SUD, LA VERGOGNA DELLA SPESA STORICA
E I LIVELLI DI PRESTAZIONE MAI UNIFORMI

di PIETRO MASSIMO BUSETTAL’acronimo Lep è ormai noto a tutti. I Livelli Essenziali delle Prestazioni sono quei livelli minimi che devono esistere in tutte le aree del Paese. È che condizionano qualunque forma di concessione di qualunque altra forma di autonomia delle Regioni che dovessero richiederla, in base alla legge recentemente voluta fortemente dalla Lega Nord e approvata dalla maggioranza di Governo. 

Forza Italia ne ha fatto un suo manifesto: starà attenta che le autonomie ulteriori alle Regioni non siano concesse se prima non si realizzino i Lep.  E non lo dice soltanto il Governatore della Regione Calabria, Roberto Occhiuto, ma anche il Presidente del Partito Antonio Tajani

In realtà recentemente anche Fratelli d’Italia si è schierata e afferma l’esigenza che si realizzino i livelli essenziali in tutto il Paese prima di procedere ad ulteriori concessioni di autonomia alle Regioni richiedenti. 

Sarà questa presa di distanza dalla posizione della Lega dei due grandi partiti della maggioranza di Governo, saranno le grandi quantità di firme raccolte dal raggruppamento delle sinistre, dai sindacati Cgil e Uil, anche nel Nord del Paese, che i maggiori sostenitori dell’autonomia sembrano pervasi da una crisi di nervi. 

Che li porta a un diluvio di interviste, ma anche a dichiarazioni risibili, che tentano di ribaltare responsabilità di una situazione che sta compattando il Sud, spaccando la maggioranza e, cosa più importante, consapevolizzando tanti di una condizione di minorità esistente, prevalentemente nelle aree meridionali del Paese.      

 Tale condizione è talmente radicata nella mente dei meridionali da far accettare qualcosa che non è stato particolarmente rilevato dalla politica, ma neanche dai maggiori opinionisti. È cioè che già nell’ accettare che nella legge sia previsto che alcune materie possano essere devolute solo in presenza in tutte le Regioni dei livelli essenziali delle prestazioni c’è un’accettazione del principio di essere figli di un dio minore.  

Perché la domanda che sorge spontanea è perché i meridionali chiedono, e non otterranno mai, visto che la legge non prevede quegli stanziamenti necessari, ma assolutamente improbabili e insostenibili, per attuarli di avere solo i livelli essenziali, invece di pretendere  che si abbiano i Lup? Cioè i livelli uniformi di prestazioni in tutto il Paese, da Bolzano a Lampedusa?

Qualcuno potrà dire che sarebbe già un miracolo riuscire ad ottenere che si abbiano i livelli essenziali. E ciò è certamente vero. Ma è proprio come principio che bisogna far capire, prima di tutto al Sud, che siccome non ha un livello di  tassazione diversa da quella che si applica al Nord, per un principio di uguaglianza sancito dalla nostra Costituzione, deve pretendere, ma perlomeno richiedere, livelli uniformi. 

Stesso trattamento da parte di uno Stato che si è dimostrato per una parte del Paese patrigno, e che ha permesso che per anni le risorse siano state distribuite secondo il principio della spesa storica. 

Il Dipartimento per le Politiche di coesione, contestato da alcuni centri di ricerca di vocazione nordista, fino a quando non è stato smantellato, calcolava in 60 miliardi la somma  sottratta al Sud se fosse stato adottato il principio della spesa pro capite uguale. 

Certo ci possono essere in Stati così grandi, come la Germania, la Francia e quindi anche l’Italia delle differenze tra le varie parti, ma l’obiettivo di rimuovere le differenze deve essere la stella polare che guida le azioni di tutti i Governi. Accettare invece che nella legislazione venga accettato che ad alcuni possano essere garantiti solo quelli essenziali é già una sconfitta. 

