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L'OPINIONE / Franco Cimino: Mauro, l'attore, il rivoluzionario, il suo cinema di "periferia"

L’OPINIONE / Franco Cimino: Mauro, l’attore, il rivoluzionario, il suo cinema di “periferia”

di FRANCO CIMINOMauro Lamanna è un giovane catanzarese, che vive tra la sua Città e la Capitale, tra questa e tante parti del mondo. Specialmente, l’America latina. Lui fa l’incontrario, con il suo fraterno amico, amico anche mio, Pietro Monteverde, del viaggio che fanno la stragrande parte degli artisti italiani, che sognano le luci di Manhattan e i tappeti rossi di Hollywood. Cerca luoghi e culture che più somiglino, ovvero che meglio si rapportino, alla sua Calabria. E al Sud. Va (vanno)in cerca di Sud. Perché i Sud del mondo si somigliano tutti. E non solo nel paesaggio, ovunque paradisiaco e ovunque depredato.

Ma nelle persone. E nel rapporto che esse hanno con il potere, che prima le affama, poi li “analfabetizza”, infine li emargina. Non dai supermercati, si badi bene, ma dalle istituzioni. Li rende invisibili, le persone. E assai distanti da loro le istituzioni. Queste non sono, in Democrazia i gangli del potere, i tentacoli di una piovra. Sono i luoghi in cui si vive, si esercita( non si concede), la partecipazione. Infatti, storicamente, quasi antropologicamente, in quel paradiso violato, in quella parte del mondo, non c’è quasi mai Democrazia. C’è il Sud, e basta.

A volte il Sud, la Democrazia sembra averla, ma non ne beneficia. Non ne beneficia perché il potere quando è disgiunto dalla Politica, fa sempre le stesse cose. Regole o non regole, le fa. Perché esso si (im)pone sempre su tutto. E sempre con le stesse intenzioni le fa. Sempre con gli stessi “ garbati” modi, le fa. Non far pensare le singole persone, poi farle pensare all’unisono omologandoli al pensiero unico. Allontanarli dalle urne, un’altra correlata intenzione. Metterle insieme, come folla nei centri commerciali e tifosi allo stadio. Anonimi tutti, irriconoscibili e tra loro sconosciuti, sollecitati emotivamente da emozioni sconvolgenti: quel campione, la squadra che vince, quell’oggetto acquistabile quando poco prima sembrava irraggiungibile. Con gli stessi mezzi, il potere le fa. Una Università qui e là, purché molte nello stesso territorio, al contrario delle scuole sempre poche. Come le biblioteche. I campi sportivi. E, nascoste agli occhi, tante estese periferie urbane, dove manca totalmente tutto questo. E, per non far mancare proprio nulla di ciò che manca, le priva delle piazze, spesso, anche delle chiese. Di cinema e teatri, manco a parlarne. Si somigliano tutte le periferie. Si somigliano tutti i sud del mondo.

Le periferie e i sud dicono, sia pure con linguaggi differenti (le lingue non c’entrano), la stessa, elusa, verità. E, cioè, che laddove tutto manca, la democrazia, costituita o no, pure manca. Anche in quelle regioni dove arrivano puntualmente le mance dello Stato, amorevole e paterno. Mauro Lamanna, che sulla sua spiccate intelligenza nutre un pensiero profondo, non fa il rivoluzionario. Non fa il capopopolo. Non il leader di un partito. E quale, tra l’altro, essendo spariti e la Politica e i partiti ormai da tempo? Non vuole fare né il rivoluzionario, né il missionario. Evidente che abbia le sue idee politiche e che senta la Politica. Basta poco per capirlo. Ma non oggi questo il suo campo. Oggi, qui, no. E non per pigrizia o convenienza. Non lo è perché lui è artista. Studia i testi teatrali e ne scrive pure. Recita sui palcoscenici e nei set. Si fa dirigere dai registi. E pure lui, dirige altri artisti. Gli basta solo essere questo. Perché se fai questo mestiere con passione, e applicazione anche di studio rigoroso, fai la più grande delle rivoluzioni.

