LA RICETTA SVIMEZ PER IL RECOVERY FUND
METÀ INVESTIMENTI AL SUD PER CRESCERE

La ricetta per far crescere l’Italia del post-covid? Semplice, secondo la Svimez, l’Istituto per lo Sviluppo degli investimenti nel Mezzogiorno: alzare il livello di spesa previsto al Sud  ben oltre il 34%. Destinare alle regioni meridionali metà delle risorse che arriveranno dal Recovery Fund significherebbe rilanciare il Pil del Paese, grazie alla spinta propulsiva che verrebbe dai nuovi investimenti nel Mezzogiorno. A parole sembra un’operazione facile, ma il direttore della Svimez Luca Bianchi, parlando in audizione alla Commissione Bilancio della Camera, ha proposto una simulazione in grado di tracciare i possibili effetti di crescita del Pil di breve e lungo periodo che potrebbe derivare dall’impiego delle risorse europee. E lo scenario, bisogna dirlo, oltre che suggestivo appare particolarmente allettante, soprattutto nel momento in cui il cosiddetto Recovery Plan incontra inspiegabili posizioni che non collimano sull’obiettivo finale di crescita e sviluppo.

La simulazione – ha spiegato Bianchi – si concentra sulla quota di risorse aventi il carattere di sovvenzione netta, ovvero i circa 77 miliardi di euro di contributi che non dovranno essere coperti da maggiore tassazione o riduzioni di spesa. L’ipotesi cruciale è la destinazione quasi totalitaria di tali risorse al finanziamento di investimenti nelle aree di intervento individuate come prioritarie nel Next Generation EU, concentrando almeno il 50% di tali investimenti nella realizzazione di opere pubbliche. La simulazione considera 3 scenari riguardo la possibile allocazione territoriale delle risorse, prevedendo quote crescenti di investimenti nel Mezzogiorno.

Nel primo scenario, si ipotizza che solo una quota pari al 22,5% dei 77 miliardi sia destinata al Mezzogiorno. Nel secondo, invece, assimilando la dotazione in conto sovvenzione del Recovery Fund a risorse ordinarie in conto capitale, si valuta il possibile impatto dell’applicazione della clausola del 34% per il riparto delle risorse. Infine, nell’ultimo scenario si assume una destinazione al Mezzogiorno del 50% dei 77 miliardi previsti dal Recovery Fund.

In questa maniera è possibile allargare la valutazione dell’impatto delle principali misure di politica economica nazionale a livello regionale. Il modello considera tutti gli effetti associati alla (ipotetica) realizzazione di un piano di investimenti, che si dividono in tre tipologie: diretti, indiretti, e indotti. Il primo riguarda la produzione realizzata direttamente in seguito ai maggiori investimenti effettuati. Il secondo, indiretto, valuta gli impatti, in termini di maggiori input e servizi acquistati per la realizzazione degli investimenti. Il terzo, indotto, riguarda l’incremento di produzione di beni di consumo che deriva dai maggiori livelli di reddito e occupazione generati dall’aumento dell’attività produttiva, diretta e indiretta, oggetto di valutazione.

Le ragioni che giustificano l’emergere di tali risultati, e su cui si basa la ricetta Svimez di un ripristino della capacità produttiva del Mezzogiorno, sono essenzialmente due. Nel breve periodo, data l’interdipendenza tra Nord e Sud, i maggiori investimenti nel Mezzogiorno alimentano un effetto indiretto sulle produzioni del Nord, attraverso una domanda di beni e servizi necessari alla realizzazione di tali investimenti. La Svimez calcola che per ogni euro di investimento al Sud, si generi circa 1,3 euro di valore aggiunto per il Paese, e di questo, circa 30 centesimi (il 25%) ricada nel Centro-Nord. Nel lungo periodo, il processo di accumulazione di capitale, dati i rendimenti decrescenti al crescere della dotazione dello stock di capitale, produce dinamiche più sostenute nel Mezzogiorno che al Centro-Nord. Anche in questo caso, il modello Svimez evidenzia come posto uguale ad 1 il valore del moltiplicatore nel primo anno di realizzazione degli investimenti, questo cresca di oltre il 70% al Mezzogiorno alla fine del quadriennio, contro una crescita del 10% al Centro-Nord.

