FUTURO DEI GIOVANI PRIORITÀ NAZIONALE
CALABRIA, RISCHIO DEVIANZA/MALAFFARE

di FRANCESCO RAO – Spesso richiamo l’attenzione dei lettori, soffermandomi sulla necessità di una maggiore equità sociale. Tali riflessioni, rappresentano in primis una richiesta d’aiuto da rendere alle famiglie più umili in quanto,  tutti i loro sforzi, messi in campo quotidianamente per tentare di far mantenere ai loro figli il passo in  una società propensa ad amare i numeri e non le Persone, rischiano di essere vani. Ebbene, in Calabria se le povertà educative ed i fenomeni di marginalità sociale, avessero avuto metà delle attenzioni e dei fondi utilizzati contro la malavita, con molta probabilità, oggi avremmo potuto registrare un divario sociale meno ampio ed una minore quantità di devianza e malaffare.

In passato, come d’altronde oggi, l’assistenzialismo di Stato nei confronti dei Meridionali ha giocato la partita peggiore favorendo il divario culturale e sociale tra un’Italia del Nord, impegnata a correre, innovare e produrre ed un Meridione, reso sempre di più simile ad un criceto chiuso nella gabbia e costretto a correre sul niente. Le povertà sociali, nella massima complessità sistemica, rappresentano oggi una tremenda priorità nazionale, destinata ad assumere nel futuro una pressante centralità emergenziale  difficilmente governabile in quanto, il dramma vissuto dalle future generazioni  si andrà a posizionare ben oltre gli spazi visivi creati nelle varie discussioni televisive alle quali siamo abituati ad assistere.
Il costante ricorso al rinvio, sarà uno dei futuri mali sociali che ne arrecheranno forti tensioni interne. Una volta si usava rinviare le decisioni in attesa di poter avere un dato. Oggi c’è il dato ma si preferisce rimandare le decisioni a seguito dei precari e temporanei accordi politici, dove le maggioranze parlamentari sono unite per tutto tranne che per governare i problemi che affliggono gli Italiani. Tutto ciò, presto o tardi, farà più danni della bomba atomica e l’enorme ferita sociale, causata dalla sottovalutazione di  questioni ampiamente conosciute, sarà visibile lungo tutta la penisola. In assenza di risorse e cure gli effetti del divario sociale potranno essere la futura emergenza nazionale, soprattutto dopo il 2030, fase nella quale, moltissimi nuclei familiari, oggi sorretti economicamente dalle pensioni di genitori e componenti della famiglia allargata, si vedranno privi dal marginale ma indispensabile aiuto economico.  A ciò si aggiunga un fatto storicamente reiterato: la fame continuerà ad essere il pretesto per garantire la peggiore manovalanza alla criminalità.  Questo mix esplosivo, in una terra come la Calabria, è paragonabile al sale cosparso dai Romani a Cartagine. A quanto pare, tutto continua a non interessare ai decisori politici.
Dopo quanto disposto nei giorni scorsi dal TAR della Calabria, il Consiglio di Stato ha decretato la riapertura delle Scuole, ponendo fine alla tanto discussa DAD. Oltre a restituire ai docenti ed ai discenti il mondo naturale della didattica, sarà sicuramente l’occasione per reiterare le scelte pregresse, compiute da settembre scorso in avanti che hanno dato origine ad una Italia colorata come un semaforo e la conseguente necessità per chiudere Scuole, ristoranti, bar ed alimentare la distanza sociale anche tra genitori e figli. Senza voler dare la colpa a nessuno, ma per riflettere il lungo e largo, sin da maggio scorso, la ricaduta epidemiologica era un fatto ampiamente prevedibile. Ricorderemo bene il grave errore compiuto durante la breve fase di tregua estiva: anziché essere un momento per mettere in sicurezza il “sistema Italia” è stata l’occasione per tornare al passato ed alimentare il panda rei dell’irresponsabilità, divenuto oggi una crescente insicurezza sociale che ha costretto il Governo ad aumentare l’indebitamento nazionale che proprio i giovani di oggi dovranno pagare in futuro.
Mi chiedo e vorrei chiedere ai miei gentili lettori: tutto ciò, è normale? Vogliamo renderci conto che mentre ci chiedono di stare dentro casa stiamo sotterrando in fondo al mare il futuro dei nostri ragazzi?
La mia generazione, negli anni ’80 del Secolo scorso, ha visto il proprio futuro fagocitato da un sistema politico poco lungimirante, scioltosi poi come neve al sole dal pool di Magistrati milanesi con l’inchiesta “mani pulite”. Abbiamo tentato in ogni modo di non arrenderci. Pochi di noi sono riusciti a compiere quanto avevano fatto in passato i nostri genitori ed i nostri nonni.  Vogliamo comprendere che il futuro dell’Italia è riposto proprio nella qualità del percorso degli studi compiuto oggi dai nostri ragazzi? Il loro impegno non dovrà essere l’ennesima truffa generazionale ma la creazione di opportunità concrete tese a far intravedere non la possibilità di vivacchiare nella mediocrità, ma l’opportunità per diventare l’eccellenza del futuro. Saranno i nostri ragazzi, una volta diventati adulti e professionisti, attraverso la loro azione, chiamati in causa per  restituire alla nostra Nazione quella forza e quel vigore che in passato ha reso l’Italia una delle 7 grandi nazioni maggiormente industrializzate del pianeta.
Prima di concludere, senza polemica alcuna, vorrei formulare una semplicissima domanda alle persone che hanno impugnato l’Ordinanza del Presidente f.f della Regione Calabria Nino Spirlì, credendosi più intelligenti di quanti, proprio in quel provvedimento, avevano avuto un sospiro di sollievo: per voi, difendere la vita è un fatto etico oppure una semplice bandiera politica?  La Politica, nobile scienza da voi sconosciuta, non è mettersi di traverso a prescindere. La Politica è lungimiranza, capacità di analizzare con lucidità i fatti guardando esclusivamente al bene comune e riuscendo sempre ad anteporre a qualsiasi scelta la tutela delle Persone, soprattutto quelle più deboli che grazie al vostro atto non avrete messo nella condizione di poter vivere con serenità.
Infine, vorrei condividere una doverosa precisazione metodologica: alla DAD preferisco la Scuola perché è il luogo della socializzazione e della crescita per eccellenza. Però, se frequentare le attività didattiche in presenza dovesse essere il pretesto per mettere in pericolo anche la vita di una sola persona, preferirei che si continuasse ad utilizzare per qualche altro mese la didattica a distanza, magari in un modo più appropriato ed aprendo gruppi di studio pomeridiani tra studenti per poter alimentare oltre al sapere anche la conoscenza, contribuendo a rendere salve molte vite umane. Dopotutto, un po’ di sacrificio e qualche rinuncia non ci farà più male degli effetti causati dal COVID, non metterà sotto stress Ospedali, medici e l’intero sistema sociale, letteralmente sfiancato e con una crescente penuria di risorse economiche.
Voglio continuare a sperare in mondo fatto di Persone, per intenderci, belle Persone. Il mondo dei numeri ha già mietuto tante vittime. (fr)
[Francesco Raomè un sociologo e docente, vive a Cittanova]
Credit foto: senivpetro – it.freepik.com

