L’appello al Presidente Mattarella per i ragazzi delle scuole calabresi

di FRANCESCO RAO – Sig. Presidente, ogni occasione, ogni ricorrenza, è il momento buono per riflettere sulla condizione giovanile, guardando al passato, al presente ed esprimendo ogni tipo di impegno e buon auspicio per il futuro. Penso di non essere il solo ad aver ascoltato prelati, politici e le più alte cariche istituzionali impegnate verbalmente in tali argomentazioni.

Il trascorrere del tempo, per mille versi, è stato un reiterarsi di impegni posti in essere da soggetti diversi, posizionati temporaneamente nell’identico scenario ed oggi, tutte quelle belle parole vengono tradotte in un dato drammatico per il Paese: rispetto al 2013 c’è un incremento del 41,8% di cervelli in fuga, come riportato nel rapporto sul sistema universitario 2021. Ed allora, partendo dal presupposto che è la somma a fare il totale, la difficilissima realtà sociale, posta sotto i nostri occhi, merita ancora parole oppure necessitano urgentemente fatti concreti, tangibili ed immediati?

Detto ciò non è mia intenzione dubitare sulla bontà delle parole pronunciate dal Sig. Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, durante l’intervento tenuto a Palermo il 23 maggio 2021 alla cerimonia commemorativa, svolta in occasione dell’anniversario delle stragi di Capaci e di Via d’Amelio. 

Ascoltando le autorevoli parole, pronunciate con il cuore, sin da subito è rimasta impressa nella mia mente l’affermazione del Presidente Mattarella che rivolgendosi a giovani diceva: «In voi si esprime la voce della società contro condizionamenti illeciti, intrighi, prepotenze, violenza sopraffattrice; la voce dell’Italia che chiede che tutti e ovunque possano sentirsi realmente e pienamente liberi nelle proprie scelte e nelle proprie iniziative. In definitiva, la voce della civiltà e della storia».

Nella stessa giornata del 23 maggio, a Palermo era presente anche il Ministro della Pubblica Istruzione Patrizio Bianchi e rivolgendosi anch’esso ai giovani ha affermato: «La legalità è il diritto di vivere una vita felice insieme. L’anno prossimo torneremo attraversando il mare e arrivando all’alba a Palermo rivedremo i ragazzi intonare l’inno nazionale».

Signor Presidente della Repubblica, Signor Ministro, da umilissimo Cittadino apprezzo le Vostre parole, il Vostro impegno e tutta la dedizione messa in campo per stimolare i giovani ad avere fiducia, ad impegnarsi negli studi e nella vita per contribuire a realizzare un Paese migliore.

La mia modesta esperienza professionale, mi ha portato a lavorare in ambito scolastico e formativo, nelle realtà territoriali complesse della Città Metropolitana di Reggio Calabria che, per comparazione di macro dati, è sovrapponibile alle aree territoriali del Meridione. In oltre 15 anni di attività, ho visto più volte il “nervo scoperto” di un tessuto sociale retto dall’inerzia e non dalla felicità di vivere. 

Ho visto l’avanzata età di giovanissimi genitori, consumati da umilissimi lavori e seppur riconoscenti del ruolo svolto dalla Scuola spesse volte non partecipavano alle varie iniziative perchè la vergogna oggi è la peggiore delle punizioni che la società riserva agli ultimi. Ho visto studenti ritirarsi da Scuola perchè per i loro genitori era prioritario fare la spesa e non acquistare i libri. In moltissimi casi, il sociologo presente a Scuola ha costruito ponti relazionali, è andato a casa di quegli studenti, ha respirato non soltanto l’umiltà ma la rassegnazione di chi non poteva fare di più.

Ho trascorso molti giorni a comprendere perchè gli studenti pendolari arrivavano in ritardo a scuola in coincidenza delle belle giornate. Mentre i docenti asserivano le solite ragioni tese a non alimentare la fiducia, quei discorsi non mi bastavano. Dopo tanto tempo compresi la causa: in caso di pioggia, i pochi euro messi a disposizione dei genitori venivano utilizzati per il biglietto della corriera; quando c’era il bel tempo si raggiungeva la Scuola facendo l’autostop e con quei pochi euro si comprava un panino e qualche volta una ricarica per il telefono, solo per poter alimentare le promozioni e la connessione alla rete internet per non rimanere isolati dal gruppo.

Tanti di questi studenti non hanno ultimato il processo formativo ed oggi non hanno un Diploma, tradotto in parole semplici, non avranno la più minima ed indispensabile opportunità per la vita. Anche il programma “Garanzia Giovani”, rivolgendosi ai giovani tra 18 e 29 anni, richiede un Diploma quale titolo d’accesso ai benefici previsti dalle varie misure di inserimento occupazionale.

La pandemia ha letteralmente amplificato il divario sociale, devastando soprattutto la qualità della vita dei segmenti sociali più umili, rimasti soli e coscienti che la minima istruzione posseduta è il limite invalicabile per poter recuperare quanto è stato perso in termini occupazionali e reddituali. Tra essi, oggi ci sono anche le famiglie ed i figli di un segmento sociale duramente colpito e cioè del mondo delle partite iva.

È ricorrente la preoccupazione del mondo inquirente, tesa ad intravedere in tale debolezza sociale la convenienza della criminalità per reclutare nuove manovalanze ed incrementare i fenomeni devianti. Vogliamo per l’ennesima volta fermarci alle parole ed alle paure? Vogliamo continuare ad assistere alla crescente diffusione di suicidi adolescenziali? Vogliamo continuare ad assistere alla fuga di cervelli? Vogliamo continuare a subire la prepotenza criminale e la condanna o la morte di giovani che in tutta la loro disperazione, hanno intravisto il bene sul sentiero del male?

