Venerdì a Crotone con Legambiente e Conai si parla del valore dell’indifferenziata

Venerdì 15 novembre, a Crotone, alle 10.30, nella Sala Pitagora della Camera di Commercio, si terrà l’incontro Il valore della differenziata, organizzato da Legambiente CalabriaConai.

Si parlerà di raccolta differenziata, riciclo, strumenti ed incentivi a disposizione dei comuni per una corretta gestione del ciclo dei rifiuti in un’ottica di confronto con gli amministratori locali della provincia di Crotone.

Tra i saluti in programma quelli del padrone di casa, il Presidente della Camera di Commercio di Catanzaro – Vibo Valentia – Crotone, Pietro Falbo e del sindaco di Crotone, Vincenzo Voce. Ad introdurre i lavori Anna Parretta, Presidente di Legambiente Calabria. Seguiranno gli interventi di Rosaria Vazzano, Presidente di Legambiente Crotone; Maria Concetta Dragonetto, Area piani di sviluppo R.D, Centro-Sud Italia del Conai; Girolamo Arcuri, Dirigente scolastico Polo Tecnico Professionale Barlacchi e Lucifero di Crotone; Sergio Capelli, Co-founder Impactellers. È stato invitato a partecipare anche il Presidente dell’Autorità rifiuti e risorse idriche della Calabria, Sergio Ferrari. Le conclusioni dei lavori, moderati da Emilio Bianco, Coordinatore Ecoforum regionali di Legambiente, sono affidate a Laura Brambilla dell’Ufficio nazionale Comuni ricicloni. (rkr)

LA CALABRIA E I DATI IMPIETOSI NEI REATI
CONTRO IL SUO MARE: È QUARTA IN ITALIA

di ANTONIETTA MARIA STRATI – In Calabria il mare è sempre più violato: la regione, infatti, si classica quarta con 2.371 reati a fronte di 103.778 controlli pari al 10,3% del totale nazionale. Sono i «dati impietosi» emersi dal Report Mare Mostrum di Legambiente Calabria, in cui viene rilevato che le persone denunciate sono 2.629, 14 quelle arrestate. Sono 579 i sequestri effettuati, 3151 gli illeciti amministrativi e 3498 le sanzioni amministrative con un valore delle sanzioni erogate di 14.466.423 euro.

Il dato “migliora” se si considera il numero di infrazioni per km di costa, dato che la Calabria scende all’undicesimo posto.

Continuano a crescere i reati nel ciclo del cemento, dall’abusivismo edilizio alle occupazioni del demanio marittimo: 1.046 reati in Calabria con un incremento del 20,1% che porta la nostra regione al quarto posto. La Calabria è al terzo posto nella classifica del mare inquinato con 828 reati, il 13% del totale, e 675 illeciti amministrativi. La Calabria è quarta nella classifica della pesca illegale con 336 reati e 461 illeciti amministrativi e settima per violazioni del codice della navigazione e nautica da diporto, anche in aree protette, con 161 reati e 400 illeciti amministrativi.

Dati «impietosi» li ha definiti Anna Parretta, presidente di Legambiente Calabria «e ci dimostrano che soprattutto riguardo al ciclo illegale del cemento ed alla mala depurazione, occorre invertire velocemente la rotta. Le cronache giudiziarie continuano a rivelarci gravi problematiche a carico di decine di depuratori in tutte le province calabresi, confermando le attività di monitoraggio effettuate da Legambiente attraverso la campagna Goletta Verde, per come rilevato dall’inchiesta denominata “Scirocco”».

«Il mare continua a subire minacce insostenibili – ha proseguito – nonostante sia tra le risorse naturali più belle ed importanti della regione e costituisca un volano essenziale anche per l’economia calabrese. Occorre una presa di coscienza profonda da parte di tutti i cittadini e di tutte le amministrazioni per fermare le illegalità e tutelare l’ambiente e la salute perché il mare ed i territori costieri in Calabria sono di vitale importanza».

Ma i reati ambientali non sono solo un problema calabrese: gli illeciti, purtroppo, aumentano ogni anno a un ritmo sempre più intenso: 25.545 le persone denunciate nel 2023 in Italia, in aumento del 43% rispetto al 2022. Cresce, però, l’efficacia dell’azione repressiva, come dimostra il numero di persone arrestate (204, +98,1% rispetto al 2022) e quello dei sequestri, pari a 4.026, in crescita del 22,8% sul 2022. Un reato su due (50,3%) si concentra nelle 4 regioni a tradizionale presenza mafiosa,Campania (3.095 illeciti penali), Sicilia (3.061), Puglia (3.016) e Calabria (2.371)che guidano nell’ordine, come numeri assoluti, la classifica regionale, seguite dal Lazio (1.529 reati) e dalla Toscana (1.516). Nelle prime dieci regioni figurano anche Sardegna, Veneto, Liguria e Marche.

Insieme alle violazioni amministrative, la media è di 8,4 illeciti per km di costa, uno ogni 119 metri. Ciclo illegale del cemento (10.257 reati, +11,2% rispetto al 2022), ciclo illegale dei rifiuti e mare inquinato (6.372, +59,3%), pesca illegale (4.268 illeciti penali, +11,3%) si confermano i reati più diffusi. Preoccupa anche la violazione delle normative che regolano la nautica da diporto:2.059 illeciti penali accertati nel 2023, + 230% rispetto al 2022.

Cosa fare, allora, per contrastare i danni dell’illegalità ambientali? A tal proposito, l’Associazione ha lanciato un pacchetto di 10 proposte che hanno al centro quattro macro temi: la lotta all’abusivismo edilizio, su cui l’Associazione ambientalista «chiede, ad esempio, di velocizzare l’abbattimento degli immobili abusivi, anche prevedendo finanziamenti a favore dei Comuni che eseguono le ordinanze di demolizione e alle procure della Repubblica, alle procure Generali e alle Prefetture per l’esecuzione delle sentenze di condanna in materia di abusivismo edilizio; la lotta alla maladepurazione, per uscire dalle onerose procedure d’infrazione dell’Unione europea, investendo sulla realizzazione e/o sull’adeguamento dei sistemi fognari e di depurazione, migliorando in generale l’intero sistema di gestione, efficientando il trattamento delle acque reflue».

