NELL'AUDIZIONE ALLA COMMISSIONE BILANCIO DELLA CAMERA INDICATE LE PRIORITÀ PER UTILIZZARE I FONDI UE;
Le autostrade del mare

LA RICETTA SVIMEZ PER IL RECOVERY FUND
METÀ INVESTIMENTI AL SUD PER CRESCERE

La ricetta per far crescere l’Italia del post-covid? Semplice, secondo la Svimez, l’Istituto per lo Sviluppo degli investimenti nel Mezzogiorno: alzare il livello di spesa previsto al Sud  ben oltre il 34%. Destinare alle regioni meridionali metà delle risorse che arriveranno dal Recovery Fund significherebbe rilanciare il Pil del Paese, grazie alla spinta propulsiva che verrebbe dai nuovi investimenti nel Mezzogiorno. A parole sembra un’operazione facile, ma il direttore della Svimez Luca Bianchi, parlando in audizione alla Commissione Bilancio della Camera, ha proposto una simulazione in grado di tracciare i possibili effetti di crescita del Pil di breve e lungo periodo che potrebbe derivare dall’impiego delle risorse europee. E lo scenario, bisogna dirlo, oltre che suggestivo appare particolarmente allettante, soprattutto nel momento in cui il cosiddetto Recovery Plan incontra inspiegabili posizioni che non collimano sull’obiettivo finale di crescita e sviluppo.

La simulazione – ha spiegato Bianchi – si concentra sulla quota di risorse aventi il carattere di sovvenzione netta, ovvero i circa 77 miliardi di euro di contributi che non dovranno essere coperti da maggiore tassazione o riduzioni di spesa. L’ipotesi cruciale è la destinazione quasi totalitaria di tali risorse al finanziamento di investimenti nelle aree di intervento individuate come prioritarie nel Next Generation EU, concentrando almeno il 50% di tali investimenti nella realizzazione di opere pubbliche. La simulazione considera 3 scenari riguardo la possibile allocazione territoriale delle risorse, prevedendo quote crescenti di investimenti nel Mezzogiorno.

Nel primo scenario, si ipotizza che solo una quota pari al 22,5% dei 77 miliardi sia destinata al Mezzogiorno. Nel secondo, invece, assimilando la dotazione in conto sovvenzione del Recovery Fund a risorse ordinarie in conto capitale, si valuta il possibile impatto dell’applicazione della clausola del 34% per il riparto delle risorse. Infine, nell’ultimo scenario si assume una destinazione al Mezzogiorno del 50% dei 77 miliardi previsti dal Recovery Fund.

In questa maniera è possibile allargare la valutazione dell’impatto delle principali misure di politica economica nazionale a livello regionale. Il modello considera tutti gli effetti associati alla (ipotetica) realizzazione di un piano di investimenti, che si dividono in tre tipologie: diretti, indiretti, e indotti. Il primo riguarda la produzione realizzata direttamente in seguito ai maggiori investimenti effettuati. Il secondo, indiretto, valuta gli impatti, in termini di maggiori input e servizi acquistati per la realizzazione degli investimenti. Il terzo, indotto, riguarda l’incremento di produzione di beni di consumo che deriva dai maggiori livelli di reddito e occupazione generati dall’aumento dell’attività produttiva, diretta e indiretta, oggetto di valutazione.

Le ragioni che giustificano l’emergere di tali risultati, e su cui si basa la ricetta Svimez di un ripristino della capacità produttiva del Mezzogiorno, sono essenzialmente due. Nel breve periodo, data l’interdipendenza tra Nord e Sud, i maggiori investimenti nel Mezzogiorno alimentano un effetto indiretto sulle produzioni del Nord, attraverso una domanda di beni e servizi necessari alla realizzazione di tali investimenti. La Svimez calcola che per ogni euro di investimento al Sud, si generi circa 1,3 euro di valore aggiunto per il Paese, e di questo, circa 30 centesimi (il 25%) ricada nel Centro-Nord. Nel lungo periodo, il processo di accumulazione di capitale, dati i rendimenti decrescenti al crescere della dotazione dello stock di capitale, produce dinamiche più sostenute nel Mezzogiorno che al Centro-Nord. Anche in questo caso, il modello Svimez evidenzia come posto uguale ad 1 il valore del moltiplicatore nel primo anno di realizzazione degli investimenti, questo cresca di oltre il 70% al Mezzogiorno alla fine del quadriennio, contro una crescita del 10% al Centro-Nord.

