IL SOCIOLOGO CALABRESE FRANCESCO RAO APRE IL DIBATTITO SULLA NECESSARIA DISCONTINUITÀ CON IL PASSATO;
Il futuro è nella formazione

CONTRO IL FALLIMENTO POLITICO-SOCIALE
RIPARTIRE CON LA CULTURA TRA I GIOVANI

di FRANCESCO RAO – È vero, per mille motivi, tanto come Calabria quanto come calabresi, siamo messi proprio male. Ultimamente, tale circostanza sta diventando sempre più il pretesto per alimentare approfondimenti televisivi, per colmare pagine di giornali e far rimbalzare nella rete del villaggio globale un misto di incredulità, indignazione e scoramento. Attenzione: purtroppo, c’è anche molta indifferenza. Tutto ciò non dovrà significare arrendersi per dover, poi, scrivere la parola fine. Pur avendo sotto i nostri occhi la sommatoria di una serie infinita di fallimenti culturali, politici e sociali dobbiamo andare avanti. Oggi, per poter ripartire e costruire il futuro, il  primo passo da compiere dovrà chiamarsi discontinuità rispetto al passato.

Prima di entrare nel merito della mia riflessione, vorrei ben chiarire alcuni concetti. Quando si parla di cultura, non intendo riferirmi al concetto di sapere ma indico quel complesso ambito delle istituzioni sociali, politiche ed economiche, delle attività artistiche e scientifiche, delle manifestazioni spirituali e religiose che caratterizzano la vita di una determinata società in un dato momento storico.

Pertanto, avendo chiarito il concetto basilare sul quale lavorare, si comprenderà bene la causa del fallimento politico e sociale di questa terra. Non vorrei essere eccessivamente puntiglioso, ma più tempo passa più mi accorgo che le passate generazioni, in alcune circostanze, hanno agito con una certa superficialità. Tutto ciò non vuole essere un colpevolizzare qualcuno. In una fase di espansione economica e di apparente benessere, votare una capra o sostenere un genio non fa la differenza.

Purtroppo, spesso, in Calabria oltre ad essere state elette persone poco avvezze a leggere le esigenze sociali e poi realizzarle, sono stati eletti ottimi politici ma hanno trovato spazio anche molti personaggi che Leonardo Sciascia, nel suo romanzo “Il giorno della civetta, avrebbe chiamato quaquaraquà.

Contrariamente al passato, la modernità e tutta la sua tecnologia, contribuiranno a far correre il tempo in modo sempre più veloce. Tale dinamica, unitamente ad i crescenti litigi, ai veti incrociati, agli inciuci ed all’attendismo tecnico dettato da partiti, movimenti e armate Brancaleone, determineranno l’acuirsi di una crisi molto più profonda di quanto si possa immaginare. Oltre alla desertificazione economica, i risvolti incideranno sul piano demografico paralizzando il futuro della Calabria.

I primi a pagare il prezzo più alto, secondo recenti ricerche econometriche, saranno le aree interne ed seguire i piccoli centri urbani. Si stima una certa resistenza  a favore degli aggregati urbani e per le città, ma in esse cercheranno rifugio segmenti sociali sempre più poveri e con minore capacità di reazione a quella che potrebbe essere una vera e propria riaffermazione della divisione sociale. Forse, quanti oggi sono individuabili come decisori politici non hanno compreso o non vogliono comprendere la differenza tra i tempi passati e l’attualità. Proviamo a ribadirlo: in passato le scelte politiche generavano onde lunghe destinate ad essere percepite nel medio-lungo periodo; oggi, non è più così. Inoltre, proprio in questa fase storica stiamo pagando le crisi di altri momenti storici e, come già detto prima, il peso insopportabile riposto sulle nostre spalle è una sommatoria di crisi destinata ad asfissiare il Meridione.

Per molti versi, staremmo vivendo una Calabria apparentemente uscita dal racconto di Giuseppe Tomasi di Lampedusa e la “questione sanitaria” si presta a perpetuare l’assunto divenuto celebre nel Gattopardo «affinché tutto cambi tutto deve rimanere com’è».

Inoltre, il male più grave che ci stiamo arrecando consiste nel continuare a diffondere l’insolito culto dell’auto “ingiuria”, praticato all’infinito e con una certa propensione a non voler tenere in considerazione le conseguenze di tale comportamento. Pietire attenzioni, sperando di risolvere i problemi, credo sia una strada da abbandonare.

Sarebbe meglio ricorrere a percorsi diversi, utilizzando  maggiore intelligenza. Il nostro modello potrebbe essere paragonato ad  un sistema di circolazione autostradale: in un senso bisognerebbe  far transitare le proteste e nell’altro dovranno trovare la carreggiata libera le proposte. Insomma, avendo noi Calabresi ereditato l’agire della popolazione Greca, potremmo iniziare ad amare la polis con maggiore responsabilità e soprattutto praticando una gelosia costruttiva?