E ancora, «il tema dei rifiuti – si legge – dando, ad esempio, piena attuazione alla normativa di recepimento della Direttiva 2019/883 relativa agli impianti portuali di raccolta per il conferimento dei rifiuti delle navi e regolamentare in maniera stringente lo scarico in mare dei rifiuti liquidi (acque nere ed acque grigie, acque di sentina, ecc.), istituendo, per esempio, delle zone speciali di divieto di qualsiasi tipo di scarico, anche oltre le 12 miglia dalla costa;  promuovendo politiche attive e misure per la prevenzione nella produzione e per la lotta all’abbandono e la dispersione dei rifiuti; il contrasto della pesca illegale, con adeguati interventi normativi e sanzioni davvero efficaci».

«Anche quest’anno, a fronte dell’impegno quotidiano delle Capitanerie di porto e delle forze dell’ordine contro l’aggressione alle coste e al mare del nostro Paese, con il nostro report Mare mostrum– ha dichiarato Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente –ribadiamo l’esigenza di rafforzare il ruolo e le attività di competenza di tutte le istituzioni coinvolte, dai singoli Comuni alle Regioni e alle Arpa».

«La nostra Associazione – ha aggiunto – da sempre impegnata in attività di monitoraggio e di volontariato, come quelle svolte grazie a Goletta verde, alle indagini Beach litter e alla campagna “Spiagge e fondali puliti”, avanza dieci proposte a Parlamento e Governo per tutelare in maniera più efficace lo straordinario patrimonio ambientale marino del Belpaese. Bisogna potenziare l’attività di demolizione degli immobili abusivi, e non prevedendo nuovi condoni, ammodernare e completare il sistema di fognature e depuratori, potenziare l’economia circolare e prevedere sanzioni più severe per la pesca illegale».

 «Il ciclo illegale del cemento – ha commentato Enrico Fontana, responsabile Osservatorio ambiente e legalità di Legambiente – rappresenta la quota più significativa dei reati ambientali analizzati anche in questa edizione di Mare Monstrum, a causa, principalmente, della miriade di abusi edilizi che continuano a sfregiare l’Italia».

«Un fenomeno devastante per lo sviluppo sociale, ambientale ed economico dell’intero Paese – ha aggiunto – che colpisce principalmente il Sud, in particolare le regioni a tradizionale insediamento mafioso, e le aree costiere, le perle estive del Belpaese e su cui bisogna intervenire con una mano decisa e con abbattimenti non più rimandabili. L’abusivismo edilizio lungo le coste, inoltre, fa da moltiplicatore dei fenomeni d’inquinamento, a causa degli scarichi diretti in mare degli immobili costruiti illegalmente». (ams)

 

Area Marina Protetta di Capo Rizzuto, Legambiente: Chiederemo al Ministero di intervenire

Legambiente Calabria ha reso noto che chiederà al «Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica un intervento urgente per esercitare le proprie funzioni di sorveglianza sulla gestione dell’Area marina protetta Capo Rizzuto affidata alla Provincia di Crotone».

Una decisione presa a seguito della replica del presidente della Provincia di Crotone, Sergio Ferrari che, quale Ente gestore dell’Area Marina Protetta Capo Rizzuto, «ritiene – ha rilevato Coldiretti – di non avere responsabilità e competenza sui fatti descritti nella precedente nota stampa di Legambiente Calabria, evidenzia una fondamentale inconsapevolezza degli obblighi che derivano dall’affidamento in gestione dell’area stessa».

«Senza entrare in inutili polemiche – prosegue la nota – poco funzionali allo scopo della nostra Associazione di pervenire ad una congrua tutela di un bene collettivo importantissimo ed allo stato ben poco salvaguardato, ci limitiamo ad allegare la convenzione per la gestione dell’Area Marina protetta, firmata dalla Provincia con il Ministero della Transizione Ecologica nell’anno 2021, invitando tutti alla lettura, a partire dall’intero art. 3 in cui viene esplicitato che “il soggetto gestore garantisce il perseguimento delle finalità e il rispetto delle norme di tutela di cui al decreto interministeriale del 27 dicembre 1991, istitutivo dell’area marina protetta “Capo Rizzuto”, coerentemente alle previsioni di cui all’art. 27 della legge 31 dicembre 1982, n. 979, e di cui all’art. 19 della legge 6 dicembre 1991, n. 394”». 

«E non solo – si legge – anche i commi 2 e 3 dell’articolo 3 richiamati dal presidente Ferrari, che, comunque, devono essere rispettati dalla Provincia stessa, affermano che “al fine di assicurare il raggiungimento degli obiettivi di cui al comma 1 il soggetto gestore provvede ad adottare tutte le misure necessarie affinché siano portati a conoscenza della generalità dei cittadini, l’estensione, i confini e la zonazione dell’area marina protetta, in particolare provvedendo alla posa in opera e alla manutenzione dei segnalamenti marittimi, nonché le attività vietate e quelle consentite all’interno della stessa”. Infine,“il soggetto gestore ha l’obbligo di comunicare alla Direzione qualsiasi fatto ed evento, anche potenzialmente, in grado di arrecare danni e/o alterazioni al patrimonio naturale e/o di compromettere le finalità di tutela dell’area marina protetta”».

«Ricordiamo, inoltre – conclude la nota – che la gestione dell’Area Marina protetta Capo Rizzuto, in cui insistono siti della rete europea natura 2000 e la zona demaniale costiera, è soggetta alle norme comunitarie ed è disciplinata dalla normativa nazionale sulle aree protette come la legge n. 394/1991 e ss.mm.ii. che vieta, ad esempio, ogni forma di discarica di rifiuti solidi e liquidi».

Legambiente chiede verifica eventuale abusività delle opere che riguardano discarica “Pipino” di Scala Coeli

Legambiente Calabria ha chiesto alla Regione la verifica dell’eventuale abusività delle opere riguardanti la discarica “Pipino” di Scala Coeli.

