CONTE SOTTRAE LA SANITÀ AI CALABRESI
FARE PRESTO, IL DECRETO È IMPUGNABILE

di SANTO STRATI – Beffati e traditi i calabresi, mortificata la Calabria e le sue competenze. Svilite le grandi capacità che eccellenti manager hanno da sempre saputo dimostrare. La proroga del già pessimo decreto Sanità Calabria è l’ultimo atto di una guerra silenziosa dichiarata alla Calabria dalla congrega dell’autonomia differenziata: è l’obiettivo, mascherato delle ricche regioni del Nord, quelle, per intenderci che aspettano di liberarsi della “zavorra” del Mezzogiorno e della sua “piagnucolante” popolazione. Quelle regioni, guarda caso, più colpite nella prima fase del coronavirus (Lombardia, Veneto ed Emilia) e oggi di nuovo sull’orlo dell’abisso di un nuovo incubo.

Quando l’incolpevole ministra Erika Stefani, ai primi di luglio dello scorso anno, su mandato di Salvini & company, aveva tentato di far passare il testo sull’autonomia differenziata, poco è mancato che venisse presa a fischi e irripetibili versacci: non era aria, ma lei non l’aveva capito, e aveva tentato di portare. a termine il delicato, quanto esplosivo incarico. Era il tempo del governo gialloverde, mancavano ancora diversi mesi al Papeete e alla salvinata di mezza estate che avrebbe cambiato profilo all’esecutivo. Quell’esecutivo che aveva come ministro della Salute la pentastellata Giulia Grillo. prima firmataria ed esecutrice convinta del decreto Sanità Calabria. Firmato in quel di Reggio, da un Consiglio dei ministri appositamente convocato in Calabria per fare passerella elettorale. Uno spot ai danni dei calabresi sbeffeggiati a casa propria, costretti a subire un provvedimento che peggiorava le cose anziché tentare di migliorarle. La Sanità usciva da otto anni di infelice e terribile commissariamento, con guasti al sistema già di per sé traballante assai, e ripiombava in un nuovo commissariamento, con precise esclusioni di manager locali, come se non ci fossero professionalità di altissimo livello in grado di gestire la Sanità.

Tutto è passato, tra amarezze, inefficaci manifestazioni di protesta (il sen. Marco Siclari ne guidò una davanti a Montecitorio), ma non ci fu verso di modificare neanche una virgola. Lo scorso settembre, quando, naturalmente neanche lontanamente si poteva pensare all’ondata pandemica che avrebbe travolto tutti, l’allora presidente della Regione Mario Oliverio aveva incontrato a Roma il nuovo ministro della Sanità, Roberto Speranza, ottenendo promesse, vaghe, ma era già un risultato, sulle modifiche che sarebbe stato il caso di apportare al famigerato decreto. Finita la legislatura, arrivato il Covid, è giunto alla scadenza naturale l’orribile testo normativo.

La presidente Jole Santelli aveva scritto un’accorata lettera il 13 settembre proprio a Speranza e al presidente Conte indicando le priorità da seguire proprio in vista della scadenza del decreto. Non è successo nulla, nonostante gli appelli, gli allarmi, gli avvisi che da ogni parte si sono levati contro la sola idea di una proroga che sarebbe stata non solo ingiusta ma sicuramente improponibile. E invece, invece è successo. Zitti zitti, a parte una clamorosa litigata all’ora di pranzo tra Speranza e il ministro dell’Economia Gualtieri per gli aspetti economici del decreto che ha fatto slittare il Consiglio dei ministri che doveva decidere, il provvedimento di proroga del decreto è passato, peggiorando ulteriormente la situazione. Si parla di 24 mesi (con l’opzione di rinnovo per altri 12) e di un supercommissario con poteri straordinari (forse magici?) in grado si sovrastare anche il presidente della Regione. Si è giustamente scatenato l’inferno contro il decreto che, in buona sostanza, autorizza il Governo a fare ciò che meglio crede della salute dei calabresi, indifferente a qualsiasi proposta o suggerimento che dovesse venire dalla regione. Una protesta vibrata ma che viene da una sola parte, la destra. Il deputato azzurro Francesco Cannizzaro (probabile e potenziale candidato a presidente della Regione) ha immediatamente chiesto la mobilitazione di tutti i sindaci della Calabria e dei parlamentari calabresi, tutti insieme in via trasversale, per opporsi al decreto e alla sua conversione in legge, anche magari ricorrendo alla giustizia amministrativa.

Da questo punto di vista Calabria.Live può riferire l’autorevole parere di un ex presidente del Tar secondo il quale il decreto è assolutamente impugnabile: «sembrano sussistere tutti i presupposti per impugnare quell’ibrido di decreto ministeriale». Quindi si può e si deve fare l’impugnazione davanti al Tar, al Consiglio di Stato, dovunque sia necessario perché questo obbrobrio non deve passare.

Ma, in attesa del ricorso al Tar, c’è una domanda che si fanno i calabresi:  dov’è la sinistra della regione? Dove sono i parlamentari, i consiglieri regionali, i sindaci, gli amministratori che se ne stanno in silenzio di fronte a questa mortificazione (ma sarebbe meglio parlare di vera e propria violenza) nei confronti dei calabresi? Non sono bastati i guasti di dieci anni di commissariamento a far capire che non è questa la strada da seguire: servono medici-manager in grado di interpretare le istanze del territorio e impegnare ogni risorsa per tutelare la salute dei cittadini: i commissari hanno lavorato solo con l’obiettivo di tagliare i costi, indipendentemente dalle nefaste prevedibili conseguenze. Con la salute, che è il bene primario di tutti i cittadini, non si possono fare considerazioni di natura economica e finanziaria, e invece risparmiare sui costi a spese del benessere dei cittadini è stata l’unica via seguita. E, del resto, si è visto cos’hanno fatto il commissario Cotticelli e i suoi gregari quando si chiedeva a giugno, da ogni parte, di provvedere a realizzare nuovi posti letto in terapia intensiva. Sapete quanti ne hanno realizzati al Grande Ospedale Metropolitano di Reggio? Appena sei, quando se ne potevano fare un centinaio (le risorse finanziarie c’erano e non sono state utilizzate). Questo perché a gestire la sanità non servono rispettabilissimi generali a riposo, ma necessitano competenze e capacità specifiche. Quando, in piena epidemia primaverile il Rettore dell’Università Magna Graecia Giovambattista De Sarro insisteva a trasformare in ospedale Covid Villa Bianca di Catanzaro (praticamente già pronta all’uso) qualcuno dei commissari (Zuccatelli, tanto per non fare nomi) ne fece una battaglia d’opinione riuscendo a spuntarla. E oggi stiamo a guardarci in giro e ascoltare sconsolati i medici che si stanno ammazzando di lavoro che quando provano a smistare in altri ospedali qualche ricoverato in terapia intensiva si sentono rispondere in maniera ancora più sconsolata: i posti ci sono, ma non abbiamo il personale.

Le somme è facile tirarle, a questo punto: servono assunzioni immediate di medici e infermieri e invece nel Palazzi del potere, stanno a discutere dei compensi e delle spese di trasferta dei futuri commissari che verranno a “regnare” nella Calabria rassegnata. Marco Siclari, il senatore reggino che per primo, quando pochi intuirono la gravità di ciò che sarebbe accaduto, chiedeva mascherine per tutti e assunzioni di medici per prevenire il virus, (nessuno però gli diede ascolto), provocatoriamente lancia il nome di Guido Bertolaso come commissario straordinario a costi zero. Ma la sua voce, assieme a quella di tutta la destra, si perde nell’assordante silenzio dei dem e della sinistra calabrese che, cinicamente – dobbiamo pensare – coglie solo l’occasione della zona rossa (giustificata da carenze strutturali nella sanità e non decisa per numero di contagi) per fare campagna elettorale: «i guasti della sanità li ha provocati il governo di destra.