La combinazione di questi effetti – secondo la Svimez – induce a non ritardare ulteriormente l’avvio di politiche di riequilibrio degli investimenti e a cogliere la straordinaria occasione posta dal Recovery Fund. Per l’utilizzo delle risorse del Recovery Fund (RF) predisposto dall’UE con le sue opportune e rigide condizionalità è necessario ora fissare precisi obiettivi, varare progetti e definire un percorso. Per soddisfare queste condizioni va condivisa ed esplicitata in primis una “visione” convincente, realistica e immediatamente operativa che ponga mano alla fondamentale esigenza di connettere il Paese affrontando il multidimensionale ed imponente problema di governare e ridurre drasticamente le disuguaglianze economiche e sociali che – l’esperienza insegna – minano alla base le potenzialità del Sistema. A questo scopo, più che sollecitare e fare un inventario di progetti occorre definire un chiaro disegno di sistema che – per quanto attiene al ruolo che compete al settore pubblico – sia incardinato su interventi produttivi, non assistenziali, in conto capitale organicamente finalizzati a recuperare il contributo alla crescita ed allo sviluppo di quel 40% di territorio e di oltre il 30% di cittadini. Secondo la Svimez, ciò rappresenta la condizione preliminare per ridare fiato alle stanche locomotive del Nord che, a loro volta, di un simile “cambiamento di visione” dovrebbero cogliere l’enorme opportunità (da decenni trascurata) riveniente dalla prospettiva di partecipare al governo ed allo sviluppo del Mediterraneo, il luogo che più radicalmente la globalizzazione ha investito rendendolo centrale e strategico e nel quale noi – unico grande Paese dell’Unione esclusivamente mediterraneo – siamo ai margini se non assenti.

Ad una attenta lettura – ha fatto notare Bianchi della Svimez –, le imponenti dimensioni delle risorse messe in campo e le condizionalità del RF in risposta alla crisi rappresentano di fatto l’investitura ad articolare e sviluppare la cosiddetta e fin qui fantomatica opzione euromediterranea. È una missione in sintonia oggi più che mai con gli interessi della UE impegnata a realizzare nelle forme smart e green quel percorso di sviluppo sostenibile che dovrebbe concludersi nel 2050 con la decarbonizzazione integrale dell’UE. La cogente priorità della salvezza del pianeta consentirebbe a noi – finalmente – un percorso privilegiato per mettere fin da oggi a fuoco e a frutto per l’intero Sistema Italia l’enorme rendita rappresentata dal nostro vantaggio posizionale che offre il Mediterraneo. La priorità immediata è quella di calibrare efficaci politiche attive per riconnettere e sintonizzare su questo obiettivo il Sistema Italia.

A preoccupare sono le ricadute sociali di un impatto occupazionale, più forte nel Mezzogiorno, che perde nel solo 2020 380mila posti di lavoro. La perdita di occupati è paragonabile a quella subita nel quinquennio 2009-2013 (-369.000). Si consideri la debolezza del Paese nel momento clou della pandemia, con evidenti situazioni di stagnazione al Nord e di recessione al Sud. Questo non ha fatto altro che accentuare un secondo divario non soltanto più tra Mezzogiorno e Settentrione, ma quello tra Italia e Paesi Ue, con il Pil in caduta libera negli ultimi vent’anni e un reddito pro-capite assolutamente in degrado tra Mezzogiorno e resto del Paese: facendo base Ocse 100 nel 2001 era 108 per l’Italia contro 74 del Mezzogiorno, per diventare nel 2013 88 contro 53.