CONTRO IL FALLIMENTO POLITICO-SOCIALE
RIPARTIRE CON LA CULTURA TRA I GIOVANI

di FRANCESCO RAO – È vero, per mille motivi, tanto come Calabria quanto come calabresi, siamo messi proprio male. Ultimamente, tale circostanza sta diventando sempre più il pretesto per alimentare approfondimenti televisivi, per colmare pagine di giornali e far rimbalzare nella rete del villaggio globale un misto di incredulità, indignazione e scoramento. Attenzione: purtroppo, c’è anche molta indifferenza. Tutto ciò non dovrà significare arrendersi per dover, poi, scrivere la parola fine. Pur avendo sotto i nostri occhi la sommatoria di una serie infinita di fallimenti culturali, politici e sociali dobbiamo andare avanti. Oggi, per poter ripartire e costruire il futuro, il  primo passo da compiere dovrà chiamarsi discontinuità rispetto al passato.

Prima di entrare nel merito della mia riflessione, vorrei ben chiarire alcuni concetti. Quando si parla di cultura, non intendo riferirmi al concetto di sapere ma indico quel complesso ambito delle istituzioni sociali, politiche ed economiche, delle attività artistiche e scientifiche, delle manifestazioni spirituali e religiose che caratterizzano la vita di una determinata società in un dato momento storico.

Pertanto, avendo chiarito il concetto basilare sul quale lavorare, si comprenderà bene la causa del fallimento politico e sociale di questa terra. Non vorrei essere eccessivamente puntiglioso, ma più tempo passa più mi accorgo che le passate generazioni, in alcune circostanze, hanno agito con una certa superficialità. Tutto ciò non vuole essere un colpevolizzare qualcuno. In una fase di espansione economica e di apparente benessere, votare una capra o sostenere un genio non fa la differenza.

Purtroppo, spesso, in Calabria oltre ad essere state elette persone poco avvezze a leggere le esigenze sociali e poi realizzarle, sono stati eletti ottimi politici ma hanno trovato spazio anche molti personaggi che Leonardo Sciascia, nel suo romanzo “Il giorno della civetta, avrebbe chiamato quaquaraquà.

Contrariamente al passato, la modernità e tutta la sua tecnologia, contribuiranno a far correre il tempo in modo sempre più veloce. Tale dinamica, unitamente ad i crescenti litigi, ai veti incrociati, agli inciuci ed all’attendismo tecnico dettato da partiti, movimenti e armate Brancaleone, determineranno l’acuirsi di una crisi molto più profonda di quanto si possa immaginare. Oltre alla desertificazione economica, i risvolti incideranno sul piano demografico paralizzando il futuro della Calabria.

I primi a pagare il prezzo più alto, secondo recenti ricerche econometriche, saranno le aree interne ed seguire i piccoli centri urbani. Si stima una certa resistenza  a favore degli aggregati urbani e per le città, ma in esse cercheranno rifugio segmenti sociali sempre più poveri e con minore capacità di reazione a quella che potrebbe essere una vera e propria riaffermazione della divisione sociale. Forse, quanti oggi sono individuabili come decisori politici non hanno compreso o non vogliono comprendere la differenza tra i tempi passati e l’attualità. Proviamo a ribadirlo: in passato le scelte politiche generavano onde lunghe destinate ad essere percepite nel medio-lungo periodo; oggi, non è più così. Inoltre, proprio in questa fase storica stiamo pagando le crisi di altri momenti storici e, come già detto prima, il peso insopportabile riposto sulle nostre spalle è una sommatoria di crisi destinata ad asfissiare il Meridione.