Molto sintetico il senatore Ernesto Magorno sulla zona rossa: «le responsabilità non possono che essere ascritte all’operato della Giunta Regionale che, pur avendo avuto risorse per oltre 80 milioni di euro dal Governo, non è intervenuta in modo da mettersi in linea con quelle che erano le esigenze per affrontare al meglio la seconda ondata di contagi». E del decreto Sanità, sen. Magorno cosa dice? E il vicepresidente del Consiglio regionale Nicola Irto gli fa eco: «dove sono i posti in terapia intensiva annunciati nei mesi passati? In tutti questi anni, sulla sanità, si è parlato a vanvera fin troppo. E lo stesso sta avvenendo nelle ultime ore. Siamo arrivati al punto di non ritorno dopo dieci anni di commissariamento che non sono serviti a nulla. La cura in sé si è rivelata sbagliata. Probabilmente peggiore del male». E sul decreto sanità? Neanche una parola. Lo stesso vale per i parlamentari, i consiglieri regionali, i sindaci, etc. Si parla solo di zona rossa che è un buon pretesto per aizzare la folla. La campagna elettorale per Germaneto, ahimè, è iniziata nel peggiore dei modi. (s)

DPCM E COVID: LA CALABRIA ZONA ROSSA
IL DRAMMA VERO DI INVISIBILI ED ESCLUSI

di SANTO STRATI – Un bollettino ufficiale della Regione corretto di corsa tarda sera, dove – ops! – si scopre che i ricoverati in terapia intensiva sono solo dieci e non 26. Ma come si può tollerare che avvengano errori di questo genere che sconvolgono la valutazione che sta alla base delle decisioni sul lockdown regionale? Di fatto, la Calabria è stata dichiarata ieri sera in diretta dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte “zona rossa”: un provvedimento più a titolo cautelativo che dettato dalla situazione dei contagi che sono ancora abbastanza limitati rispetto ad altre parti d’Italia. E in più ogni giorno di più registriamo norme arruffate e confuse, dpcm che si susseguono senza che nessuno cerchi di omogeneizzare le disposizioni con chiarezza per non far cadere nello sconforto gran parte della popolazione. C’è comunque una categoria che nello sconforto vive ormai dal 10 marzo scorso, dall’inizio del primo lockdown: quella dei cosiddetti invisibili e degli esclusi, ovvero tutti coloro che non rientrano tra i provvedimenti di ristoro delle perdite e di aiuto finanziario perché il loro codice Ateco (la classificazione burocratica delle categorie produttive) non figura nei provvedimenti del Governo. E non parliamo di invisibili riferendoci a quanti fanno lavoro in nero (e sono ugualmente tanti e lasciati, anche loro, alla più totale disperazione per cercare vie di sopravvivenza), ma di imprenditori e lavoratori autonomi che pagano le tasse, versano i contributi, occupano dipendenti. Semplicemente, come per gli “esclusi”, poiché il loro codice Ateco non è tra quelli previsti non hanno beccato un centesimo di aiuto e non lo riceveranno neanche adesso, alla vigilia dell’inevitabile (sperando parziale) lockdown. In altre parole, la burocrazia vince ancora una volta sul buon senso e i provvedimenti via via varati rivelano che a compilare i vari dpcm (mica li scrive il premier Conte) siano algidi funzionari che vivono in un’altra realtà, non conoscono le dinamiche dell’economia reale, ignorano totalmente come funziona la filiera produttiva in Italia.

Quando si bloccano, per esempio, i locali per i ricevimenti (abitualmente destinati ai ricevimenti nuziali) non si ferma solo l’attività del gestore del locale che, in ogni caso, ha dipendenti (cuochi, camerieri, lavapiatti, etc) e fornitori da pagare, ma si elimina ogni forma di reddito a chi produce e confeziona bomboniere, a parrucchieri, fotografi, fiorai, tipografi (le partecipazioni), musicisti e via discorrendo. Si chiama filiera, ma i nostri diligenti funzionari di Palazzo Chigi, probabilmente, lo ignorano. E lo stesso discorso vale per il bar, il ristorante, la pasticceria, la pizzeria a taglio: per ognuno di loro c’è un esercito di “invisibili” che non ha alcuna tutela. I menu da stampare, la manutenzione dei registratori di cassa, di frigoriferi e attrezzature, fiorai (per chi fa trovare un apprezzato fiore reciso nel minivaso sul tavolo), le agenzie di pubblicità che producono biglietti e volantini, agenti di commercio, etc.

Insomma, nel momento in cui il Governo decide – come ha fatto nella prima fase della pandemia – di chiudere e fermare le attività lavorative, deve necessariamente provvedere a ristorare, prima di imporre le chiusure, le perdite a tutti coloro che le subiscono. E quando si dice tutti si deve intendere tutti non solo quelli individuati dal codice Ateco. L’esperienza dei mesi marzo/aprile è stata davvero infelice, anzi diciamo meglio, disastrosa. E, purtroppo, il Governo sembra intenzionato a proseguire su questa strada, dimenticando per strada migliaia e migliaia di imprese e di lavoratori. L’esecutivo continua a rassicurare che gli aiuti «arriveranno a tutte le categorie interessate dalle misure restrittive» ma ha stanziato appena 50 milioni come fondo d’emergenza, pur avendo a disposizione 20 miliardi di extradeficit che non sono stati ancora utilizzati. Ebbene, il dl Ristori ha individuato 53 codici Ateco che devono ricevere gli aiuti, dimenticando chi magari, ha più bisogno degli altri: quella massa, appunto, di invisibili ed esclusi che, per intenderci, valgono qualcosa vicina a qualche decina di miliardi di fatturato aggiuntivo. Quindi, oltre al danno della cessazione forzata dell’attività si deve aggiungere la beffa di non poter contare neanche su un centesimo di aiuto. Si sono dimenticati completamente degli ambulanti e dei rappresentanti di commercio che sono rimasti praticamente fermi: niente bancarelle, niente ordini da trattare, ricevere, trasmettere alle aziende fornitrici. Un esercito di gente che lavora sulla propria pelle e che, molto spesso, non ha nemmeno coperture previdenziali e assicurative contro le malattie. Come si può tollerare tutto ciò?

Hanno promesso dal Governo che i soldi questa volta arriveranno “subito” (a partire dal 15 novembre), ma i più smaliziati sono già rassegnati ad aspettarsi il solito balletto di rito, col rimpallo delle responsabilità, senza che nessuno provveda a interrompere lo scempio. Servono soldi veri, non promesse né crediti di imposta (su quali tasse se l’attività non opera?), occorre una seria politica di intervento a favore di tutte le categorie coinvolte nelle chiusure obbligate: lo chiamino lockdown o come diavolo meglio credano, ma i nostro governanti non possono immaginare di ripetere l’insulso copione dei mesi primaverili. La lezione non è servita, non hanno imparato nulla e, anzi, la situazione rischia di diventare esplosiva non soltanto dal punto di vista sanitario, ma soprattutto sul piano sociale. C’è una sorta, perversa, di “induzione alla povertà” nei provvedimenti fin qui varati: si premia chi chiude e manda a casa i dipendenti (prende di più) rispetto a chi, ad ogni costo, tiene duro e cerca di superare la burrasca (prende di meno): è una politica di suicidio assistito delle aziende che non porterà a niente di buono, perché, nel momento in cui, cessano le attività finiscono anche le entrate dello Stato, questo è evidente. Eppure si continua a ipotizzare una distribuzione di “elemosine” a imprenditori coraggiosi che hanno investito nella propria attività, hanno creato ricchezza sul territorio, hanno offerto occupazione e benessere, e pagano tasse e contributi. A questi operatori viene negato ogni aiuto, a partire dal famoso decreto liquidità che le banche hanno utilizzato a proprio piacimento, negando il credito ad aziende che avevano bisogno di superare la crisi o dilatando oltre ogni ragionevole sopportazione i tempi di valutazione ed erogazione. Già perché, nonostante la crisi, in banca si continua a parlare di “valutazione” del rischio, nonostante i prestiti (ricordiamoci che sono prestiti, non sono soldi che non andranno restituiti) siano interamente garantiti dallo Stato. Significherà pure qualcosa che a fronte del tetto massimo di 30 mila euro “subito” l’erogazione media non non ha mai superato i due terzi, ovvero sempre al di sotto dei 20mila, perché i burocratici conteggi in percentuale previsti per accedere al credito non hanno tenuto conto che il 2019 non è stato un anno brillante.