«Con sentenza nr. 94/2024 RG n. 207/2021, pubblicata il 18/07/2024 – ha ricordato l’Associazione – il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche ha rigettato il ricorso della ditta Bieco S.r.l., quale proprietaria della discarica di rifiuti speciali non pericolosi di località Pipino nel comune di Scala Coeli, condannando la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio. Nella sentenza è specificato testualmente “che l’eventuale abusività delle opere non può che essere sanzionata con la demolizione e il ripristino dello stato dei luoghi”».

Inoltre l’associazione del Cigno verde chiede all’Ente gestore delle aste demaniali ed a tutti gli uffici interessati nella vicenda, di adottare i provvedimenti di propria competenza con l’auspicio che la tortuosa vicenda della discarica “Pipino” possa trovare una soluzione che risponda agli interessi dell’ambiente e della collettività.

Legambiente Calabria: Calendario venatorio non rispetta le prescrizioni della Struttura Tecnica di Valutazione

Anna ParrettaGiorgio Giovanni Berardi e Angelo Calzone, rispettivamente presidente di Legambiente Calabria, coordinatore regionale Lipu Birdlife Calabria e presidente WWF Calabria, hanno denunciato come il calendario venatorio approvato dalla Giunta regionale lo scorso 7 agosto «non rispetta le prescrizioni indicate da scienza nazionale e regionale e dalle norme europee».

In particolare quelle della Struttura Tecnica di Valutazione STV e dall’Ispra «che posticipava l’apertura dell’attività venatoria al 2 ottobre 2024, con le sole eccezioni dei corvidi, del colombaccio e del cinghiale, e non tenendo conto dell’ennesima procedura Eu-Pilot indirizzata all’Italia dalla Commissione europea in ambito venatorio in particolare, per la caccia in periodo di migrazione prenuziale e per la caccia su specie in cattivo stato di conservazione».

«Oltretutto – hanno aggiunto le Associazioni – il calendario venatorio, in assenza di piani di gestione o con piani non adeguatamente attuati, stabilendo la chiusura della caccia al 30 gennaio per turdidi e uccelli acquatici, durante il periodo di  migrazione prenuziale, risulta essere in aperta violazione della Direttiva europea».

Per questo hanno chiesto «al Presidente e alla Giunta Regionale di approvare subito atti con cui vengano escluse, dalla lista delle specie cacciabili in Calabria, le specie in cattivo stato di conservazione, ossia Allodola, Tortora selvatica, Combattente, Moriglione, Quaglia, Moretta e Tordo sassello,di eliminare le preaperture e i posticipi della caccia a fine gennaio dal calendario venatorio».

«Altresì – hanno aggiunto – per contrastare il diffuso e grave fenomeno del bracconaggio, che aumenta sempre in concomitanza con la stagione venatoria, chiediamo l’impegno ad aumentare la vigilanza, stabilendo un piano di controllo organico, incrementando il personale in servizio nei corpi di Polizia Provinciale e attivando specifiche convenzioni con i Carabinieri forestali.”

«Un pessimo regalo alla parte più insensibile dei cacciatori, un grave danno al patrimonio indisponibile dello stato e un attacco ai principi costituzionali di tutela della biodiversità e della fauna», hanno evidenziato, aggiungendo come «nell’atto approvato rimane solo il dovuto divieto di preapertura, ed il posticipo dell’attività venatoria al 2 ottobre 2024 (con la sola eccezione dei corvidi, del colombaccio e del cinghiale), nelle Zone di Protezione Speciale (ZPS) di cui la Direttiva 2009/147/Ce (dove si applicano inoltre le misure di conservazione disposte dal Decreto Ministeriale 17 ottobre 2007), e nelle Zone Speciali di Conservazione (ZSC) di cui la Direttiva 92/43/CE, e, in entrambe, al fine di ridurre l’inquinamento da piombo nelle aree interessate dalla presenza di corsi d’acqua (aree umide), il divieto di utilizzo di munizioni a pallini di piombo».

 

Legambiente: Sequestro Villaggio abusivo a Bova Marina passo in avanti contro abusivismo edilizio

Per Legambiente Calabria il «sequestro del villaggio turistico abusivo di Bova Marina effettuato a seguito delle indagini condotte dai Carabinieri Forestali della Calabria, guidati dal comandante regionale, il Colonnello Giovanni Misceo, è un’ulteriore conferma del forte impegno nella lotta all’abusivismo edilizio che può e deve caratterizzare la Calabria».

«Ora si tratta di garantire, fatte tutte le necessarie verifiche, la demolizione dei manufatti abusivi e il ripristino di un’area d’importante valenza ambientale», hanno ribadito Enrico Fontana, responsabile Osservatorio Nazionale Ambiente e Legalità di Legambiente e Anna Parretta, Presidente Legambiente Calabria, sottolineando come «lavorando in sinergia, forze dell’ordine, autorità giudiziaria, istituzioni regionali e locali, associazioni di cittadini è possibile contrastare con efficacia un fenomeno, quello dell’abusivismo edilizio, che in Calabria e più in generale in tutto il Mezzogiorno rappresenta una minaccia all’ambiente, alla sicurezza dei cittadini e alla buona economia».

«La nostra Associazione – hanno proseguito – sta collaborando con la Regione Calabria con un’attività di monitoraggio, frutto di un Protocollo d’intesa, con l’auspicio che possa costituire un tassello importante per rendere più efficace l’azione di contrasto e di prevenzione del fenomeno dell’abusivismo edilizio. Dobbiamo tutti essere consapevoli che occorrono azioni incisive per fermare i reati nel ciclo del cemento e che non sono più giustificabili i ritardi ed inadempienze da parte delle Pubbliche Amministrazioni».