Per molti versi, staremmo vivendo una Calabria apparentemente uscita dal racconto di Giuseppe Tomasi di Lampedusa e la “questione sanitaria” si presta a perpetuare l’assunto divenuto celebre nel Gattopardo «affinché tutto cambi tutto deve rimanere com’è».

Inoltre, il male più grave che ci stiamo arrecando consiste nel continuare a diffondere l’insolito culto dell’auto “ingiuria”, praticato all’infinito e con una certa propensione a non voler tenere in considerazione le conseguenze di tale comportamento. Pietire attenzioni, sperando di risolvere i problemi, credo sia una strada da abbandonare.

Sarebbe meglio ricorrere a percorsi diversi, utilizzando  maggiore intelligenza. Il nostro modello potrebbe essere paragonato ad  un sistema di circolazione autostradale: in un senso bisognerebbe  far transitare le proteste e nell’altro dovranno trovare la carreggiata libera le proposte. Insomma, avendo noi Calabresi ereditato l’agire della popolazione Greca, potremmo iniziare ad amare la polis con maggiore responsabilità e soprattutto praticando una gelosia costruttiva?

Vivendo immersi nella disinformazione, non può esserci spazio per la virtù perché il sistema utilizzato per disinnescare l’entusiasmo di quanti vorrebbero veramente impegnarsi in tal senso continua a chiamarsi delegittimazione. Quindi, in assenza di una cultura solida e diffusa ed in presenza di una dirompente delegittimazione, praticata prevalentemente da mediocri, quanti hanno capacità e volontà, desisteranno dall’impegno civico lasciando spazio ad una classe politiche incapace e priva di una visione futura.

Ebbene, la gravità della crisi di cui ho dato cenno, secondo i recenti dati Istat, riserveranno al Mezzogiorno un lento e pesante declino demografico. Basti pensare che dal 2019 al 2065 è stata stimata una riduzione della popolazione italiana di 6,9 milioni di abitanti, di cui 5,1 milioni in meno  appartenenti al Sud, mentre solo 1,8 milioni afferiscono al Nord. Già da questo dato credo sia comprensibile la diffusa preoccupazione di quanti, responsabilmente, non possono essere lasciati a giocare con il nostro futuro.

I vezzi infantili degli aspiranti politici, rinati dalla fantasia dello scrittore siciliano Leonardo Sciascia andrebbero letteralmente fermati. Venendo meno un così alto numero di abitanti, il tessuto economico apparirà irrecuperabile. Vi sono molte responsabilità pregresse perché l’onda lunga di tale declino è partita con la crisi del 2007.Il grafico di cui alla fig. 1 rappresenta chiaramente tale dinamica. Seppur nella fase successiva alla crisi del 2007, a livello strutturale ci sia stata una certa ripresa, il Mezzogiorno non è riuscito a mantenere un trend di crescita tale da rendere possibile la ripresa. Le motivazioni sono molteplici. Intanto, teniamo a mente che dal 2008 al 2011 al Governo c’era Silvio Berlusconi. Un governo di ispirazione liberale aveva il dovere di considerata l’onda lunga generata dalla caduta del muro di Berlino. Nei  20 anni intercorsi, era cambiata la struttura e velocità del mondo. Con la stipula a Marrakesh, Marocco, del Trattato World Trade Organization (Wto) si disegnava ciò che diverrà una nuova logica mercantile e geopolitica, destinata a rivoluzionare il comparto mondiale dei trasporti via mare ed all’avvio dei processi di globalizzazione che non potevano essere governati con le classiche misure Keynesiane, finalizzate ad avviare interventi pubblici per arginare la crisi.

Era quello il momento di avviare un cambio di rotta a livello strutturale per poter prima assorbire la spinta del cambiamento e poi cogliere l’occasione per galoppare la tigre della crescita. Sappiamo benissimo come è andata. Visionando i grafici, in particolare la figura 3, sempre frutto di elaborazioni Svimez, è possibile leggere la reazione del sistema occupazionale sviluppatosi nel Mezzogiorno d’Italia a partire dal 2008. La decrescita Meridionale viene quasi travasata nella crescita  registrata nel Centro-Nord dell’Italia, luoghi dove vi erano maggiori opportunità occupazionali e segmenti di mercato capaci a mettere in atto la riforma Biagi consentendo a quel mondo produttivo di pigiare l’acceleratore tanto sull’occupazione quanto sulla produzione.

