Il Presidente Mancuso contro le bufale sulle infrastrutture in Calabria

Interviene con decisione il Presidente del Consiglio Rìregionale Filippo Mancuso contro le troppe bufale che riguardano le nuovo infrastrutture in Calabria e le polemiche sul “presunto” disimpegno del Governo Meloni nei riguardi del Sud.

«Nessuna opera – ha dichiarato Mancuso – subirà cancellazioni o diminuzioni finanziarie.  Non al Nord e neppure al Sud dove, contrariamente alle fake news messe in circolazione, tutto procede come da cronoprogramma. Si sta mettendo mano ad infrastrutture ferme da decenni e l’impegno per il Ponte dello Stretto è ormai uscito dalle nebbie in cui era stato cacciato, per diventare un progetto concreto e reale. Il Governo e il ministro Salvini stanno ridando al Paese e soprattutto al Sud il diritto al futuro che finora gli era stato negato. Occorre però fare attenzione alle ‘bufale’ propalate, anche perché sui territori c’è sempre chi, per emulazione o confusione mentale, è pronto a fomentare il linguaggio dell’odio e dell’intolleranza. E si  lascia andare a battute indegne di un Paese civile e irrispettose della volontà dell’elettorato.

«Penso – sottolinea il presidente Mancuso – ai due consiglieri comunali di Catanzaro, Palaia e Buccolieri che, partendo dalla ‘bufala’ della decurtazione dei finanziamenti al Sud, definiscono la Lega una vergogna. A prescindere dal merito della questione,  ai due esemplari del neotrasformismo catanzarese (proprio di recente il sindaco della città ha mutato il Dna della sua maggioranza includendo elementi di centro e transfughi del centrodestra) occorrerebbe impartire qualche basilare lezione di democrazia. Tra l’altro ricordando ai due smemorati (e all’eventuale mandante) che senza l’apporto, finanziario e di idee della Regione, del sottoscritto e dunque della Lega, dopo un anno di fallimentare governo del capoluogo della Calabria, la città sarebbe totalmente allo sbando». (rcs)

Covid19 / Come difendersi anche dal contagio delle notizie false

di ALDO MANTINEO – Fare sempre di più spazio a una nuova concezione “ecologica” del “fare” comunicazione, cioè prestare attenzione ai risultati che una corretta informazione contribuirà a produrre nella vita quotidiana di ciascuno di noi. Analizzando quelli che potrebbero essere i possibili scenari di lunga durata del post emergenza coronavirus (che, sia ben chiaro, andrà ben oltre la contingenza delle decisioni che verranno prese per regolamentare le tanto sollecitate fasi due e tre) Nicola Bruno, giornalista e digital producer, fact checker della prima ora e co-founder di effecinque.org, sito specializzato in formati innovativi di informazione digitale (che ha anche messo a punto il decalogo dell’esploratore di notizie digitali), prova a tracciare una possibile rotta da seguire già in questi momenti così complicati. Non a caso assieme a un gruppo di comunicatori, giornalisti e altri professionisti provenienti dal mondo dell’educazione sta mettendo a punto un programma, rivolto in special modo ai giovani, proprio per diffondere in maniera quanto più capillare possibile – anche con l’ausilio di ambassador sul territorio – questa nuova visione di un’informazione che sempre di più corre anche sui social.

  • Questa pandemia ha gettato definitivamente a gambe per aria un po’ tutto e nemmeno l’informazione ha fatto eccezione…

