di SANTO STRATI – Alla fine ha prevalso il buonsenso: Silvio Berlusconi ha sciolto definitivamente la riserva sulla sua candidatura e ieri sera ha comunicato che rinuncia a candidarsi alla Presidenza della Repubblica. Una scelta sicuramente sofferta, vista l’ambizione mai nascosta di poter conquistare il Colle, ma non ci sono i numeri e, probabilmente, una schiera di franchi tiratori (anche all’interno della coalizione di centro-destra) avrebbe fatto il resto, ossia una cocente sconfitta che avrebbe definitivamente fatto uscire di scena l’ex premier. Il quale, invece, con questa mossa spiazza il centrosinistra che, improvvisamente non ha più l’alibi del personaggio “scomodo e impresentabile” e si ritrova in grande affanno a proporre un qualsiasi nome che non rischi di venire impallinato come accadde per Franco Marini, prima, e Romano Prodi poi.
La verità è che il centrosinistra è oggi ancor più spiazzato anche a proporre Draghi, trovando sacche di resistenza nei Cinque Stelle di Governo che non nascondono il proprio rifiuto totale a sostenere l’attuale Presidente del Consiglio per farlo diventare il nuovo inquilino del Quirinale.
La cosa che più brucia e che gli italiani non riescono a digerire è che una maggioranza “Ursula” (trasversale, come quella che ha eletto la presidente della Commissione Europea), ovvero quasi completa negli schieramenti, ad eccezione dei Fratelli di Georgia Meloni, non riesca a mettersi attorno a un tavolo e “pescare” un nome condiviso, che sia di alto spessore e qualifichi ulteriormente la funzione di Presidente a fronte di una crisi, tra pandemia ed economia ballerina, che non si sa come andrà a finire.
La soluzione meno indolore (tranne che per Mattarella che ha già fatto gli scatoloni e ha detto chiaramente di non essere disponibile a un bis, anche se “a tempo” – modalità peraltro non prevista dalla Costituzione) sarebbe quella di mantenere – stante la pandemia, i problemi economici del Paese e le scadenze obbligate del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – lo status quo. Ovvero un bis di Mattarella e il premier Draghi che porta a termine la legislatura, continuando a farsi garante di fronte all’Europa e al mondo della solidità del Governo italiano e del mantenimento degli impegni assunti.
Ma è una soluzione troppo facile, troppo semplice e, comunque, si scontra con un preciso e risoluto rifiuto di Mattarella a proseguire nel mandato.
Come se ne esce? Troppi nomi si stanno accavallando, secondo la più vieta prassi partitica che vuole far pesare la propria parte, infischiandosene degli interessi reali del Paese. Ci vorrebbe un atto di coraggio, cominciando dalle prime ore di oggi e andando a oltranza fino a tarda notte, senza fermarsi se non dopo aver raggiunto un accordo definitivo che spazzi via le incertezze e la debolezza di una classe politica che mostra, ogni giorno di più, la propria inadeguatezza e la totale “incompetenza” nel gestire il rapporto con i cittadini. I quali – sia chiaro – non accettano più di essere presi in giro o, peggio, di venire stritolati da logiche di partito inaccettabili data la gravità della situazione.
Inutile fare nomi, anche se è facile prevedere che a questo punto Berlusconi vorrà riprendere in mano il boccino e svolgere il ruolo di king maker, sottraendolo all’ingenuo Salvini che già pensava di essere quello che, alla fine decide.
Deciderà, ancora una volta, Berlusconi e se la scelta non dovesse cadere su Draghi (soluzione molto probabile), l’unico personaggio in grado di risultare gradito a destra e a sinistra è Gianni Letta. Gentleman e uomo di Palazzo, gran cardinale Richelieu della politica italiana da oltre 50 anni, personalità di grande prestigio, a caratura internazionale.
Letta (senior) si schermisce portando avanti il problema dell’età (quest’anno compie 87 anni), ma in realtà ha la lucidità e la brillantezza che non hanno molti cinquantenni. La notte porterà consiglio? Gli italiani, ci sperano. (s)