In questa fase, il Meridione segnava il passo, eleggeva deputati e senatori catapultati dalle segreterie politiche in Calabria per garantire loro un collegio sicuro e il nostro futuro veniva ipotecato.
Quanto asserito in merito alle dinamiche occupazionali, viene abbondantemente illustrato nel grafico sottostante. Anche in questo caso, va tenuto in considerazione il mutamento offerto dalla politica. Fu proprio il governo Renzi a conferire un’ulteriore spallata alla nostra possibilità di rialzarci e marciare. Mandando in pensione la riforma Biagi e attuando il Job Act il dado era tratto ed il risultato non era a noi favorevole. Come si potrà osservare dalla lettura del grafico, mentre per il Centro Nord, i segnali del Job Act furono in parte positivi, per le aree del Meridione, tale azione fornì soltanto timidi segnali che non diedero il riscontro atteso e in buona parte contribuirono a incidere sulle scelte di moltissimi Giovani visti partire dal Meridione alla volta del Centro-Nord Italia ed anche verso l’estero.
Come già anticipato, nel Mezzogiorno, lo scorso anno sono nati 150,4 mila bambini. Questo dato fornisce chiaramente un saldo negativo rispetto al passato e il valore è pari a 6,4 mila bambini in meno. A ciò si aggiunga che nel  2018,  oltre 138 mila residenti hanno lasciato la propria terra. Circa 20 mila hanno scelto un paese estero come residenza e tra essi, la quota più ampia era composta da un 30% di laureati ed un 38% di Diplomati, ossia quelle risorse umane che avrebbero potuto apportare a questa terra oltre al loro entusiasmo la loro preparazione per avviare lo sviluppo. Purtroppo, vi è anche un’ulteriore punto di debolezza ed afferisce all’universo femminile.

Nel Mezzogiorno, circa un quinto delle donne ancora non riesce ad avere un proporzionato inserimento professionale. Al significativo ampliamento dell’offerta di lavoro non sono corrisposte opportunità con elevati livelli di istruzione non vi sono ancora adeguate risposte nell’ambito occupazionale. Questo mancato allineamento del Mismath occupazionale alimenta segmenti di lavoro sottopagati e non in linea con i titoli posseduti. Intanto, la quotidianità per quanti scelgono di rimanere nel Meridione non è semplice. Seppur ancora la famiglia svolga un ruolo importantissimo, in molti casi tale combinazione potrebbe essere una condizione di povertà educativa. Il grafico sottostante rappresenta la spesa pro-capite dei comuni per i servizi socio educativi destinati all’infanzia.

Come si potrà notare, tra 2013 e 2018, la variazione è stata minima ma il divario sociale rimane una forbice in costante fase di apertura.Sin da marzo scorso, a seguito del primo lockdown, uno dei grossi punti di debolezza avvertito a livello strutturale è stato riconducibile alla qualità della connettività mezzo internet. A ciò si aggiungano anche tutti quei problemi afferenti alle mancate competenze informatiche, connessioni qualitativamente basse, computer e tablet poco potenti.

Insomma, improvvisamente, oltre ad aver incontrato in terra di Calabria il Covid-19, abbiamo dovuto fare i conti con reti internet inadeguate e con tutte le altre circostanze già richiamate. Anche in questo caso, ricorrendo al grafico, sarà possibile notare che proprio il Mezzogiorno d’Italia ha il valore più alto di giovani tra 6 e 17 non hanno a loro disposizione dispositivi informatici.

Personalmente, già in passato, precisamente prima di metà marzo 2020 avevo scritto alla Ministra della Pubblica Istruzione, Lucia Azzolina, per sottoporre tali dinamiche e soprattutto lanciare la proposta tesa a voler rendere possibile la connessione alle piattaforme informatiche a costo calmierato. In tale contesto, ancor prima della pandemia, in Calabria è stata la dispersione scolastica a generare disastri, soprattutto tra i giovani. Questo è uno di quegli ambiti che andrebbe assolutamente ricondotto a percorsi specifici finanziabili con il Recovery Fund, senza perdere tempo e senza tergiversare come invece stiamo notando ultimamente dai comportamenti di una parte politica di governo.

Per poter ripartire, giungendo al 2030 con una generazione ben formata e provvedendo a fare sempre meglio, si potranno azionare sistemi di contenimento tesi a rallentare la spoliazione demografica sopra esposta e continuando a formare bene i giovani e potendo disporre di un nuovo sistema sociale, generato da una rivisitazione del modello culturale, si potrà avviare una vera e propria inversione di tendenza, restituendo alla Calabria ed ai calabresi, non soltanto le opportunità di una rinascita ma la rottura con l’ignoranza di quanti in passato volevano governare senza avere una visione ben chiara del mondo ed accontentandosi di conoscere la strada principale del loro paese con arroganza sono riusciti a fare danni, svilendo il senso nobile della politica intesa come servizio della polis ed imbarcando tra le fila del potere i segmenti criminali, prima propensi ad aiutare e poi affascinati dal potere.

La dispersione scolastica, nel medio-lungo periodo, vedrà sempre più arretrare la propensione alla legalità ed allo sviluppo mantenendo elevato il rischio di devianza sociale ed instabilità delle Amministrazioni locali. Infine, essendo quotidianamente sottoposti alle platee mondiali di telespettatori che vedono la nostra terra come l’ultimo Paese del mondo, per una volta, accettiamo lo stato di cose in quanto la verità sul nostro conto, come ci è stata comunicata in questi ultimi mesi, mai prima d’ora era avvenuto.