Le stime SVIMEZ indicano una caduta del Pil, nel 2020, dell’8,2% nel Mezzogiorno e del 9,6% nel Centro-Nord (Italia: -9,3%). Il calo del Pil è più accentuato al Centro-Nord che risente in misura maggiore del blocco produttivo imposto per contenere la diffusione della pandemia e per due ordini di motivi aggiuntivi. In primo luogo, prima ancora della sua diffusione in Italia, la pandemia ha determinato una caduta del commercio mondiale di entità non dissimile, in base alle informazioni attualmente disponibili, da quella del 2009. Nel 2020, le esportazioni di merci dovrebbero contrarsi, rispettivamente, del 15,6 e del 13,7% nel Sud e nel Centro-Nord. In quest’ultima area esse pesano, però, per quasi il 30% sul Pil, rispetto a meno del 10 in quelle meridionali.

Con questi numeri la simulazione del terzo scenario indicato dalla Svimez con investimenti pari o superiori al 50%da destinare al Mezzogiorno deve servire da parametro fondamentale di valutazione della programmazione e del disegno progettuale che il Recovery Plan impone di fare. La Svimez punta il faro sul Quadrilatero Zes del Mezzogiorno continentale, l’asse siciliano, le autostrade del mare. Un percorso ben definito a cui occorre una pronta risposta politica e un impegno non da poco.  (ed)

COVID-19: SUD E CALABRIA MENO COLPITI,
MA PER LA SVIMEZ CRESCERÀ IL DIVARIO

I numeri sono impietosi e il nuovo allarme che proviene dalla Svimez, l’Associazione per lo Sviluppo del Mezzogiorno, con la pubblicazione delle Previsioni regionali 2020-2021 non danno spazio ad alcun dubbio: il Mezzogiorno e la Calabria, “risparmiati” dalla pandemia con numeri di contagio molto bassi, patiranno in modo pesante gli effetti economici della crisi. Ovvero il divario Nord-Sud anziché restringersi andrà ad allargarsi: secondo quanto scrive la Svimez «resiste la chiave di lettura Centro-Nord/Mezzogiorno, ma le previsioni per il 2021 mostrano i segnali di una divaricazione interna alle due macro-ripartizioni: le tre regioni forti del Nord ripartono con minori difficoltà; il resto del Nord e le regioni centrali mostrano maggiori difficoltà; un pezzo di Centro scivola verso Mezzogiorno; il Mezzogiorno rischia si spaccarsi tra regioni più resilienti e realtà regionali che rischiano di rimanere “incagliate” in una crisi di sistema senza vie di uscita».

Secondo l’autorevole Istituto di studi e ricerca sul Mezzogiorno, «la differenziazione territoriale dei processi di resistenza allo shock e di ripartenza nel post-Covid pone al governo nazionale il tema della riduzione dei divari regionali come via obbligata alla ricostruzione post-Covid. Creare le condizioni per restituire alle regioni del Centro in difficoltà i tassi di crescita conosciuti in passato, liberare le regioni più fragili del Sud dal loro isolamento che le mette al riparo dalle turbolenze ma le esclude dalle, ricompattare il sistema produttivo nazionale intorno ad un disegno di politica industriale volta a valorizzare la prospettiva euro-mediterranea l, sono tutte premesse indispensabili per far crescere, insieme, l’economia nazionale. Anziché affannarsi a sostenere la causa delle tante questioni territoriali (del Nord, del Centro, del Mezzogiorno) che si contendono il primato nel dibattito in corso sulle vie di uscita dalla pandemia, è tempo di compattare l’interesse nazionale sul tema che le risolverebbe tutte se solo l’obiettivo della crescita venisse perseguito congiuntamente a quello della riduzione dei nostri divari territoriali».