Ché la rivoluzione è nella Parola, come ci insegna un certo Signore che la storia colloca in un tempo distante dal nostro solo duemila e ventitré anni. Si fa anche con le parole, quelle buone, in quanto vere e sincere. Colte e profonde. Parole poetiche e profetiche. Come ci insegnano gli scrittori e i poeti, i cantastorie e i cantautori di poesie, i testi di letteratura e di teatro. Come ci dice, insegnando, il Teatro. E il Cinema. Come ci dicono i registi. E gli attori. Come ci ha detto e ci vuole ancora dire Mauro Lamanna. Chi ha paura delle parole? Gli stessi che hanno paura della Parola. E da due secoli almeno. Chi sono? Quelli del potere senza la Politica, gli uomini che governano senza intellettualità e moralità che li ispiri. Ma costoro sono pochi per quanto potenti e arroganti. Occorrono altri. Tanti altri. I più minacciosi e i più efficaci. Sono i prepotenti, pochi ma determinati. I prepotenti che “comandano” nelle periferie. Certo gli ‘ndranghetisti e i mafiosi, ma non solo quelli, ché i signorotti di periferie sono i bulli della “cretineria”. Ma neppure loro, messi insieme, bastano. Perché le periferie siano “ isole felici”, ne occorrono molti di più. Contagiosamente moltiplicatori e moltiplicati in continuazione. Delle parole hanno paura gli ignoranti. Maggiormente l’ignoranza, che, a sistema, li sforna.

Prepotenza, comunque mascherata, ignoranza, in qualsiasi modo manifesta, temono le parole. Ma esse da sole non ce la farebbero a sconfiggere le parole. Hanno bisogno di un pubblico più vasto, il popolo dei rassegnati. Quello di chi non ha più fiducia in nulla. Neppure in sé stessi, individualmente considerati. È il popolo dei senza parola. Quello che ha consumato le parole e ritiene bugiarde e ingannevoli quelle che ascolta. Tutto questo non vuole sentirle, le parole. Le buone. Le nuove. E, però, non riescono a intimorirle, quando sono pronunciate da voci buone. Neppure a farle arretrare. Non ce la farebbero a farle “scappare”. Ché le parole non si fanno mute. Si fermano, per prudenza. Se necessario, si allontanano, per pazienza. Le parole, infatti, sono accesse, di passione. E sono calme, per ragione. Sono tra i pochi strumenti umani che sanno mettere insieme, e contemporaneamente, testa e cuore, pensieri sentimenti.

Mauro Lamanna, con la sua “ impresa” Divina Mania, ha portato la rassegna “Schermi”, il cinema all’aperto dalle pareti attrezzate di un camioncino, nelle periferie della nostra Città. Lo ha fatto da attore colto, da ragazzo bello, da catanzarese autentico. L’ha fatto, con i suoi amici, da intellettuale che crede che con l’informazione, l’istruzione e la cultura, si possa cambiare il mondo. A partire dalla sua parte più fragile, le periferie. L’ha fatto da amante del Cinema, che crede che Teatro e Cinema, rappresentino il palcoscenico e il set dove chiunque possa salire per recitare la parte che la vita gli ha assegnato con il potere di poterla, con altri, riscrivere.

L’ha fatto da intellettuale che conosce la forza di contaminazione che il pensiero possiede, non come omologazione sullo stesso, bensì come stimolatore di quello altrui. L’ha fatto per portare il cinema in ogni luogo in cui non c’è, convinto che di questi ambiti la gente abbia bisogno, al pari delle scuole e delle chiese. E dei campetti sportivi, polidisciplinari. L’ha fatto per portare le parole, perché siano ascoltate e” riparlate”. L’ha fatto da ragazzo che chiede ai ragazzi di tutte le età di fare come lui, utilizzando gli strumenti di cui essi dispongono negli spazi in cui vivono. L’ha fatto, infine ma non per ultimare, da “rivoluzionario”, che persegue solo lo scopo del rivoluzionario.

Uno scopo che non costa nulla. Nè fatica, né paura di violenza o d’altro di più pericoloso. Cambiare il mondo. A partire dal nostro cortile e dalla nostra stretta strada. Adesso la parola torna alla politica, a cui particolarmente sono rivolte quelle e queste parole, le sue e le mie. E le tante mute degli uomini e delle donne, dei giovani e dei vecchi, delle periferie. Lunedì torneremo con lui all’Aranceto. E saremo in tanti, io spero. Ma non sarà una sfida. Non sarà una provocazione. Non sarà un cinema contro. Lunedì sera, alle ventuno, sarà una serata di immagini e parole. Una serena, calda, serata d’amore. Una serata bella. (fc)