Fondazione Mediterranea: impegno per sostenere la Fondazione Noel

Lo studio del moto ondoso nello Stretto ha suggerito una simulazione sperimentale dell’Università Mediterranea per la produzione energetica. Su questo tema la Fondazione Mediterranea ha organizzato un meeting informativo coordinato dal prof. Felice Arena che ha suscitato l’attenzione e l’interesse della senatrice Silvia Vono (Italia Viva)

Tutto è nato sul finire degli anni Ottanta del trascorso secolo da un’intuizione del prof. Paolo Boccotti, oggi professore emerito dell’Università Mediterranea, successivamente confermata sperimentalmente nei primi anni Novanta. In termini poco scientifici, ma utili dal punto di vista divulgativo, si può dire che sulla sponda reggina dello Stretto di Messina, per una serie di particolari caratteristiche (grande stabilità del vento locale, tipo di vento di canale, che spira da Messina verso Reggio; orientamento della costa su cui agisce il vento di canale e sua estensione limitata a 10 km), si crei un moto ondoso che simula in scala quello oceanico. Luogo ideale, quindi, per lo studio sperimentale su come questo moto ondoso possa essere sfruttato per la produzione energetica. Nasce così il laboratorio NOEL (Natural Ocean Engineering Laboratory), inaugurato nei primi anni di questo millennio dal rettore Alessandro Bianchi, e oggi diretto dal prof. Felice Arena del Dipartimento DICEAM dell’Università Mediterranea.

Oggi questo laboratorio, unico al mondo per le sue specifiche caratteristiche, in base ai cui studi si stanno realizzando in Italia (a Roccella, Salerno e Civitavecchia) strutture portuali in grado di generare energia elettrica con la particolare struttura dei loro moli foranei, si è lanciato in un’altra avventura sperimentale: la creazione di strutture galleggianti per itticoltura in grado di essere completamente autosufficienti e, inoltre, di produrre energia elettrica, tramite lo sfruttamento dell’energia eolica, con le classiche pale, e di quella ondosa, secondo il Modello Boncotti.
La ratio di questi esperimenti, in base ai quali grandi strutture fino a 2 ettari di superficie (il modello sperimentale reggino, visibile sul lungomare, è in scala 1/15) possono essere utilizzate in alto mare con opportuno ancoraggio al fondo marino, è che nei pressi delle coste ulteriori insediamenti di itticoltura non sono più sostenibili (inquinamento ambientale, eutrofizzazione costiera, concorrenza con le attività ricettive e turistiche, etc) pur essendo ormai indispensabili a soddisfare il fabbisogno alimentare di una popolazione mondiale che nel 2050 raggiungerà i 9 miliardi di unità.
La senatrice Vono, perplessa dalla scarsa attenzione attribuita dai politici reggini alle attività di ricerca dell’Università Mediterranea, si è dichiarata disponibile ad aiutare e sostenere con i mezzi a sua disposizione le attività del NOEL, soprattutto in previsione delle positive ricadute che l’implementazione sul territorio della ricerca scientifica può avere sull’emigrazione intellettuale e in generale sull’occupazione giovanile del Sud.
La senatrice Vono ha assicurato che riferirà in Senato su quanto osservato e annotato in riva allo Stretto ovvero sulla presenza di laboratori universitari che svolgono attività di ricerca che non hanno nulla da invidiare a quelle svolte da ben più antiche e blasonate e ricche Università. Sollecitata in tal senso dal dott. Vincenzo Vitale, presidente della Fondazione Mediterranea, la senatrice si è dichiarata ampiamente disponibile ad appoggiare, per quanto di sua competenza, il percorso integrativo dell’Area dello Stretto, ritenendo che nel terzo millennio non si possa ormai più parlare di città vicine e con comuni interessi che non facciano anche sistema. (rrc)
Nella foto, da sinistra: il prof. Felice Arena; la senatrice Silvia Vono; il dott. Vincenzo Vitale. Sullo sfondo il prototipo sperimentale in scala 1/15

La Fondazione Mediterranea sul nuovo assetto del porto turistico e commerciale di Reggio

La Fondazione Mediterranea, ha commentato l’ambizioso progetto che vede protagonista il porto di Reggio Calabria, conferendogli nuova vita.

«Secondo quanto affermato – si legge in una nota – dal presidente dell’Autorità di Sistema Portuale dello Stretto, ing. Paolo Mario Mega, a dar fede alla documentazione che formalmente è pervenuta nelle sue mani, l’unico progetto di piano regolatore per il porto di Reggio risale al 1968. Oggi, in concorso con l’Amministrazione comunale reggina e sentiti i soggetti portatori di interessi, si tenta di dar nuova vita a una struttura che, con la realizzazione del nuovo Waterfront reggino, non può più essere lasciata alla discrezionalità delle varie amministrazioni e istituzioni che a vario titolo hanno competenza sull’area portuale».