In poche parole, le previsioni regionali «aprono la “scatola nera” del differenziale di crescita tra Mezzogiorno e Centro-Nord nel 2021 svelando una significativa diversificazione interna alle due macro-aree nella transizione al post-Covid». Dai dati diffusi si evince che l’unica regione italiana che recupera in un solo anno i punti di Pil persi nel 2020 è il Trentino. A seguire, le tre regioni settentrionali del “triangolo della pandemia” guidano la ripartenza del Nord: +7,8% in Veneto, +7,1% in Emilia Romagna, +6,9% in Lombardia. Segno, questo, che le strutture produttive regionali più mature e integrate nei contesti internazionali perdono più terreno nella crisi ma riescono anche a ripartire con più slancio, anche se a ritmi insufficienti a recuperare le perdite del 2020. Maggiori le difficoltà a ripartire di Friuli V.G., Piemonte, Valle d’Aosta e, soprattutto, Liguria.

«Le regioni centrali – evidenzia la Svimez – sono accomunate da una certa difficoltà di recupero, in particolare l’Umbria e le Marche. Alla questione settentrionale e a quella meridionale intorno alle quali tradizionalmente si polarizza il dibattito nelle crisi italiane, sembra aggiungersi una “questione del Centro” che mostra segnali di allontanamento dalle aree più dinamiche del paese, scivolando verso Sud».

Tra le regioni meridionali, le più reattive nel 2021 sono, nell’ordine, Basilicata (+4,5%), Abruzzo (+3,5%), Campania (+2,5%) e Puglia (+2,4%), confermando la presenza di un sistema produttivo più strutturato e integrato con i mercati esterni. A fronte del Sud che riparte, sia pure con una velocità che compensa solo in parte le perdite del 2020, nel 2021 ci sarà anche un Sud dalla ripartenza frenata: Calabria (+1,5%), Sicilia (+1,3%), Sardegna (+1%), Molise (+0,9%). Si tratta di segnali preoccupanti di isolamento dalle dinamiche di ripresa esterne ai contesti locali, conseguenza della prevalente dipendenza dalla domanda interna e dai flussi di spesa pubblica.

L’impatto sui redditi delle famiglie nel 2020 è in media meno intenso nel Mezzogiorno (-3,2% contro il -4,4% del Centro-Nord) anche per effetto degli ingenti trasferimenti previsti dalle misure di sostegno al reddito previsti dal Governo. Il calo riguarda in particolare l’Emilia Romagna (-6,3%), Marche (-5,7%), Umbria (-5,2%) e Piemonte (-5,2%). Per il 2021 è atteso un recupero in tutte le regioni del Centro e del Nord, soprattutto nel “triangolo della pandemia”. Le regioni meridionali condividono una riduzione meno intensa dei redditi nel 2020 ma, al tempo stesso, un recupero più debole nel 2021. È questo il caso, in particolare, di Calabria, Molise, Sardegna e Sicilia, che non recupereranno le perdite del 2020.

Anche dal punto di vista del reddito, nel post-covid, ci sono evidenti condizionamenti sui consumo delle famiglie. La spesa delle famiglie cala bruscamente in tutte le regioni italiane con una variabilità interna alle due macro-aree piuttosto correlata alla dinamica dei redditi. Nelle Marche (-12,3%) e in Umbria (-12.2%) i crolli più evidenti; in Lombardia (-7,3%), Molise (-7,4%), Trentino (-7,7%) e Sicilia (-7,7%) quelli meno intensi ma di entità comunque eccezionale. La forbice si allarga se si guarda alla ripresa della spesa delle famiglie nel 2021. Nelle regioni del Centro e del Nord, in media, i consumi delle famiglie aumenteranno del 5,0% recuperando solo la metà della perdita del 2020; nelle regioni del Mezzogiorno il recupero sarà meno di un terzo: +2,7% dopo la caduta del -9,0% del 2020. Particolarmente stagnante sarà la spesa delle famiglie in Sardegna, Sicilia e Calabria.

