ACQUAPPESA (CS) – Ricordata la vittima di ‘ndrangheta Lucio Ferrami

Ad Acquappesa, in contrada Zaccani, è stato ricordato Lucio Ferrami, imprenditore vittima della ‘ndrangheta in occasione del 42esimo anniversario della morte, nel luogo dove avvenne l’agguato e nel quale la deposizione di una corona di fiori ne omaggia ogni anno il ricordo.

Un appuntamento voluto e organizzato dall’Associazione antiracket Mani Libere di Cosenza, a lui intitolata, con lo scopo di diffondere un messaggio di partecipazione attiva alla cittadinanza e alle nuove generazioni.

L’incontro ha visto la presenza massiccia delle Istituzioni e delle Forze dell’Ordine – il Prefetto di Cosenza dott.ssa Vittoria Ciaramella, il Questore dott. Giuseppe Cannizzaro, il Comandante provinciale dell’Arma dei Carabinieri Col. Agatino Saverio Spoto, il Comandante provinciale della Guardia di Finanza Col. Giuseppe Dell’Anna, l’Assessore al Welfare e alla Legalità del comune di Cosenza Veronica Buffone e il sindaco di Acquappesa Francesco Tripicchio – che hanno espresso appoggio e vicinanza ai familiari di Lucio Ferrami – la vedova Maria Avolio, il figlio Pierluigi, la sorella Franca Ferrami – e ai componenti dell’associazione Antiracket di Cosenza, rappresentati da Alessio Cassano, Marco Moretti, Francesco Dursi e Roberto De Luca. Presente anche don Ennio Stamile, intervenuto in rappresentanza della Diocesi di San Marco Argentano.

In apertura è stato svelato il mosaico realizzato dagli alunni e da alcuni dei docenti del liceo artistico di Cetraro che ritrae il volto di Lucio Ferrami e che da oggi sarà un’ulteriore testimonianza del valore del gesto di ribellione alla criminalità organizzata pagato a caro prezzo. Partecipi e attenti anche gli studenti e le docenti dell’istituto “Pizzini-Pisani” di Paola.

«Oggi questo è diventato il “Muro della Libertà – ha dichiarato Pierluigi Ferrami, oggi presidente dell’Associazione Antiracket – perché mio padre Lucio era un uomo libero. Diventa il simbolo della libertà di espressione, di vita, che ognuno di noi dovrebbe vivere a tutte le età; quella libertà che la mafia ha negato a me e alla mia famiglia, cambiando per sempre il nostro modo di vivere, di essere, di crescere, di diventare».

Parole dense di significato anche quelle di Alessio Cassano, che ha ricordato come oggi la situazione di chi denuncia sia molto diversa da quella in cui si è svolta la vicenda dell’imprenditore cremonese, e della sorella Franca Ferrami, intervenuta anche in nome dell’associazione Libera in qualità di referente del Presidio di Cosenza, portando il saluto del Coordinamento regionale.

Un esempio di coraggio civile, secondo il Prefetto, «che non è comune e che ora deve servire a coloro che si trovano nella stessa situazione – ha affermato la dott.ssa Vittoria Ciaramella –. Bisogna dare coraggio, forza, e le istituzioni devono essere accanto ai cittadini. Non è facile, ma bisogna capire che questa è la scelta giusta, che questa è la strada da seguire per tutti noi. La strada della legalità». (rcs)

Le Associazioni Antiracket calabresi hanno ricordato Lucio Ferrami, vittima innocente di ‘ndrangheta

Ad Acquappesa si è svolta la cerimonia di commemorazione in ricordo dell’imprenditore Lucio Ferrami, assassinato il 27 ottobre 1981 dalla ‘ndrangheta, al bivio per S. Iorio in Contrada Zacconi ad Acquappesa.

