho scelto di restare qui per lottare e resistere in suo nome».
Il sacrificio di Ferrami, incompreso e ignorato quarant’anni fa, è oggi il riscatto di un’intera comunità che non ha più paura di dire “no”. «Anche se lo Stato non ti ha fatto giustizia, il tuo gesto ci rende ancora oggi orgogliosi» hanno scritto i giovani studenti presenti in una lettera poi donata alla famiglia.
«Lucio ha riconosciuto meglio di noi calabresi la bellezza di questa terra – ha incalzato Don Ennio Stamile, referente regionale di Libera – la storia di Cetraro non è quella dei Muto, ma è la storia di Ferrami. Il tribunale della storia ha già condannato i colpevoli».
Ha concluso la commemorazione già ricca di testimonianze l’appello lanciato da Pierluigi Ferrami, figlio di Lucio: «Mi rivolgo alle Istituzioni chiedendo che stiano vicino a tutti noi, perché il clan è ancora a piede libero per Cetraro. Spero che succeda prima possibile che si dica ‘Qui c’era la Cosca Muto e ora non c’è più». (rcs)