Un tema, quello del ciclo illegale del cemento, che Legambiente combatte da anni fornendo, nel suo Rapporto Ecomafia, dati e numeri anche di questo fenomeno che dal 2021 al 2023 ha registrato una crescita del 37%, con un picco del +28,7% nel 2022, lo stesso anno in cui l’Istat segnala il balzo in avanti del “mattone illegale” con una crescita del 9,1% rispetto al 2004. Quello dell’abusivismo edilizio è anche uno dei temi che la storica campagna di Goletta Verde compie ogni anno lungo le coste italiane e di cui si è parlato lunedì scorso a Palmi (RC), nel corso del convegno “Lotta all’abusivismo edilizio: una priorità per l’Italia” organizzato da Legambiente nel corso della tappa calabrese di Goletta verde.

La Calabria è una delle regioni del sud tra le più ferite dal cemento illegale. Stando agli ultimi dati del report Ecomafia, dal 2021 al 2023 sono stati accertati 3.003 reati relativi al ciclo del cemento, con una flessione nel 2022 e un’impennata del +20,1% nel 2023. In particolare, nel 2023 i reati accertati dalle forze dell’ordine e dalle Capitanerie di porto in questa “filiera” dell’ecomafia sono stati 1.046, con 1.230 persone denunciate (+29% sul 2022).

Dati nel complesso preoccupanti, ma su cui la Calabria ha deciso di non abbassare la testa dando segnali importanti di controtendenza con sequestri, demolizioni, controlli effettuati nelle zone costiere con l’ausilio di droni e con il monitoraggio di ordinanze di abbattimento.  (rcz)

REATI AMBIENTALI, CALABRIA PRIMEGGIA
È LA QUARTA IN ITALIA CON 2.912 CRIMINI

La Calabria si conferma tra le regioni con più crimini ambientali. È quanto emerso dal report Ecomafia 2024 – Le storie e i numeri della criminalità ambientale in Italia di Legambiente, presentato nei giorni scorsi, posizionando la nostra regione al quarto posto con 2.912 reati ambientali.

Preoccupano, anche, i dati provinciali: Nella classifica nazionale, nelle prime venti posizioni, Cosenza occupa l’ottavo posto con 697 reati. Al sedicesimo posto troviamo Crotone con 515 reati a cui seguono Reggio Calabria con 513 e Vibo Valentia 507. Invece Catanzaro, con 315 reati, non rientra nelle prime venti.

Nel dettaglio, nel ciclo illegale del cemento la Calabria è al quarto posto con 1.046 reati di cui 266 a Cosenza; 182 a Reggio Calabria; 143 a Vibo Valentia; 110 a Catanzaro e 84 a Crotone.

Nel ciclo illegale dei rifiuti è terza la nostra regione con 828 reati di cui 201 a Vibo Valentia; 177 a Crotone; 138 a Reggio Calabria, 119 a Catanzaro e 92 a Cosenza.

Per quanto riguarda i numeri sull’illegalità contro gli animali, la Calabria si posiziona sestacon 424 reati di cui 137 a Reggio Calabria; 124 a Crotone; 78 a Cosenza; 65 a Vibo Valentia e 20 a Catanzaro.

Infine, nella classifica dell’arte rubata, la Calabria è al quindicesimo posto con sei furti.  Troppo poche le demolizioni eseguite, anche se non mancano le buone notizie, come quella dell’abbattimento, avvenuto nel dicembre del 2023, di Palazzo Mangeruca, l’ecomostro di Torre Melissa, in provincia di Crotone. In provincia di Catanzaro, a Stalettì, invece, le ruspe demolitrici sono entrate nuovamente in azione per demolire una delle villette costruite illegalmente su demanio marittimo.

Dati preoccupanti per la presidente di Legambiente Calabria, Anna Parretta, sottolineando come i dati calabresi «rivelano un preoccupante aumento dei crimini ambientali in quasi tutte le filiere illegali analizzate da Legambiente nel dossier. La nostra regione, infatti, non solo sale dal quinto al quarto posto della classifica generale delle illegalità ambientali, ma ben quattro delle cinque province, con la sola eccezione di Catanzaro, rientrano tra le prime venti province per reati ed illeciti amministrativi».

«I settori che destano maggiore preoccupazione – ha spiegato – sono quelli del ciclo del cemento e, ancora di più, quello dei rifiuti, ambito dove la Calabria è tristemente terza nella classifica nazionale. Si tratta di una recrudescenza criminale che avviene in un momento storico nel quale la tutela dell’ambiente è di vitale importanza».

«È essenziale che in Calabria, con l’apporto di tutti, amministrazioni, imprese, associazioni e cittadini – ha concluso – si rafforzino quei principi di legalità indispensabili per uno sviluppo socio economico sano della nostra regione».

Ma non è solo la Calabria a preoccupare. Dal report, infatti, è emerso come nel 2023 i reati ambientali sono stati 35.487, registrando +15,6% rispetto al 2022, con una media di 97,2 reati al giorno, 4 ogni ora.  Illeciti che si verificano soprattutto nel Mezzogiorno e in particolare nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa – Campania, Puglia, Sicilia e Calabria – dove si concentra il 43,5% degli illeciti penali, +3,8% rispetto al 2022. Tutto il mercato illegale nella Penisola è valso agli ecomafiosi nel 2023 ben 8,8 miliardi.

Continua l’applicazione della legge 68/2015 sugli ecoreati che nel 2023 ha superato la quota 600, anche se registra un lieve calo rispetto all’anno precedente quando era stata contestata 637 volte. Un calo dovuto al calo dei controlli, passati da 1.559 a 1.405. Il delitto di inquinamento ambientale resta nel 2023 quello più contestato, 111 volte, portando a ben 210 denunce e 21 arresti.  Altro dato riguarda i comuni commissariati che sono attualmente 19.

«In questi tre decenni il Rapporto Ecomafia – ha dichiarato Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – è diventato sempre più un’operaomnia per analizzare i fenomeni criminali legati al business ambientale, grazie anche a contributi istituzionali di rilievo, come dimostra l’edizione 2024. Dalla nostra analisi, emerge però che c’è ancora molto da fare nel nostro Paese, dove continuano a mancare norme importanti, come quelle che dovrebbero semplificare gli abbattimenti degli ecomostri – assegnando ad esempio ai Prefetti l’esecuzione delle ordinanze di demolizione mai eseguite nei decenni passati –, l’inserimento nel Codice penale dei delitti commessi dalle agromafie oppure l’approvazione dei decreti attuativi della legge istitutiva del Snpa per rendere più efficaci i controlli pubblici delle Agenzie regionali e provinciali per la protezione dell’ambiente».