E, invece, l’aiuto previsto a fondo perduto (soldi da non restituire) non basta a mantenere in piedi un’attività che già è stata duramente messa alla prova dai 70 giorni di lockdown primaverile. E, come se non bastasse, ricordiamoci quanto hanno speso i vari ristoratori, esercenti di bar e pasticceria, i negozianti, per dotarsi dei dispositivi di distanziamento imposti dai vari dpcm; per la fortuna delle aziende che lavorano il plexiglas e producono il gel antibatterico o altri dispositivi: divisori trasparenti, separé per dividere i tavoli, adeguamenti igienici e dispensatori di gel. C’è chi ha fatto miracoli di architettura, tagliando posti a sedere, pur di garantire il servizio ai clienti e cercare di tenere in piedi l’attività e, soprattutto, non mandare a casa alcuno dei dipendenti. A questi imprenditori, con una faccia tosta da politico navigato, il presidente Conte, a nome dell’esecutivo che guida ha detto semplicemente «abbiamo scherzato», neanche fosse una partita a poker. Qui si sta giocando, però, col futuro di centinaia di migliaia di persone, da cui dipendono molte altre centinaia vite e famiglie, che improvvisamente si ritrovano senza lavoro e senza reddito. Non basta indignarsi, le Regioni devono battere i pugni sul tavolo, ma la terza Camera dello Stato (la conferenza Stato-regioni è chiaramente schierata contro il Mezzogiorno e la Calabria sconta più di tutti un divario ormai sempre più incolmabile nei servizi, nella sanità, nell’occupazione, nello sviluppo).

Allora c’è solo da immaginare un colpo d’ala, un cambiamento repentino di rotta, dove le valutazioni su chi bisogna aiutare non siano affidati a una ricerca sul database delle attività codificate dall’Ateco, bensì siano frutto della ragionevolezza e del contributo di idee di chi vive ogni giorno le difficoltà del mondo produttivo: Confcommercio, Confesercenti, Confartigianato possono fornire le cifre reali del disagio di quanti si ritrovano, dalla sera alla mattina, privati della loro dignità di lavoratori e di un reddito sudato giorno dopo giorno. Siamo in guerra con un nemico insidioso e che non solo distrugge vite umane, ma sta minando l’intero impianto della società civile e dei suoi attori principali, i lavoratori, siano essi dipendenti o imprenditori, la barca è in comune per tutti: senza aiuti reali, immediati e concreti, non si va da nessuna parte. E pensare che i soldi ci sono, il Governo è autorizzato sforare il deficit per salvare il Paese. Probabilmente sarebbe utile un “gabinetto di guerra” con la partecipazione di tutti: maggioranza e opposizione per prendere coraggiosi provvedimenti per fermare la nuova povertà che avanza a ritmi spaventosi e salvare il Paese da un disastro che appare comunque evitabile. Ma a Palazzo Chigi e dintorni, nei Palazzi del potere, non si decide, si impone, come se i cittadini fossero improvvisamente diventati. sudditi cui infliggere persino lo stato di “schiavitù” intellettuale: è questo il problema, oggi, del Paese. Non abbiamo governanti, ma dilettanti allo sbaraglio che si muovono per improvvisazione e qualunque cosa facciano producono danni, perché non cercano e soprattutto non ascoltano le competenze e le capacità che sicuramente non mancano in un Paese che sta smarrendo se stesso, irrimediabilmente. (s)

Nella foto di copertina: lo speciale dedicato da Mattino 5 ieri mattina alla situazione della sanità in Calabria. A destra il prof. Raffaele Bruno infettivologo calabrese del San Matteo di Pavia, il prof. Matteo Bassetti del San Martino di Genova e dott. Antonio Talesa responsabile del 118 calabrese durante il collegamento su Canale 5

Giuseppe Nucera: azione legale contro il Governo per i guasti della Sanità in Calabria

L’ex presidente degli industriali reggini, l’imprenditore turistico Giuseppe Nucera, ha annunciato un’azione legale sia in sede civile che penale nei confronti del Governo pe ri guasi provocati da dieci anni di acommissariamento della Sanità in Calabria, la cui responsabilità ricade nell’esecutivo. Il leader dl movimento La Calabria che vogliamo  mette in guardia sulla crisi che andrà ad abbattersi in modo irreversibile sul comparto del turismo: non verrà più un turista in Calabria, dice sconsolato Nucera. «Le misure inserite all’interno del nuovo Dpcm vedono diventare la Calabria ‘Zona Rossa’, con restrizioni e ulteriori chiusure di attività». Giuseppe Nucera non ci sta e invita il popolo calabrese a manifestare contro misure stringenti che rischiano di disastrare ulteriormente una regione già in grande difficoltà.

«La Calabria – ha dichiarato – si trova ad un passo dal baratro per colpa di una politica incapace. Gli amministratori locali e nazionali con la loro insipienza stanno distruggendo una regione. Per fortuna la nostra regione sin da marzo si è sempre contraddistinta per essere una delle meno colpite dal Covid-19, la possibile chiusura arriva non per una reale emergenza ma perché non si è fatto nulla per aumentare i posti di terapia intensiva negli ultimi mesi. Anni di commissariamento non sono serviti a nulla se non a peggiorare la situazione di una sanità già a pezzi. Questo rischia di essere il colpo di grazia per l’economia della nostra regione. I dati relativi ai contagi vedono la nostra regione sin dall’inizio della pandemia come la meno colpita d’Europa, non a caso la Germania aveva inserito la Calabria tra i luoghi sicuri da visitare. Adesso arriva questa scelta scellerata, figlia dell’incapacità amministrativa della classe politica regionale e nazionale. Non ci sarà attività economica che potrà resistere ad una nuova serrata, il nostro territorio già in ginocchio rischia di subire adesso la mazzata definitiva per colpa dell’imbarazzante incapacità della politica regionale e nazionale.

«Abbiamo dato incarico all’Avv. Francesco Palmeri di predisporre gli atti e procedere sia in sede penale che civile davanti ai giudici perché condannino il capo del Governo ed i Commissari che da 10 anni gestiscono la sanita’ in Calabria al risarcimento degli ingenti danni che la loro condotta provoca alle popolazioni ed alle imprese calabresi”, conclude l’ex Presidente di Confindustria Rc». (rp)

SANITÀ, QUANTE INASCOLTATE PROPOSTE!
DA COVID FREE ORA REGIONE A RISCHIO 4

Da regione Covid-free (o quasi, a parte l’ottimistica e generosa visione dei tedeschi di qualche giorno fa) la Calabria si avvia inesorabilmente a diventare area a rischio 4, dove il rosso che marchia le regioni in grave situazione di pericolo non corrisponde alla vergogna che i nostri governanti dovrebbero mostrare nei confronti dei calabresi. Anni di commissariamenti continui, un disastro per la già disastrata sanità calabrese, per arrivare a maggio dello scorso anno al trionfo dell’inutilità, con danno e ulteriore beffa per i cittadini di questo difficile territorio, il decreto Calabria. Votato e presentato in pompa magna a Reggio come panacea di tutti i mali, si è rivelato un nuovo disastro e, quel che è peggio, il Governo si avvia a prorogarlo con la nomina di un supercommissario.

Eppure, sette mesi fa un gruppo di medici, scienziati, specialisti ed esponenti della società civile, aveva presentato al ministro della Salute Roberto Speranza un documento con proposte operative, per fronteggiare la crisi Covid di cui ancora non si era capita la portata. C’era – come c’è tuttora – un problema sanità in Calabria e le soluzioni indicate sette mesi fa avrebbero aiutato non poco ad affrontare in maniera diversa questa nuova ondata di pandemia. Il gruppo di lavoro, però, non demorde e risponde “al presente per preparare al futuro” con un nuovo documento che i calabresi dovrebbero fare proprio e spingere perché trovino accoglienza adeguata presso chi ha la responsabilità non solo sanitaria, ma anche politica nei confronti di una terra e del suo popolo, i calabresi che non tollerano più di essere cittadini di serie B. È un documento da leggere con attenzione che la stessa Regione dovrebbe acquisire come base di discussione per non accettare supinamente, ancora una volta, scelte sbagliate nel campo della sanità.