«Noi siamo la memoria che abbiamo e la responsabilità che ci assumiamo. Senza memoria non esistiamo e senza responsabilità forse non meritiamo di esistere» ha dichiarato Maria Teresa Morano, coordinatrice delle Associazione Antiracket calabresi, prendendo in prestito le parole di Jose Saramago, nell’introdurre la cerimonia, che ha visto la partecipazoone dei rappresentanti dell’Associazione Antiracket di Cosenza, dei presìdi locali di Libera “Lucio Ferrami” e “Sergio Cosmai”, delle Forze dell’Ordine e dell’Associazione Antiracket Lamezia, la famiglia della vittima, il sindaco di Acquappesa, i cittadini e la classe III B della Scuola Primaria di Secondo Grado di Acquappesa.

Due corone di fiori sono state deposte per rinnovare la memoria del commerciante coraggioso.

Ferrami, cremonese d’origine, si era trasferito a Guardia Piemontese per lavoro e lì aveva conosciuto Maria Avolio, sua futura moglie. Con lei aveva deciso di mettersi in proprio avviando la “Ferrami ceramiche” per la vendita al dettaglio di materiali da costruzione. Da subito la ditta destò l’interesse del clan locale Muto che iniziò ad avanzare richieste di estorsione, mai accolte.

Alla denuncia seguì il vuoto della giustizia e, un anno dopo, l’agguato mortale in cui perse la vita sotto gli occhi di sua moglie. Ferrami, vittime innocente di mafia all’età di trentadue anni, scontava la colpa di aver compiuto un gesto rivoluzionario a cui la Calabria di 40 anni fa non era ancora pronta.

Nel corso del processo in Corte di Assise, in secondo grado furono assolti mandanti ed esecutori dell’omicidio, prima condannati all’ergastolo, con formula dubitativa. Fu sua moglie a ricostruire l’intera vicenda, denunciando la Procura della Repubblica di Paola competente sull’indagine, il silenzio delle Istituzioni e l’indifferenza delle forze dell’ordine.

Per tre decenni la famiglia Ferrami fu lasciata sola, e Lucio venne dimenticato anche dalla cronaca.

Nel 2014 le cose iniziarono a cambiare, grazie alla nascita dell’Associazione Antiracket di Cosenza che porta il suo nome. «Gli imprenditori hanno iniziato a fare rete, a sostenersi e proteggersi ha raccontato nel suo intervento Alessio Cassano, già presidente della stessa associazione – chi è solo è facile preda dei clan. Abbiamo restituito dignità al ricordo di Ferrami, che ora viene celebrato ogni anno. E a ciò si aggiunga che  lunedì 25 ottobre si è tenuta l’udienza preliminare del processo scaturito dall’operazione Katarion contro il clan Muto, cui è imputabile l’omicidio, in cui ci siamo costituiti parte civile».

«L’orologio si è fermato alle 19.15». La parola è passata subito a Maria Avolio, vedova Ferrami. «Ogni giorno percorro questa stessa strada, e il dolore è sempre lo stesso. Dimenticare l’episodio e quello che è successo dopo è impossibile. Ma ho scelto di restare qui per lottare e resistere in suo nome».

Il sacrificio di Ferrami, incompreso e ignorato quarant’anni fa, è oggi il riscatto di un’intera comunità che non ha più paura di dire “no”. «Anche se lo Stato non ti ha fatto giustizia, il tuo gesto ci rende ancora oggi orgogliosi» hanno scritto i giovani studenti presenti in una lettera poi donata alla famiglia.

«Lucio ha riconosciuto meglio di noi calabresi la bellezza di questa terra – ha incalzato Don Ennio Stamile, referente regionale di Libera – la storia di Cetraro non è quella dei Muto, ma è la storia di Ferrami. Il tribunale della storia ha già condannato i colpevoli».

Ha concluso la commemorazione già ricca di testimonianze l’appello lanciato da Pierluigi Ferrami, figlio di Lucio: «Mi rivolgo alle Istituzioni chiedendo che stiano vicino a tutti noi, perché il clan è ancora a piede libero per Cetraro. Spero che succeda prima possibile che si dica ‘Qui c’era la Cosca Muto e ora non c’è più». (rcs)