Il nostro Gianni Morandi, in uno dei suoi successi degli anni ‘80, cantava: “uno su mille”. Oggi, al cospetto di una generazione smarrita da una moltitudine di fattori, la guida al bene è riposta nella bellezza di quel progetto di democrazia che la nostra Carta Costituzionale ha consegnato agli Italiani, ponendo al centro di ogni agire la Persona che è destinataria della custodia e della crescita della nostra Repubblica.

Sig. Presidente, Sig. Ministro, avevo la necessità di condividere queste parole di speranza con Voi. Lo faccio sommessamente ed ufficialmente, scrivendoVi nero su bianco le sensazioni di chi non ha più lacrime per piangere il dispiacere letto negli occhi dei tanti genitori che incontro. Nelle loro umili parole, non intravedo la felicità per il domani dei loro figli ma sofferenze e privazioni. Sarà comprensibile il dolore pronto da una madre ed un padre che, impossibilitati a fare di più si arrendono al destino ma personalmente vorrei pensare che la Repubblica possa ancora rimuovere tali difficoltà. Un Meridione nel quale moltissimi giovani sono senza futuro e tantissimi i genitori non hanno un lavoro dignitoso, quale forza propulsiva potrà dare all’Italia? Se il Sud piange il Nord non potrà più nemmeno ridere.

PorgendoVi i miei più cari e deferenti saluti, chiedo umilmente scusa per questo sfogo. Quando ho giurato davanti alla bandiera ed in presenza del comandante del corpo, ho scelto un modello di vita per sempre che ripone nelle Istituzioni la via maestra.  (fr)

[sociologo e docente]

DPCM E COVID: LA CALABRIA ZONA ROSSA
IL DRAMMA VERO DI INVISIBILI ED ESCLUSI

di SANTO STRATI – Un bollettino ufficiale della Regione corretto di corsa tarda sera, dove – ops! – si scopre che i ricoverati in terapia intensiva sono solo dieci e non 26. Ma come si può tollerare che avvengano errori di questo genere che sconvolgono la valutazione che sta alla base delle decisioni sul lockdown regionale? Di fatto, la Calabria è stata dichiarata ieri sera in diretta dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte “zona rossa”: un provvedimento più a titolo cautelativo che dettato dalla situazione dei contagi che sono ancora abbastanza limitati rispetto ad altre parti d’Italia. E in più ogni giorno di più registriamo norme arruffate e confuse, dpcm che si susseguono senza che nessuno cerchi di omogeneizzare le disposizioni con chiarezza per non far cadere nello sconforto gran parte della popolazione. C’è comunque una categoria che nello sconforto vive ormai dal 10 marzo scorso, dall’inizio del primo lockdown: quella dei cosiddetti invisibili e degli esclusi, ovvero tutti coloro che non rientrano tra i provvedimenti di ristoro delle perdite e di aiuto finanziario perché il loro codice Ateco (la classificazione burocratica delle categorie produttive) non figura nei provvedimenti del Governo. E non parliamo di invisibili riferendoci a quanti fanno lavoro in nero (e sono ugualmente tanti e lasciati, anche loro, alla più totale disperazione per cercare vie di sopravvivenza), ma di imprenditori e lavoratori autonomi che pagano le tasse, versano i contributi, occupano dipendenti. Semplicemente, come per gli “esclusi”, poiché il loro codice Ateco non è tra quelli previsti non hanno beccato un centesimo di aiuto e non lo riceveranno neanche adesso, alla vigilia dell’inevitabile (sperando parziale) lockdown. In altre parole, la burocrazia vince ancora una volta sul buon senso e i provvedimenti via via varati rivelano che a compilare i vari dpcm (mica li scrive il premier Conte) siano algidi funzionari che vivono in un’altra realtà, non conoscono le dinamiche dell’economia reale, ignorano totalmente come funziona la filiera produttiva in Italia.

Quando si bloccano, per esempio, i locali per i ricevimenti (abitualmente destinati ai ricevimenti nuziali) non si ferma solo l’attività del gestore del locale che, in ogni caso, ha dipendenti (cuochi, camerieri, lavapiatti, etc) e fornitori da pagare, ma si elimina ogni forma di reddito a chi produce e confeziona bomboniere, a parrucchieri, fotografi, fiorai, tipografi (le partecipazioni), musicisti e via discorrendo. Si chiama filiera, ma i nostri diligenti funzionari di Palazzo Chigi, probabilmente, lo ignorano. E lo stesso discorso vale per il bar, il ristorante, la pasticceria, la pizzeria a taglio: per ognuno di loro c’è un esercito di “invisibili” che non ha alcuna tutela. I menu da stampare, la manutenzione dei registratori di cassa, di frigoriferi e attrezzature, fiorai (per chi fa trovare un apprezzato fiore reciso nel minivaso sul tavolo), le agenzie di pubblicità che producono biglietti e volantini, agenti di commercio, etc.

