di FRANCO CIMINO – Affetti insostituibili e ineguagliabili mi hanno portato fuori Città e felicemente trattenuto, per cui non posso partecipare all’incontro odierno promosso da Piero Amato, e da pochi altri, sulla possibilità-necessità di riprendere il progetto area urbana Catanzaro-Lamezia. Del cortese invito nuovamente ringrazio.
Tuttavia, assenza, invito, tema in discussione, non mi sottraggono al dovere, di dire, anche da qui, il mio pensiero. Lo rappresento brevemente, essendo a molti osservatori nota la mia posizione in merito, che pure molto chiaramente avevo inserito, come elemento strategico, nel mio programma elettorale di candidato a sindaco nel 2006, nella convinzione ferma che per fare il Sindaco, in qualunque Città, piccola o grande, del mondo occorra visione e coraggio. Senza queste caratteristiche, al posto del primo cittadino potrebbe esserci un qualsiasi amministratore di condominio, alla cui figura mi riferisco con stima e rispetto solo per il fatto che loro non possano fare nulla senza avere i soldi già pronti. Neppure cambiare una lampadina della scala.
Questa posizione non ho mai abbandonato, conoscendo bene dell’Area Urbana pensata, sia il valore, sia la fragilità, sia gli errori commessi per sminuirne il valore e accentuarne la fragilità. Un rapido passaggio, mi consento, prima di dire, scusandomi se risultasse troppo personale. È che, da una parte, sono quasi sollevato dal fatto di non esserci oggi. La politica, per me, è atto personale, come la fede, ma che diventa sociale( l’Io che si fa il Noi) per la sua vocazione di risolvere i problemi della comunità e di “ creare” il bene per gli altri. Bene per la Città. Che è Bellezza. Da ritrovare. Difendere. Conservare. Consegnare a chi verrà dopo. La politica è, pertanto, futuro che cammina sul presente. Quello buono, che reca sulle solide spalle il passato carico di beni e valori.
Politica, pertanto, è emozione. Delicatezza umana. Il luogo dell’incontro odierno è, come dice l’invito, la sede dell’ex DC. Mi permetto una sola correzione, la Dc non è ex, come non lo è il Psi e il Pci. Questi partiti non sono mai stati sciolti, per cui fino a quando esisterà un solo loro militante e “credente”, nessuno di questi è ex, cosa finita, realtà consumata. In quelle stanze, erano tantissime, vi ho passato una vita intera, la mia prima lunga vita. In una, in particolare, la stanza più grande, quella del segretario provinciale della Dc e poi del Ppi, vi sono stato circa otto anni. Mi procura una certa sofferenza ritornarvi, anche per la rabbia che provo di non sapere a chi siano andati a finire, in quanto beni materiali, gli immobili che sono commercialmente diventati quella sede.
Infatti, da quei lontanissimi anni non vi ho messo più piede, se non per poco tempo, e per quel corridoio, a destra entrando dal vasto ingresso quadrato, poi ridotto a un rettangolo stretto, in cui ha avuto breve residenza il piccolo partito, che si diceva, mentendo a sé stesso, voler essere la continuità di quella grande storia ideale e politica. Detto questo, sintetizzo, i tre punti che mi fanno ritenere la ripresa della discussione necessaria e interessante. Anche qui, una breve premessa che è memoria e cuore. Riguarda due democristiani che si sono molto spesi per questa grande idea. Il primo è Federico Maria Ferrara, l’impetuoso avvocato con i baffi di antico cavaliere, che, con il solito Cesare Mulè, fu il primo a parlare della necessità per Catanzaro (allora era questa la motivazione) di aprirsi al territorio della Piana, pena la sua progressiva perdita di peso politico e di ricchezza. Ricordo che ne parlava con forza anche oratoria all’interno del Consiglio Comunale, quello ricco di grandi personalità in tutti i settori dell’aula. Pochi, anche all’interno del nostro partito gli diedero retta. Ero proprio un ragazzo, allora, addirittura delegato del Giovanile della sezione di Marina, la Martelli.
Ma l’idea mi prese già tanto. Il secondo è Franco Fiorita, che ne fece un cavallo di battaglia durante la sua segreteria provinciale, quando spinse con più forza, sull’intesa, faticosamente raggiunta tra il Psi e la Dc (naturalmente con i tradizionali alleati del Pri e del Psdi), siglata quasi formalmente dai due leader più forti, Peppino Petronio e Carmelo Pujia. I quali si impegnarono, e non poco, per procurare le risorse economiche necessarie sia a livello regionale che nazionale. Io, che quel progetto ereditai quando arrivai in Galleria Mancuso da segretario, lo sostenni con decisione fin dall’inizio, costruendo su questo una grande passione per Lamezia e la sua Piana. E quell’idea che la Calabria o crescerà tutta insieme, e contemporaneamente, o resterà, peggiorando, al punto in cui è stata da sé stessa relegata. E che questa crescita non vi potrà mai essere senza la costruzione di una reale sua unità e politica e culturale e sociale. Unita soprattutto territoriale, la quale passa dalla costruzione di un’area attrezzata al centro del suo territorio, dove è lungamente aperto un vuoto divenuto voragine e povertà. Elemento di divisione e di rottura anche territoriale. Questo, il primo punto di riflessione.