«Per prima cosa – continua la nota – verranno eliminati i depositi di carburante sul fronte mare della banchina di ponente e non verrà concessa sul sito nessuna nuova autorizzazione a imprenditori privati: la parte terminale del rione Candeloro, infatti, sarà il logico completamento del water front reggino con l’edificazione del Museo del Mare di Zaha Hadid. Il lato interno portuale della banchina, liberato dai natanti da lustri lì parcheggiati, sarà destinato all’approdo di navi commerciali. Sempre lato ponente, la stazione marittima verrà valorizzata con la connessione non più stagionale con le isole Eolie, che verrà estesa a tutto l’anno e incrementata in periodo estivo, e con un raccordo più stabile con la stazione aeroportuale».

«Passando alla banchina di levante – prosegue la nota – gli interventi saranno ben più incisivi e importanti. Verranno rimossi i silos destinati all’immagazzinamento del cemento in polvere, non utilizzati da decenni, e tutta l’area verrà riqualificata in senso commerciale e turistico. L’area attualmente occupata stagionalmente dalle banchine mobili, quella in prossimità dell’entrata, verrà destinata all’approdo e al supporto logistico di mega yacht, che secondo il presidente Mega necessitano di un’assistenza logistica non assimilabile a quella che vien data alla diportistica».

«Per la nautica da diporto – dice ancora la nota – verrà dedicato un ampio spazio di mare, più o meno all’altezza del Circolo Nautico, senza interferire con le attività balneari che insistono a nord verso la rada di Pentimele, con la creazione ex novo di un vero e proprio porto marine la cui gestione, non soggetta a vincoli perché fuori dall’ambito prettamente portuale, potrà essere oggetto di attenzione da parte dell’imprenditoria privata e dell’associazionismo sportivo.
Immediatamente a lato del mini-porto per mega yacht, sloggiata la Caronte, la banchina verrà riservata all’attracco di navi da crociera di medie e piccole dimensioni (le grandi navi continueranno ad attraccare a Messina) e lo spazio retrostante sarà riqualificato con la creazione delle strutture ricettive e di supporto logistico a tutta l’attività crocieristica».

«Agli imbarchi attualmente in concessione alla Caronte – prosegue la nota – collegati con il terminal di Tremestieri, verrà destinata la zona immediatamente fuori dal porto, a nord dell’enorme casermone dalla Capitaneria di Porto. All’uopo c’è da evidenziare che, per come ulteriormente affermato dal presidente Mega, non verrà data l’autorizzazione allo spostamento di nemmeno una corsa da Villa San Giovanni a Reggio: l’interfaccia principale con la Sicilia, per quanto riguarda il traffico ro-ro, continuerà a essere Villa San Giovanni, dove è prevista la costruzione dei nuovi scali a sud dell’attuale porto».

«È un progetto ambizioso – conclude la nota – e anche di non semplice realizzazione (basti pensare alle difficoltà per la creazione del nuovo porto marine, dovute essenzialmente alla profondità dei fondali) che, se realizzato (ci vorranno comunque diversi anni, presumibilmente un paio di lustri), trasformerebbe il porto reggino dandogli una nuova vita». (rrc)

Reggio, contro il restyling di piazza De Nava si schiera la Fondazione Mediterranea

di ENZO VITALE* – Con un dissennato cupio dissolvi, si opera la distruzione delle tracce urbanistiche, liberty e razionaliste, della ricostruzione reggina. Nel suggerire alcune modifiche al progetto definitivo “Piazza De Nava – Restauro e riqualificazione per l’integrazione tra il museo archeologico nazionale e il contesto urbano”, proposto dal Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, la cui analisi non ci è possibile riferire nel dettaglio per ovvi motivi di spazio, occorre porre alcune doverose premesse.

Le idee guida possono essere considerate valide: raccordo più integrato del Museo con l’esterno; ampliamento della piazza con la pedonalizzazione delle strade adiacenti; apertura della piazza agli spazi attigui, come il monumento Alvaro, con cui fare sistema. Non vi sono vincoli diretti sui monumenti presenti nell’area né sugli elementi materiali che la compongono; vincolati, invece, sono i marciapiedi e basolati stradali; l’area di intervento, superficiale, non è interessata da vincoli archeologici derivanti da appositi provvedimenti di tutela.

Ciò premesso, è l’esecuzione progettuale che, pur legittima e rispettosa delle leggi, è fortemente deficitaria dal punto di vista identitario. Inoltre, l’uso di programmi per il rendering non proprio all’altezza del compito e alcune grossolane imprecisioni nella descrizione dello stato attuale della piazza, certificano come valida l’unanime e generale impressione nettamente negativa sul progetto, di basso livello culturale nonché sganciato dal contesto storico e urbanistico della città.