Insomma, nel momento in cui il Governo decide – come ha fatto nella prima fase della pandemia – di chiudere e fermare le attività lavorative, deve necessariamente provvedere a ristorare, prima di imporre le chiusure, le perdite a tutti coloro che le subiscono. E quando si dice tutti si deve intendere tutti non solo quelli individuati dal codice Ateco. L’esperienza dei mesi marzo/aprile è stata davvero infelice, anzi diciamo meglio, disastrosa. E, purtroppo, il Governo sembra intenzionato a proseguire su questa strada, dimenticando per strada migliaia e migliaia di imprese e di lavoratori. L’esecutivo continua a rassicurare che gli aiuti «arriveranno a tutte le categorie interessate dalle misure restrittive» ma ha stanziato appena 50 milioni come fondo d’emergenza, pur avendo a disposizione 20 miliardi di extradeficit che non sono stati ancora utilizzati. Ebbene, il dl Ristori ha individuato 53 codici Ateco che devono ricevere gli aiuti, dimenticando chi magari, ha più bisogno degli altri: quella massa, appunto, di invisibili ed esclusi che, per intenderci, valgono qualcosa vicina a qualche decina di miliardi di fatturato aggiuntivo. Quindi, oltre al danno della cessazione forzata dell’attività si deve aggiungere la beffa di non poter contare neanche su un centesimo di aiuto. Si sono dimenticati completamente degli ambulanti e dei rappresentanti di commercio che sono rimasti praticamente fermi: niente bancarelle, niente ordini da trattare, ricevere, trasmettere alle aziende fornitrici. Un esercito di gente che lavora sulla propria pelle e che, molto spesso, non ha nemmeno coperture previdenziali e assicurative contro le malattie. Come si può tollerare tutto ciò?

Hanno promesso dal Governo che i soldi questa volta arriveranno “subito” (a partire dal 15 novembre), ma i più smaliziati sono già rassegnati ad aspettarsi il solito balletto di rito, col rimpallo delle responsabilità, senza che nessuno provveda a interrompere lo scempio. Servono soldi veri, non promesse né crediti di imposta (su quali tasse se l’attività non opera?), occorre una seria politica di intervento a favore di tutte le categorie coinvolte nelle chiusure obbligate: lo chiamino lockdown o come diavolo meglio credano, ma i nostro governanti non possono immaginare di ripetere l’insulso copione dei mesi primaverili. La lezione non è servita, non hanno imparato nulla e, anzi, la situazione rischia di diventare esplosiva non soltanto dal punto di vista sanitario, ma soprattutto sul piano sociale. C’è una sorta, perversa, di “induzione alla povertà” nei provvedimenti fin qui varati: si premia chi chiude e manda a casa i dipendenti (prende di più) rispetto a chi, ad ogni costo, tiene duro e cerca di superare la burrasca (prende di meno): è una politica di suicidio assistito delle aziende che non porterà a niente di buono, perché, nel momento in cui, cessano le attività finiscono anche le entrate dello Stato, questo è evidente. Eppure si continua a ipotizzare una distribuzione di “elemosine” a imprenditori coraggiosi che hanno investito nella propria attività, hanno creato ricchezza sul territorio, hanno offerto occupazione e benessere, e pagano tasse e contributi. A questi operatori viene negato ogni aiuto, a partire dal famoso decreto liquidità che le banche hanno utilizzato a proprio piacimento, negando il credito ad aziende che avevano bisogno di superare la crisi o dilatando oltre ogni ragionevole sopportazione i tempi di valutazione ed erogazione. Già perché, nonostante la crisi, in banca si continua a parlare di “valutazione” del rischio, nonostante i prestiti (ricordiamoci che sono prestiti, non sono soldi che non andranno restituiti) siano interamente garantiti dallo Stato. Significherà pure qualcosa che a fronte del tetto massimo di 30 mila euro “subito” l’erogazione media non non ha mai superato i due terzi, ovvero sempre al di sotto dei 20mila, perché i burocratici conteggi in percentuale previsti per accedere al credito non hanno tenuto conto che il 2019 non è stato un anno brillante.

E, invece, l’aiuto previsto a fondo perduto (soldi da non restituire) non basta a mantenere in piedi un’attività che già è stata duramente messa alla prova dai 70 giorni di lockdown primaverile. E, come se non bastasse, ricordiamoci quanto hanno speso i vari ristoratori, esercenti di bar e pasticceria, i negozianti, per dotarsi dei dispositivi di distanziamento imposti dai vari dpcm; per la fortuna delle aziende che lavorano il plexiglas e producono il gel antibatterico o altri dispositivi: divisori trasparenti, separé per dividere i tavoli, adeguamenti igienici e dispensatori di gel. C’è chi ha fatto miracoli di architettura, tagliando posti a sedere, pur di garantire il servizio ai clienti e cercare di tenere in piedi l’attività e, soprattutto, non mandare a casa alcuno dei dipendenti. A questi imprenditori, con una faccia tosta da politico navigato, il presidente Conte, a nome dell’esecutivo che guida ha detto semplicemente «abbiamo scherzato», neanche fosse una partita a poker. Qui si sta giocando, però, col futuro di centinaia di migliaia di persone, da cui dipendono molte altre centinaia vite e famiglie, che improvvisamente si ritrovano senza lavoro e senza reddito. Non basta indignarsi, le Regioni devono battere i pugni sul tavolo, ma la terza Camera dello Stato (la conferenza Stato-regioni è chiaramente schierata contro il Mezzogiorno e la Calabria sconta più di tutti un divario ormai sempre più incolmabile nei servizi, nella sanità, nell’occupazione, nello sviluppo).