Vivendo immersi nella disinformazione, non può esserci spazio per la virtù perché il sistema utilizzato per disinnescare l’entusiasmo di quanti vorrebbero veramente impegnarsi in tal senso continua a chiamarsi delegittimazione. Quindi, in assenza di una cultura solida e diffusa ed in presenza di una dirompente delegittimazione, praticata prevalentemente da mediocri, quanti hanno capacità e volontà, desisteranno dall’impegno civico lasciando spazio ad una classe politiche incapace e priva di una visione futura.

Ebbene, la gravità della crisi di cui ho dato cenno, secondo i recenti dati Istat, riserveranno al Mezzogiorno un lento e pesante declino demografico. Basti pensare che dal 2019 al 2065 è stata stimata una riduzione della popolazione italiana di 6,9 milioni di abitanti, di cui 5,1 milioni in meno  appartenenti al Sud, mentre solo 1,8 milioni afferiscono al Nord. Già da questo dato credo sia comprensibile la diffusa preoccupazione di quanti, responsabilmente, non possono essere lasciati a giocare con il nostro futuro.

I vezzi infantili degli aspiranti politici, rinati dalla fantasia dello scrittore siciliano Leonardo Sciascia andrebbero letteralmente fermati. Venendo meno un così alto numero di abitanti, il tessuto economico apparirà irrecuperabile. Vi sono molte responsabilità pregresse perché l’onda lunga di tale declino è partita con la crisi del 2007.Il grafico di cui alla fig. 1 rappresenta chiaramente tale dinamica. Seppur nella fase successiva alla crisi del 2007, a livello strutturale ci sia stata una certa ripresa, il Mezzogiorno non è riuscito a mantenere un trend di crescita tale da rendere possibile la ripresa. Le motivazioni sono molteplici. Intanto, teniamo a mente che dal 2008 al 2011 al Governo c’era Silvio Berlusconi. Un governo di ispirazione liberale aveva il dovere di considerata l’onda lunga generata dalla caduta del muro di Berlino. Nei  20 anni intercorsi, era cambiata la struttura e velocità del mondo. Con la stipula a Marrakesh, Marocco, del Trattato World Trade Organization (Wto) si disegnava ciò che diverrà una nuova logica mercantile e geopolitica, destinata a rivoluzionare il comparto mondiale dei trasporti via mare ed all’avvio dei processi di globalizzazione che non potevano essere governati con le classiche misure Keynesiane, finalizzate ad avviare interventi pubblici per arginare la crisi.

Era quello il momento di avviare un cambio di rotta a livello strutturale per poter prima assorbire la spinta del cambiamento e poi cogliere l’occasione per galoppare la tigre della crescita. Sappiamo benissimo come è andata. Visionando i grafici, in particolare la figura 3, sempre frutto di elaborazioni Svimez, è possibile leggere la reazione del sistema occupazionale sviluppatosi nel Mezzogiorno d’Italia a partire dal 2008. La decrescita Meridionale viene quasi travasata nella crescita  registrata nel Centro-Nord dell’Italia, luoghi dove vi erano maggiori opportunità occupazionali e segmenti di mercato capaci a mettere in atto la riforma Biagi consentendo a quel mondo produttivo di pigiare l’acceleratore tanto sull’occupazione quanto sulla produzione.

In questa fase, il Meridione segnava il passo, eleggeva deputati e senatori catapultati dalle segreterie politiche in Calabria per garantire loro un collegio sicuro e il nostro futuro veniva ipotecato.
Quanto asserito in merito alle dinamiche occupazionali, viene abbondantemente illustrato nel grafico sottostante. Anche in questo caso, va tenuto in considerazione il mutamento offerto dalla politica. Fu proprio il governo Renzi a conferire un’ulteriore spallata alla nostra possibilità di rialzarci e marciare. Mandando in pensione la riforma Biagi e attuando il Job Act il dado era tratto ed il risultato non era a noi favorevole. Come si potrà osservare dalla lettura del grafico, mentre per il Centro Nord, i segnali del Job Act furono in parte positivi, per le aree del Meridione, tale azione fornì soltanto timidi segnali che non diedero il riscontro atteso e in buona parte contribuirono a incidere sulle scelte di moltissimi Giovani visti partire dal Meridione alla volta del Centro-Nord Italia ed anche verso l’estero.
Come già anticipato, nel Mezzogiorno, lo scorso anno sono nati 150,4 mila bambini. Questo dato fornisce chiaramente un saldo negativo rispetto al passato e il valore è pari a 6,4 mila bambini in meno. A ciò si aggiunga che nel  2018,  oltre 138 mila residenti hanno lasciato la propria terra. Circa 20 mila hanno scelto un paese estero come residenza e tra essi, la quota più ampia era composta da un 30% di laureati ed un 38% di Diplomati, ossia quelle risorse umane che avrebbero potuto apportare a questa terra oltre al loro entusiasmo la loro preparazione per avviare lo sviluppo. Purtroppo, vi è anche un’ulteriore punto di debolezza ed afferisce all’universo femminile.