A nulla vale, per giustificare l’impianto progettuale, il richiamo ad alcuni disegni originali del Piacentini, che mostrano una piazza molto più grande e libera che circonda un edificio di forte impronta razionalista: già da subito il Piacentini abbandona la sua idea iniziale di edificio asimmetrico con vetrate a nastro e continue, che collide con una piazza già dedicata a De Nava nel 1926, nella quale nel 1936 si pone l’opera di Francesco Jerace, e con il già progettato edificio dell’Ente Edilizio del 1933 curato Camillo Autore.

Il richiamo, secondo logica restaurativa, si deve fare con gli elementi della piazza che sono caratteristici dell’epoca, senza riferimenti a idee architettoniche che lo stesso Piacentini aveva abbandonato in corso d’opera.

Tutto ciò premesso, le modifiche che la Fondazione Mediterranea propone al progetto riguardano il recupero della memoria storica cittadina: mantenimento di tracce delle strutture che, sebbene non sottoposte a vincolo, fanno parte a pieno titolo dell’urbs reggina come segno della sua ricostruzione post terremoto; richiamo alle radici magno greche della città nella scelta degli arredi della piazza; eliminazione di alcuni aspetti di illuminotecnica in stile Las Vegas e più adatti ad addobbi natalizi di paesana ingenuità.

1) Mantenimento e restauro della cintura di pilastrini e ringhiera tubolare, espressioni architettoniche tipiche del periodo della ricostruzione e del Ventennio oltre che caratteristiche della piazza fin dalla sua creazione, con documentazione fotografica risalente a prima del 1936, almeno lungo i lati di via Romeo e via Tripepi, la cui circolazione veicolare verrà mantenuta.

2) Eliminazione della progettata fontana a zampilli prevista nell’angolo basso lato via Vollaro (zona che sarà inaccessibile nelle frequenti giornate ventose, sempre che la fontana sia funzionante – nessuna in città lo è – e non ridotta a un deposito di carte e lattine vuote di birra): ideazione banalissima e non funzionale, un semplice riempitivo di spazio che – a nostro avviso – potrebbe essere usato a luogo espositivo esterno del Museo, concretizzando così non a parole la sua apertura.

3) Rimodulazione degli impianti di illuminotecnica, più adatti ad ambienti anonimi e senza storia che a una piazza che ambisce a essere identitaria: sembra di salire i gradini di un accesso a un parco giochi per minus habens, con effetti luminosi che possono incantare solo loro.

4) Eliminazione dei festoni luminosi, che fanno bella mostra di loro fra le fronde del ficus dell’aiuola Alvaro: vera e imperdonabile offesa al buon gusto di una cittadinanza che non intende farsi colonizzare dal cattivo gusto e dalla pacchianeria.

5) Verde pubblico della piazza dedicato a specie autoctone dei luoghi (ulivo, bergamotto, agrumi, gelsomino, ecc.) o a specie tipiche del periodo greco antico (abbiamo o no una Facoltà di Agraria che potrebbe esprimere il suo parere?) piuttosto che a specie arboree importate e senza identità.

6) Eliminazione dell’enorme palo di illuminazione, posto ai lati della fontana, e sua sostituzione con elementi più discreti e signorili.

7) Mantenimento e restauro dei sedili in ferro tipici della piazza e della via Marina: come fatto con la ringhiera del lungomare, andrebbero rifatti in stile e moltiplicati.

8) Mantenimento del basolato lavico originale nella porzione di corso antistante al Museo, usando la pietra di Lazzaro solo all’interno del perimetro di piazza.

9) Estrema oculatezza nella scelta qualitativa dei materiali che verranno usati (in città si hanno esempi deleteri, anche recenti).

Queste sono solo alcune delle criticità, quelle più eclatanti, evidenziate in un testo che, in alcuni passaggi, diviene quasi offensivo, quando si descrivono tratti del nostro carattere meridionale che si vorrebbero recuperare nella progettualità di un’area civica di aggregazione.

Per il resto, se proprio si deve fare, che questa piazza si faccia, visto che i 5 milioni di finanziamento si perderebbero. Ma non si dovranno più consentire in futuro questi tentativi di colonizzazione culturale da parte di supponenti “archistar”, che pretendono di spiegare a noi reggini chi siamo, cosa vogliamo e dove dovremmo andare (e anche in che direzione muoverci quando attraversiamo una piazza o come sederci opportunamente sulle sue nuove sedute). (rrc)

*Presidente Fondazione Mediterranea

La proposta della Fondazione Mediterranea: un progetto di riorganizzazione territoriale

È in programma per questo pomeriggio, alle 17, su Zoom, l’incontro di studio su La Italia delle province regionali e delle città metropolitane. Progetto di riorganizzazione territoriale italiana e sue ricadute sull’area dello Stretto organizzata dalla Fondazione Mediterranea e dalla Società Geografica Italiana.