Allora c’è solo da immaginare un colpo d’ala, un cambiamento repentino di rotta, dove le valutazioni su chi bisogna aiutare non siano affidati a una ricerca sul database delle attività codificate dall’Ateco, bensì siano frutto della ragionevolezza e del contributo di idee di chi vive ogni giorno le difficoltà del mondo produttivo: Confcommercio, Confesercenti, Confartigianato possono fornire le cifre reali del disagio di quanti si ritrovano, dalla sera alla mattina, privati della loro dignità di lavoratori e di un reddito sudato giorno dopo giorno. Siamo in guerra con un nemico insidioso e che non solo distrugge vite umane, ma sta minando l’intero impianto della società civile e dei suoi attori principali, i lavoratori, siano essi dipendenti o imprenditori, la barca è in comune per tutti: senza aiuti reali, immediati e concreti, non si va da nessuna parte. E pensare che i soldi ci sono, il Governo è autorizzato sforare il deficit per salvare il Paese. Probabilmente sarebbe utile un “gabinetto di guerra” con la partecipazione di tutti: maggioranza e opposizione per prendere coraggiosi provvedimenti per fermare la nuova povertà che avanza a ritmi spaventosi e salvare il Paese da un disastro che appare comunque evitabile. Ma a Palazzo Chigi e dintorni, nei Palazzi del potere, non si decide, si impone, come se i cittadini fossero improvvisamente diventati. sudditi cui infliggere persino lo stato di “schiavitù” intellettuale: è questo il problema, oggi, del Paese. Non abbiamo governanti, ma dilettanti allo sbaraglio che si muovono per improvvisazione e qualunque cosa facciano producono danni, perché non cercano e soprattutto non ascoltano le competenze e le capacità che sicuramente non mancano in un Paese che sta smarrendo se stesso, irrimediabilmente. (s)

Nella foto di copertina: lo speciale dedicato da Mattino 5 ieri mattina alla situazione della sanità in Calabria. A destra il prof. Raffaele Bruno infettivologo calabrese del San Matteo di Pavia, il prof. Matteo Bassetti del San Martino di Genova e dott. Antonio Talesa responsabile del 118 calabrese durante il collegamento su Canale 5

LA RICETTA SVIMEZ PER IL RECOVERY FUND
METÀ INVESTIMENTI AL SUD PER CRESCERE

La ricetta per far crescere l’Italia del post-covid? Semplice, secondo la Svimez, l’Istituto per lo Sviluppo degli investimenti nel Mezzogiorno: alzare il livello di spesa previsto al Sud  ben oltre il 34%. Destinare alle regioni meridionali metà delle risorse che arriveranno dal Recovery Fund significherebbe rilanciare il Pil del Paese, grazie alla spinta propulsiva che verrebbe dai nuovi investimenti nel Mezzogiorno. A parole sembra un’operazione facile, ma il direttore della Svimez Luca Bianchi, parlando in audizione alla Commissione Bilancio della Camera, ha proposto una simulazione in grado di tracciare i possibili effetti di crescita del Pil di breve e lungo periodo che potrebbe derivare dall’impiego delle risorse europee. E lo scenario, bisogna dirlo, oltre che suggestivo appare particolarmente allettante, soprattutto nel momento in cui il cosiddetto Recovery Plan incontra inspiegabili posizioni che non collimano sull’obiettivo finale di crescita e sviluppo.

La simulazione – ha spiegato Bianchi – si concentra sulla quota di risorse aventi il carattere di sovvenzione netta, ovvero i circa 77 miliardi di euro di contributi che non dovranno essere coperti da maggiore tassazione o riduzioni di spesa. L’ipotesi cruciale è la destinazione quasi totalitaria di tali risorse al finanziamento di investimenti nelle aree di intervento individuate come prioritarie nel Next Generation EU, concentrando almeno il 50% di tali investimenti nella realizzazione di opere pubbliche. La simulazione considera 3 scenari riguardo la possibile allocazione territoriale delle risorse, prevedendo quote crescenti di investimenti nel Mezzogiorno.

Nel primo scenario, si ipotizza che solo una quota pari al 22,5% dei 77 miliardi sia destinata al Mezzogiorno. Nel secondo, invece, assimilando la dotazione in conto sovvenzione del Recovery Fund a risorse ordinarie in conto capitale, si valuta il possibile impatto dell’applicazione della clausola del 34% per il riparto delle risorse. Infine, nell’ultimo scenario si assume una destinazione al Mezzogiorno del 50% dei 77 miliardi previsti dal Recovery Fund.

In questa maniera è possibile allargare la valutazione dell’impatto delle principali misure di politica economica nazionale a livello regionale. Il modello considera tutti gli effetti associati alla (ipotetica) realizzazione di un piano di investimenti, che si dividono in tre tipologie: diretti, indiretti, e indotti. Il primo riguarda la produzione realizzata direttamente in seguito ai maggiori investimenti effettuati. Il secondo, indiretto, valuta gli impatti, in termini di maggiori input e servizi acquistati per la realizzazione degli investimenti. Il terzo, indotto, riguarda l’incremento di produzione di beni di consumo che deriva dai maggiori livelli di reddito e occupazione generati dall’aumento dell’attività produttiva, diretta e indiretta, oggetto di valutazione.

Le ragioni che giustificano l’emergere di tali risultati, e su cui si basa la ricetta Svimez di un ripristino della capacità produttiva del Mezzogiorno, sono essenzialmente due. Nel breve periodo, data l’interdipendenza tra Nord e Sud, i maggiori investimenti nel Mezzogiorno alimentano un effetto indiretto sulle produzioni del Nord, attraverso una domanda di beni e servizi necessari alla realizzazione di tali investimenti. La Svimez calcola che per ogni euro di investimento al Sud, si generi circa 1,3 euro di valore aggiunto per il Paese, e di questo, circa 30 centesimi (il 25%) ricada nel Centro-Nord. Nel lungo periodo, il processo di accumulazione di capitale, dati i rendimenti decrescenti al crescere della dotazione dello stock di capitale, produce dinamiche più sostenute nel Mezzogiorno che al Centro-Nord. Anche in questo caso, il modello Svimez evidenzia come posto uguale ad 1 il valore del moltiplicatore nel primo anno di realizzazione degli investimenti, questo cresca di oltre il 70% al Mezzogiorno alla fine del quadriennio, contro una crescita del 10% al Centro-Nord.