«Non c’è dubbio. Adesso non siamo più nel mondo in cui un messaggio di informazione partiva da realtà ben identificate come giornali e televisione per raggiungere una platea, indistinta nelle sue individualità ma ben definita, rappresentata da lettori e telespettatori.  Ora siamo tutti attivamente coinvolti nella grande rete dell’informazione, siamo parte di un sistema complesso nel quale la vera materia importante non è più l’informazione in sé stessa, le fonti dalle quali promana. La vera materia importante è l’attenzione, quella che gli americani chiamano engagement, cioè quanto le persone siano attive, quanti like metti, quanti “condividi” fai, con quanti “inoltra” alimenti questo flusso incessante di informazioni. Per non dire poi che oggi si fanno i conti anche con gli algoritmi capaci non solo di creare interfacce diversificate per ciascuno di noi ma anche di alimentare autentiche bolle informative per cui siamo sempre più in relazione con chi la pensa come noi. Con il risultato che tendiamo a essere meno aperti al pensiero “altro”. Ecco, tutte queste attività sono la vera benzina per far funzionare la grande macchina dell’informazione digitale e ciò riguarda sia i social network sia alcune testate più avanzate dal punto di vista tecnologico».

Nicola Bruno

  • Detta così sembrerebbe che l’uomo abbia ben poco spazio…

«E invece no. Anzi, proprio in uno scenario simile  ognuno di noi ha  una responsabilità ben precisa. Non sono per nulla un catastrofista, anzi sono un ottimista sul mondo dell’informazione digitale perché penso che adesso abbiamo molte più opportunità di sapere, molte più opportunità di indagare, molta più facoltà anche di scoprire se qualcosa sia autentico o meno rispetto a prima quando, invece, ci si doveva fermare davanti ai cancelli o ai muri invalicabili dell’informazione ufficiale. È chiaro però che con questa opportunità arrivano anche delle responsabilità che ci obbligano a non guardare più a questi temi come ad una questione personale – “mi informo bene, mi informo male” – ma con la consapevolezza di essere anelli di un’unica catena così che il mio agire avrà delle conseguenze anche sugli altri».

  • È questa la visione ecologica del “nuovo” modo di fare informazione?

«Ci sono alcuni studiosi che hanno fatto un bellissimo paragone tra ciò che si sta verificando nel sistema dell’informazione e la crisi ambientale e climatica determinata da una molteplicità di fattori, legati anche ai nostri singoli comportamenti quotidiani. Oggi la questione climatica è una rete che riguarda tutti i Paesi, riguarda i grandi centri così come le più piccole realtà che si trovano nella provincia sperduta: oggi una catastrofe locale in un piccolissimo paese potrebbe avere delle ripercussioni molto più grandi anche su scala internazionale. Basti guardare proprio a quanto accaduto con il coronavirus: l’iniziale crisi locale in un’area della Cina è diventata in poche settimane un evento globale.  Ecco, lo stesso dobbiamo pensarlo anche a livello di informazione:una piccola notizia falsa che condividiamo tutti pian piano cresce sino a creare un’onda. Poi quell’onda viene letta da un algoritmo e, a sua volta, viene diffusa da altre persone. Rendiamoci bene conto che un semplice “inoltra” che facciamo dà ad un algoritmo degli indizi e ciò avrà come conseguenza che quel contenuto inizierà a girare sempre di più… Ecco perché prima di condividere o “rimbalzare” un contenuto dobbiamo sempre chiederci: dove ci informiamo? E’ sostenibile andare su di un sito che, ad esempio, non ci dice chi c’è dietro, chi lo finanzia? Al tempo stesso dobbiamo anche cambiare un po’ i nostri consumi di informazione e le nostre stesse abitudini di condivisione compulsiva».

Il decalogo di Effecinque

  • Ma chi ci guadagna dalla disinformazione?

«Il sistema della disinformazione è qualcosa che trascende soltanto dall’estemporaneità. Chi ci guadagna da una cattiva informazione ? Certamente non l’utente… L’utente è quello che non ci guadagna proprio nulla. La produzione di disinformazione ha diverse motivazioni: quella più banale è economica, vale sui siti web ma vale anche su YouTube, dove appunto si viene pagati in base al numero di utenti che si riesce ad attirare. Poi c’è un altro livello dove la motivazione non è economica ma legata alla volontà di influenzare e orientare l’opinione pubblica. In questa arena ci sono dentro persone di diverso tipo: c’è il profilo del complottista ma c’è anche chi non crede alle cose per sua propria struttura mentale e quindi produce tanta disinformazione magari perché intimamente convinto che non bisogna mai fidarsi delle fonti ufficiali … Ma dentro questa sfera, però, soffiano sempre di più anche altri personaggi, altri attori come, ad esempio, i politici che lo fanno proprio per influenzare il dibattito. E poi c’è un ulteriore livello, ancora più su grande scala, di cui abbiamo oramai le prove con l’affaire Cambridge Analytica…»