«Desideriamo rilanciare – si legge nel documento predisposto da Comunità Competente, un organismo indipendente guidato dal medico Rubens Curia e sottoscritto da numerosi esponenti della società civile – una serie di proposte che da 7 mesi abbiamo rivolto, parzialmente ascoltati, ai governi nazionale e regionale e al Commissario per il “Piano di rientro” perché, oggi, non c’è più tempo da perdere! È necessario attivare misure immediate che tutelino la salute dei calabresi e sostengano gli operatori sanitari impegnati in questa difficile battaglia. Già il governo Conte con i Decreti 14/20, 18/20 e 34/20 della primavera scorsa aveva perentoriamente indicato alle Regioni come contrastare la Pandemia provocata dal COVID 19, che ha messo in crisi un’organizzazione della sanità ospedalocentrica obbligando, finalmente, a modificare la cifra culturale e organizzativa della sanità valorizzando la Medicina d’iniziativa e di prossimità che pone al centro il paziente e i suoi bisogni di salute, con un forte ruolo della Medicina Territoriale e della Prevenzione. Ciò avrebbe consentito ai Presidi Ospedalieri di curare gli acuti, di sviluppare le specializzazioni, di fare ricerca senza dover surrogare le manchevolezze della Medicina Distrettuale.

«Purtroppo – si legge nel documento che porta le firme tra gli altri di don Giacomo Panizza, Angelo Sposato (Cgil), Tonino Russo (Cisl), Susanna Quattrone (Confapi), Fausto Sposato (Opi), Francesco Esposito (Fismu), Amalia Bruni (Associazione Neurogenetica), Sissi Facciolà (Aism), etc –  la SARS COV 2 ha trovato la sanità calabrese sfiancata da un Commissariamento decennale governato prevalentemente dal Ministero della Economia e Finanze impegnato in un risanamento finanziario che, tra l’altro, non è stato raggiunto e con debiti verso i fornitori che superano il miliardo e 100 milioni di euro che producono cospicui interessi di mora dovuti, anche, ad Aziende Sanitarie che non rispettano i tempi previsti dall’Indicatore di Tempestività di Pagamento (ITP) con ritardi fino a 946 giorni.

Chiediamo con forza che i fornitori di merci e servizi siano pagati immediatamente per consentire che si possa arginare la crisi economica acuita dalla Pandemia. Siamo consapevoli della gestione inquinata che ha accompagnato alcune ASP ma la corruzione non si combatte mettendo in difficoltà chi ha diritto ma creando amministrazioni competenti e trasparenti affinché l’abuso sia immediatamente visibile e sanzionabile.

Abbiamo una Medicina Territoriale “desertificata”. I medici di medicina generale reclamano da 11 anni un nuovo modello organizzativo basato sulle Aggregazioni Funzionali Territoriali (AFT) attive h12 e le Unità Complesse di Cure Primarie (UCCP) h 24 che, in questo momento drammatico, avrebbero svolto un ruolo importante.

Poco si è fatto! Nonostante il Gen. Cotticelli abbia autorizzato le Aziende Sanitarie, nel mese di dicembre 2019, ad attivare questi importanti modelli organizzativi dei MMG, dei Pediatri di libera scelta, degli specialisti ambulatoriali, dei Medici di Continuità Assistenziale e degli Infermieri.  

Chiediamo perciò che i Commissari attivino subito le AFT e le UCCP!

In 11 anni di Commissariamento le Case della salute esistono ancora solo sulla carta, i Consultori Familiari, la Neuropsichiatria Infantile, i Servizi delle Dipendenze patologiche e di Salute Mentale sono fortemente carenti di personale: mancano le ostetriche, il 70% di assistenti sociali, il 75% di psicologi psicoterapeutici con un aumento, tra l’altro, della richiesta di prestazioni negli ultimi 9 mesi pari al 60%.

Gli specialisti ambulatoriali interni, sempre meno in alcune Aziende Sanitarie, operano nei Poliambulatori senza adeguate apparecchiature sanitarie. Eppure la Calabria è la regione con la più alta percentuale (23,8%) di persone con almeno 2 patologie croniche, abbiamo il tasso standardizzato più elevato di persone assistite presso Strutture Psichiatriche (255,1 per 10.000 abitanti contro la media nazionale che è di 155,2) e l’aspettativa di vita in buona salute (52 anni) tra le più basse d’Italia contro i 69 anni della p.a. di Bolzano.

Nella stessa situazione versano i nostri Ospedali con un blocco delle assunzioni, che negli anni ha causato una perdita di 4.000 unità di personale, con apparecchiature medicali, in molti casi, obsolete e nuovi ospedali attesi da oltre 13 anni.

Un capitolo a parte meritano gli infermieri, la cui carenza li sta sottoponendo a turni massacranti, eppure i fondi per le assunzioni ci sono!

Lo stesso Decreto 34 del 19 maggio 2020 prevedeva finanziamenti finalizzati per assumere gli infermieri di famiglia e di comunità!

La situazione epidemiologica del Covid-19 impone a tutti i decisori politici di fare presto e bene, perché superato questo difficile momento i calabresi abbiano una sanità a misura di persona.

È necessario velocizzare la spesa acquistando con gli 86 milioni di euro, stanziati dalla legge 60/19, le apparecchiature sanitarie (TAC/ RMN/ PET/ Mammografi, Angiografi, ecc.), assumendo il relativo personale perché le apparecchiature possano funzionare a pieno regime, anche la domenica, per abbattere le liste d’attesa.

Attuare pienamente il DPGR n°25 del 29 marzo 2020 che prevedeva l’attivazione di 37 Unità Speciali di Continuità Assistenziale (USCA), equipe di medici e infermieri, con il fondamentale compito di tracciamento, di assistenza domiciliare del paziente Covid-19 positivo e altro che le Aziende hanno in parte disatteso pur avendo i finanziamenti finalizzati!

Attivare le AFT e le UCCP sul territorio dando un giusto ruolo, da protagonisti ai MMG, ai Pediatri di libera scelta agli Specialisti ambulatoriali, anche in questo caso ci sono le coperture finanziarie!

Implementare, finalmente, la Telemedicina e potenziare l’assistenza da stazione remota, tenuto conto dei fondi disponibili!

Potenziare la Rete dei Laboratori di Patologia Clinica nei Presidi Ospedalieri di Rossano, Paola, Lamezia Terme, Crotone, Vibo Valentia, Polistena e Locri al fine di processare il maggior numero di tamponi con l’assunzione del personale sanitario e tecnico: più efficiente è il tracciamento prima saranno isolati i positivi riducendo la probabilità di contagio!

È necessario – si legge nel documento – potenziare il servizio di emergenza – urgenza. L’assenza di medici ha messo in crisi un sistema essenziale per la salute dei cittadini: il SUEM 118 ed i Pronto Soccorsi, creando una situazione di disparità inaccettabile nello stesso territorio regionale che mina il diritto alla salute dei cittadini, con postazioni in tutto il territorio regionale che sono state de-medicalizzate.

Attuare il DCA 91 del 18 giugno e 104 del 29 luglio 2020 che disponeva che le Aziende Sanitarie incrementassero i posti letto delle Terapie Intensive di ulteriori 134 e di 136 delle Terapie Semintensive, che attuassero il restyling dei Pronto Soccorsi e l’acquisto delle ambulanze con fondi ad hoc pari a 51 milioni di euro, inoltre venisse assunto il personale medico, infermieristico e delle ambulanze dedicato tenuto conto di 7.688.336,91 milioni di euro finalizzati!

Bisogna rideterminare “i Piani del fabbisogno del personale delle Aziende Sanitarie”, come prevedeva il Decreto Conte n°14 del marzo 2020!!! Perché la Pandemia stava modificando alcuni bisogni di salute riferiti agli operatori sanitari dei Dipartimenti di Prevenzione, dei Laboratori di Patologia Clinica, delle Terapie Intensive e Semintensive dei Servizi di Radiologia!