Questo ultimo grafico, risalente al 2018, rappresenta la base dei nostri Livelli Essenziali di Assistenza che i vari Commissari alla Sanità avrebbero dovuto innalzare sotto la costante osservazione di deputati, senatori, amministratori regionali e locali per evitare i viaggi della speranza, le lunghe attese ed oggi l’incertezza che regna nel nostro sistema sanitario. 

Sino a quando non verrà attentamente rivalutata la questione culturale calabrese, non dovrà nemmeno esserci spazio per l’indignazione che in tanti hanno avuto quando all’arresto di un latitante, effettuato per mano dei carabinieri, decine di persone applaudivano l’arrestato incitandolo a stare tranquillo perché quel popolo continuava ad avere fiducia in lui. Quest’ultimo esempio, scritto con molta amarezza, rappresenta un sistema plastico dove lo Stato, in alcuni territori, non è riuscito a manifestare tutta la propria consistenza lasciando spazi liberi a quanti nella mala vita hanno individuato la loro naturale collocazione, dimenticando che l’avventura del bandito Giuliano è ormai conclusa ed oggi lo Stato, come la natura, riprende tutti i propri spazi perché così è giusto che sia.

Non me ne vogliate. Sarò pur ripetitivo, ma anche quest’ultima parte è una questione culturale, come è una questione culturale la rieducazione del detenuto e la volontà di chiudere con il passato. Il lavoro da compiere è davvero arduo, perciò necessitano competenze ed entusiasmo. (fr)

LA CALABRIA NON È UN PAESE PER GIOVANI.
LA LEZIONE DI DRAGHI SUL FUTURO RUBATO

di SANTO STRATI – Non è un Paese per giovani l’Italia, meno che meno la Calabria. Il grido di allarme lanciato dall’ex presidente della BCE Mario Draghi sul futuro “sottratto” (noi abbiamo sempre detto “rubato”) ai giovani sta provocando qualche riflessione in più tra i nostri governanti. Ma la sua lezione, temiamo, resterà una voce inascoltata.

Il problema dei giovani dimenticati, trascurati, o più frequentemente ignorati, è quanto di peggio possa affliggere un Paese come il nostro dove la crisi di natalità ci sta facendo precipitare in una nazione di pensionati e anziani. Ai giovani cui non è stato offerta alcuna opportunità, fino ad oggi, resta il peso di un  debito massiccio che non si sa con quali risorse riusciranno ad affrontare.

Il punto principale è che la montagna di miliardi in arrivo, tra Mes e Recovery Fund, andrà spesa non per pagare debiti pregressi ma per investimenti e progetti di sviluppo. Due parole che l’attuale governo pronuncia co estrema disinvoltura e un’ammirevole frequenza, peccato, però, che restino solo parole, cui non seguono fatti.

Prendiamo i dati della Calabria: la disoccupazione dei giovani è a livelli vergognosi. Non servono i numeri, basterebbe l’idea di quantità per spingere più d’uno a vergognarsi per non aver attuato politiche di sviluppo che vedessero come attori principali i nostri laureati e diplomati, sempre con la valigia pronta, perché disillusi dal futuro.

C’è è vero, questo fenomeno di cui abbiamo parlato ieri di South-Working, ovvero della voglia di restare al Sud sfruttando le opportunità del lavoro agile, ma occorrebbe pensare, invece, a creare opportunità di occupazione. Il lavoro che non c’è va inventato, rinunciando – se si ha il coraggio – alla politica di sussidi che fino ad oggi è stata attuata, con qualche rara eccezione. Diversi anni fa, nel 2004, venne varato dal sindaco Giuseppe Scopelliti a Reggio un un progetto “Obiettivo Occupazione” come sostegno alla domanda di lavoro esistente: 300 unità lavorative da inserire nel circuito produttivo locale tramite la concessione di un contributo all’assunzione pari ad 12.000 euro annui ed erogato ai datori di lavoro per 15 anni. Il bonus (assegnato a sportello) costituiva una sorta di integrazione di salario per creare occupazione. Ha fatto sorridere molti giovani e incentivato occupazione, scatenando un mare di polemiche; però non era un sussidio per non lavorare, come il reddito di cittadinanza. I giovani calabresi, sia ben chiaro, non vogliono assistenzialismo: vogliono crescere col lavoro, farsi una famiglia e non dipendere dalle pensioni dei loro genitori.

Serve coraggio, dicevamo, perché è facile prevedere sussidi a pioggia e far crescere maggiormente il debito, più complicato creare progettualità che rispondano a una strategia di crescita, anzi di ri-crescita, visto che la pandemia ha trasformato mezzo mondo condannandolo a un’economia di guerra. Ed è proprio qui il senso della lezione di Draghi che molti fanno finta di ignorare. Il debito serve per investire, non per pagare vecchi debiti e ingigantire la pesante eredità negativa che lasceremo alle future generazioni.

Per la Calabria, terra non a vocazione industriale, ma ricca di risorse naturali, archeologiche, paesaggistiche, che trabocca di cultura ad ogni angolo di strada, la risposta alla domanda crescente di occupazione dei giovani trova proprio nell’ambito culturale gli spazi giusti. Si tratta di far crescere l’industria culturale calabrese poggiandosi proprio sulla specificità del territorio e delle sue risorse, utilizzando le nuove tecnologie che non servono solo a inventariare reperti preziosi o produrre algoritmi per gli usi più disparati, ma che creano nuova occupazione e, soprattutto, offrono opportunità di formazione. Ecco quest’aspetto della formazione – che già gli atenei calabresi stanno egregiamente attuando con larga soddisfazione – è la base dell’occupazione che verrà.