  • Ma come possiamo regolarci se poi quella che viene etichettata come bufala buona solo ad uso di qualche chat, e cioè la “fabbricazione” in laboratorio in Cina del covid-19, viene invece “ripresa” e rilanciata anche dal sistema dell’informazione più strutturata, così come ha fatto nei giorni scorsi la Cnn?

«Non è roba da poco. Il caso specifico non ho ancora avuto modo di approfondirlo ma la prima cosa che mi vien da pensare è che non abbiamo più nemmeno le fonti mainstream – come appunto possiamo considerare la stessa CNN – delle quali poterci fidare. Questo però è un meccanismo che, purtroppo, negli ultimi anni abbiamo visto proporre sempre di più. È sufficiente che un politico dica qualsiasi cosa e i giornali, senza più nemmeno porsi il tema se quella dichiarazione sia attendibile o meno,  la riportino…. Oggi sui giornali, nei tg, si parla a volte di cose che non esistono ma se ne parla semplicemente perché c’è un esponente politico che sta soffiando su quel tema lì… ».

  • Non è comunque ipotizzabile nemmeno che tutti ci trasformiamo in fact checkers…

«Questo no, ma ciò non ci esime dal farci carico di  riflettere su come noi singoli utenti possiamo essere strumentalizzati con queste nuove forme di disinformazione. Ricordiamoci sempre che non siamo più in un mondo dove c’è chi manda la notizia e chi la riceve, viviamo in un mondo circolare dove c’è qualcuno che produce la notizia, qualcun altro che la riceve e un altro ancora che la diffonde sui propri canali personali… Ecco perché il nostro ruolo lo dobbiamo svolgere con responsabilità per evitare di diventare microfoni e amplificatori di chi vuol fare disinformazione utilizzando le nostre reti personali. È chiaro che un messaggio che inoltro io a una cerchia di miei conoscenti ha per loro un carico di fiducia considerevolmente più alto di altri analoghi contenuti. Ecco perché quando ci troviamo a diffondere notizie che fanno leva sulle nostre emozioni, sulle nostre paure, pensiamo sempre che potremmo fare disinformazione, facendo un torto a chi ci sta vicino e si fida di noi ma anche di essere strumento di campagne orchestrate in grande stile».

  • E comunque qualche strumento per difenderci e riconoscere le fake news lo abbiamo…

«Intanto impariamo a non condividere informazioni che non siano state adeguatamente verificate. E poi ci sono un paio di semplici accorgimenti.Ad esempio, quando ci imbattiamo sul web in titoloni tutti maiuscoli e con i puntini di sospensione molto spesso si tratta di click baiting. È come un amo al quale ci vogliono fare abboccare perché quando clicchiamo e andiamo su quella pagina quel sito con la pubblicità fa qualche centesimo in più… Occorre fare molta attenzione perché c’è sì chi, semplicemente, ci guadagna ma anche chi utilizza questi sistemi per attività più pericolose. Altri piccoli accorgimenti: su whatsapp c’è la spunta che ci avvisa se un messaggio sia stato inoltrato o meno e se la spunta è doppia vuol dire che si tratta di un contenuto del quale non si conosce la fonte originaria. O ancora sui social network, quando siamo ad esempio sulla pagina di un personaggio, assicuriamoci che ci sia l’ormai famosa “spunta blu” che in qualche misura garantisce che ci si trovi effettivamente sulla pagina di quel tale personaggio e non su una falsa pagina personale… Altra cosa, quando si va su un sito web, ad esempio di una testata giornalistica, verifichiamo sempre l’autenticità del dominio nella barra dell’indirizzo leggendo per bene quel che c’è scritto: non fidiamoci, insomma, della riproduzione, anche fedele, della grafica ufficiale di quella testata». (am)