Inoltre, il Decreto prevedeva l’aumento delle ore degli specialisti ambulatoriali per ridurre le Liste d’attesa e l’incremento delle Cure Domiciliari per diminuire l’accesso dei malati no COVID 19 negli ospedali ricordando che in Calabria risiedono 414.000 ultrasessantacinquenni molti dei quali soli.

Non possiamo lasciare indietro nessuno trasformando i nostri ospedali in fortini inespugnabili da parte dei pazienti no COVID. Ricordiamo che in questi ultimi mesi la mortalità per infarto è triplicata!

Per questo siamo attoniti davanti alla chiusura degli ambulatori che riteniamo un’azione che crea più problemi di quanti ne risolva.

Dobbiamo fare presto! Non si può navigare a vista con conflitti di competenze tra Istituzioni e mancati controlli del Commissario per il “Piano di rientro” nei riguardi delle inadempienze dei Commissari Aziendali che lui stesso ha nominato! In altri termini, chiediamo al Ministro Speranza di cambiare per rafforzare la struttura del Commissario rendendola capace di affrontare l’emergenza impostando quella riforma della sanità che tutti dicono di voler fare.

Chiediamo quindi competenza ma anche conoscenza della situazione calabrese aprendo un dialogo costante con chi lavora nella sanità sul territorio e nei presidi ospedalieri senza dimenticare il diritto di parola che spetta ai cittadini ed ai pazienti.

In questo grave momento è necessario innescare una risposta comune all’emergenza sanitaria partendo da una indispensabile larga unità per attuare le misure proposte e più volte assentite ma ancora non attuate dai decisori politici e amministrativi.

Persone, associazioni e comunità locali esigiamo un nuovo paradigma della salute, insieme alla comunità calabrese vogliamo segnali e servizi immediati perché il Covid-19 non aspetta!» (rrm)

 

Il presidente Tallini: ore cruciali per l’emergenza sanitaria, agire subito

Sono ore cruciali per l’emergenza sanitaria provocata dal ritorno della pandemia da covid: il presidente del Consiglio regionale Mimmo Tallini lancia un allarme perché non si indugi ulteriormente nelle iniziative da prendere per fronteggiare la crescita dei contagi.

«L’emergenza sanitaria che si sta configurando nella nostra regione – ha detto Tallini – rischia di diventare drammatica se si considera che, di fatto, rientriamo già nella fase 4, massimo grado in termine di gravità, indicata nel documento ‘Prevenzione e risposta a Covid 19’, redatto dal Ministero della salute e dall’Istituto Superiore di Sanità. D’altronde, le dichiarazioni dei primari degli ospedali di Catanzaro e Cosenza che annunciano la saturazione dei posti letto per il ricovero nei reparti di malattie infettive e manifestano la grande preoccupazione per i pochi posti rimasti nelle terapie intensive, gli operatori sanitari costretti a turni massacranti con i laboratori talmente ingolfati da processare solo una parte dei tamponi che ricevono ogni giorno, le ambulanze in fila nei pronto soccorso in attesa che si liberi un posto, preannunciano un quadro che diventerà apocalittico appena si manifesteranno le prime sindromi influenzali, la cui sintomatologia, essendo sovrapponibile a quella espressa dal virus Covid 19, porterà i cittadini ad assaltare gli ospedali della nostra regione. Motivi per i quali – prosegue Tallini – chiediamo al Commissario alla sanità e al Dipartimento regionale di non tergiversare più un solo minuto nell’individuazione dei posti letto dove trattare i pazienti Covid che non necessitano di terapie intensive, attivando immediatamente le strutture pubbliche dismesse e se questo comporta tempi non compatibili con la pandemia in corso, utilizzare tutte le strutture pubbliche ex art.20 presenti nella nostra regione ed a seguire, se dovessero necessitare altri posti letto, le strutture private che si rendessero disponibili all’assistenza e alla sorveglianza dei pazienti Covid. Questo permetterebbe di risparmiare i posti letto degli Ospedali pubblici, costretti a rimodulare o chiudere interi reparti per ricoverare, solo per una sorveglianza attiva, i pazienti Covid, impedendo così l’attività ordinaria di ricoveri e terapie come se le altre patologie di colpo dovessero scomparire».

«Predisporre piani di assunzione straordinaria a tempo determinato per tutte le figure necessarie ad affrontare questa fase di grande emergenza, attivando e potenziando le USCA, sempre richiamate ma mai decollate, per una efficace gestione domiciliare dei pazienti a bassa intensità assistenziale. Queste sono ore cruciali – conclude il Presidente del Consiglio regionale – considerando che la curva epidemica continua a salire e che nessuno può stimare quando si arriverà al picco della stessa, per cercare di dare una risposta sanitaria seria, organizzata ed efficace alla popolazione della nostra regione». (rrc)

I medici di FP Cgil Calabria: garantire anche gli altri servizi di medicina e prevenzione

I medici calabresi aderenti a Funzione Pubblica-Cgil lanciano l’allarme sul rischio di mancata assistenza nei servizi non emergenziali e di prevenzione. «Vanno garantiti i servizi attraverso la sanità territoriale – sostengono in una nota Francesco Masotti segretario FP Medici e Alessandra Baldari segretario FP-Cgil Calabria –. L’emergenza legata alla pandemia da Covid-19 sta facendo esplodere inefficienze e contraddizioni, nonché scelte di politica sanitaria, caratterizzate in larga parte da palese inadeguatezza e dalla mancata conoscenza dei problemi della sanità calabrese. È bene sgomberare subito il campo dalle polemiche: qui non stiamo discutendo l’ordinanza (n.82 del 29.10.2020) con cui il presidente ff della giunta regionale, Nino Spirlì, sospende le attività differibili ambulatoriali e di ricovero, tutt’altro: è un provvedimento che un merito lo ha ed è quello di evitare di intasare ulteriormente gli ospedali per tutte le prestazioni ambulatoriali che non rivestono carattere di urgenza».

«Ma se volessimo inquadrare la questione – affermano Masotti e la Baldari – in un contesto più generale – e noi crediamo che ciò vada fatto per affrontare il problema alla radice – è altrettanto evidente che se prima non si rende efficiente la risposta sul territorio alla domanda di salute che proviene dai cittadini, il provvedimento della Regione altro non è che uno specchietto per le allodole, intempestivo e che crea confusione, nonché ulteriori disagi ai cittadini. Il nocciolo della questione, difatti, non sta nell’inibire temporaneamente una parte dei servizi differibili (espediente che in una fase emergenziale potrebbe anche essere necessario), ma risiede nella necessità di garantire i servizi non emergenziali e di prevenzione attraverso la sanità territoriale laddove invece agli ospedali è riservato il compito di curare gli acuti. Peraltro, occorre dire che tutte le attività ospedaliere che in questa fase saranno rinviate, presto o tardi andranno recuperate con inevitabili ripercussioni sulla tempistica e sulla qualità delle prestazioni e un inesorabile allungamento delle liste di attesa. Non per ultimo, va detto che la chiusura degli ambulatori ospedalieri avrebbe come conseguenza quella di orientare i cittadini a rivolgersi alle strutture private, creando ancora una volta discriminazioni sulla base di censo e di reddito. C’è poi il rischio che patologie già trascurate e magari in lista d’attesa con visite programmate proprio in questi giorni, resteranno ancora una volta prive di una risposta terapeutica, con il rischio concreto di aggravarsi e complicarsi».