«Dal Governo Meloni ci aspettiamo un segnale di discontinuità – ha ribadito –. Serve approvare quanto prima le riforme necessarie per rafforzare le attività di prevenzione e di controllo. Ne gioverebbero molto la salute delle persone, degli ecosistemi, della biodiversità e quella delle imprese sane che continuano ad essere minacciate dalla concorrenza sleale praticata da ecofurbi, ecocriminali ed ecomafiosi».

 «La voce più pesante dell’illegalità legata al ciclo del cemento, come denunciamo ogni anno con forza, e quella dovuta alla miriade di abusi edilizi che viene realizzata nel nostro Paese. Con il decreto “Salva casa” – ha aggiunto Enrico Fontana, responsabile Osservatorio Ambiente e legalità– a cui Legambiente ha presentato una serie di emendamenti, si corre il rischio di alimentare nuovi abusi».

«Ma deve preoccupare molto – ha sottolineato – anche la crescita dei reati nella gestione dei rifiuti, con pratiche illegali che minacciano l’economia circolare. Così come seguiremo con attenzione quanto sta accadendo nella raccolta dei Raee (i rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche), dove diminuisce la quantità di quelli avviati al riciclo e aumentano le esportazioni illegali, verso Asia e Africa. E manterremo sotto osservazione il mercato illecito degli F-gas, i gas refrigeranti, che vede l’Italia tra i paesi più esposti».

Come si combattono le ecomafie, dunque? Legambiente, per far fronte a questo fenomeno, ha lanciato 15 proposte al Governo per avvicinare il quadro normativo ai principi sanciti in Costituzione, di queste sei sono i pilastri su cui lavorare in maniera prioritaria:1) Recepire quanto prima la nuova direttiva europea in materia di tutela penale dell’ambiente, approvata dal Parlamento europeo il 27 febbraio 2024, che introduce nuove fattispecie di reato rispetto a quelle già previste dal nostro Codice penale e prevede l’adozione di strategie nazionali contro la criminalità ambientale; 2) Introdurre nel Codice penale i delitti contro le agromafie; 3) Introdurre nel codice penale i delitti contro gli animali; 4) Restituire ai prefetti pieni poteri per la demolizione degli immobili che i Comuni non hanno abbattuto, a partire dall’ultimo condono edilizio; 5) Inasprire le sanzioni contro i reati nel ciclo dei rifiuti; 6) Completare l’approvazione dei decreti attuativi del Sistema nazionale di protezione ambientale e potenziare gli organici delle Agenzie regionali, per garantire controlli adeguati sul Pnrr e sulle Olimpiadi Milano-Cortina 2026. (rrm)

Legambiente: Adottare misure adeguate per prevenire gli incendi

«La nostra Associazione ritiene sia indispensabile un cambio di prospettiva rispetto al fenomeno degli incendi, destinato ad aggravarsi nella nostra regione, in connessione alla crisi climatica in corso che reca con sé episodi di siccità prolungata, ondate di calore e rischi di desertificazione per intere aree». È quanto hanno detto  Anna Parretta presidente di Legambiente Calabria ed Antonio Nicoletti, responsabile Aree protette di Legambiente Nazionale, sottolineando come la logica deve essere quella di prevenire gli incendi attraverso la gestione del territorio, l’utilizzo ecologicamente sostenibile delle risorse agro-silvo-pastorali, la promozione dei servizi ecosistemici che vanno remunerati, la rivitalizzazione delle comunità rurali nelle aree interne e montane in una rinnovata funzione di presidio territoriale».

Negli ultimi giorni, infatti, le fiamme hanno gravemente colpito il territorio regionale lasciando cenere e distruzione al posto di alberi e campi coltivati e mietendo vittime – come è accaduto a Cassano, dove un uomo stava cercando di difendere il suo uliveto o a Cirò, nonostante un ingente intervento di uomini e mezzi di soccorso.

Un bilancio molto pesante causato molto spesso dalle azioni di criminali e di piromani, ma anche dalla scarsa o mancata azione di prevenzione e di difesa attiva dai roghi.  Nella nostra regione, infatti, si continua a puntare sulla gestione dell’emergenza, tralasciando l’ottica della prevenzione, l’unica in grado di limitare gli incendi, a partire dagli interventi di buona gestione forestale, dalla manutenzione del territorio e dalla mappatura delle aree percorse dal fuoco per bloccarne le spirali malefiche.

Nonostante le dichiarazioni e gli annunci, pesano ancora i ritardi delle Amministrazioni competenti, la carenza di mezzi e la sovrapposizione di competenze in materia di incendi boschivi.

Per questo per Parretta e Nicoletti è «molto importante una rigorosa applicazione da parte dei comuni, della legge sui vincoli e sul catasto delle aree percorse dal fuoco, le cui misure sono state rinforzate dalla legge n. 353/2000 con l’individuazione dei poteri sostitutivi delle Regioni nel caso di inadempienza. Senza dimenticare che, con grande frequenza, gli incendi sono collegati agli interessi della ‘ndrangheta, che per come posto in luce dalle indagini della Magistratura, controlla intere aree boscate oltre ai pascoli abusivi ed ha forti interessi economici nel business del taglio dei boschi e nella loro gestione illecita».

«L’intero territorio calabrese, a partire da boschi e foreste, dalle aree protette e dai siti della rete Natura 2000 – è stato ribadito – deve essere protetto e tutelato con strumenti e risorse idonee e con capacità di visione perché le temperature sono destinate ad essere ancora più elevate per effetto del riscaldamento complessivo del Pianeta. La Calabria non può e non deve farsi trovare impreparata e deve mettere in campo adeguati ed operativi programmi di adattamento ai cambiamenti climatici che scongiurino i disastri ai quali stiamo assistendo».