La combinazione di questi effetti – secondo la Svimez – induce a non ritardare ulteriormente l’avvio di politiche di riequilibrio degli investimenti e a cogliere la straordinaria occasione posta dal Recovery Fund. Per l’utilizzo delle risorse del Recovery Fund (RF) predisposto dall’UE con le sue opportune e rigide condizionalità è necessario ora fissare precisi obiettivi, varare progetti e definire un percorso. Per soddisfare queste condizioni va condivisa ed esplicitata in primis una “visione” convincente, realistica e immediatamente operativa che ponga mano alla fondamentale esigenza di connettere il Paese affrontando il multidimensionale ed imponente problema di governare e ridurre drasticamente le disuguaglianze economiche e sociali che – l’esperienza insegna – minano alla base le potenzialità del Sistema. A questo scopo, più che sollecitare e fare un inventario di progetti occorre definire un chiaro disegno di sistema che – per quanto attiene al ruolo che compete al settore pubblico – sia incardinato su interventi produttivi, non assistenziali, in conto capitale organicamente finalizzati a recuperare il contributo alla crescita ed allo sviluppo di quel 40% di territorio e di oltre il 30% di cittadini. Secondo la Svimez, ciò rappresenta la condizione preliminare per ridare fiato alle stanche locomotive del Nord che, a loro volta, di un simile “cambiamento di visione” dovrebbero cogliere l’enorme opportunità (da decenni trascurata) riveniente dalla prospettiva di partecipare al governo ed allo sviluppo del Mediterraneo, il luogo che più radicalmente la globalizzazione ha investito rendendolo centrale e strategico e nel quale noi – unico grande Paese dell’Unione esclusivamente mediterraneo – siamo ai margini se non assenti.

Ad una attenta lettura – ha fatto notare Bianchi della Svimez –, le imponenti dimensioni delle risorse messe in campo e le condizionalità del RF in risposta alla crisi rappresentano di fatto l’investitura ad articolare e sviluppare la cosiddetta e fin qui fantomatica opzione euromediterranea. È una missione in sintonia oggi più che mai con gli interessi della UE impegnata a realizzare nelle forme smart e green quel percorso di sviluppo sostenibile che dovrebbe concludersi nel 2050 con la decarbonizzazione integrale dell’UE. La cogente priorità della salvezza del pianeta consentirebbe a noi – finalmente – un percorso privilegiato per mettere fin da oggi a fuoco e a frutto per l’intero Sistema Italia l’enorme rendita rappresentata dal nostro vantaggio posizionale che offre il Mediterraneo. La priorità immediata è quella di calibrare efficaci politiche attive per riconnettere e sintonizzare su questo obiettivo il Sistema Italia.

A preoccupare sono le ricadute sociali di un impatto occupazionale, più forte nel Mezzogiorno, che perde nel solo 2020 380mila posti di lavoro. La perdita di occupati è paragonabile a quella subita nel quinquennio 2009-2013 (-369.000). Si consideri la debolezza del Paese nel momento clou della pandemia, con evidenti situazioni di stagnazione al Nord e di recessione al Sud. Questo non ha fatto altro che accentuare un secondo divario non soltanto più tra Mezzogiorno e Settentrione, ma quello tra Italia e Paesi Ue, con il Pil in caduta libera negli ultimi vent’anni e un reddito pro-capite assolutamente in degrado tra Mezzogiorno e resto del Paese: facendo base Ocse 100 nel 2001 era 108 per l’Italia contro 74 del Mezzogiorno, per diventare nel 2013 88 contro 53.

Le stime SVIMEZ indicano una caduta del Pil, nel 2020, dell’8,2% nel Mezzogiorno e del 9,6% nel Centro-Nord (Italia: -9,3%). Il calo del Pil è più accentuato al Centro-Nord che risente in misura maggiore del blocco produttivo imposto per contenere la diffusione della pandemia e per due ordini di motivi aggiuntivi. In primo luogo, prima ancora della sua diffusione in Italia, la pandemia ha determinato una caduta del commercio mondiale di entità non dissimile, in base alle informazioni attualmente disponibili, da quella del 2009. Nel 2020, le esportazioni di merci dovrebbero contrarsi, rispettivamente, del 15,6 e del 13,7% nel Sud e nel Centro-Nord. In quest’ultima area esse pesano, però, per quasi il 30% sul Pil, rispetto a meno del 10 in quelle meridionali.

Con questi numeri la simulazione del terzo scenario indicato dalla Svimez con investimenti pari o superiori al 50%da destinare al Mezzogiorno deve servire da parametro fondamentale di valutazione della programmazione e del disegno progettuale che il Recovery Plan impone di fare. La Svimez punta il faro sul Quadrilatero Zes del Mezzogiorno continentale, l’asse siciliano, le autostrade del mare. Un percorso ben definito a cui occorre una pronta risposta politica e un impegno non da poco.  (ed)

COVID-19: SUD E CALABRIA MENO COLPITI,
MA PER LA SVIMEZ CRESCERÀ IL DIVARIO

I numeri sono impietosi e il nuovo allarme che proviene dalla Svimez, l’Associazione per lo Sviluppo del Mezzogiorno, con la pubblicazione delle Previsioni regionali 2020-2021 non danno spazio ad alcun dubbio: il Mezzogiorno e la Calabria, “risparmiati” dalla pandemia con numeri di contagio molto bassi, patiranno in modo pesante gli effetti economici della crisi. Ovvero il divario Nord-Sud anziché restringersi andrà ad allargarsi: secondo quanto scrive la Svimez «resiste la chiave di lettura Centro-Nord/Mezzogiorno, ma le previsioni per il 2021 mostrano i segnali di una divaricazione interna alle due macro-ripartizioni: le tre regioni forti del Nord ripartono con minori difficoltà; il resto del Nord e le regioni centrali mostrano maggiori difficoltà; un pezzo di Centro scivola verso Mezzogiorno; il Mezzogiorno rischia si spaccarsi tra regioni più resilienti e realtà regionali che rischiano di rimanere “incagliate” in una crisi di sistema senza vie di uscita».