Quanto alla necessità di riorganizzare la rete regionale ospedaliera, come peraltro previsto dai DCA 91 e 104 di giugno e luglio scorsi, «servono tempi celeri, se non immediati, da parte dei soggetti attuatori, compatibili con la fase emergenziale di questi e dei prossimi giorni. Ritorniamo, dunque, su quello che andiamo dicendo da mesi, ben prima della pandemia: la richiesta di una regia unica per l’assistenza ospedaliera organizzata su base provinciale o di area vasta da parte delle tre Aziende ospedaliere e, per l’assistenza territoriale/distrettuale e la prevenzione, in capo alle Aziende sanitarie. Infatti, in un sistema complesso, come quello Sanitario, è fondamentale che funzioni in sinergia la filiera di comando e la tempestiva attuazione di quanto disposto e ciò , in tempi di pandemia, non è una facoltà, ma un imperativo, per il momento assolutamente disatteso». (rcz)

“È un passaggio fondamentale nel tentativo di mettere ordine in un comparto in cui manca del tutto una (ri)organizzazione delle cure primarie e c’è un deficit di programmazione che non possiamo ricondurre alla presenza del Covid. Semmai, possiamo affermare che la pandemia in atto ha accelerato un processo già presente ed ha reso più urgente e indifferibile

l’adozione di adeguate contromisure che in tempi di pandemia possono assumere anche carattere straordinario. In questi mesi di emergenza- concludono Masotti e Baldari–  è emerso in maniera evidente come le politiche di definanziamento e precarizzazione che il sistema sanitario calabrese ha subito negli anni hanno portato alla diminuzione del personale e a un indebolimento del sistema stesso che, messo difronte ad eventi fortemente stressanti, sta mostrando chiari segni di cedimento. Se non si interviene immediatamente sulla programmazione dei servizi, sulla organizzazione del lavoro e sui processi di gestione del personale con un piano straordinario di assunzioni, corriamo il rischio di lasciare la nostra sanità alla deriva in un momento di profonda fragilità del sistema sanitario ospedaliero e territoriale”.

La Germania chiude all’Italia, con l’eccezione della Calabria (a basso rischio)

La Germania ha deciso di chiudere le frontiere agli arrivi dall’Italia, considerata zona ad alto rischio, con una eccezione che ci riguarda: i passeggeri in arrivo dalla Calabria sono esentati dalla quarantena. La nostra regione – secondo i sanitari e i politici tedeschi – è l’unica con un basso contagio. Nella black list inclusi Vaticano e San Marino. La Germania sta affrontando il periodo più cruciale dell’epidemia con oltre 18mila prognosi positive in più in sole 24 ore.

Altri Paesi sono stati indicati ad alto rischio: Bulgaria, Cipro, Croazia, Svolenia e Ungheria. Inoltre sono stat emesse in black lista anche alcune regioni di Danimarca, Lituania, Portogallo e Svezia. Nelle scorse settimane il Koch Institut aveva indicato 11 regioni italiane a rishcio: con oggi il divieto di ingresso – salvo presentazione di certificazione medica – riguarda tutte le regioni italiane, ad eccezione della Calabria.

Lo stesso discorso vale per i viaggi dei tedeschi all’estero: dal 1° novembre sono sconsigliati i viaggi in Italia, ad eccezione quelli con destinatazione Calabria. (rrm)

REGGIO – Rubens Curia nella task-force di Falcomatà

Il Sindaco di Reggio Giuseppe Falcomatà ha chiesto al dott. Rubens Curia, medico e apprezzato docente, di far parte della taske Force, istituita nella prima seduta del Consiglio Comunale, per contrastare il diffondersi della Pandemia da Covid 19 a Reggio.
«Ho accettato, con piacere – ha dichiarato Curia –, ringraziando il Sindaco, perché amo la mia città e cercherò di dare il mio contributo con passione». Curia è autore di un recente saggio Manuale per una riforma della Sanità in Calabria che ha messo in evidenza le criticità, mai superate, del servizio sanitario nella regione. È rappresentante dell’associazione Comunità Competente.
La taske force si insiederà a Palazzo San Giorgio, martedì 3 alle ore 10.00. (rrc)

COVID: REGGIO, L’URLO DEGLI ESERCENTI:
«L’ECONOMIA CALABRESE ANDRÀ A ROTOLI»

La manifestazione di oggi a piazza Duomo a Reggio Calabria è soltanto la prima di tante altre: a chiamare a raccolta artigiani, esercenti, commercianti, è la Confesercenti reggina affiancata dall’Apar, l’associazione pasticceri reggini guidata dal presidente nazionale Angelo Musolino, e l’associazione ImprendiSud, per far sentire la voce di chi si sente penalizzato nel proseguimento della sua attività dalle – sacrosante – misure anticovid varate dal Governo. Ma non è solo Reggio, non è solo la Calabria: tutta l’Italia che lavora trasmette un’ansia di non facile attenuazione. Nella nostra regione, poi la situazione economica già di per sé difficile rende tutto più complicato.

La chiusura parziale di ristoranti, bar, pizzerie, gelaterie e pub fa, difatti, tremare la Calabria. Con il nuovo Dpcm, infatti, se i pubblici esercizi possono restare aperti fino alle 18 (con possibilità di allungare fino a mezzanotte per i soli servizi di asporto), le palestre, i centri sportivi, le piscine e le attività legate allo spettacolo sono, invece, completamente chiuse.

Un quadro preoccupante, che taglia le gambe alla ripresa, che si stava conquistando a piccoli passi in Calabria, e che rischia di compromettere la già delicata quanto traballante economia regionale, se si considera che questi settori, come ha riportato Confcommercio Calabria, rappresentano l’8%  (18.175) delle localizzazioni di imprese attive nella nostra regione, che risultano essere 220.055 e impiegano il 10% (38.364) degli addetti complessivi, che rischia di lasciare un segno pesante sulla già fragile economia calabrese.

Particolarmente preoccupante, per Confcommercio, sono i pubblici esercizi, la cui chiusura imposta alle 18 «fa fuori la parte più rilevante del mercato»: quelli attivi, infatti, sono poco più di 15 mila, e «con i nuovi provvedimenti – si legge nel report – si stima una contrazione dei consumi compresa tra il 26,5% e il 32,6% che si tradurrà in una riduzione del fatturato superiore al 40% rispetto allo scorso anno», e  «più preoccupante è l’impatto che la chiusura comporta sull’intero indotto che rappresenta il 21% del tessuto economico complessivo della regione (45.348 localizzazioni) e impiega complessivamente 80.939 addetti (il 21% del totale). Tirando le somme, quindi, a risentire degli effetti di questi provvedimenti saranno, tra diretto e indotto, 63.523 localizzazioni (il 29% del totale) e 119.303 addetti (il 31% del totale)».

«La situazione è drammatica – ha dichiarato il presidente di Confcommercio Calabria, Klaus Algieri –. Le chiusure previste dal nuovo Dpcm rappresentano un peso insostenibile per pubblici esercizi, palestre, piscine e centri sportivi. Bisogna intervenire subito con misure concrete o il 40% delle imprese chiuderà definitivamente».

«È insensato – ha aggiunto – accanirsi contro questi settori. Se bar e ristoranti non rispettano le misure di sicurezza è giusto che vengano chiusi. Ma imporre la chiusura alle 18:00 per tutti indistintamente significa distruggere un’intera categoria, senza vantaggi per la collettività. Tuttalpiù significa ammettere di non essere in grado di fare i controlli.  Siamo sicuri che i problemi quindi siano i bar e ristoranti, le palestre, le piscine? Oppure i punti critici siano altri come i trasporti pubblici? Nelle città vediamo autobus, treni, metropolitane piene di gente che non rispetta alcun tipo di regola sul distanziamento. È lì che bisogna intervenire e ancora non lo si è fatto. Ma non è tempo di fare polemica, bisogna agire subito abbattendo i cavilli burocratici e garantendo in tempi stretti i sussidi necessari alle imprese che hanno chiuso e ai loro lavoratori per non scomparire».

«Servono, però – ha proseguito il presidente Algieri – indennizzi proporzionati alle perdite subite per mettere le aziende penalizzate dalla seconda crisi Covid nelle condizioni di superare il crollo di fatturato. Gli imprenditori di questi settori sono persone responsabili: hanno già fatto tanti sacrifici e rispettato tutte le regole e i protocolli sanitari. Ma non sono più in grado di reggere una situazione di questo genere. Basta mortificarli ulteriormente, facciamogli fare il loro lavoro».