«Legambiente chiede, da tempo – viene evidenziato – di mettere in campo alcune misure adeguate, in un’ottica di prevenzione, a fronteggiare efficacemente il fenomeno, contrastando incendi che si ripropongono, puntuali, nel periodo estivo:

Gestione integrata degli incendi: è necessaria un’attività di integrazione/coordinamento, a livello regionale e nazionale, fra i settori dedicati alla previsione, prevenzione, informazione, addestramento, lotta, indagine e ricostituzione post-incendio. È ancora carente l’applicazione della legge quadro sugli incendi boschivi (L. 353/2000) ed insufficienti le modifiche introdotte con la legge 155/2021;

Pianificazione e progettazione del ripristino ecologico e funzionale: i Piani forestali di indirizzo territoriale devono integrare la pianificazione forestale con la prevenzione degli incendi boschivi. Definendo le aree esposte al pericolo ed individuando le aree dove integrare misure di selvicoltura preventiva con altre misure forestali, le misure per l’attività pastorale e agricola, e quelle per la tutela della biodiversità nel Parchi Nazionali, Riserve regionali e siti della Rete Natura 2000.

Interazione con la politica agricola: per un più efficace governo degli incendi è fondamentale una integrazione della politica forestale con quella agricola. Molti incendi, infatti, derivano dall’uso illegale e inesperto del fuoco per fini agro-silvo-pastorali e l’abbandono dell’agricoltura e della pastorizia determinano un aumento del pericolo di incendi per accumulo del combustibile. L’agricoltura, tuttavia, deve essere considerata parte della soluzione: campi coltivati, orti, vigneti, aree pascolate possono ridurre l’infiammabilità a scala di paesaggio; Pascolo prescritto come strumento di prevenzione: il pascolamento con specie domestiche è stato finalmente riconosciuto come tecnica per prevenire il propagarsi degli incendi o evitare che una volta innescati diventino disastrosi. Responsabilizzazione e coinvolgimento dei cittadini: i cittadini possono essere parte attiva, in primo luogo coinvolgendo il volontariato non solo nella lotta ma anche nella prevenzione. Inoltre, i proprietari di fondi devono essere responsabilizzati nella gestione della vegetazione nei loro terreni ed i cittadini devono essere preparati a riconoscere il pericolo incendi ed a rispondere con comportamenti adeguati; Statistiche e castato incendi:l’analisi delle statistiche sugli incendi è essenziale per la comprensione ed il governo del fenomeno».

E, ancora: pianificazione e progettazione del ripristino ecologico e funzionale; pianificazione urbanistica e incendi, in quanto «i piani urbanistici dettano le linee per l’espansione dei centri abitati, in coerenza con le normative e i vincoli regionali e nazionali, ma non tengono in considerazione il rischio legato agli incendi boschivi. Per questa ragione appare auspicabile che nei prossimi anni la pianificazione urbanistica venga informata dai piani forestali di indirizzo territoriale che identificano le aree esposte al pericolo incendi (probabilità di propagazione di grandi incendi). La stessa attenzione deve essere indirizzata alla rete stradale che svolge un ruolo fondamentale nel garantire la sicurezza della logistica dei mezzi di soccorso in caso di incendi di elevata intensità; pene più severe: estendere le pene previste dal Codice Penale per il reato di incendio boschivo a qualunque tipologia di incendio. È indispensabile rendere più severe le pene previste  dall’articolo 423-bis del C.P. a qualunque incendio di e non solo i boschi e i pascoli, per quelli che interessano il patrimonio naturalistico e quelle sottoposte a vincolo paesaggistico. Così come va aggravata la fattispecie colposa per consentire l’arresto in flagranza, oggi non obbligatorio e vanno rafforzate le sanzioni amministrative estendendo ed equiparando le sanzioni più gravi a tutti gli incendi».

Infine, è necessario potenziare i presidi nella lotta agli incendi boschivi. Per questo serve investire «nel potenziamento della flotta aerea pubblica, nella specialità interna al Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco. Alla luce del sempre maggiore utilizzo dei mezzi aerei nella lotta attiva agli incendi boschivi occorre ricostituire una flotta di proprietà pubblica e limitare il ricorso ai mezzi aerei privati». (rcz)

Parretta (Legambiente): È essenziale per Calabria intervenire preventivamente ai cambiamenti climatici

«È essenziale per la Calabria intervenire in maniera preventiva e reagire agli effetti del cambiamento climatico, a partire dal problema della siccità, con la consapevolezza della preziosità della risorsa acqua e con un approccio sostenibile e circolare nella sua gestione». È quanto ha dichiarato Anna Parretta, presidente di Legambiente Calabria, in occasione della Giornata Mondiale dell’Ambiente, chiedendo che «si agisca velocemente per adattare le città ed i territori calabresi rispetto agli effetti della crisi climatica ad esempio efficientando le reti idriche ed incentivando circuiti virtuosi come quelli che consentono il risparmio e l’uso circolare delle acque incluse quelle piovane oltre a piantumare nuovi alberi avendo cura di quelli esistenti e delle aree verdi

Quello del cambiamento climatico, infatti, è «un problema destinato ad avere grandi ricadute ambientali ed economiche sulla nostra regione, a partire dal settore agricolo ma la sensazione è che non vi sia sufficiente consapevolezza da parte della politica della gravità della situazione».

La data del 5 giugno, giorno in cui si celebra la Giornata dell’Ambiente, si concentra sul “ripristino del territorio, desertificazione e resilienza alla siccità”ed è una data che impone delle serie riflessioni, anche in Calabria.

La crisi climatica sta colpendo soprattutto l’Europa che si sta riscaldando due volte più velocemente rispetto al resto del mondo, minacciando la sicurezza energetica ed alimentare, gli ecosistemi, le infrastrutture, le risorse idriche e l’economia.

In Europa, negli ultimi cinque anni si è registrata una temperatura media superiore a 2,2°C rispetto all’era preindustriale, con eventi meteorologici estremi che hanno già superato il livello di guardia, soprattutto nei Paesi mediterranei.