Il secondo, la necessità di realizzare quel progetto è quantomai stringente per molti motivi. Ne sottolineo i più importanti. La possibilità che le due Città, Lamezia e Catanzaro, affrontino le le loro reciproche gravi debolezze aprendosi al vasto territorio che si trovano davanti, riprendendo immediatamente un dialogo assurdamente interrotto e che attraverso di esso, insieme, partecipino alla più larga discussione riguardante, in particolare in epoca Pnrr, lo viluppo dell’intera Calabria. Sviluppo che abbia, non dimentichiamolo, anche un capoluogo vivo e vivace, finalmente restituito al suo prestigio e al ruolo che ogni vero capoluogo dovrebbe avere, e una città, distante solo 34 chilometri, che ben risponda alla sua naturale vocazione e a quel ruolo che Arturo Perugini, suo padre fondatore, le aveva assegnato. Se le due Città, attraverso i loro vertici, riprenderanno a parlarsi, con intelligente responsabilità, potrebbero più facilmente essere allontanati, per essere poi definitivamente superati, quei meccanismi psicologici e di arretratezza culturale, su cui sono state costruite quelle chiusure che hanno favorito le fortune elettorali di pochi e la debolezza delle popolazioni.
Sono i soliti nostri difetti caratteriali. E, cioè, l’invidia, la gelosia, i particolarismi, il campanilismo. E quello strano senso di appartenenza che, tra l’altro, contrasta fortemente con lo spirito individualistico fortemente divisivo delle stesse singole comunità. Si pensi a quello che a Lamezia separa ancora Nicastro, Sant’Eufemia e Sambiase. E quello che a Catanzaro lascia ancora i tradizionali quartieri luoghi a sé stanti, chiusi e distanti l’uno dall’altro e tutti insieme da quelli nuovi costruiti irrazionalmente su un territorio depredato e abbandonato. L’altro elemento, che ancora resta come ostacolo e come vecchia resistenza all’idea, è l’equivoco creato allora da quanti quell’idea non avevano ben compreso. E cioè che su quell’asse, che Petronio e Pujia non a caso avevano denominata “attrezzata”, potesse nascere la grande Catanzaro assorbente quel che sarebbe rimasta della indebolita Lamezia.
Quel progetto era ed è tutt’altro che questo. Invero, potrebbe essere (oggi che a sud è già operante, sebbene con errori enormi e incultura profonda, l’area Metropolitana di Reggio, e a nord si vorrebbe costruire la grande Cosenza, cosa che considero assai utile), la grande e felice opportunità per noi di realizzare nell’area centrale, per quella vocazione di cui ho detto sopra, un’area ancora più forte di quella metropolitana statuita per legge. Una realtà nuova e moderna, davvero originale, quale motore di un nuovo sviluppo della Calabria. Uno sviluppo che punti decisamente alla valorizzazione delle risorse peculiari e a quel rapporto tra economia e ricerca scientifica, garantito dalla nostra Università. Nostra nel senso che si trova all’interno di quest’aerea, ma che è e deve continuare essere Universita della Regione. Potrei aggiungere altre considerazioni. Ma ci sarà tempo e luogo e spazio per farle. Qui, in un articolo, non vi sono. Trovo piuttosto la possibilità di dire brevemente la mia idea più forte, che potrà dare più consistenza al progetto originario e maggiore determinazione alla nostra Città nel sostenerla.
Anche questa sarebbe nota per averla cantata in tutte le messe. In sintesi, la nuova Catanzaro c’è. Essa potrà sorgere nell’abbraccio e nella generosità. Nell’abbraccio che deve lanciare verso quel territorio da cui potrà nascere la Città della cultura e della Scienza, della Bellezza e della religiosità, delle multiculturalità e della storia intrecciata di tante storie. Il territorio che va da Squillace-Borgia fino a Taverna, la città del mare e dei monti. La Città della Magna Graecia e di Mattia Preti. Nella generosità, quella di offrire, per essere sanata e razionalizzata, mantenendosi catanzarese a tutti gli effetti, l’area fatta crescere male, cosiddetta di Germaneto.
Qui sono sorte e operano positivamente strutture e istituzioni e altre, come il nuovo ospedale il nuovo stadio, potrebbero sorgere presto, che sono a totale servizio di tutta la Calabria. Questa realtà, non deve più pesare solo sulle spalle del capoluogo ma deve essere, disponibile come dovremmo renderla, spazio Regione. E questo anche nella visione più coerente che il Capoluogo possa essere riconosciuto, quale Città speciale, per cui rinnovare la richiesta di una legge per il capoluogo. Si lavori su questo terreno. Con convinzione e visione politica. E insieme nasceranno la nuova area centrale sull’asse Lamezia-Catanzaro, la nuova area metropolitana, la nuova Lamezia, la nuova Catanzaro. E la nuova Calabria. (fc)