Secondo l’autorevole Istituto di studi e ricerca sul Mezzogiorno, «la differenziazione territoriale dei processi di resistenza allo shock e di ripartenza nel post-Covid pone al governo nazionale il tema della riduzione dei divari regionali come via obbligata alla ricostruzione post-Covid. Creare le condizioni per restituire alle regioni del Centro in difficoltà i tassi di crescita conosciuti in passato, liberare le regioni più fragili del Sud dal loro isolamento che le mette al riparo dalle turbolenze ma le esclude dalle, ricompattare il sistema produttivo nazionale intorno ad un disegno di politica industriale volta a valorizzare la prospettiva euro-mediterranea l, sono tutte premesse indispensabili per far crescere, insieme, l’economia nazionale. Anziché affannarsi a sostenere la causa delle tante questioni territoriali (del Nord, del Centro, del Mezzogiorno) che si contendono il primato nel dibattito in corso sulle vie di uscita dalla pandemia, è tempo di compattare l’interesse nazionale sul tema che le risolverebbe tutte se solo l’obiettivo della crescita venisse perseguito congiuntamente a quello della riduzione dei nostri divari territoriali».

In poche parole, le previsioni regionali «aprono la “scatola nera” del differenziale di crescita tra Mezzogiorno e Centro-Nord nel 2021 svelando una significativa diversificazione interna alle due macro-aree nella transizione al post-Covid». Dai dati diffusi si evince che l’unica regione italiana che recupera in un solo anno i punti di Pil persi nel 2020 è il Trentino. A seguire, le tre regioni settentrionali del “triangolo della pandemia” guidano la ripartenza del Nord: +7,8% in Veneto, +7,1% in Emilia Romagna, +6,9% in Lombardia. Segno, questo, che le strutture produttive regionali più mature e integrate nei contesti internazionali perdono più terreno nella crisi ma riescono anche a ripartire con più slancio, anche se a ritmi insufficienti a recuperare le perdite del 2020. Maggiori le difficoltà a ripartire di Friuli V.G., Piemonte, Valle d’Aosta e, soprattutto, Liguria.

«Le regioni centrali – evidenzia la Svimez – sono accomunate da una certa difficoltà di recupero, in particolare l’Umbria e le Marche. Alla questione settentrionale e a quella meridionale intorno alle quali tradizionalmente si polarizza il dibattito nelle crisi italiane, sembra aggiungersi una “questione del Centro” che mostra segnali di allontanamento dalle aree più dinamiche del paese, scivolando verso Sud».

Tra le regioni meridionali, le più reattive nel 2021 sono, nell’ordine, Basilicata (+4,5%), Abruzzo (+3,5%), Campania (+2,5%) e Puglia (+2,4%), confermando la presenza di un sistema produttivo più strutturato e integrato con i mercati esterni. A fronte del Sud che riparte, sia pure con una velocità che compensa solo in parte le perdite del 2020, nel 2021 ci sarà anche un Sud dalla ripartenza frenata: Calabria (+1,5%), Sicilia (+1,3%), Sardegna (+1%), Molise (+0,9%). Si tratta di segnali preoccupanti di isolamento dalle dinamiche di ripresa esterne ai contesti locali, conseguenza della prevalente dipendenza dalla domanda interna e dai flussi di spesa pubblica.

L’impatto sui redditi delle famiglie nel 2020 è in media meno intenso nel Mezzogiorno (-3,2% contro il -4,4% del Centro-Nord) anche per effetto degli ingenti trasferimenti previsti dalle misure di sostegno al reddito previsti dal Governo. Il calo riguarda in particolare l’Emilia Romagna (-6,3%), Marche (-5,7%), Umbria (-5,2%) e Piemonte (-5,2%). Per il 2021 è atteso un recupero in tutte le regioni del Centro e del Nord, soprattutto nel “triangolo della pandemia”. Le regioni meridionali condividono una riduzione meno intensa dei redditi nel 2020 ma, al tempo stesso, un recupero più debole nel 2021. È questo il caso, in particolare, di Calabria, Molise, Sardegna e Sicilia, che non recupereranno le perdite del 2020.

Anche dal punto di vista del reddito, nel post-covid, ci sono evidenti condizionamenti sui consumo delle famiglie. La spesa delle famiglie cala bruscamente in tutte le regioni italiane con una variabilità interna alle due macro-aree piuttosto correlata alla dinamica dei redditi. Nelle Marche (-12,3%) e in Umbria (-12.2%) i crolli più evidenti; in Lombardia (-7,3%), Molise (-7,4%), Trentino (-7,7%) e Sicilia (-7,7%) quelli meno intensi ma di entità comunque eccezionale. La forbice si allarga se si guarda alla ripresa della spesa delle famiglie nel 2021. Nelle regioni del Centro e del Nord, in media, i consumi delle famiglie aumenteranno del 5,0% recuperando solo la metà della perdita del 2020; nelle regioni del Mezzogiorno il recupero sarà meno di un terzo: +2,7% dopo la caduta del -9,0% del 2020. Particolarmente stagnante sarà la spesa delle famiglie in Sardegna, Sicilia e Calabria.

Non meno significativa la differenziazione per quel che riguarda gli investimenti delle imprese. Su base regionale mostrano caratteristiche comuni alla spesa delle famiglie: una maggiore differenziazione nella ripartenza, comunque stentata, del 2021 rispetto alla caduta del 2020. Al Nord il crollo è particolarmente intenso in Emilia Romagna (-17,9%) e Piemonte (-18,0%); al Centro in Toscana (-17,5%); nel Mezzogiorno in Campania (-16,3%).  Gli investimenti torneranno a crescere a tassi più sostenuti, ma comunque insufficienti a compensare le perdite del 2020, in Lombardia (+9,8%), Veneto (+9,5%) ed Emilia Romagna (+8,2%). Debole la ripartenza degli investimenti in Calabria (+2,2%), Sicilia (+2,5%) e Campania (+2,7%).