Una situazione che si innesta in un quadro complessivamente grave nel quale l’Italia ha raggiunto due settimane fa, il 19 maggio, il cosiddetto “Overshoot day” nel quale sono giunte ad esaurimento le risorse annuali del Pianeta Terra. Il consumo di risorse, quindi, in Italia, è pari a 2,7 Terre per come rilevato dal Global Footprint Network, centro di ricerca internazionale, che da anni calcola l’impronta ecologica dell’umanità e la capacità della Terra, sia a livello globale che delle singole nazioni, di rigenerare le risorse consumate in 365 giorni anche in termini di capacità di assorbimento delle emissioni rilasciate in atmosfera.

Anche nel fragile territorio calabrese si continua ad “erodere il capitale naturale” consumando più risorse di quelle che il Pianeta ci mette annualmente a disposizione.  Continuiamo a non adottare le giuste misure di prevenzione ed adattamento rispetto al riscaldamento climatico, a cementificare, a non tutelare adeguatamente ambiente e biodiversità, ad inquinare aria, acqua e suolo producendo tonnellate di rifiuti che non sappiamo gestire e gettiamo nell’ambiente  – ad esempio sulle nostre spiagge dove l’ 84% dei rifiuti  rinvenuti è composto da plastica secondo i monitoraggi di beach litter effettuati da  Legambiente effettua nell’ambito delle sue  campagne come “Puliamo il mondo”.

Per come rilevato dall’Osservatorio Città Clima di Legambiente, senza un’efficace azione preventiva dei rischi climatici, i danni da alluvioni, ondate di calore, siccità, incendi boschivi, perdite dei raccolti o malattie potrebbero ridurre il PIL europeo di circa il 7% entro la fine del secolo. Inoltre, stando a quanto previsto dal Piano Nazionale di Adattamento Climatico, varato a fine 2023 dal Governo italiano, in Italia si stima una riduzione del valore della produzione agricola pari a 12,5 miliardi di euro nel 2050 in uno scenario climatico con emissioni climalteranti dimezzate al 2050 e pari a zero al 2080. In particolare in Italia ormai è sempre più emergenza siccità. Dal 2020 a metà maggio 2024, nella Penisola si sono registrati 81 danni da siccità prolungata ed i cambiamenti climatici stanno accelerando anche il rischio desertificazione in intere regioni come sta avvenendo nella vicina Sicilia.

Da qui, l’Associazione ha avanzato tre proposto al Governo e all’Europa: «si ricostituisca una regia unica, da parte delle Autorità di bacino distrettuale, per conoscere disponibilità, consumi reali, domanda potenziale e per definire degli aggiornati bilanci idrici; serve una strategia nazionale integrata e a livello di bacini idrografici, che spinga per la realizzazione di nuove e moderne pratiche e misure per ridurre la domanda di acqua ed evitarne gli sprechi. Con esse si comprende il risparmio negli usi civili attraverso la riduzione delle perdite e dei consumi ma soprattutto negli usi agricoli anche attraverso una intelligente rimodulazione degli strumenti di programmazione regionali della nuova Pac, per renderli capaci di orientare le scelte degli agricoltori verso colture e sistemi agroalimentari meno idroesigenti e metodi irrigui più efficienti».

Infine, «è fondamentale ripristinare tutte quelle pratiche che permettano di trattenere il più possibile l’acqua sul territorio e favorire azioni di ripristino della funzionalità ecologica del territorio e ripristino dei servizi ecosistemici. Al contempo occorre promuovere sistemi per il recupero delle acque piovane e per il riuso delle acque reflue depurate».

Infine, Legambiente ha chiesto alla prossima legislatura europea che verrà, «di approvare una Legge quadro sulla resilienza climaticaper coordinare norme stringenti sull’adattamento, con efficaci piani nazionali e adeguate risorse economiche, in tutti i Paesi membri». (rcz)

«LA REGIONE SBAGLIA SULLA DIRETTIVA UE:
COSÌ NON TUTELA LE SPIAGGE CALABRESI»

di ANTONIETTA MARIA STRATI – «La scelta della Regione Calabria di applicare la Bolkestein è una decisione sbagliata». È ferma e dura la posizione di Anna Parretta, presidente di Legambiente Calabria, esprimendo la propria contrarietà «perché viola le norme europee e gli orientamenti giurisprudenziali in materia di concessioni demaniali marittime, tutela della concorrenza, diritti dei consumatori e tutela dell’ambiente, aprendo, di fatto, ad una ulteriore, insostenibile, sostanziale privatizzazione delle aree pubbliche».

Una possibilità «insensata» quella di «mettere a gara in Calabria ulteriori spiagge libere limitando i diritti della collettività perché le aree demaniali appartengono a tutti i cittadini», ha detto Parretta, sottolineando come «l’idea che ci siano enormi spazi lungo le coste calabresi su cui si può ulteriormente investire ed aprire nuovi stabilimenti balneari è collegata ad una logica di sfruttamento delle risorse naturali, considerate inesauribili, che è antistorica e scientificamente errata. La Regione Calabria dovrebbe, invece – prosegue Parretta – limitare l’occupazione delle spiagge e le concessioni demaniali esistenti dovrebbero essere assegnate in base a rigorosi criteri di sostenibilità ambientale e sociale, per  salvaguardare gli arenili e le acque marine da ogni causa di inquinamento e degrado. Il futuro del turismo calabrese passa dalla tutela dell’ambiente».

La direttiva Bolkestein ( 2006/123/CE) è una norma approvata nel lontano 2006 dall’Unione europea: gli Stati hanno avuto tempo fino al 28 dicembre 2009 per dare attuazione al suo contenuto; attuazione che in Italia è avvenuta  concretamente con l’emanazione del d.lgs 59/2010. L’obiettivo della direttiva è di promuovere la parità di professionisti e imprese nell’accesso ai mercati dell’Unione europea, per cui concessioni e servizi pubblici possono essere affidati a privati solo con gare pubbliche aperte a tutti gli operatori presenti in Europa al momento della scadenza della concessione.