La combinazione di questi effetti – secondo la Svimez – induce a non ritardare ulteriormente l’avvio di politiche di riequilibrio degli investimenti e a cogliere la straordinaria occasione posta dal Recovery Fund. Per l’utilizzo delle risorse del Recovery Fund (RF) predisposto dall’UE con le sue opportune e rigide condizionalità è necessario ora fissare precisi obiettivi, varare progetti e definire un percorso. Per soddisfare queste condizioni va condivisa ed esplicitata in primis una “visione” convincente, realistica e immediatamente operativa che ponga mano alla fondamentale esigenza di connettere il Paese affrontando il multidimensionale ed imponente problema di governare e ridurre drasticamente le disuguaglianze economiche e sociali che – l’esperienza insegna – minano alla base le potenzialità del Sistema. A questo scopo, più che sollecitare e fare un inventario di progetti occorre definire un chiaro disegno di sistema che – per quanto attiene al ruolo che compete al settore pubblico – sia incardinato su interventi produttivi, non assistenziali, in conto capitale organicamente finalizzati a recuperare il contributo alla crescita ed allo sviluppo di quel 40% di territorio e di oltre il 30% di cittadini. Secondo la Svimez, ciò rappresenta la condizione preliminare per ridare fiato alle stanche locomotive del Nord che, a loro volta, di un simile “cambiamento di visione” dovrebbero cogliere l’enorme opportunità (da decenni trascurata) riveniente dalla prospettiva di partecipare al governo ed allo sviluppo del Mediterraneo, il luogo che più radicalmente la globalizzazione ha investito rendendolo centrale e strategico e nel quale noi – unico grande Paese dell’Unione esclusivamente mediterraneo – siamo ai margini se non assenti.

Ad una attenta lettura – ha fatto notare Bianchi della Svimez –, le imponenti dimensioni delle risorse messe in campo e le condizionalità del RF in risposta alla crisi rappresentano di fatto l’investitura ad articolare e sviluppare la cosiddetta e fin qui fantomatica opzione euromediterranea. È una missione in sintonia oggi più che mai con gli interessi della UE impegnata a realizzare nelle forme smart e green quel percorso di sviluppo sostenibile che dovrebbe concludersi nel 2050 con la decarbonizzazione integrale dell’UE. La cogente priorità della salvezza del pianeta consentirebbe a noi – finalmente – un percorso privilegiato per mettere fin da oggi a fuoco e a frutto per l’intero Sistema Italia l’enorme rendita rappresentata dal nostro vantaggio posizionale che offre il Mediterraneo. La priorità immediata è quella di calibrare efficaci politiche attive per riconnettere e sintonizzare su questo obiettivo il Sistema Italia.

A preoccupare sono le ricadute sociali di un impatto occupazionale, più forte nel Mezzogiorno, che perde nel solo 2020 380mila posti di lavoro. La perdita di occupati è paragonabile a quella subita nel quinquennio 2009-2013 (-369.000). Si consideri la debolezza del Paese nel momento clou della pandemia, con evidenti situazioni di stagnazione al Nord e di recessione al Sud. Questo non ha fatto altro che accentuare un secondo divario non soltanto più tra Mezzogiorno e Settentrione, ma quello tra Italia e Paesi Ue, con il Pil in caduta libera negli ultimi vent’anni e un reddito pro-capite assolutamente in degrado tra Mezzogiorno e resto del Paese: facendo base Ocse 100 nel 2001 era 108 per l’Italia contro 74 del Mezzogiorno, per diventare nel 2013 88 contro 53.

Le stime SVIMEZ indicano una caduta del Pil, nel 2020, dell’8,2% nel Mezzogiorno e del 9,6% nel Centro-Nord (Italia: -9,3%). Il calo del Pil è più accentuato al Centro-Nord che risente in misura maggiore del blocco produttivo imposto per contenere la diffusione della pandemia e per due ordini di motivi aggiuntivi. In primo luogo, prima ancora della sua diffusione in Italia, la pandemia ha determinato una caduta del commercio mondiale di entità non dissimile, in base alle informazioni attualmente disponibili, da quella del 2009. Nel 2020, le esportazioni di merci dovrebbero contrarsi, rispettivamente, del 15,6 e del 13,7% nel Sud e nel Centro-Nord. In quest’ultima area esse pesano, però, per quasi il 30% sul Pil, rispetto a meno del 10 in quelle meridionali.

Con questi numeri la simulazione del terzo scenario indicato dalla Svimez con investimenti pari o superiori al 50%da destinare al Mezzogiorno deve servire da parametro fondamentale di valutazione della programmazione e del disegno progettuale che il Recovery Plan impone di fare. La Svimez punta il faro sul Quadrilatero Zes del Mezzogiorno continentale, l’asse siciliano, le autostrade del mare. Un percorso ben definito a cui occorre una pronta risposta politica e un impegno non da poco.  (ed)