La domanda estera, infine, in profonda contrazione nel 2020 (-15,3% in media nel Mezzogiorno; -13,8% nel Centro-Nord), tornerà a crescere nel 2021 – secondo la Svimez – a ritmi più sostenuti nelle economie regionali dalle vocazioni produttive più orientate all’export. (ed)

Tab. 1: Previsioni per il Pil, Regioni, Circoscrizioni e Italia, var. %.

Regioni 2019 2020 2021
Piemonte -0,2 -11,0 5,3
Valle d’Aosta 0,3 -7,0 3,7
Lombardia 0,0 -9,9 6,9
Trentino A.A. -0,4 -6,0 5,9
Veneto 1,0 -12,2 7,8
Friuli V.G. 0,6 -10,1 4,5
Liguria 0,1 -8,5 3,7
Emilia-Romagna -0,5 -11,2 7,1
Toscana 0,7 -9,5 5,5
Umbria 1,6 -11,1 4,7
Marche 0,6 -10,6 5,0
Lazio 0,7 -8,1 4,1
Abruzzo 0,1 -8,3 3,5
Molise 1,7 -10,9 0,9
Campania 0,3 -8,0 2,5
Puglia 0,6 -9,0 2,4
Basilicata 1,4 -12,6 4,5
Calabria 1,1 -6,4 1,5
Sardegna 0,7 -5,7 1,0
Sicilia 1,1 -5,1 1,3
Mezzogiorno 0,9 -8,2 2,3
Centro-Nord 0,4 -9,6 5,4
Italia 0,6 -9,3 4,6

Fonte: Modello NMODS.

 

Tab. 2: Previsioni per spesa e redditi delle famiglie, investimenti e delle esportazioni, Regioni, Circoscrizioni e Italia, var. %.

Regioni Spesa famiglie Reddito Famiglie Investimenti Esportazioni
2019 2020 2021 2019 2020 2021 2019 2020 2021 2019 2020 2021
Piemonte 0,8 -10,5 5,0 -0,6 -5,2 6,5 0,7 -18,0 6,1 -4,3 -16,2 7,8
Valle d’Aosta 0,3 -11,2 4,1 0,1 -5,0 6,0 1,5 -10,4 4,6 -6,3 -2,0 3,9
Lombardia 0,0 -7,3 5,5 -1,2 -3,5 7,5 0,9 -16,5 9,8 -1,4 -5,9 11,1
Trentino A.A. 0,4 -7,7 4,4 0,8 -3,9 7,3 0,8 -15,8 7,7 0,9 -16,1 5,6
Veneto 0,3 -11,7 5,3 -0,1 -4,2 8,0 2,0 -15,9 9,5 0,2 -18,2 10,5
Friuli V.G. 0,6 -10,8 4,9 -0,5 -4,1 6,3 1,9 -9,8 5,2 -1,6 -15,6 6,9
Liguria 0,8 -8,2 5,1 -0,8 -2,7 4,6 1,4 -15,2 4,2 -7,3 -17,1 7,4
Emilia-Romagna 0,6 -10,2 5,6 -0,2 -6,3 7,0 0,7 -17,9 8,2 2,7 -15,9 10,2
Toscana 0,4 -10,4 5,2 0,4 -4,5 6,7 1,9 -17,5 6,8 13,6 -17,0 4,0
Umbria 1,0 -12,2 4,4 0,5 -5,2 5,2 2,8 -11,4 5,6 -0,9 -2,2 4,5
Marche 1,2 -12,3 4,2 2,2 -5,7 6,1 1,9 -16,1 5,1 2,6 -20,4 11,8
Lazio 1,0 -9,2 6,0 -0,5 -3,1 5,8 1,9 -11,0 5,3 13,5 -18,8 8,9
Abruzzo 0,9 -9,1 2,7 3,1 -3,2 4,2 1,5 -13,3 5,9 -1,9 -13,4 9,7
Molise 1,1 -7,4 2,8 3,9 -4,0 2,2 3,0 -12,8 3,2 11,1 -19,2 3,8
Campania 1,0 -10,1 2,6 1,8 -3,5 4,6 1,5 -16,3 2,7 7,5 -16,8 11,9
Puglia 0,5 -9,1 3,3 -0,6 -1,8 3,9 1,7 -14,3 4,0 -4,3 -13,2 7,1
Basilicata 1,0 -9,4 4,8 3,7 -3,5 4,1 2,1 -12,8 4,2 -17,6 -32,1 20,8
Calabria 0,8 -9,4 1,3 2,1 -2,9 2,1 2,5 -9,2 2,2 -17,0 -8,5 7,0
Sardegna 1,2 -10,1 2,2 2,6 -3,6 2,1 2,1 -11,3 4,6 8,2 -10,1 7,5
Sicilia 1,2 -7,7 1,9 2,3 -3,0 2,3 3,3 -12,2 2,5 -1,9 -9,5 10,1
Mezzogiorno 1,0 -9,0 2,7 2,4 -3,2 3,2 2,2 -12,8 3,7 -2,0 -15,3 9,7
Centro-Nord 0,6 -10,2 5,0 0,0 -4,4 6,4 1,5 -14,6 6,5 1,0 -13,8 7,7
Italia 0,8 -9,7 4,1 1,0 -3,9 5,1 1,8 -13,9 5,4 -0,2 -14,4 8,5

Fonte: Modello NMODS.

