KLAUS DAVI RISCOPRE L’EBRAISMO AL SUD
ANDREBBE FATTO ASSESSORE AL TURISMO

di SANTO STRATI  – La grande attenzione verso il Mezzogiorno e la Calabria in particolare emersa durante la settimana della cultura ebraica in Italia ha un regista d’eccezione: il giornalista italo-svizzero Klaus Davi, da anni innamorato della Calabria. Davi – che in questo caso ha svolto egregiamente il suo apprezzato ruolo di “massmediologo” ha promosso, motivato e in parte condotto in prima persona una ricerca sulle giudecche calabresi.

L’esito è stato sorprendente: la Calabria ha una fortissima identità ebraica, di cui si erano smarrite le tracce e che invece va adeguatamente valorizzata e aggiunta al patrimonio culturale della regione.

Il risultato della ricerca di Klaus Davi non solo ha stupito gran parte della comunità ebraica calabrese e italiana ma ha suscitato largo interesse in tutto il mondo.

Scoprire quest’identità che fa parte della storia del territorio e recuperarne i valori e le tradizioni, nel solco di una storia che non va rimossa ma, al contrario, deve avere ampia eco, è dunque una virtuale medaglia al valore al giornalista che, in ogni occasione, parla della “sua” Calabria, nuova terra d’adozione e in cui sembra intenzionato a mettere le radici.

Una professionalità indiscussa e una capacità di condividere e comunicare come pochi: avercelo uno come lui a gestire l’assessorato regionale al Turismo, che allo stato attuale è in reggenza direttamente al Presidente Occhiuto, che – preso da mille impicci– dovrà quanto prima riassegnare. Perché è una delega importantissima che richiede tempo pieno, oltre che professionalità e competenza, nonché altrettanta passione. E Davi passione nelle sue cose è abituato a mettercene in quantità industriali…

– Klaus Davi, ma se il presidente Occhiuto (con formidabile intuito, in un lampo di genio) le offrisse di diventare assessore regionale al Turismo? Accetterebbe la delega?

«Perché no? Un contributo lo potrei dare. Le idee non mancano. Le conoscenze neanche. Se me lo propongono non dico di no».

– La campagna “Jewis Calabria” da lei ideata è stata un successo clamoroso…

«La mia campagna ha contribuito all’affermazione della presa di coscienza della forte identità ebraica dei territori calabresi. Tanto che oltre 28 amministrazioni hanno aderito alla Giornata della Cultura ebraica che si è svolta nei giorni scorsi. Una reazione positiva, inaspettata, che proietta la Calabria in testa alla graduatoria stilata dall’Ucei (l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane) arrivando a battere regioni come Lazio, Emilia Romagna, Toscana, Piemonte dove attualmente esistono ancora comunità ebraiche influenti e attive».

– Il successo dell’evento si deve alla sua conoscenza della materia, sicuramente, ma anche alla sua indiscutibile capacità di comunicare. Klaus Davi conosce mezzo mondo dell’informazione e dei media e l’altro mezzo conosce lei. È un’efficace scommessa sul risultato che verrà…

«La Calabria è diventata una capitale della riscoperta dell’ebraismo. Anzi, lo è sempre stata, ma ci voleva un detonatore che forse prima mancava. A

livello territoriale è stata fondamentale l’attenzione della componente ebraica sia dalla popolazione che dagli amministratori calabresi. Quando abbiamo proposto di realizzare gli eventi nei vari comuni come Bisignano, Santa Maria del cedro, Bova, Reggio Calabria l’accoglienza e la disponibilità sono state disarmanti, totali. Questo anche nei piccoli comuni della Sila come San Marco Argentano, a Castrovillari, o nei centri della Locride come Gerace».

– Com’è nata l’idea di “Jewish Calabria”?

«I calabresi sono per natura multiculturali. Qui ci sono minoranze linguistiche presenti da millenni che resistono come i Greci, gli Albanesi e aggiungerei anche la cultura dei Rom. Per i Calabresi il melting pot è un dato di fatto ontologico. Tutto esisteva già io non ho inventato nulla.

Inoltre molti cittadini calabresi sono profondi conoscitori dell’antico testamento. Qui la religione è una cosa seria».

– Anche le intuizioni hanno giocato un grande ruolo e sono state accolte, direi, con entusiasmo…

«L’idea di promuovere la cultura ebraica l’abbiamo condivisa con Roberto Occhiuto e Anton Giulio Grande, commissario di Calabria Film Commission, che hanno condiviso passo passo tutto il percorso».

– Qual è stata la reazione dell’ebraismo ufficiale?

«Apertissima. Noemi di Segni che ho incontrato a Roma con Francesco Maria Spanò, top manager della Luiss e locrideo doc, nel maggio del 2022, data di inizio di questo percorso, ha subito creduto in questo progetto e l’Ucei ha patrocinato tutte le iniziative».