«Va ripensato – ha concluso il presidente di Confcommercio Calabria – l’intero sistema di gestione dell’emergenza. Basta con provvedimenti generalizzati su tutto il territorio nazionale. È giunto il mondo di adottare misure territoriali che tengano conto del livello di contagio in ciascuna regione. Non trovo giusto che in Calabria, dove la situazione è sì, di emergenza, ma non ai livelli di altre regioni, si debba sottostare alle stesse imposizioni, pur essendoci condizioni per essere più flessibili».

Chiamati a raccolta dalla Fipe-Confcommercio, gli imprenditori sono scesi in piazza con una «protesta tanto ordinata e silenziosa quanto determinata»

Oltre 10 mila persone, nella giornata di ieri, si sono riunite nelle 24 piazze allestite in tutta Italia che, simbolicamente, hanno apparecchiato per terra, disponendo oltre 1000 coperti rovesciati a ricordare alla politica lo stato di emergenza nel quale versa il settore della ristorazione con 300mila posti di lavoro a rischio, 50mila aziende che potrebbero chiudere entro fine 2020 e 2,7 miliardi di euro bruciati solo per effetto dell’ultimo decreto.

Anche a Catanzaro è stata molto partecipata la manifestazione svoltasi a Piazza delle Prefettura: «la nostra categoria – ha dichiarato la presidente Fipe di Cosenza e Consigliera Nazionale Fipe, Laura Barbieri – vive un momento drammatico».

«In questi mesi – ha aggiunto – tre dei quali passati con le serrande abbassate, in balia di continui cambiamenti e decreti, il pubblico esercizio si è fatto carico di rendere sicure le proprie strutture e di adeguarsi ai protocolli sanitari, al momento non può sostenere un altro fermo di questo genere.  Il pubblico esercizio è un luogo sicuro, non è veicolo di contagi. Non è provata alcuna connessione tra la frequentazione di bar e ristoranti, luoghi di convivialità e non di assembramento e diffusione del virus. Non vi è alcuna connessione.»

«L’intera filiera del cibo, tra le più penalizzate dalle restrizioni di ieri e di oggi – ha concluso – ha bisogno di sostegno, credito e garanzie sull’autonomia finanziaria. Ha bisogno di lavorare».

Un piccolo passo avanti, di sicuro, è stato fatto dal Governo, con l’approvazione del Decreto Ristori, che contiene ulteriori misure per tutelare i settori colpiti.

Per il presidente della Fipe-Confcommercio, Lino Enrico Stoppani, «è un primo importante segnale che va apprezzato, ma dopo decine di provvedimenti che hanno avuto problemi a diventare realmente operativi, penso ad esempio ai ritardi della cassa integrazione, il fattore tempo è essenziale per recuperare un po’ di fiducia nelle istituzioni».

«Se le risorse promesse – ha aggiunto – non arriveranno sui conti correnti degli imprenditori entro i primi giorni di novembre, il Paese perderà una componente essenziale dell’agroalimentare e dell’offerta turistica che da sempre ci rendono unici al mondo». (rrm)

 

SOLDI VERI E SUBITO A BAR E RISTORANTI
IN CALABRIA A RISCHIO 25.000 OPERATORI

Da ieri il parziale lockdown che colpisce bar e ristoranti imponendo la chiusura alle 18 sta sollevando non solo le rimostranze di chi era abituato all’aperitivo serale e alla cena fuori casa (ma si può tutto sommato rinunciare senza grandi problemi) ma quelle più serie e motivate di tutto il comparto: solo in Calabria, per intenderci, rischiano all’incirca 25mila addetti. Secondo una stima realizzata da Opencalabria.com le imprese attive nella regione sono poco meno di 11 mila (il 3,2% del dato nazionale) di cui il 71% è costituito sotto forma ditta individuale (contro il dato medio nazionale del 50,2%), mentre le società di capitale rappresentano il 13% del totale regionale e le società di persona il 16%. Da osservare è che quasi il 20% delle imprese calabresi è gestito da giovani (under 35). Si tratta di un valore 5 punti percentuale superiore alla media nazionale (14,4%). I bar calabresi interessati al nuovo provvedimento del governo Conte sono 4550 (il 3,3% del totale nazionale), mentre i ristoranti sono 6200.

Secondo le stime Istat, gli occupati (valori medi annui) nel settore calabrese dei servizi di ristorazione sono pari nel 2018 a 25066, di cui 14561 nei ristoranti, 1713 nel settore del catering e poco meno di 8800 nei bar. Una massa di imprenditori, lavoratori e addetti che, improvvisamente, vedono addensarsi fosche nubi sul immediato futuro. La chiusura alle 18 significa per la stragrande maggioranza dei casi dire addio a qualsiasi redditività in grado di sostenere almeno i costi fissi. Invece le aperture “condizionate” rischiano di provocare ingenti perdite e molto probabilmente spingere alla cessazione dell’attività.

Sono stati, ancora una volta, promessi aiuti a compensazione delle perdite, ma questa volta nessuno si fida delle promesse governative. Nel momento stesso in cui si decideva la drastica chiusura degli esercizi andava contestualmente individuata la formula per un immediato ristoro dei danni. La prima fase del lockdown non ha insegnato nulla (ancora ci sono più di diecimila lavoratori in attesa dei quattrini della cassa integrazione) e c’è da aspettarsi una nuova “elemosina” che non basterà nemmeno a ripagare i costi sostenuti per l’adeguamento delle strutture secondo le indicazioni anti-covid. I locali si sono attrezzati secondo quanto richiesto dalle disposizioni di legge contro il Covid, ma evidentemente gli sforzi non sono serviti a nulla, il rispetto delle regole di distanziamento e di afflusso non bastano a limitare il rischio di contagio. E allora giù le serrande per tutti, indistintamente, alle 18, e per ricoprire le perdite… poi si vedrà.

La verità è che il provvedimento risponde alla logica dell’improvvisazione che ha caratterizzato fin dal primo momento gli interventi di natura economica annunciati per limitare i danni alle imprese e ai lavoratori. Questa volta sono stati promessi aiuti entro la metà di novembre, ma ci arriveranno a tale data i titolari di bar e ristoranti mantenendo gli attuali livelli occupazionali? C’è da crederci poco. Il rischio, dunque, non è solo la probabile cessazione delle attività con licenziamenti a catena, ma anche la forte riduzione della forza lavoro perché non utilizzabile. Dai lavapiatti agli chef, dai camerieri di sala, agli addetti alle pulizie, dai grossisti di materie prime (carne, pesce, frutta, verdure, etc) agli addetti ai fornelli, ai banconisti, ai pasticceri e via discorrendo. Una voragine per un comparto che aveva accettato senza fiatare, in nome della salute pubblica, le limitazioni e le chiusure imposte dal primo lockdown di marzo e aprile, e che oggi si trova, giustamente a domandarsi se tali provvedimenti servano effettivamente a scongiurare l’estendersi del contagio.

Anche perché i dati, com’è facile vedere, variano da zona a zona, quindi viene equiparato il bar di Lamezia Terme a quello della Galleria Vittorio Emanuele di Milano, la trattoria di Catanzaro Lido al ristorante di Posillipo, a Napoli, la pizzeria di Melito Porto Salvo all’Hostaria di piazza Navona a Roma. I valori di contagio e i numeri delle prognosi di positività al covid sono evidentemente ben diversi, ma il Governo non ne ha tenuto conto. In modo indifferenziato non ha minimamente valutato le differenti situazioni, mettendo tutte le attività con lo stesso indice di rischio.