In tre anni sottratti al Sud 150 miliardi: una nota di 10 Idee per la Calabria

Il prof. Domenico Gattuso e l’ing. Roberto Longo, del Movimento 10 Idee per la Calabria hanno elaborato un documento da cui si spiega meglio lo “scippo” perpetrato al Mezzogiorno dalla ricche regioni del Nord. È una nota che conferma i dati presentati qualche giorno fa dall’annuale Rapporto Svimez, e di cui dovrebbero fare tesoro i nostri rappresentanti in Parlamento.

«Nella Gazzetta Ufficiale – si legge del documento firmato dl prof. Gattuso e dall’ing. Longo –  del 19/06/2019 è stato pubblicato il DPCM 10/05/2019 recante “Modalità di verifica del volume complessivo annuale di stanziamenti in conto capitale delle Amministrazioni centrali proporzionale alla popolazione nelle regioni del Sud.”  Tale DPCM scaturisce dall’articolo 7-bis della legge n. 18/2017 che prevede l’adozione di un decreto in cui si definiscano le modalità per verificare se le Amministrazioni Centrali destinino effettivamente agli interventi nelle regioni meridionali un volume complessivo annuale di stanziamenti ordinari in conto capitale proporzionale alla popolazione di riferimento (il famoso 34%) o conforme ad altro criterio relativo a specifiche criticità individuato nel Documento di economia e finanza su indicazione del Ministro per il Sud.

Le amare sorprese per il Meridione si scoprono nelle definizioni. Infatti nella definizione di “popolazione di riferimento” si legge: “l’insieme degli elementi che sono oggetto del programma di spesa in conto capitale, ovvero l’insieme delle unità in favore delle quali viene effettuata la spesa, ripartito territorialmente in modo da distinguere la quota attribuibile al territorio composto dalle Regioni Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Calabria, Puglia, Sicilia e Sardegna da quella relativa a resto del territorio nazionale. In assenza degli elementi e unità afferenti al programma di spesa, di cui al periodo precedente, per «popolazione di riferimento», si intende la popolazione residente al 1° gennaio dell’anno più recente resa disponibile dall’ISTAT”. Fantastico, gli abitanti diventano “elementi, ovvero unità in favore delle quali viene effettuata la spesa”. C’è da capire se con questa frase contorta il legislatore si riferisca ai LEP (livelli essenziali di prestazione) oppure se si conferma per l’ennesima volta la truffa della ripartizione delle risorse sulla base del  numero di persone (elementi? Unità?) che ricevono il servizio, dunque la famosa spesa storica (ad esempio chi ha molti posti letto negli ospedali riceve più soldi, chi ne ha pochi si deve tenere quelli senza possibilità di aumentarli). Solo in subordine alla mancanza degli “elementi e unità” si deve applicare il 34% al Sud, violando di fatto le indicazioni della UE, che il 17/03/2016 ha approvato la petizione popolare n.748/2015 proposta dal movimento Unione Mediterranea col coordinamento dell’ing. Roberto Longo, ora esponente di 10 Idee per la Calabria, che l’ha presentata a Bruxelles chiedendo appunto che i fondi ordinari venissero ripartiti in rapporto alla popolazione residente. E l’Unione Europea nel mese di settembre ha ulteriormente richiamato l’Italia al rispetto della distribuzione dei fondi su base demografica.

Ancora: “per «altro criterio relativo a specifiche criticità», si intende il criterio di riferimento stabilito dalla legge ovvero oggetto di intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato le regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, o di Conferenza Stato-città ed autonomie locali”.  In caso di assenza di legge sull’argomento da parte del Governo il tutto viene dunque rimandato alle solite battaglie tra le Regioni, generalmente vinte dalle Regioni più industrializzate a discapito di quelle più povere.

Se le nostre preoccupazioni fossero vere, ci rendiamo conto che con la Lega al Governo ci potrebbero essere state delle spinte a rendere meno rigida l’applicazione del 34%, che il Ministro Lezzi aveva compreso essere di enorme importanza per il Sud facendone la sua battaglia principale; ma ora che la Lega è all’opposizione sarebbe il caso di rispettare pienamente le indicazioni di equità nei confronti del Mezzogiorno stabilite dalla Commissione Europea nell’approvazione della storica petizione n. 748/2015. Storica perché non si tratta di pochi spiccioli: negli anni scorsi veniva erogato al Sud circa il 20% del totale dei fondi ordinari (77 miliardi), con questa legge lo stato deve alzare la percentuale al 34% (130 miliardi) e l’incremento di 53 miliardi l’anno sarebbe certamente di portata storica senza precedenti.

Questo significa che solo negli ultimi 3 anni, da quando è stata approvata la Petizione, al Sud sono stati sottratti circa 150 miliardi di euro; se facessimo i calcoli a partire dalla nascita della Repubblica capiremmo come al Sud siano state sottratte autostrade, ferrovie, aeroporti, scuole, ospedali, ecc., con la perfetta complicità dei politici meridionali. Allora basta ottenere il 34% per colmare quanto rubato in 65 anni (senza dimenticare i disastrosi 90 anni successivi all’unità d’Italia)? Per compensare parzialmente i furti del passato, al Sud dovrebbe essere dato almeno il 40% per i prossimi  15 anni. Sarebbe chiedere troppo? Non crediamo, ma almeno pretendiamo che si applichi da subito il 34% senza trucchi e furbate politiche. Rimarremo vigili controllori del rispetto della legge 18/2017, strumento indispensabile per rilanciare l’economia del Mezzogiorno, informando la popolazione e invitandola a non farsi abbindolare dal partito leghista che è nato allo scopo di mantenere ed accentuare i privilegi di cui gode il Nord Italia da 160 anni». (rrm)