I beni culturali possono costituire l’area dello sviluppo possibile, della crescita intelligente con opportunità di lavoro a tutti i livelli. Servono ingegneri informatici, ricercatori, studiosi, ma serve anche la “manovalanza” della cultura, ovvero guide, segretari amministrativi, assistenti, custodi, fattorini, sviluppatori, etc.

Un piccolo esempio. Lo scorso dicembre, a Sambiase, un giovane del luogo si è offerto di illustrarci, prima di andare a cena, alcune delle singolari caratteristiche del borgo. Non solo è emersa la competenza per spiegare e contestualizzare gli antichi manufatti, ma soprattutto è apparsa la grande soddisfazione e la gioia di poter manifestare la propria capacità. Ha mostrato di fare con passione questo lavoro che si è inventato e che, di tanto in tanto, riesce a proporre a gruppi di forestieri in visita, d’intesa con alberghi e b&b locali. Si è trattato di una guida offerta “gratuitamente” al forestiero, senza chiedere di essere pagato; poi, a malincuore, il giovane ha accettato una ricompensa che abbiamo voluto dare in segno di gratitudine per il “bagno” di cultura offerto: non voleva soldi, gli bastava la gratificazione del nostro apprezzamento. Quanti giovani ci sono come lui? Quanto spazio c’è per formare e preparare giovani guide ai beni culturali, che illustrino il territorio e i suoi tesori? Cosa serve per organizzare una vasta area di guide-cicerone per coprire ogni angolo del territorio? Quanta occupazione si potrebbe creare? Non servono laureati, ma ragazzi svegli con una buona cultura e voglia di condividere le conoscenze acquisite.

C’è una giovane guida abilitata che vive a Catanzaro: si chiama Daniela Strippoli e ha aperto un sito: www.incalabriatiguidoio.it. Ha studiato Storia dell’Arte alla Sapienza ed è tornata in Calabria. S’è inventata un lavoro che le piace e le dà soddisfazione. «Voglio illustrare a tutti, – scrive nel suo sito – grandi e piccoli, in modo semplice e chiaro, e dal vivo, la Terra nella quale ogni giorno vivono, soffrono, amano e lavorano perché poi, a loro volta, la facciano conoscere agli altri».

È un modello da seguire. Non servono milioni di investimento, occorre però che, durante e dopo la formazione, sia garantito un salario dignitoso a tutti. Non sussidi, ma stipendi che compensano un’attività lavorativa dalle mille suggestioni. In altri termini, serve puntare sul capitale umano per produrre ricchezza nella regione, ma soprattutto creare opportunità di lavoro reale, smettendo una buona volta di “rubare” il futuro ai nostri ragazzi. (s)

Il ritorno alla terra: 754 gli ettari da coltivare
Tante opportunità per i giovani della Calabria

di MARIA CRISTINA GULLÍ – L’agricoltura, nuova opportunità per i giovani, oggi ancor di più agevolata da finanziamenti per gli under 40. L’Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare (Ismea) ha aperto il bando per la vendita di 574 ettari di aree agricole in Calabria: sono aziende agricole già finanziate in passato, i cui proprietari non sono riusciti a gestire in maniera adeguata. 28 terreni destinati preferibilmente ai giovani, con mutui trentennali al 100% riservati a chi non ha superato i 40anni e intende percorrere questa via occupazionale diventando imprenditore agricolo. Coltivare i campi non è come avveniva tanti anni fa, quando la vecchia generazione mandava avanti col solo sudore delle braccia il duro lavoro della terra: oggi l’innovazione tecnologica permette di fare uno straordinario salto di qualità, sia per quel che riguarda la produzione e la distribuzione, ma anche per il management e il marketing dei prodotti. Non mancano fortunati esempi di coltivazioni, in gran parte biologiche, in Calabria, cui ispirarsi per avviare attività agricole in grado di garantire redditività e, soprattutto, occasione di lavoro.

Come funziona questa opportunità di finanza agevolata per l’agricoltura? Ci sono fondi comunitari destinati al Ricambio generazionale in agricoltura che prevedono aiuti fino a 2 milioni di euro per creare e avviare un’azienda agricola. La dotazione è di 37 miliardi per i prossimi 7 anni. Non riguarda solo la creazione ex novo di aziende, ma è previsto il subentro ad attività già avviate. Quindi, nello specifico i 28 terreni ritornati nella proprietà di Ismea rientrano in questa casistica di agevolazioni. Guardiamo alle opportunità presenti nella nostra regione: 15 sono i terreni in provincia di Reggio per una superficie totale di 181,78 ettari; 7 in provincia di Vibo Valentia per complessivi 179,93 ettari; 3 terreni in provincia di Crotone per complessivi 135,97 ettari; 1 terreno in provincia di Catanzaro che si sviluppa per 10,86 ettari, 2 terreni in provincia di Cosenza per complessivi 65,63 ettari.