E tale accettazione riguarda anche i Livelli essenziali di assistenza (Lea), che sono le prestazioni e i servizi che il Servizio sanitario nazionale (SSN) è tenuto a fornire a tutti i cittadini. 

Ovviamente la conseguenza di tale condizione sono poi i viaggi della speranza, il trasferimento di risorse dalle regioni più povere a quelle più ricche, ma anche una vita media minore anche di tre anni rispetto alle realtà più ricche. Per cui lo Stato diventa anche “ladro di vita”. 

Obiettivo della legge sull’autonomia differenziata é mantenere invariata tale situazione, altro che costringere ad essere più efficienti le Regioni meridionali. Perché se è vero che vi possono essere forme di spreco, e certamente sacche, anche importanti, ce ne saranno, é anche vero che é difficile fare un matrimonio con i fichi secchi. 

L’autogol incredibile che ha messo a segno Roberto Calderoli con l’approvazione, di notte e in fretta, come dichiara Roberto Occhiuto «Mi sembra che per il modo in cui si è proceduto all’approvazione di questa riforma – di notte e di fretta – sia sempre più una bandierina da dare ad una forza politica che invece è una riforma capace di superare anche il divario fra le regioni del Sud e le regioni del Nord», è quello di aver aiutato l’accelerazione della consapevolezza. Finora la vulgata che è passata, diffusa dai media più titolati, è stata che la colpa del mancato sviluppo del Sud sia da ricercare nell’incapacità dei meridionali di utilizzare le enormi risorse destinata dal Paese. 

Mano mano ci si rende conto, analizzando in modo approfondito i dati, che il re è nudo. E che se il Mezzogiorno é rimasto indietro non serve domandare alla zingara, ma é scritto nelle politiche adottate fin dal 1860. Che plasticamente sono racchiuse nell’ aver fatto fermare l’Autostrada del Sole a Napoli e l’Alta Velocità Ferroviaria a Salerno. 

Qualcuno era così stupido da poter  pensare che il Sud potesse svilupparsi senza infrastrutture o invece si è pensato di tagliare lo Stivale e farlo affondare da solo? Che in molti si comincino a porre domande scomode é un risultato per il quale dobbiamo ringraziare Zaia e Calderoli. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

NIENTE AUTONOMIA SE NON ATTUANO I LEP
E UNA EQUA DISTRIBUZIONE DELLE RISORSE

di PIETRO MASSIMO BUSETTADue linee contrapposte si stanno portando avanti in una incoerenza difficile da capire. Da un lato l’autonomia differenziata che va nella linea di un federalismo accentuato. Dall’altro una centralizzazione che sta portando, sembra, buoni risultati. 

L’una e l’altra sono criticate dall’opposizione, come è normale che sia. Ma guardiamo al comportamento della maggioranza per capire qual è il filo rosso che lega alcuni atti di governo. Cominciamo dall’autonomia differenziata. Essa prevede che ogni Regione si faccia Stato. Che ognuno gestisca le risorse che produce senza interrelazioni con le altre regioni, tranne a fornire a un fondo di solidarietà nazionale poche risorse di volta in volta concordate. 

Oggi accade invece che non sia la regione il riferimento al quale guardare per calcolare le risorse che ognuno si deve tenere. Il meccanismo funziona nel senso che ciascun individuo paga in relazione al proprio reddito, con una tassazione proporzionale, allo Stato centrale. E che poi questi distribuisca le risorse in funzione di una spesa pro capite uguale per tutto il Paese. Quindi ognuno paga in funzione della propria capacità contributiva e le risorse vengono destinate indipendentemente dalla residenza di chi contribuisce.

Per esemplificare meglio non è che se il Veneto ha un reddito medio pro capite molto più elevato delle altre Regioni, e quindi un prelievo fiscale più alto, vorrà dire che avrà delle scuole o una sanità migliori di quanto non ne abbiano le altre Regioni.