Nel Mezzogiorno, circa un quinto delle donne ancora non riesce ad avere un proporzionato inserimento professionale. Al significativo ampliamento dell’offerta di lavoro non sono corrisposte opportunità con elevati livelli di istruzione non vi sono ancora adeguate risposte nell’ambito occupazionale. Questo mancato allineamento del Mismath occupazionale alimenta segmenti di lavoro sottopagati e non in linea con i titoli posseduti. Intanto, la quotidianità per quanti scelgono di rimanere nel Meridione non è semplice. Seppur ancora la famiglia svolga un ruolo importantissimo, in molti casi tale combinazione potrebbe essere una condizione di povertà educativa. Il grafico sottostante rappresenta la spesa pro-capite dei comuni per i servizi socio educativi destinati all’infanzia.

Come si potrà notare, tra 2013 e 2018, la variazione è stata minima ma il divario sociale rimane una forbice in costante fase di apertura.Sin da marzo scorso, a seguito del primo lockdown, uno dei grossi punti di debolezza avvertito a livello strutturale è stato riconducibile alla qualità della connettività mezzo internet. A ciò si aggiungano anche tutti quei problemi afferenti alle mancate competenze informatiche, connessioni qualitativamente basse, computer e tablet poco potenti.

Insomma, improvvisamente, oltre ad aver incontrato in terra di Calabria il Covid-19, abbiamo dovuto fare i conti con reti internet inadeguate e con tutte le altre circostanze già richiamate. Anche in questo caso, ricorrendo al grafico, sarà possibile notare che proprio il Mezzogiorno d’Italia ha il valore più alto di giovani tra 6 e 17 non hanno a loro disposizione dispositivi informatici.

Personalmente, già in passato, precisamente prima di metà marzo 2020 avevo scritto alla Ministra della Pubblica Istruzione, Lucia Azzolina, per sottoporre tali dinamiche e soprattutto lanciare la proposta tesa a voler rendere possibile la connessione alle piattaforme informatiche a costo calmierato. In tale contesto, ancor prima della pandemia, in Calabria è stata la dispersione scolastica a generare disastri, soprattutto tra i giovani. Questo è uno di quegli ambiti che andrebbe assolutamente ricondotto a percorsi specifici finanziabili con il Recovery Fund, senza perdere tempo e senza tergiversare come invece stiamo notando ultimamente dai comportamenti di una parte politica di governo.

Per poter ripartire, giungendo al 2030 con una generazione ben formata e provvedendo a fare sempre meglio, si potranno azionare sistemi di contenimento tesi a rallentare la spoliazione demografica sopra esposta e continuando a formare bene i giovani e potendo disporre di un nuovo sistema sociale, generato da una rivisitazione del modello culturale, si potrà avviare una vera e propria inversione di tendenza, restituendo alla Calabria ed ai calabresi, non soltanto le opportunità di una rinascita ma la rottura con l’ignoranza di quanti in passato volevano governare senza avere una visione ben chiara del mondo ed accontentandosi di conoscere la strada principale del loro paese con arroganza sono riusciti a fare danni, svilendo il senso nobile della politica intesa come servizio della polis ed imbarcando tra le fila del potere i segmenti criminali, prima propensi ad aiutare e poi affascinati dal potere.

La dispersione scolastica, nel medio-lungo periodo, vedrà sempre più arretrare la propensione alla legalità ed allo sviluppo mantenendo elevato il rischio di devianza sociale ed instabilità delle Amministrazioni locali. Infine, essendo quotidianamente sottoposti alle platee mondiali di telespettatori che vedono la nostra terra come l’ultimo Paese del mondo, per una volta, accettiamo lo stato di cose in quanto la verità sul nostro conto, come ci è stata comunicata in questi ultimi mesi, mai prima d’ora era avvenuto.

Questo ultimo grafico, risalente al 2018, rappresenta la base dei nostri Livelli Essenziali di Assistenza che i vari Commissari alla Sanità avrebbero dovuto innalzare sotto la costante osservazione di deputati, senatori, amministratori regionali e locali per evitare i viaggi della speranza, le lunghe attese ed oggi l’incertezza che regna nel nostro sistema sanitario. 

Sino a quando non verrà attentamente rivalutata la questione culturale calabrese, non dovrà nemmeno esserci spazio per l’indignazione che in tanti hanno avuto quando all’arresto di un latitante, effettuato per mano dei carabinieri, decine di persone applaudivano l’arrestato incitandolo a stare tranquillo perché quel popolo continuava ad avere fiducia in lui. Quest’ultimo esempio, scritto con molta amarezza, rappresenta un sistema plastico dove lo Stato, in alcuni territori, non è riuscito a manifestare tutta la propria consistenza lasciando spazi liberi a quanti nella mala vita hanno individuato la loro naturale collocazione, dimenticando che l’avventura del bandito Giuliano è ormai conclusa ed oggi lo Stato, come la natura, riprende tutti i propri spazi perché così è giusto che sia.

Non me ne vogliate. Sarò pur ripetitivo, ma anche quest’ultima parte è una questione culturale, come è una questione culturale la rieducazione del detenuto e la volontà di chiudere con il passato. Il lavoro da compiere è davvero arduo, perciò necessitano competenze ed entusiasmo. (fr)