Presentazione e ratio saranno a cura della Fondazione Mediterranea rappresentata dal dr. Vincenzo Vitale; la relazione di base sarà del costituzionalista prof. Antonino Spadaro. Sono previsti interventi del giornalista Gianpaolo Latella, del già presidente del Consiglio Regionale, dott. Nicola Irto, e di un rappresentante della destra politica reggina, prof. Giuseppe Bombino.

L’incontro di studio partirà dalle considerazioni poste l’8 marzo del 2013 dalla Società Geografica Italiana, sotto la guida del prof. Franco Salvatori.

L’antica Istituzione Culturale della Repubblica Italiana, nella sua sede romana di Villa Celimontana, ha presentato un progetto di riordino territoriale italiano che, considerando la natura essenzialmente urbana dell’insieme geografico dello Stivale, prevede l’eliminazione dell’istituto regionale così come lo conosciamo: erede della divisione territoriale per fini statistici fatta nella seconda metà del XIX secolo, ideata nell’Italia preunitaria del 1852 dal prof. Cesare Correnti che fu in primo presidente della Società Geografica; formalizzato nella Costituzione postbellica dall’Assemblea Costituente nel dicembre del 1947 all’art. 131, in accoglimento delle tesi regionalistiche di don Sturzo; concretizzatosi negli anni Settanta del Novecento; implementato nel 2001 con la riforma del titolo V della Costituzione.

Unitamente alla scomparsa della Regioni, si avrebbe l’accorpamento di Province, che passerebbero da 110 a 36, di cui 14 città metropolitane. Si creerebbero così 36 aggregati urbani, o Dipartimenti o Provincie Regionali, unico ente intermedio tra Stato e Comuni, con una razionalizzazione, anche in termini di spesa, dell’impianto statale oltre a una sacrosanta valorizzazione delle identità territoriali. Non va dimenticato, infatti, che l’istituto provinciale è più antico di quello regionale, risalendo al Decreto Rattazzi del preunitario 1859 e ispirato all’organizzazione statale francese: al momento dell’unità, l’Italia venne divisa amministrativamente in 59 province e statisticamente in Compartimenti, che solo nel 1912 furono chiamati Regioni nell’Annuario Statistico Italiano.

Questa impostazione generale andrebbe integrata, secondo la proposta della Fondazione Mediterranea, dalla revoca del potere legislativo così come oggi è affidato alle Regioni, sì da rendere omogeneo sul territorio il godimento dei diritti civili, unitamente al riconoscimento ai nuovi enti intermedi di ampie autonomie in grado di sviluppare e potenziare le locali energie identitarie comunali. Va da sé che andrebbe sollecitata, nell’ambito di questi Distretti Regionali, i cui confini e numero potrebbero subire ulteriori modifiche, la costituzione di consorzi e fusioni tra comuni sì da snellire ulteriormente e rendere più funzionale l’impianto amministrativo territoriale.

Questa ipotesi di riforma sarebbe peraltro comporterebbe l’autonomizzazione della città metropolitana reggina dal contesto regionale calabrese e specularmente di quella messinese nell’ambito sua Regione Sicilia. Le città sullo Stretto sarebbero così più libere d’intraprendere il previsto percorso consortile o addirittura la loro fusione in un’unica realtà regionale dello Stretto, in cui le già Province manterrebbero la loro autonomia (come Bolzano e Trento) e in cui eventualmente potrebbe confluire anche Vibo Valentia, la cui fascia costiera è la logica continuazione a nord dell’Area dello Stretto. (rrc)

REGGIO – A Domenico Nunnari il Premio “Bertrand Russel”

Oggi, Domenico Nunnari riceverà il Premio Bertrand Russel ai saperi contaminati, il prestigioso riconoscimento promosso dalla Fondazione Mediterranea in collaborazione con l’Università Mediterranea di Reggio Calabria.

L’evento si svolgerà in forma online sulla piattaforma Zoom alle 17, e comincerà con i saluti di Massimiliano Ferrara, direttore del Dipartimento DiGiEs della Mediterranea, del prof. Antonino Monorchio, presidente Comitato Scientifico Fondazione Mediterranea e del prof. Giuseppe Barbaro, del Dipartimento DiCeAm della Mediterranea. Introduce Vincenzo Vitale, presidente Fondazione Mediterranea. Intervengono Giuseppe Bova, presidente del Circolo Culturale Rhegium Julii, Francesco Costantino, consiglio di presidenza della Fondazione Mediterranea, Nico D’Ascola, Dipartimento DiGiEs della Mediterranea, e Franco Prampolini, del Dipartimento Pau della Mediterranea.

Le motivazioni saranno esposte da Raffaello Abenavoli, segretario Fondazione Mediterranea. Chiude l’evento la lectio di Domenico Nunnari. (rrc)