Il ritorno alla terra da parte delle nuove generazioni mostra un crescente interesse, in controtendenza sulla flessione delle aziende agricole: si registra una crescita del 15% di aziende guidate da giovani sotto i 35 anni a fronte di un decremento del 3% sul totale delle aziende agricole. Senza contare la crescita costante degli universitari che scelgono la facoltà di agraria. Insomma, l’obiettivo è far riscoprire, in una terra come la Calabria, dove mancano le opportunità di lavoro, l’occasione di avviare un’impresa agricola. Tra le tante agevolazioni, destinate appunto ai giovani e alle donne, lo Stato si fa carico dei contributi previdenziali per i primi due anni, mentre l’Ismea – che conta di incassare 130 milioni di euro dalla vendita dei 10mila ettari sparsi in tutt’Italia che vuole dismettere – coprirà con mutui di trent’anni l’intero investimento. Si può inviare manifestazione di interesse fino al 19 aprile, mentre le offerte andranno fatte tra il 27 aprile e l’11 giugno: i requisiti per le imprese individuali sono un’età compresa tra i 18 e i 41 anni non ancora compiuti e l’iscrizione al registro imprese della Camera di commercio, con partita iva in campo agricolo e iscrizione al regime previdenziale agricolo. Nel caso di società, devono avere l’esercizio esclusivo delle attività previste dall’art. 2135 del Codice Civile che definisce l’imprenditore agricolo: ovvero «attività di coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine».

È opportuno mettere in evidenza il trend positivo dell’export agro-alimentare dell’Italia che lo scorso anno ha toccato la punta record di 44,6 miliardi di euro (+7% rispetto all’anno precedente) che, purtroppo, esclude la Calabria. Secondo l’Istat c’è da registrare in Calabria un calo di 5 milioni di euro nel 2019 rispetto al 2018, in controtendenza sui dati nazionali. Eppure, i segnali di maggiore interesse verso i prodotti agricoli di qualità sono positivi. Si consideri che le terre coltivate in Calabria occupano una modesta parte della superficie della regione e sono presenti in molte aree, soprattutto collinari, grandi estensioni di territorio ormai divenute inaccessibili. Certo ci sono anche gli allarmi lanciati da Coldiretti e della associazioni dei produttori: c’è la crisi dell’olio d’oliva, la crisi delle clementine (la cui vendita è insidiata dl”import incontrollato di frutti provenienti dalla Turchia e da altre aree extra Ue) e la crisi dell’agrumicoltura in generale. Sono tavoli aperti che vedranno impegnato il nuovo assessore all’Agricoltura, che dovrà necessariamente trovare soluzioni e gli incentivi necessari a rimettere in moto il comparto. Sennò i giovani che tornano a fare alla terra? (mcg)

Il Bando dell’ISMEA

«Scegliamo di studiare in Calabria e restarci». L’eccellenza della bella gioventù al Quirinale

di SANTO STRATI – Dalla cerimonia di consegna delle onorificenza per i nuovi 25 Cavalieri del Lavoro e dei 25 (+1 ex-aequo) giovani alfieri della Repubblica (gli studenti più meritevoli d’Italia) viene una bellissima lezione a voce delle due ragazze calabresi insignite da Mattarella. Sofia Zanelli (di Rende) e Anna Accorinti (di Tropea) un voto di maturità che rasenta il 10 (il massimo) hanno le idee chiare e sono il simbolo migliore della bella gioventù calabrese che non è disposta a rassegnarsi: «Vogliamo studiare in Calabria per poi restare ed essere utili alla nostra terra, per contribuire alla sua rinascita».

Ascoltate le loro dichiarazioni a Calabria.Live nel video che segue. C’è la fierezza e l’orgoglio di una calabresità da invidiare, c’è la determinazione che non fa da schermo a una tiepida speranza, c’è la convinzione che occorre fermare l’emorragia di giovani che, sempre più, lascia la Calabria, per non tornare più. Risorse, capacità, intelligenze costrette ad lasciare, ma non è una fuga, è una necessità e, insieme, la condanna implacabile di una cecità politica che non ha fatto e non fa nulla per fermare questa nuova diaspora di giovani calabresi. Nessuno parte più con la valigia di cartone, sono giovani preparati, laureati, tecnici specializzati, dottorandi, ricercatori di altissimo livello: per loro non c’è alcuna opportunità., se non mortificanti proposte di lavoro precario e sottopagato.

E questa bellissima gioventù, capace, competente, diventa ricchezza a costo zero (li abbiamo formati in Calabria, li costringiamo a partire) per le ricche regioni del Nord o il resto del mondo, dove vengono apprezzati e dove conquistano rapidamente posizioni di grande prestigio. I calabresi nel mondo sono l’orgoglio della Calabria, ma rappresentano anche la mortificazione più grande per una madre che li ha cresciuti per poi abbandonarli: la loro terra, qualcuno dirà, non li merita, ma non è così. La capacità e l’ingegno dei calabresi sono frutto di un’atavica tradizione di rivalsa nei confronti del mondo che finisce a non poter fare a meno di loro. Il calabrese per affermarsi ci mette un impegno superiore a quello dei suoi coetanei, sa in partenza che la strada è tutta in salita, ma l’orgoglio dell’appartenenza, la calabresità che pulsa nel cuore, sono una molla straordinaria per conquistare vette che per molti sono impossibili da scalare. Basta guardare il lunghissimo elenco di personalità del mondo delle istituzioni, dell’impresa, del lavoro, della cultura, della scienza in ogni angolo del mondo, di cui si scopre l’origine calabrese. Gente che tiene la Calabria nel cuore e non dimentica la propria terra, soprattutto quando diventa importante, ricca e famosa. Gli esempi sono tantissimi, ne scriviamo in continuazione, con orgoglio. Ne condividiamo i successi, facciamo in modo che siano l’esempio migliore per i nostri giovani. Ma l’esempio, da solo, non basta. Occorre offrire stimoli, occasioni di riscatto sociale, occasione di crescita professionale, possibilità di ulteriore specializzazione e, soprattutto, l’opportunità di mettere a frutto – per la propria terra – competenze e capacità.