– Lei ama la Calabria, questo è un dato di fatto. E da ultimo ha mostrato, al limite del rischio personale, che, com’è sua abitudine intende scoperchiare e mostrare il marcio della ‘ndrangheta e del malaffare. È persino andato – documentandolo in video – da un pusher in pieno centro a Reggio (al rione Marconi) per denunciare questo spaccio “sfacciato”, sotto gli occhi di tutti, a cui nessuno pone fine…

«È vero. Recentemente mi sono addentrato in una centralina della coca a Reggio Calabria. Nella Ndrangheta si profilano nuovi equilibri in parte gia anticipati da indagini come ‘Malefix’ svolte dalla Polizia di Stato. E dopo i nostri servizi, i narcos rom hanno chiuso la centralina della cocaina che aveva sede nel quartiere Marconi, un’area degradata, dove la presenza dello Stato dovrebbe essere continua e massiccia: ci sono case popolari che vengono strappate letteralmente ai legittimi intestatari (con i mobili buttati in mezzo alla strada) e c’è un continuo smercio di droga di ogni tipo».

– Cosa l’ha spinta a rischiare in prima persona? Non è certo la prima volta, ma è facile immaginare che molti personaggi del malaffare amerebbero farle del male…

«Non mi piaceva come a volte venivano raccontati il malaffare e il potere dei clan ndranghetisti che operano in Calabria. Una mafia arcaica e post agricola, rigidamente eterosessuale. Invece è una organizzazione post moderna, avanzata tecnologicamente e sessualmente fluida. Ma la narrazione piu patetica della Ndrangheta avviene a Milano. Dove il concetto di

‘borghesia mafiosa’ è bandito e si insiste a descriverla come un fenomeno

periferico. Invece è ben insediato nei gangli di potere degli ‘intoccabili’. La mia città è il primo acquirente della cocaina prodotta dalle Ndrine. Chi lo dice ? nessuno. Facile accusare i Calabresi».

– Ha parlato di organizzazione “fluida”…

«Sì, mi spiego meglio. La narrazione della Ndrangheta dominata da ‘maschi alfa’ è falsa, alimentata subdolamente. E’ quello che gli affiliati vogliono che si rappresenti di loro».

– Cosa pensa della nomina del Procuratore Gratteri a Napoli?

«È un grosso passo avanti per l’antimafia. Porta un grande know how sulla ’ndrangheta, che è la mafia più internazionale che c’è, per contrastare la camorra che nella partita della droga gioca un ruolo importante, e considerando che le due mafie operano in parallelo nel naccotraffico. Secondo me è anche meglio che sia andato lì piuttosto che alla Dna (direzione nazionale antimafia), perché su Napoli può dare un contributo ancora più decisivo e più forte. Peraltro la venuta di Gratteri a Napoli sancisce la supremazia della ’ndrangheta, perché mettere il più importante magistrato anti-’ndrangheta del mondo a operare sulla camorra sancisce che per sconfiggere la camorra devi avere un esperto di ’ndrangheta».

– È un colpo di teatro, per rafforzare l’immagine di uno Stato che vuole essere presente nel contrasto senza indugi alla criminalità o ci si può aspettare qualcosa di concreto?
«Sicuramente c’è un aspetto di comunicazione, ma ce n’è anche uno molto sostanziale. Certo che nelle varie questioni di Caivano, Pianura e Ponticelli ci vuole la repressione, ma non basta. Ci vuole anche che lo Stato investa, altrimenti non ne usciamo. A Ponticelli sono andato (un boss si è tagliato le vene davanti a me) e non c’è nemmeno un campo da calcetto. Desolazione totale. Come si pensa di recuperare i giovani o di tenerli lontani dalla criminalità se non c’è nemmeno un luogo aggregativo? Come a Caivano: arresti i padri, ma poi? Questi ragazzi non hanno nulla. Lo Stato deve assumersi le proprie responsabilità se vuole davvero promuovere una cultura della legalità».

– Torniamo al suo blitz contro il pusher di Reggio adeguatamente video documentato al quale ha fatto seguire il video della distruzione della cocaina da lei acquistata per documentare lo spaccio. Qual è il suo obiettivo? Non è solo giornalismo, ma, direi, impegno sociale. Apprezzabilissimo e meritevole della massima considerazione…

«Sto indagando sul ruolo e sull’affermazione dei clan rom ai vertici della ’ndrangheta. Ci sono già inchieste fatte dalla magistratura su questo tema, la più importante, della procura di Reggio Calabria, si chiama Malefix. Però si parla poco dei rom e della loro ascesa. Quindi dopo aver saputo di questo covo per lo spaccio della cocaina proprio a Reggio Calabria mentre ero in vacanza mi sono organizzato. Sapevo che era una zona presidiata dai rom e sapevo che c’erano le telecamere, e nel mio video si vedono i loro monitor di controllo, quindi ci sono andato di notte, ho cercato di schivare le telecamere e le vedette e con un escamotage sono riuscito a introdurre la mia di telecamere e a riprendere dall’interno la centralina dello spaccio ai clienti ma anche a microtrader.

Una centralina completamente controllata dalla filiera rom che per la prima volta è stata filmata con tanto di vendita della coca dall’interno. I tre-quattro che erano lì dentro erano un terminale, ma vari elementi (dalle telecamere di sicurezza al taglio della droga) rivelano che l’organizzazione era sistematica. Ora si tratta di capire chi ha delegato ai rom questa cosa, ma deve essere qualcuno di molto in alto nella ’ndrangheta. È tutto un universo da esplorare, con l’aggiunta del fatto che su questo tema c’è sempre molto politically correct, non è che se ne parli molto volentieri. Ma noi li abbiamo beffati e siamo usciti con un video che è una prova di reato».

– La Calabria uscirà da questo male?

«I Calabresi ne hanno le scatole piene. La vera arma è la cultura». (s)