Non meno significativa la differenziazione per quel che riguarda gli investimenti delle imprese. Su base regionale mostrano caratteristiche comuni alla spesa delle famiglie: una maggiore differenziazione nella ripartenza, comunque stentata, del 2021 rispetto alla caduta del 2020. Al Nord il crollo è particolarmente intenso in Emilia Romagna (-17,9%) e Piemonte (-18,0%); al Centro in Toscana (-17,5%); nel Mezzogiorno in Campania (-16,3%).  Gli investimenti torneranno a crescere a tassi più sostenuti, ma comunque insufficienti a compensare le perdite del 2020, in Lombardia (+9,8%), Veneto (+9,5%) ed Emilia Romagna (+8,2%). Debole la ripartenza degli investimenti in Calabria (+2,2%), Sicilia (+2,5%) e Campania (+2,7%).

La domanda estera, infine, in profonda contrazione nel 2020 (-15,3% in media nel Mezzogiorno; -13,8% nel Centro-Nord), tornerà a crescere nel 2021 – secondo la Svimez – a ritmi più sostenuti nelle economie regionali dalle vocazioni produttive più orientate all’export. (ed)

Tab. 1: Previsioni per il Pil, Regioni, Circoscrizioni e Italia, var. %.

Regioni 2019 2020 2021
Piemonte -0,2 -11,0 5,3
Valle d’Aosta 0,3 -7,0 3,7
Lombardia 0,0 -9,9 6,9
Trentino A.A. -0,4 -6,0 5,9
Veneto 1,0 -12,2 7,8
Friuli V.G. 0,6 -10,1 4,5
Liguria 0,1 -8,5 3,7
Emilia-Romagna -0,5 -11,2 7,1
Toscana 0,7 -9,5 5,5
Umbria 1,6 -11,1 4,7
Marche 0,6 -10,6 5,0
Lazio 0,7 -8,1 4,1
Abruzzo 0,1 -8,3 3,5
Molise 1,7 -10,9 0,9
Campania 0,3 -8,0 2,5
Puglia 0,6 -9,0 2,4
Basilicata 1,4 -12,6 4,5
Calabria 1,1 -6,4 1,5
Sardegna 0,7 -5,7 1,0
Sicilia 1,1 -5,1 1,3
Mezzogiorno 0,9 -8,2 2,3
Centro-Nord 0,4 -9,6 5,4
Italia 0,6 -9,3 4,6

Fonte: Modello NMODS.

 

Tab. 2: Previsioni per spesa e redditi delle famiglie, investimenti e delle esportazioni, Regioni, Circoscrizioni e Italia, var. %.