Cosa è stato fatto in questi anni? Cosa è stato offerto, cosa viene offerto ai nostri ragazzi, alla nostra migliore gioventù? Parole, promesse, vuoti e illusori impegni, peraltro mai mantenuti. Anche il presidente Sergio Mattarella, in Quirinale, nel suo discorso di martedì ha detto che «Troppo spesso, molti giovani debbono lasciare il nostro Paese, cercando altrove opportunità che qui tendono a rarefarsi. Occorre far sì che il nostro sia un sistema sempre più aperto, con un dialogo virtuoso tra giovani, istituzioni, sistema formativo, imprese. L’eccesso di cautela come regola ineludibile, il rifuggire da qualsivoglia margine di rischio nei finanziamenti chiude spazi all’innovazione, a iniziative che andrebbero, al contrario, incoraggiate».

Mattarella con i nuovi 26 Alfieri della Repubblica
Il presidente Sergio Mattarella con i nuovi 26 Alfieri della Repubblica, gli studenti più bravi d’Italia, insigniti del riconoscimento lo scorso 22 ottobre

«Mettere fianco a fianco, – ha detto il presidente Mattarella – come abbiamo appena fatto, i 25 nuovi Cavalieri del Lavoro con 25 giovani Alfieri rappresenta, simbolicamente, un impegno che non riguarda soltanto i singoli premiati di oggi ma deve coinvolgere tutte le componenti attive del nostro Paese». Secondo il Capo dello Stato «Occorre investire, quindi, con coraggio e intelligenza nel capitale sociale del Paese. Scuola, formazione, ricerca, sostegno alle iniziative giovanili sono fondamentali per dare vita a un nuovo ciclo virtuoso, guidare l’innovazione e creare occupazione di qualità».

Grazie, Presidente delle belle parole, ma i nostri governanti non ascoltano il suo grido d’allarme sul futuro delle nuove generazioni, come fanno finta di non sentire le istanze che provengono dai giovani calabresi, indignati, ma non rassegnati, che credono fiduciosi nella possibilità di rinnovamento e di cambiamento. Il mondo, con la Rete, è diventato molto più piccolo, non c’è più la ristrettezza della provincia o del borgo sperduto tra le montagne: c’è una connessione continua non solo di carattere telematico, ma un continuum di idee da condividere, l’esigenza di un confronto dialettico tra le varie esperienze e le singole competenze, per costruire. Ecco, la parola magica è proprio questa, “costruire”: i nostri giovani vogliono costruire il loro futuro nella terra che li ha visti nascere. Vogliono affinare le proprie competenze all’estero (e questo è giustissimo) conoscere il mondo, allargare gli orizzonti, ma amerebbero vivere una qualità della vita che, spesso, le metropoli “che non dormono mai” o perennemente attive non offrono più. Vogliono tornare, se partono per fare nuove esperienze migliorative delle proprie competenze, ed essere utili alla propria terra, per crescere insieme con i propri cari, con gli amici, con i figli che verranno, e condividere con i conterranei progetti di crescita e sviluppo. Protagonisti del futuro. Quel futuro che qualcuno pensa di poter continuare a rubare se non diremo finalmente BASTA!. (s)

 

CATANZARO: OGGI L’INCONTRO SUI GIOVANI E SUL FUTURO

17 luglio – Si svolge oggi, a Catanzaro, alle 18.30, presso il Venice Beach Club, il dibattito sul tema “Perchè i giovani non sono protagonisti del futuro?” con Andrea Reale, rappresentante degli studenti dell’Università Magna Graecia di Catanzaro.
Intervengono al dibattito Roberto Guerriero, Consigliere Comunale e Provinciale, Tullio Barni, professore ordinario dell’Università Magna Graecia e delegato per l’orientamento, e Bernard Dika, presidente del Parlamento degli Studenti della Regione Toscana e Alfiere della Repubblica.
«L’evento – ha spiegato Andrea Reale – vuole alzare il dibattito su questo tema. Partiremo dalle mobilitazioni massicce del ’68 fino ad arrivare ai giorni nostri. L’Europa divisa meno di un secolo fa, ed oggi arricchita da una generazione Erasmus, che rappresenta il simbolo di una cultura unita ed europea».
Al termine degli interventi – ha continuato il rappresentante degli studenti – ascolteremo tutte le riflessioni del pubblico che offriranno, sicuramente, spunti importanti». (rcz)