A dicembre 2020, vista la mancata ottemperanza da parte dell’Italia, la Commissione europea ha aperto una nuova procedura di infrazione contro il nostro Paese per violazione della direttiva Bolkestein con il rischio di gravi sanzioni economiche. Ricordiamo, infatti, che la durata delle concessioni demaniali marittime è stata disciplinata dall’articolo 1 commi 682 e 683 della legge n. 145/2018, che aveva disposto la proroga di quindici anni per quelle vigenti. Proroga ritenuta dalla Commissione europea in contrasto con la direttiva e con gli articoli 49 e 56 del Trattato europeo.

Successivamente, il Consiglio di Stato nel novembre 2021 ha dichiarato la proroga nulla, differendo tuttavia gli effetti della sentenza fino al 31 dicembre 2023 «al fine di evitare il significativo impatto socio-economico che sarebbe derivato  da una decadenza immediata e generalizzata di tutte le concessioni in essere», senza alcuna possibilità di proroghe ulteriori.

L’Europa chiede, quindi, da molto tempo – almeno 15 anni- a Roma di bloccare i rinnovi automatici delle concessioni agli operatori storici e di aprire il mercato a nuove imprese attraverso dei bandi di gara, così come previsto dalla cosiddetta direttiva Bolkestein. Il governo italiano non si è adeguato alla richiesta, nonostante la procedura d’infrazione aperta da Bruxelles, e dopo aver rinnovato ancora le concessioni fino al 31 dicembre 2024 sta ipotizzando di ampliare le spiagge da assegnare ai balneari, in maniera tale da “salvare” i gestori degli stabilimenti esistenti.

In questo quadro la Regione Calabria, prima fra le Regioni italiane, afferma che non applicherà la direttiva Bolkenstein, sostenendo che non vi è scarsità della risorsa spiaggia, in maniera tale che gli attuali concessionari possano continuare ad operare e contestualmente possano essere messe a bando porzioni delle attuali spiagge libere calabresi. Al contrario la citata sentenza del Consiglio di Stato n. 4481/2024 dovrebbe rappresentare una linea di sbarramento chiara per tutti i tentativi, giudiziari e legislativi, di mantenere in capo ai concessionari uscenti, il cui contratto è in scadenza, la gestione delle zone balneari sinora assegnate senza alcuna procedura selettiva comparativa.

Non solo: anche nel caso di risorse non scarse può sussistere un obbligo di disporre una procedura comparativa, perché l’onere di effettuazione di tale procedura per la concessione di beni demaniali non trova quale sua unica fonte soltanto la direttiva Bolkestein, ma anche l’art. 49 del TFUE e la libertà di stabilimento, dovendo l’assegnazione essere effettuata secondo criteri di trasparenza e imparzialità. La Regione Calabria, con la decisione assunta, sta quindi  entrando nel vicolo cieco del rischio di una nuova infrazione comunitaria con i relativi costi in termini di sanzioni e sta ipotizzando una inaccettabile sottrazione di spiagge attualmente fruite in maniera libera e gratuita dai calabresi e dai turisti.

Secondo il Rapporto Spiagge 2023, pubblicato da Legambiente, la Calabria si colloca tra le regioni più a rischio. La ricerca, che analizza sei indicatori, dalla crisi climatica al rischio di inondazioni, dalle spiagge inaccessibili al mare inquinato, rivela un quadro di fragilità per i territori costieri calabresi poco tranquillizzante. Per consumo di suolo costiero collegato anche al grave fenomeno dell’abusivismo edilizio, la Calabria segna il quarto valore per crescita a livello nazionale (+6,26 % tra il 2006 ed il 2021)  e il terzo nel rapporto tra consumo di suolo litoraneo e superficie regionale.

A causa del grave fenomeno dell’erosione delle aree costiere destinato ad aggravarsi per effetto dei cambiamenti climatici, anche la Calabria sta perdendo parte delle proprie spiagge: nel complesso oltre il 26% della costa bassa regionale è in erosione. Sempre a livello regionale il rapporto di Legambiente segnala il valore particolarmente elevato – in rapporto alle altre regioni – delle concessioni balneari, che corrispondono al 13,8 per cento del totale italiano. In Calabria – dove ci sono 614 km di spiagge – il totale di concessioni di demanio marittimo è di 4.665, delle quali 1.677 per stabilimenti balneari, per un totale del 29,4 % di costa sabbiosa occupata.

Tutte queste ragioni dovrebbero indurre la Regione Calabria a limitare l’occupazione delle spiagge, alzando il relativo limite regionale, attualmente solo del 30% a fronte del 60% di altre regioni come Puglia e Sardegna. Sarebbe necessario in questa situazione un rigoroso controllo ambientale sulle concessioni, che al momento durano da decenni, con il pagamento di canoni molto bassi e con  stabilimenti balneari che spesso si trasformano in veri e propri locali che occupano il demanio in maniera stabile. La prospettiva verso cui occorre andare, insomma, è ben altra rispetto a quella prospettata dalla giunta regionale.

La Direttiva Bolkestein prevede, peraltro, che gli Stati membri possono tenere conto, nello stabilire le regole della procedura di selezione, di considerazioni di salute pubblica, di obiettivi di politica sociale della salute e sicurezza dei lavoratori dipendenti ed autonomi, della protezione dell’ambiente, della salvaguardia del patrimonio culturale e di altri motivi imperativi di interesse generale conformi al diritto comunitario. Gli stabilimenti balneari ed i titolari delle  attuali concessioni che hanno ben lavorato ed investito nella giusta direzione non devono avere timore delle gare europee.

Il modello da seguire deve essere costituito da investimenti, sostenibilità e qualità per creare occupazione reale ed al contempo proteggere l’ambiente in base a criteri posti alla base, ad esempio, della prassi Uni per gli stabilimenti accessibili e sostenibili definita da Legambiente. In sostanza si devono tutelare gli imprenditori seri, onesti ed attenti all’ambiente ed alla legalità.

«La soluzione – ha concluso Legambiente – non può e non deve certamente essere quella di cedere ulteriore spiaggia, sottraendola all’uso libero e gratuito della collettività per metterla a bando». (ams)