[courtesy camminosiracusa.it]

Disinformazione e fake news: l’altro contagio.
Il ruolo dell’Agcom, l’Autorità Comunicazioni

di ALDO MANTINEO – Un sistema dell’informazione “strutturata” decisamente più maturo, che ha imparato – e sta continuando a farlo – “come rapportarsi al ruolo della conoscenza scientifica e come la ricerca di sensazionalismi danneggi la società nel suo complesso”. È la fotografia della complessa “industria” delle news così come, verosimilmente, verrà fuori dal tunnel di questa pandemia che ha letteralmente stravolto consolidate certezze, a ogni livello, e creato pericolosi vuoti che troppi provano a colmare non senza approssimazione. È un’analisi che si muove tra le poche (provvisorie e mutevoli) certezze che oggi la conoscenza scientifica riesce ad offrire sul coronavirus e la straordinaria abbondanza di informazioni che vengono riversate, attraverso ogni canale – più o meno codificato –   nella nostra quotidianità quella di Antonio Nicita, siracusano, docente di politica economica alla Lumsa e, da gennaio 2014 commissario dell’Agcom, l’Autorità per le Garanzia nelle Comunicazioni, occupandosi in maniera più specifica di infrastrutture e reti. Autore di numerosi saggi, Antonio Nicita aveva lasciato il suo incarico all’Agcom al quale era stato chiamato dal Parlamento a novembre del 2013 in quanto il mandato era già scaduto ed era stato prorogato una prima volta. L’esplodere dell’emergenza coronavirus ha indotto il presidente dell’Agcom a chiedere a Nicita di congelare le proprie dimissioni per continuare a dare il proprio contributo di idee, progetti, analisi e proposte in un momento nel quale anche l’intero sistema dell’informazione è chiamato a svolgere con – se possibile – ancora maggior senso di responsabilità, il proprio ruolo.

– Professore, sull’emergenza coronavirus (in tutti i diversi aspetti nei quali viene declinato) in giro c’è tanta buona e puntuale informazione così come se ne trova anche molta altra quanto meno discutibile. Non direi, invece, che ce ne sia troppa come si argomenta da qualche parte. Il problema non è, semmai, che c’è una diffusa scarsa capacità di valutare e “pesare” le diverse notizie (non sempre tali…) che scorrono incessantemente sotto i nostri occhi sugli schermi di tutti i device dei quali non sappiamo più fare a meno? La corsa alla condivisione, che sembra essere l’unica “regola” alla quale attenersi nel mondo dei social, ha acuito questa diffusa difficoltà di analisi dei singoli contenuti?

«Distinguiamo innanzitutto l’evoluzione della conoscenza su questo nuovo virus e l’informazione sulla conoscenza disponibile. Dalla metà del mese di gennaio le notizie hanno ‘inseguito’ le conoscenze scientifiche del fenomeno e queste sono state, inevitabilmente, provvisorie e talvolta contraddittorie. I dati su cui è stata costruita la nostra conoscenza scientifica del fenomeno, cosi come comunicata dall’Oms, si sono basati soprattutto sul caso cinese. Sapremo, con il tempo, se quei dati hanno fotografato solo una parte di un fenomeno più ampio, in termini numerici. Il punto è che, basandosi su quei dati, il Governo italiano ha attuato misure di prevenzione nella convinzione che non ci fossero stati i tempi per una epidemia in loco. Ciò ha fatto si che l’informazione ci abbia raccontato un virus d’importazione, l’attenzione ai rapporti con persone che provenivano dalla Cina, circostanza che in alcuni casi ha anche generato pregiudizi e sospetti nei confronti della comunità cinese in Italia. Ciò ha comportato che non fossero indagate molte persone con sintomi ricoverate negli ospedali. Poi abbiamo drammaticamente scoperto che il virus stava già in Italia da molto tempo e vi sono stati approcci contraddittori tra il virus come influenza e il virus come epidemia ad alta letalità. L’informazione è stata corretta ma ha dovuto seguire conoscenze incomplete e in continuo aggiornamento. L’informazione sul virus è stata tanta, le emittenti televisive hanno dedicato oltre il 50% delle notizie al tema. Ma ovviamente su questa incertezza ha anche proliferato la disinformazione, inclusa quella organizzata”.