Regioni Spesa famiglie Reddito Famiglie Investimenti Esportazioni
2019 2020 2021 2019 2020 2021 2019 2020 2021 2019 2020 2021
Piemonte 0,8 -10,5 5,0 -0,6 -5,2 6,5 0,7 -18,0 6,1 -4,3 -16,2 7,8
Valle d’Aosta 0,3 -11,2 4,1 0,1 -5,0 6,0 1,5 -10,4 4,6 -6,3 -2,0 3,9
Lombardia 0,0 -7,3 5,5 -1,2 -3,5 7,5 0,9 -16,5 9,8 -1,4 -5,9 11,1
Trentino A.A. 0,4 -7,7 4,4 0,8 -3,9 7,3 0,8 -15,8 7,7 0,9 -16,1 5,6
Veneto 0,3 -11,7 5,3 -0,1 -4,2 8,0 2,0 -15,9 9,5 0,2 -18,2 10,5
Friuli V.G. 0,6 -10,8 4,9 -0,5 -4,1 6,3 1,9 -9,8 5,2 -1,6 -15,6 6,9
Liguria 0,8 -8,2 5,1 -0,8 -2,7 4,6 1,4 -15,2 4,2 -7,3 -17,1 7,4
Emilia-Romagna 0,6 -10,2 5,6 -0,2 -6,3 7,0 0,7 -17,9 8,2 2,7 -15,9 10,2
Toscana 0,4 -10,4 5,2 0,4 -4,5 6,7 1,9 -17,5 6,8 13,6 -17,0 4,0
Umbria 1,0 -12,2 4,4 0,5 -5,2 5,2 2,8 -11,4 5,6 -0,9 -2,2 4,5
Marche 1,2 -12,3 4,2 2,2 -5,7 6,1 1,9 -16,1 5,1 2,6 -20,4 11,8
Lazio 1,0 -9,2 6,0 -0,5 -3,1 5,8 1,9 -11,0 5,3 13,5 -18,8 8,9
Abruzzo 0,9 -9,1 2,7 3,1 -3,2 4,2 1,5 -13,3 5,9 -1,9 -13,4 9,7
Molise 1,1 -7,4 2,8 3,9 -4,0 2,2 3,0 -12,8 3,2 11,1 -19,2 3,8
Campania 1,0 -10,1 2,6 1,8 -3,5 4,6 1,5 -16,3 2,7 7,5 -16,8 11,9
Puglia 0,5 -9,1 3,3 -0,6 -1,8 3,9 1,7 -14,3 4,0 -4,3 -13,2 7,1
Basilicata 1,0 -9,4 4,8 3,7 -3,5 4,1 2,1 -12,8 4,2 -17,6 -32,1 20,8
Calabria 0,8 -9,4 1,3 2,1 -2,9 2,1 2,5 -9,2 2,2 -17,0 -8,5 7,0
Sardegna 1,2 -10,1 2,2 2,6 -3,6 2,1 2,1 -11,3 4,6 8,2 -10,1 7,5
Sicilia 1,2 -7,7 1,9 2,3 -3,0 2,3 3,3 -12,2 2,5 -1,9 -9,5 10,1
Mezzogiorno 1,0 -9,0 2,7 2,4 -3,2 3,2 2,2 -12,8 3,7 -2,0 -15,3 9,7
Centro-Nord 0,6 -10,2 5,0 0,0 -4,4 6,4 1,5 -14,6 6,5 1,0 -13,8 7,7
Italia 0,8 -9,7 4,1 1,0 -3,9 5,1 1,8 -13,9 5,4 -0,2 -14,4 8,5

Fonte: Modello NMODS.

In tre anni sottratti al Sud 150 miliardi: una nota di 10 Idee per la Calabria

Il prof. Domenico Gattuso e l’ing. Roberto Longo, del Movimento 10 Idee per la Calabria hanno elaborato un documento da cui si spiega meglio lo “scippo” perpetrato al Mezzogiorno dalla ricche regioni del Nord. È una nota che conferma i dati presentati qualche giorno fa dall’annuale Rapporto Svimez, e di cui dovrebbero fare tesoro i nostri rappresentanti in Parlamento.

«Nella Gazzetta Ufficiale – si legge del documento firmato dl prof. Gattuso e dall’ing. Longo –  del 19/06/2019 è stato pubblicato il DPCM 10/05/2019 recante “Modalità di verifica del volume complessivo annuale di stanziamenti in conto capitale delle Amministrazioni centrali proporzionale alla popolazione nelle regioni del Sud.”  Tale DPCM scaturisce dall’articolo 7-bis della legge n. 18/2017 che prevede l’adozione di un decreto in cui si definiscano le modalità per verificare se le Amministrazioni Centrali destinino effettivamente agli interventi nelle regioni meridionali un volume complessivo annuale di stanziamenti ordinari in conto capitale proporzionale alla popolazione di riferimento (il famoso 34%) o conforme ad altro criterio relativo a specifiche criticità individuato nel Documento di economia e finanza su indicazione del Ministro per il Sud.