Naturalmente ristoratori ed esercenti di bar e pasticcerie/gelaterie stanno cercando di mobilitarsi per far modificare il Dpcm. A Lamezia, per esempio, i bar hanno deciso – come riferisce il Quotidiano del Sud – di restare aperti per protesta senza ovviamente servire i clienti. A Cosenza, il sindaco Mario Occhiuto ha espresso la propria solidarietà a tutto il comparto: «Sono vicino – ha dichiarato – ai ristoratori e agli imprenditori danneggiati dall’ultimo Dpcm. Sono quelli che hanno più investito per adeguare gli spazi e adesso vengono chiusi. Che senso ha una chiusura alle 18? Il virus esiste ed è pericoloso soprattutto perché mette in crisi il nostro sistema sanitario, ma come si può pensare di farne pagare le conseguenze solo a determinate categorie economiche e sociali?Perché non si è investito in questi mesi nella sanità e nella prevenzione? Per la creazione di nuovi posti letto? Per l’assunzione di personale medico e paramedico negli ospedali? Per l’individuazione e il tracciamento dei contagi? Per la protezione delle categorie fragili? Per la cura precoce della malattia? Per la didattica a distanza nelle scuole? Sono vicino a queste persone che lavorano ogni giorno della loro vita e che sono sempre i più esposti. Gente onesta che vuole lavorare, non vuole sussidi».

Secondo il sindaco di Catanzaro Sergio Abramo «Il settore della ristorazione e dei bar, da sempre tassello centrale della nostra economia su ogni territorio, è stato costretto ad affrontare in questi mesi notevoli criticità, rispondendo con grande senso di responsabilità e di collaborazione a tutti gli adempimenti richiesti per assicurare la sicurezza sui luoghi di lavoro e la tutela della salute dei clienti. Lo stesso è toccato ai gestori delle palestre o a chi lavora nel mondo dello spettacolo. Dopo i tanti sacrifici economici – ha aggiunto – sostenuti proprio per rispettare tutti i protocolli, oggi si fatica a comprendere la ragione dell’ultimo, pesante divieto sancito da Conte. Sarebbe stato più opportuno immettere risorse per potenziare i servizi di controllo e di sorveglianza sul territorio, facendo rispettare le regole all’interno e all’esterno dei locali di ristorazione e nei bar, nelle palestre, nei cinema e nei teatri, piuttosto che tagliare alla radice la possibilità di lavorare e creare un indotto oggi più che mai indispensabile».

A Reggio il sindaco Giuseppe Falcomatà ha messo in evidenza la necessità di una posizione di sostegno e comprensione verso tutto il comparto dei pubblici esercizi: «Se chiudi un ristorante o una pizzeria alle 18 – ha detto  il sindaco di Reggio – stai mortificando l’attività in grandi percentuali. Venerdì, sabato e domenica siamo riusciti ad evitare una chiusura grazie ai controlli che sono aumentati e grazie al grande senso di responsabilità e rispetto delle regole che c’è stato all’esterno dei locali. Ho chiesto immediato ristoro per la perdita di fatturato, e per questo ci stiamo muovendo come ANCI. È difficile sopportare nuove misure rispettive senza una risposta immediata del Governo».

Klaus Davi, a questo proposito, non usa l’artiglieria leggera: «Anche se momentaneamente collocati fuori dal Palazzo, questa volta non consentiremo che il sindaco Falcomatà con improbabili video effetti scarichi su cittadini inefficienze, mancanza di programmazione, e anche semplici pregiudizi del comune verso commercianti artigiani e professionisti,  come invece avvenuto in primavera. Questa volta Falcomata dovrà rispondere di tutte le cose che non ha fatto in questi mesi  e su questo punto saremo presenti e incisivi. I  puerili  giochini social sono finiti e cogliamo l’occasione per chiedere cosa abbia intenzione di fare la Giunta per sostenere tutti i soggetti commerciali della città di Reggio e di tutta la cintura metropolitana  che sono già allo stremo e sull’orlo della chiusura , indeboliti dalle crisi economiche e quella dovuta al Covid. Falcomatà in campagna elettorale si è  rivenduto agli elettori la sua ‘amicizia’ con il ministro del  Tesoro. Bene di questo siamo felici  ma invece di ‘stalkerare’ i cittadini  con dirette che fanno perdere tempo a lui,  ma soprattutto a chi si aspetta risposte dall’amministrazione, prenda  subito  il primo treno per Roma e negozi con il ministro Gualtieri – che è persona preparata e ragionevole – condizioni vantaggiose per evitare che Reggio cada nel baratro. Altrimenti i reggini delle sue ‘amicizie’ non sapranno che farsene. Di tutti i soldi i promessi alzi la mano chi ha visto una sola lira, al momento».

Sempre a Reggio imprenditori e commercianti hanno promosso per venerdì a piazza Duomo una manifestazione per esprimere il disagio e l’impossibilità di continuare l’attività. A promuovere l’iniziativa il presidente della Confesercenti Claudio Aloisio, il presidente nazionale dei pasticceri artigiani (e di quelli reggini) Angelo Musolino e il presidente dell’associazione ImprendiSud Carmelo Crucitti. «Il commercio e i pubblici esercizi – hanno detto  gli organizzatori della manifestazione che sarà – se autorizzata dalla Questura –  nel rispetto di tutte le norme di distanziamento e di prevenzione anticovid – non vogliono essere il capro espiatorio di una situazione diventata incontrollabile non per colpa nostra. Non crediamo che i pubblici esercizi siano il problema di questi nuovi contagi ma che il picco sia dovuto ad una serie di concause e, soprattutto, all’apertura delle scuole e degli uffici che ha portato ad una serie di  problematiche. Non è da sottovalutare l’utilizzo dei trasporti pubblici che, non implementati come si doveva fare, in alcune fasce orarie sono stati presi d’assalto da studenti e persone che, giustamente, hanno ripreso a lavorare in presenza e non più in smartworking. Le entrate e le uscite delle scuole non controllate hanno provocato inevitabilmente assembramenti da parte dei ragazzi e questo ha portato all’aumento di positivi. Ma a pagare adesso, sono i pubblici esercenti e il commercio in genere».

Giuseppe Nucera, Presidente del Movimento La Calabria che vogliamo, si unisce con forza ai detrattori dell’ultimo Dpcm emanato dal Governo: «L’isterismo collettivo sta distruggendo l’economia della Nazione. Siamo governati da chi non ha mai lavorato, i nostri politici hanno diffuso nel paese la cultura dell’assistenzialismo e del sussidio che facilitano il piacere di rimanere comodi sul divano. Sono decine le attività bloccate che creano Pil, dando lavoro ad un’ampia fetta di italiani, che ancora aspettano gli aiuti economici promessi dal Governo a marzo.

Non ci sono ragioni sensate – sottolinea Nucera – per estendere alla Calabria le forti misure restrittive valide per le regioni più colpite del Covid-19. In diverse occasioni il Governo aveva rassicurato che con la nuova ondata di contagi sarebbe intervenuto con restrizioni locali, destinate ai territori in difficoltà. Parole che hanno avuto un seguito nei fatti, così la Calabria nonostante una situazione gestibile e non allarmante si ritrova nuovamente blindata. La scelta pare fortemente illogica anche alla luce di tutte le aziende e attività che si erano premunite, con una spesa importante, a mettere in sicurezza i luoghi di lavoro, le imprese, i centri sportivi, i bar e i ristoranti. Al danno si aggiunge così la beffa, di questo passo la Calabria è destinata inevitabilmente a naufragare».

Da Catanzaro, la presidente di Confartigianato Turismo Innocenza Giannuzzi contesta l’ultimo Dpcm: «Siamo certi – ha detto – che lo stop forzato di alcune attività possa fermare l’avanzare della pandemia? A tante di loro è stata imposta la chiusura alle 18.00, ma mi chiedo: perché non prima e non dopo? Tante sono le domande che oggi invadono gli operatori commerciali, letteralmente in ginocchio e sofferenti, mentre poi ci sono i trasporti pubblici, che creano situazioni in cui è impossibile mantenere il distanziamento e in cui anche gli eventuali contagi non possono essere tracciati: perché il Governo non ha provveduto all’aumento del numero dei mezzi in questione, prima di pensare alla chiusura di altri esercenti e altri settori? Qui in Calabria la pandemia camminerà a braccetto con la disoccupazione galoppante: la nostra regione è una polveriera pronta ad esplodere e già in epoca pre-Covid non era certamente un territorio forte dal punto di vista economico, ma in questo modo la devastazione è annunciata. Chiediamo che si intervenga prontamente, prima che la situazione possa giungere al punto di non ritorno!». (ed)

 

[foto di copertina courtesy Quotidiano del Sud]