– Nodo fake news. Di recente anche l’Unione Europea si è mobilitata e nei suoi rapporti parla anche di una massiccia immissione di notizie false – create in ambienti politici precisi e in contesti geografici ben individuati – che nelle prime settimane del dilagare in Europa dalla pandemia hanno avuto come bersaglio specifico Paesi come l’Italia. Una dimensione Internazionale del fenomeno che fa il paio con quella più domestica che si concretizza in un flusso quotidiano, incessante, di false notizie che si inseguono di chat in chat… come giudica questo fenomeno dal suo osservatorio dell’Agcom?

«La Commissione Europea ha avviato subito un atto di indirizzo, ma l’Agcom ha anticipato con un proprio richiamo a tutte le emittenti radio-tv, la Commissione Europea. Il tema non ha riguardato soltanto il web ma anche talune trasmissioni televisive nazionali e alcuni programmi di televendita di prodotti para-farmaceutici anche su emittenti private. Agcom ha fatto uno studio sulle principali dieci notizie false riguardanti il coronavirus e ha misurato, con un proprio algoritmo, l’esplosione nei mesi di febbraio e marzo, della disinformazione online. I siti che da molti fact-checker vengono indicati i come produttori di disinformazione hanno dedicato quasi il 40% della propria disinformazione al coronavirus. Alcuni studi stranieri mostrano come la bufala che mostrerebbe correlazioni tra il 5G e il coronavirus proviene da siti ben organizzati stranieri, con le stesse modalità che in passato hanno riguardato meccanismi di disinformazione durante le elezioni in alcuni Paesi. Segno che c’è chi elabora strategie id disinformazione, puntando sulla paura e sulla preoccupazione delle persone, per fini di destabilizzazione, alimentando la sfiducia nelle istituzioni».

– L’Agcom è intervenuta in più occasioni anche sanzionando comportamenti irregolari… 

«L’Autorità ha richiamato alcune emittenti nazionali per la superficialità con la quale hanno contribuito a rilanciare alcune notizie false, ad esempio quella circolata su Facebook in relazione agli effetti “miracolosi” di un farmaco utilizzato in Giappone che poi si è scoperto non essere ancora oggetto di sperimentazione in quel Paese, in quanto, come ha dimostrato un report del Corriere della Sera, quel tipo di farmaco sarebbe ancora in una fase di definizione di protocolli. L’Autorità ha anche deciso di sospendere per sei mesi, ai sensi della normativa vigente, l’attività di talune trasmissioni di sedicente informazione scientifica in realtà aventi natura di televendita di prodotti parafarmaceutici. Infine l’Autorità ha rivolto un atto di indirizzo anche alle piattaforme online, finché, con la loro autoregolamentazione, possa no contrastare questo tipo di fenomeni».

– Nella battaglia per affermare il primato di un’informazione ancorata a dati oggettivi, verificati, che aiuto può venire dal mondo dell’intelligenza artificiale? Che ruolo stanno già avendo oggi i big data nel modo di produrre informazione? Adesso si punta, tra l’altro, su un progetto che utilizza proprio whatsapp  per verificare l’attendibilità di una notizia: che risultati stanno maturando? Qual è lo scenario che si profila?