Le amare sorprese per il Meridione si scoprono nelle definizioni. Infatti nella definizione di “popolazione di riferimento” si legge: “l’insieme degli elementi che sono oggetto del programma di spesa in conto capitale, ovvero l’insieme delle unità in favore delle quali viene effettuata la spesa, ripartito territorialmente in modo da distinguere la quota attribuibile al territorio composto dalle Regioni Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Calabria, Puglia, Sicilia e Sardegna da quella relativa a resto del territorio nazionale. In assenza degli elementi e unità afferenti al programma di spesa, di cui al periodo precedente, per «popolazione di riferimento», si intende la popolazione residente al 1° gennaio dell’anno più recente resa disponibile dall’ISTAT”. Fantastico, gli abitanti diventano “elementi, ovvero unità in favore delle quali viene effettuata la spesa”. C’è da capire se con questa frase contorta il legislatore si riferisca ai LEP (livelli essenziali di prestazione) oppure se si conferma per l’ennesima volta la truffa della ripartizione delle risorse sulla base del  numero di persone (elementi? Unità?) che ricevono il servizio, dunque la famosa spesa storica (ad esempio chi ha molti posti letto negli ospedali riceve più soldi, chi ne ha pochi si deve tenere quelli senza possibilità di aumentarli). Solo in subordine alla mancanza degli “elementi e unità” si deve applicare il 34% al Sud, violando di fatto le indicazioni della UE, che il 17/03/2016 ha approvato la petizione popolare n.748/2015 proposta dal movimento Unione Mediterranea col coordinamento dell’ing. Roberto Longo, ora esponente di 10 Idee per la Calabria, che l’ha presentata a Bruxelles chiedendo appunto che i fondi ordinari venissero ripartiti in rapporto alla popolazione residente. E l’Unione Europea nel mese di settembre ha ulteriormente richiamato l’Italia al rispetto della distribuzione dei fondi su base demografica.

Ancora: “per «altro criterio relativo a specifiche criticità», si intende il criterio di riferimento stabilito dalla legge ovvero oggetto di intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato le regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, o di Conferenza Stato-città ed autonomie locali”.  In caso di assenza di legge sull’argomento da parte del Governo il tutto viene dunque rimandato alle solite battaglie tra le Regioni, generalmente vinte dalle Regioni più industrializzate a discapito di quelle più povere.

Se le nostre preoccupazioni fossero vere, ci rendiamo conto che con la Lega al Governo ci potrebbero essere state delle spinte a rendere meno rigida l’applicazione del 34%, che il Ministro Lezzi aveva compreso essere di enorme importanza per il Sud facendone la sua battaglia principale; ma ora che la Lega è all’opposizione sarebbe il caso di rispettare pienamente le indicazioni di equità nei confronti del Mezzogiorno stabilite dalla Commissione Europea nell’approvazione della storica petizione n. 748/2015. Storica perché non si tratta di pochi spiccioli: negli anni scorsi veniva erogato al Sud circa il 20% del totale dei fondi ordinari (77 miliardi), con questa legge lo stato deve alzare la percentuale al 34% (130 miliardi) e l’incremento di 53 miliardi l’anno sarebbe certamente di portata storica senza precedenti.

Questo significa che solo negli ultimi 3 anni, da quando è stata approvata la Petizione, al Sud sono stati sottratti circa 150 miliardi di euro; se facessimo i calcoli a partire dalla nascita della Repubblica capiremmo come al Sud siano state sottratte autostrade, ferrovie, aeroporti, scuole, ospedali, ecc., con la perfetta complicità dei politici meridionali. Allora basta ottenere il 34% per colmare quanto rubato in 65 anni (senza dimenticare i disastrosi 90 anni successivi all’unità d’Italia)? Per compensare parzialmente i furti del passato, al Sud dovrebbe essere dato almeno il 40% per i prossimi  15 anni. Sarebbe chiedere troppo? Non crediamo, ma almeno pretendiamo che si applichi da subito il 34% senza trucchi e furbate politiche. Rimarremo vigili controllori del rispetto della legge 18/2017, strumento indispensabile per rilanciare l’economia del Mezzogiorno, informando la popolazione e invitandola a non farsi abbindolare dal partito leghista che è nato allo scopo di mantenere ed accentuare i privilegi di cui gode il Nord Italia da 160 anni». (rrm)