di PIETRO MASSIMO BUSETTA – Esiste una vulgata sul Sud che propala informazioni errate. Da quelle relative a un Mezzogiorno che è stato inondato di risorse, a quella che elegge una classe dirigente inadeguata.
Per il primo tema basta guardare i conti economici territoriali voluti da Ciampi per contestare tali affermazioni. Per il secondo tema si dimentica che si tratta spesso di elezioni che individuano una classe dominante estrattiva, che non ha come obiettivo il bene comune ma quello di alimentare le proprie clientele. Ma ciò avviene con la collusione e il sostegno della classe dirigente del Paese, che ha interesse ad avere una classe ascara sulla quale fare riferimento per le tante esigenze.
Tale classe dominante, “che ha i voti”, al momento opportuno, si tratti delle pale eoliche o degli impianti solari, o negli anni sessanta di localizzare le raffinerie, costituisce la terza colonna pronta a dare una mano per gli interessi settentrionali.
Classico “amico all’Avana”, che serve per sparigliare le carte quando si vuole dire no a un rigassificatore a due passi dalla valle dei Templi, o dare autorizzazioni per parchi eolici o per parchi solari utili ad un Nord energivoro. Uno schema tipo delle realtà colonizzate esistenti all’interno di un Paese, solo formalmente unito, ma in realtà spaccato in due per reddito procapite, per tassi di occupazione, per contributo all’occupazione dell’industria manifatturiera, per dimensione dell’industria turistica, per contributo all’export.
In tal senso esiste un Partito Unico del Nord, che al momento opportuno si compatta per utilizzare anche all’interno dei diversi Partiti lo stesso schema, in cui la rappresentanze meridionali contano in modo molto contenuto se non inesistente. Quando si parla di responsabilità dei meridionali e della loro incapacità di scegliere una classe dirigente adeguata si dimenticano poi le responsabilità dello Stato centrale, che non ha investito adeguatamente nella formazione e nella scuola, consentendo una dispersione scolastica al 30%, oltre che una carenza di asili nido scandalosa e una discriminazione nella scuola del tempo pieno tale che al Nord esiste e al Sud è solo un’idea lontana o la mancanza di domanda di lavoro che porta a cercare vie alternative.
Controbattere tali fake in modo adeguato è estremamente complesso, in assenza di quotidiani che abbiano diffusione nazionale, di televisioni che possano controbattere quelle che hanno sede e testa al Nord; in assenza del servizio pubblico che, visto che viene pagato per un terzo dal Sud dovrebbe ritornare in cambio una informazione equilibrata, ma che viene gestito a favore delle realtà settentrionali, sia in termini di spot, per tutto ciò che accade nel Centro Nord, che in termini di opinione.
Tale informazione parziale trova una colonna “armata” che mette in campo una strumentazione scientifica importante, con professionalità di altissimo livello e che entra nel dibattito a gamba tesa per sostenere alcune posizioni che difficilmente i Centri di Ricerca del Sud, o le stesse Università meridionali, riescono a confutare.
La difficoltà poi di mettersi contro spesso una Comunità Scientifica che trova nell’appoggio e nelle citazioni vicendevoli un punto di forza per affermare le proprie posizioni porta molti “sudici” a non sbilanciarsi troppo, per non ritrovarsi in una isolata minoranza.
Esempi recenti di tale approccio si verificano quando si parla di Autonomia Differenziata. L’esigenza di dare forza alle posizioni favorevoli porta alcune volte ad affermazioni a dir poco discutibili. Un esempio recente riguarda la posizione dell’Istituto Bruno Leoni che afferma in un suo editoriale recente: «Il dibattito sull’Autonomia Differenziata si sta facendo sempre più rovente. I suoi avversari hanno raccolto, nel giro di qualche settimana, centinaia di migliaia di firme per indire un referendum abrogativo della legge Calderoli».
«I critici dell’Autonomia raccontano un mondo che non esiste: le nuove disposizioni possono piacere oppure no, ma raccontarle come l’anticamera della secessione è semplicemente ridicolo… In particolare, l’autonomia non potrà determinare alcuna differenza nella distribuzione delle risorse economiche tra le regioni né darà luogo ad alcun cambiamento della ripartizione dei denari tra le regioni che accedono all’autonomia e quelle che non lo fanno. Questo è un punto fermo della legge Calderoli, che infatti prende le mosse dalla definizione dei Livelli essenziali di prestazione e affida a essi il ruolo di guida dell’intero processo…, fino a quel momento, si litiga sul nulla».
Affermare in modo così apocalittico che una parte dell’intellighenzia meridionale, che si è schierata contro, vive in un mondo irreale (un mondo che non esiste), offendendo pesantemente molti ricercatori seri che hanno preso posizioni (raccontarla come l’anticamera della secessione é semplicemente ridicolo), utilizzando termini che manifestano una spocchia ingiustificata, dimostra la sicurezza che l’avversario non ha gli stessi mezzi per difendersi.
Affermazioni che non hanno alcun fondamento nemmeno nelle motivazioni leghiste che hanno portato all’approvazione della legge che invece sono molto chiare (né darà luogo ad alcun cambiamento della ripartizione dei denari tra le regioni che accedono all’autonomia e quelle che non lo fanno).
Nel comunicato numero 733 del 30 aprile 2010 del portale della regione del Veneto il presidente Zaia affermava «Ogni anno almeno 50 miliardi di euro partono da Veneto, Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna – le regioni più virtuose – diretti al Sud Italia. Si tratta dell’85% del totale dei trasferimenti Nord – Sud. Il Veneto, da solo, spende annualmente non meno di dieci miliardi di euro per coprire i disavanzi nei bilanci delle regioni del Mezzogiorno. Risorse che, con il federalismo, potranno essere destinate a migliorare la vita dei veneti e di tutti coloro che responsabilmente, attraverso il loro lavoro, pretendono servizi pubblici adeguati».
«Il tasso di spreco medio – che al Nord resta sotto il 15% – cresce al Sud e nelle Isole fino ad arrivare al 50% in Sicilia, Calabria, Basilicata e Sardegna».
Anche sulle altre affermazioni (Lep) ci sarebbe molto da ridire, ma quello che è manifesto e che in qualunque occasione il Sud è quel famoso vaso di coccio in mezzo ai vasi di ferro, che come scelta ha solo quello di farsi trasportare in maniera isolata altrimenti il suo destino è di rompersi. (pmb)
[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]