«Sicuramente, gli algoritmi cosi come svolgono un ruolo nel proporre determinati tipi di contenuti e di disinformazione proprio a quei soggetti che mostrano più attenzione e interesse a questo tipo di contenuti, cosi possono evitare fenomeni di polarizzazione. Sono allo studio diversi meccanismi, da parte delle piattaforme, per identificare questo tipo di strategie e contrastarle. Agcom non ha al momento alcun potere sulle piattaforme online, ma ha aperto tavoli di confronto rispetto all’autoregolamentazione che le piattaforme online si sono date. All’interno di questo tavolo è partito un progetto molto interessante con WhatsApp per il quale l’utente può rivolgere a un numero di WhatsApp che corrisponde ad un fact-checker scelto dalla piattaforma, i contenuti che ha ricevuto sul coronavirus per sapere se gli stessi sono stati oggetto di factchecking. È un esperimento importante perché si fonda sulla consapevolezza e la capacità critica dell’utente anziché sulla eliminazione della notizia, facendo quindi salva la libertà di espressione, anche quando essa di fatto è solo lo strumento privilegiato degli strateghi della disinformazione”.

– Spingiamoci avanti con lo sguardo, al momento in cui la pandemia sarà alle nostre spalle. Come immagina che sarà, in quel momento, il sistema dell’informazione? Il fruitore medio dei contenuti di informazione, indipendentemente dallo strumento che utilizzerà, lo immagina più avvertito è consapevole di quanto non sembra lo sia oggi? Che ne sarà dell’editoria tradizionale (giornali, tv generalista e radio)?

«Dipende da noi. Questa vicenda drammatica del coronavirus deve farci capire che la conoscenza scientifica non ha la verità in tasca ma procede, con umiltà, alla verifica di ipotesi ed è quindi lo spazio più protetto e sicuro nel quale avviare il dibattito e il progresso delle provvisorie verità scientifiche. Le fake news invece ci offrono certezza e sicurezza, ma proprio per questo dobbiamo dubitarne. Chi ci offre complotti e sospetti sta parlando alla nostra pancia affinché la nostra testa smetta di pensare. Credo che tutta l’informazione abbia imparato come rapportarsi al ruolo della conoscenza scientifica e come la ricerca di sensazionalismi danneggi la società nel suo complesso. C’è una domanda di informazione di qualità e occorrono politiche di sostegno al lavoro e alla missione del giornalismo autentico che non cerca facili risposte e che aiuta il cittadino a ragionare con la propria testa senza cercare il conforto dei complottisti o dei facili profeti». (am)

[courtesy camminosiracusa.it]

Il giornalista Aldo Mantineo: come difendersi dalle fake news sul coronavirus

di ALDO MANTINEO – Chi avesse avuto modo di leggere qualche altra mia considerazione su queste stesse colonne sa bene quanto consideri strategico, soprattutto in frangenti molto complicati come quelli che stiamo vivendo attualmente, una buona e completa informazione. Quanta ce n’è in giro in questi giorni di buona informazione? Tanta, a mio avviso davvero tanta. Quanta approssimazione, inutile sensazionalismo, superficialità e pressapochismo (quando non aperta violazione di ogni carta etica e, prima ancora, del semplice buon senso e buon gusto…) continua a circolare? Tanta, anche in questo caso davvero tanta? Ma, a mio avviso, qualità a parte, il problema non è mai nella “sola” quantità dell’offerta. E cioè: se la tanta informazione, diciamo così, discutibile che circola viene fruita da una ristretta quantità di persone, il danno prodotto è tutto sommato contenibile. Diverso è, invece, se sono pochi coloro che scelgono di approvvigionarsi di informazione seria, qualificata e – soprattutto – verificata. Qui non funziona la regola dei vasi comunicanti dove, alla fine, in presenza di gravità i livelli si allineano. Qui, semmai, il riempirsi di un vaso svuota inesorabilmente l’altro.

