ESULTANZA E DEVOZIONE IN TUTTA LA REGIONE PER LA NOMINA VOLUTA DA PAPA FRANCESCO;
NON CHIAMATEMI EMINENZA: LA CALABRIA HA UN CARDINALE: DON MIMMO BATTAGLIA

NON CHIAMATEMI EMINENZA: LA CALABRIA
HA UN CARDINALE: DON MIMMO BATTAGLIA

di PINO NANOCommovente. È quasi straziante l’immagine di questo giovane sacerdote di periferia che sta è diventato Cardinale. Don Mimmo Battaglia che è qui, oggi, nel cuore della Basilica Vaticana, ai piedi dell’altare della Confessione nella Cappella di San Sebastiano, appare più solo che mai. Fantasma di sé stesso, la modestia fatta persona, la semplicità dichiarata e quasi irriverente di chi arriva da molto lontano. Lui era qui in attesa del “giudizio universale” della sua vita futura. “Vi prego, non chiamatemi Eminenza”. Lo guardo da lontano. L’uomo avanza lentamente verso il Papa per ricevere da Francesco l’imposizione della berretta, la consegna dell’anello e l’assegnazione del Titolo. Lo vedo commuoversi più volte, ma chi non lo farebbe? Lo sguardo basso, le mani strette in cerca di aiuto, il volto tirato, ma la fierezza di sempre. Deve essere un’emozione forte, e anche difficile da tradurre in parole scritte. Quello che ha ricevuto da Francesco sull’altare di San Pietro è il frutto reale della riconoscenza di Santa Madre Chiesa per tutto quello che lui ha fatto in favore degli ultimi nella sua terra natale, dove gli ultimi sono ancora la stragrande maggioranza, e dove lui ha vissuto da povero come loro. Attorno a lui migliaia di fedeli, tantissimi sono napoletani, perché don Mimmo è anche il loro Arcivescovo, ma tantissimi sono venuti dalla Calabria, Satriano, Catanzaro, Soverato, Chiaravalle, insomma la sua gente di sempre, i suoi vecchi amici di allora, i “poveri di Calabria” che non hanno mai smesso di considerarlo il loro Messia.

«La fragilità non è mai una sconfitta, ma un’opportunità per aprire il nostro cuore all’azione di Dio, per permettere alla sua grazia di entrare e trasformare le nostre vite».

È la fragilità che ci rende più umani, e, allo stesso tempo, più capaci di comprendere e amare gli altri, fino a “sacrificare tutto in nome dell’amore”.

Non è forse questo l’insegnamento del Vangelo? Non è forse questo ciò che il martire Gennaro ha vissuto sacrificando la propria vita per la fede in Cristo e per l’amore verso i suoi fratelli? Non è forse questo il più alto esempio di amore? Un amore che non conosce limiti, che è disposto a dare tutto, anche la vita, per il bene degli altri, un amore che non è solo un sentimento, ma un impegno concreto, una scelta di vita».

Dopo mezzo secolo, la Calabria torna ad essere presente in Concistoro con uno dei suoi figli più illustri. Prima di don Mimmo c’era stato Giuseppe Maria Sensi, originario di Cosenza, nominato cardinale da Paolo VI il 24 maggio del 1976, e morto all’età di 94 anni il 26 luglio 2001, dopo essere stato Nunzio Apostolico in Costa Rica dal 1955 al 1957, delegato apostolico in Palestina dal 1957 al 1962 e, infine, Nunzio Apostolico in Irlanda e in Portogallo fino al 1976.

Non so se posso dirlo, ma questa di don Mimmo Battaglia sembra davvero la trasposizione della favola del brutto anatroccolo che diventa cigno bellissimo del grande lago della vita.

Nel cuore della Basilica, dove questa mattina il nuovo cardinale di Satriano celebrerà messa insieme al Pontefice, risuona forte la sua preghiera, che è una poesia bellissima, scritta credo l’altra notte, la notte “prima degli esami”, e che lo racconta meglio di qualunque altra nota letteraria o giornalistica che si possa immaginare su don Mimmo. Leggiamola insieme.

«Eminenza buongiorno». Guai a chiamarlo “Eminenza”. «Sono semplicemente don Mimmo, ti prego». E tu rimani interdetto, perché da piccolo ti hanno insegnato che un cardinale è un “Ministro di Dio” e come tale va salutato e va trattato. Ma è lui che ha stravolto ogni canone possibile di confronto e di relazione con gli altri. Povero tra i poveri. Figura di un pastore prestato alla società come strumento di redenzione e di dialogo, uno di quei sacerdoti che per tutta la sua vita ha inseguito i più poveri per aiutarli, e per dare loro conforto. Uno di quelli che pareva essere destinato a rimanere per sempre e soltanto, e per tutta la vita, un profeta del dolore e della miseria, lui figlio del Sud del mondo, in una regione lontana come la Calabria e in una città così piena di problemi come Catanzaro. E invece, un giorno per uno strano gioco del destino il profeta dei poveri diventa vescovo. Anzi, diventa Arcivescovo di Napoli-Capitale del Sud. Da oggi anche Cardinale.

Una delle Omelie più intense e più suggestive di quelle pronunciate a Napoli da don Mimmo, nella sua veste di Arcivescovo di Napoli è il discorso recentissimo dedicato ai sacerdoti della sua nuova Curia, “Preti, seminatori, pellegrini e testimoni di speranza”. Era il Plenum del clero diocesano, 5 novembre scorso, e in questa preghiera pubblica don Mimmo racconta nei fatti quella che è stata poi la sua vita vera e la sua straordinaria missione pastorale da sacerdote e da prete di campagna.

«Ha senso la mia vita? Ha ancora un significato essere prete oggi? In questa notte che a volte sembra non finire è utile ancora essere vigili come le sentinelle di Isaia? Ne vale ancora la pena? Fratelli miei sono certo che la mia risposta convinta è anche la vostra: si, ne vale la pena, eccome!».

«Essere prete in questo tempo e in questo spazio vale la pena perché il nostro servizio diventa ancora più prezioso, come una fiamma che resiste al vento e continua ad illuminare la strada e a scaldare i cuori di chi non resiste al freddo. In un mondo che spesso assume uno sguardo superficiale, dimenticando il desiderio profondo che abita nell’uomo, e la sete immensa di un amore eterno che lo abita, il prete è colui che si gioca la vita per annunciare la fedeltà di un Amore più forte perfino della morte e di un’eternità che inizia già qui, su questa terra, nella misura in cui viviamo secondo il comandamento nuovo di Gesù, il comandamento dell’amore».

«Essere prete in questo tempo vale la pena perché significa costruire la pace non solo in un mondo lacerato da guerre e dilaniato dai conflitti ma nel cuore dell’uomo, che oggi sappiamo essere così complesso, ferito, affamato, da vivere una continua sofferenza, indecisione, che solo una Parola ferma e certa può donare».

«Sì, vale la pena essere prete perché questo tempo, questa nostra terra ha bisogno più che mai di servi della Parola, persone capaci di camminare sulle strade polverose dell’umanità, portando con sé il mistero di un Dio che si fa vicino, in ogni respiro, in ogni sguardo. Ed è lì, nel donarsi silenzioso del presbitero, che la Parola non sdegna di prendere corpo, fino a diventare pane spezzato, capace di nutrire e ridestare la vita in coloro che se ne nutrono».

Grazie don Mimmo. Grazie Eminenza. (pn)