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Nicola Gratteri ospite del podcast "Muschio Selvaggio" di Fedez e Luis Sal

Nicola Gratteri ospite del podcast “Muschio Selvaggio” di Fedez e Luis Sal

di MARIACHIARA MONACOFedez e Luis Sal, nel loro podcast Muschio selvaggio, seguito da una vasta platea di giovani e giovanissimi, hanno ospitato il Procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, figura di grande rilievo nella lotta al crimine organizzato, e non solo, visto che insieme al dott. Antonio Nicaso, hanno dato vita a numerosi libri improntati sul fenomeno mafioso, anche per i più piccoli (come il volume intitolato Non chiamateli eroi), perché la legalità non ha età. 

«Parlare ai giovani è molto importante, quando posso, vado sempre nelle scuole, non solo per far conoscere e per parlare del fenomeno mafioso che attanaglia ormai ogni angolo del mondo, ma anche perché la comunicazione è fondamentale, e aiuta a prevenire numerose situazioni spiacevoli».

Per il magistrato è fondamentale quindi dare un’alternativa alle nuove generazioni, che devono avere sempre la possibilità di scegliere da che parte stare, nel bene o nel male.

Diversi i temi affrontati dai due conduttori, a partire da quella che è considerata la mafia più potente al mondo, che fattura più di 50 milioni di euro l’anno, ovvero la ‘ndrangheta, che si differenzia ed è più potente delle altre, perché mentre Riina preparava la guerra allo Stato, la mafia calabrese intavolava accordi con gli uomini delle istituzioni, con la politica, e con il mondo delle professioni.

«Questo è stato possibile quando nel ’70, hanno avuto la grande intuizione di creare la Santa, la prima dote della società maggiore, che consente ad un soggetto la doppia affiliazione (nella ‘ndrangheta e nella massoneria deviata). Attraverso la massoneria deviata si gestisce il potere clientelare, vero cancro della società contemporanea», afferma Gratteri.

Non solo, la mafia calabrese inizia a finanziarsi con i sequestri di persona, in un periodo storico complesso per l’intero paese, “distratto” dal terrore rosso, che non perdeva occasione per gambizzare uomini politici, giornalisti, magistrati, industriali. Agendo sotto traccia, la ‘ndrangheta operò quasi indisturbata, scegliendo accuratamente le personalità da rapire, e chiedendo un lauto riscatto. Tutto questo avveniva in un triangolo di circa venti chilometri, nella parte più interna della regione, ai piedi dell’Aspromonte.

Con la montagna di soldi che riuscivano ad ottenere, i criminali, acquistavano beni materiali per affermare la loro grandezza, e perché no, per appagare il loro ego, allo stesso tempo avviarono numerose attività imprenditoriali soprattutto nel settore edilizio.

«Vent’anni dopo però – spiega Gratteri – mentre Cosa Nostra era ancora impegnata a combattere lo Stato pensando di dettare l’agenda, la ‘ndrangheta aveva capito che la società stava cambiando, e con essa cambiavano i costumi, i gusti, le multinazionali iniziarono il processo di omologazione che conosciamo ancora oggi. Stava cambiando anche il modo di drogarsi, e iniziò ad esserci una grande richiesta di cocaina, così senza perdere tempo, le famiglie più influenti, mandarono ragazzi in Sud America, a comprare cocaina al prezzo più basso, sono stati i primi in Europa ed hanno saturato il mercato».

C’era qualcosa di più importante del sangue versato e della lotta fra clan: il potere decisionale (la ‘ndrangheta è l’unica mafia che compra cocaina nella foresta Amazzonica a mille euro al chilo, con un principio attivo del 98%).

Si è poi ricordata la strage di Duisburg, una vera e propria lotta fra famiglie, nata a causa di uno scherzo di carnevale finito male, che però per un periodo piuttosto lungo puntò i riflettori sul fenomeno criminale organizzato, che prima di allora, all’estero facevano finta di non vedere.

Eppure la Germania è il secondo paese con il più alto numero d’intensità ‘ndranghetista d’Europa, risultato frutto di una legislazione favorevole, che anziché allontanare, avvicina il crimine. Insomma, un paradiso fiscale, più che terrestre per aguzzini senza scrupoli, che non hanno faticato nemmeno un po’ nel diventare broker di primo livello.

«Questo non avviene solo nella vicina Europa, ma anche in Australia, negli Usa, in Canada. Pure nel Nord Italia, molte attività commerciali, il mondo della grande distribuzione, della ristorazione, vengono gestiti da prestanome, dei cani al guinzaglio che eseguono gli ordini del padrone».

Si tratta di un sistema, che possiede un codice, un tribunale, e che soprattutto si nutre di simboli e di regole, una delle più importanti è: uccidere durante i giorni di festa, in modo tale che il trauma resti per sempre, e non lasci scampo a coloro che devastati dal dolore, piangono un altro morto ammazzato.

Un racconto interessante, che tramuta in un’attenta riflessione sull’uomo. Perché Nicola Gratteri, è sì un grande magistrato, ma è soprattutto un uomo che per combattere il cancro della criminalità, ha rinunciato alle cose più semplici che ognuno di noi compie nella propria quotidianità, come andare al supermercato, in chiesa, oppure una semplice passeggiata con il cane.

Si definisce scherzosamente un “Esperto agricoltore infiltrato in magistratura”: «Di domenica faccio agricoltura biologica, ho il mio orto, i miei animali. La natura per me è sinonimo di libertà, è la mia terapia. Provengo da una famiglia di contadini, avevamo ulivi, grano, dovevamo essere autosufficienti per tutto l’anno».

Ha la scorta dal 1980, ed ogni suo spostamento è controllato dagli uomini delle forze dell’ordine 24 ore su 24. Egli confessa che nell’ ’89 mentre stava svolgendo delle indagini molto importanti, una sera spararono alla finestra dell’abitazione della fidanzata (sua attuale moglie), dicendole che avrebbe sposato un uomo morto.

«Nonostante i numerosi attentati annunciati contro di me e la mia famiglia, continuo a fare il mio lavoro, e credo ci sia maggiore fiducia nella gente. Una volta a settimana, di pomeriggio, faccio ricevimento e molte persone vengono a denunciare estorsioni, sottomissioni, usure. Credo che le persone non siano omertose, semplicemente non sanno con chi parlare».

Nel 2014, Renzi le aveva proposto il ministero della giustizia? 

«Conoscevo l’allora ministro per gli affari regionali Delrio, molto vicino a Matteo Renzi, che sì, mi aveva proposto di fare il ministro, io all’inizio tentennai, perché per fare le rivoluzioni ci vuole gente nuova. Comunque sia, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, non accettò la proposta di Renzi».

Insomma, la stanza dei bottoni non si aprì per il Procuratore, che però, non si astiene nel rispondere all’ultima domanda, prima di lasciare la trasmissione.

Qual è la ricetta per curare le ferite ancora aperte del paese? 

«La prima ricetta è la velocizzazione e l’informatizzazione del processo penale e non solo, poi la seconda è l’istruzione. Affinché la scuola diventi più performante, soprattutto in contesti ad alto rischio criminale». (mm)