Ecco, dunque, che sul piano mediatico la vera partita di questi giorni di lotta al coronavirus la si gioca non tanto (o meglio, non solo) nella metà campo di chi produce informazione quanto nell’altra parte del rettangolo di gioco, in quella di chi fruisce quotidianamente di notizie (e, purtroppo, anche di tutto ciò che sembra notizia ma in effetti non lo è). Utenti che troppe volte finiscono nel bel mezzo del fuoco incrociato del sensazionalismo – magari in nome di qualche click o di qualche spettatore in più – e del  pregiudizio. Non mi sembra certamente un caso che anche Papa Francesco, nel corso della solenne benedizione urbi et orbi impartita sotto la pioggia battente davanti a una piazza San Pietro deserta, abbia sentito il bisogno nella sua preghiera di invocare la salvezza del Signore anche “dalla cattiva informazione”. E, se vogliamo andare su un terreno svincolato dalla Fede, conferma di quanto sia avvertita l’esigenza di non cadere nella trappola delle fake news la troviamo anche nella decisione, annunciata nel fine settimana dal sottosegretario con delega all’editoria Andrea Martella relativo all’imminente costituzione di una task force istituzionale, che si interfaccerà con le grandi piattaforme dei social media, per contrastare la circolazione di notizie false. Palazzo Chigi darà vita a una struttura apposita, rafforzando inoltre il ruolo della Polizia Postale per individuare le “centrali della disinformazione”. Decisione, questa annunciata dal Governo, che si pone nel solco delle tante iniziative giudiziarie già avviate dalle Procure della Repubblica in diverse parti d’Italia contro i nuovi untori che spandono – alcuni, purtroppo, anche in maniera inconsapevole – false notizie che, specie in momenti simili, finiscono con l’avere un effetto ancora più devastante amplificato, per altro, dalla istantanea diffusione oggi resa possibile dalle nuove tecnologie. Un lavoro capillare al quale anche la Procura di Siracusa sta dando il proprio importante contributo mettendo in campo una “squadra” di investigatori altamente specializzati quali sono quelli del Nit, il Nucleo investigativo telematico.

Lo stesso Governo ha inoltre reso noto di avere allo studio anche l’attivazione di un Osservatorio per studiare il fenomeno della produzione delle fake news, con l’idea di coinvolgere in questo sforzo anche le organizzazioni dei giornalisti.

Ma, in attesa che tutto ciò diventi – si spera davvero in breve – realtà concreta, ciascuno di noi, produttore o fruitore di informazioni che sia, si deve rassegnare ad essere soltanto spettatore? Ovviamente no. E a dare una bella mano all’uomo, anche se in un ambito ancora abbastanza circoscritto, c’è anche l’intelligenza artificiale. On line, infatti, c’è un sito che, proprio a proposito della pandemia da coronavirus,  consente di verificare se una determinata frase sia vera o falsa. Semplicissimo l’uso (anche in lingua italiana): basta raggiungere il sito coronacheck.eurecom.fr e inserire il quesito. In questa fase si possono testare più che altro dati numerici. Come si legge in un servizio di Inpgi notizie, newsletter dell’Istituto nazionale dei giornalisti italiani, “CoronaCheck è in grado di verificare affermazioni inerenti casi confermati di coronavirus, persone guarite, decessi e tassi di mortalità. Per ogni verifica, il sistema mostra un’etichetta vero/falso e una spiegazione di come il sistema di intelligenza artificiale sia giunto a quella conclusione. L’algoritmo, inoltre, dinanzi ad affermazioni che non è in grado verificare, chiede feedback all’utente affinché possa aiutarlo nel processo. In questo modo, il sistema apprende dal feedback degli utenti come gestire nuovi tipi di reclami e su come sfruttare nuovi set di dati”. Insomma, un mezzo che più viene usato più riesce ad implementare le possibilità di rispondere a quesiti via via sempre più articolati.

Un sistema semplice da utilizzare, immediato, gratuito, per forza di cose con un raggio di azione, in questo momento, limitato ma in grado comunque di dare una mano sia a chi si occupa professionalmente di produrre informazione, sia a chi vuol invece verificare l’attendibilità di una notizia. Un esempio di virtuosa alleanza tra intelligenza umana e intelligenza artificiale. Con la prima che, chiaramente, orienta, governa e guida l’altra ribadendo il necessario primato della mente umana su bit e gigabyte.

E questa mi sembra che, già di per sé, sia una gran bella e buona notizia. (am)

(courtesy camminosiracusa.it)

Aldo Mantineo, giornalista e scrittore è stato capo della redazione reggina della Gazzetta del Sud. Ha pubblicato con Media&Books il volume Dire Fare Comunic@re