È il principio per il quale il milionario ha un prelievo fiscale molto più elevato del barbone, che invece non paga nulla, ma ha diritto ad avere una sanità pubblica uguale a quella a cui ha  diritto il barbone. In realtà questo principio garantito dalla Costituzione in Italia non è applicato in modo corretto, perché si è fatto riferimento per la distribuzione delle risorse alla spesa storica, che si è dimensionata nel tempo in modo diverso nelle varie realtà.

Per cui, già adesso e da anni, vi è una differenza di oltre 60 miliardi tra una spesa pro capite uguale e quella effettiva effettuata nel Centro Nord e nel Mezzogiorno. L’altro approccio in contrasto assoluto con il federalismo fiscale richiesto dalla Lega è il centralismo, sul quale si è incamminato in particolare Raffaele Fitto sia per quanto attiene alle Zes, sostituita dalla Zes unica, sia per quanto attiene al fondo di sviluppo e coesione.Si  assiste cioè ad una forma di centralizzazione, opportuna e virtuosa, se l’alternativa dovesse essere quella di perdere le risorse.

Il Ministro si è accorto che se avesse lasciato le cose come stavano, in mano alle Regioni, la spesa si sarebbe fermata e il rischio di non incassare le rate del Pnrr sarebbe stato elevatissimo. In tale logica ha poi guardato alle altre risorse comunitarie per evitare che continuasse ad accadere che venissero spese con molto ritardo o addirittura venissero perse. Certamente vi è uno spostamento di risorse da progetti che avevano difficoltà a essere messi a terra ed altri invece che avevano una possibilità di realizzazione molto più elevata.

In tutto questo attenzione a non abbassare la guardia circa la distribuzione delle risorse nelle diverse parti del Paese, perché la cosa più facile è che il Nord riesca a spendere e il Sud no. Ma questa non può essere una buona ragione per tradire la ratio delle risorse comunitarie, che sta proprio nell’obiettivo di ridurre le differenze tra aree. 

Ritornando all autonomia differenziata l’approvazione dell’emendamento di Fdi che prevede che, prima di delegare funzioni e risorse alle Regioni si debba prevedere l’attuazione dei Lep, cambia le carte in tavole e le prospettive. 

Tale emendamento non solo é opportuno ma indispensabile, se non si vuole creare o meglio consolidare un rapporto tra una Madre Patria ed un’altra parte che rimane  Colonia, nella quale i diritti dei cittadini non sono equiparati a quelli di coloro che vivono nella realtà più avvantaggiata. Si spera tutto passi  con tale vincolo, che non può essere ovviamente a bilancio invariato, considerato che invece per avere livelli essenziali, non dico uniformi come sarebbe giusto, sono necessarie risorse importanti. 

Ma è anche chiaro che se il vincolo dovesse essere anche quello di avere i Lep attuati prima di qualunque devoluzione la situazione rimarrebbe invariata. Cioè in realtà quella che abbiamo oggi, per la quale le risorse che arrivano nelle parti più ricche sono maggiori, però tale distribuzione è incostituzionale. 

Cambiare la spesa storica, adottando livelli essenziali per tutti, prevederebbe una crescita del Pil molto più consistente di quelle previste. E nel caso in cui si dovesse attuare, invece, con le crescite a cui siamo abituati le regioni ricche dovrebbero cedere quote di welfare a favore di quelle più povere. Redistribuzione impensabile senza sconvolgimenti sociali.

Ma certamente un merito questo affondo della Lega lo ha avuto ed è quello di aver fatto capire e diventare posizione condivisa la reale distribuzione delle risorse. Aver fatto chiarezza su un fatto fondamentale e cioè che quello di un Sud che assorbiva risorse infinite é una favola metropolitana, un mantra di bugie, accreditate per poter giustificare un Nord bulimico che tutto prende e tutto assorbe. 

Un diverso approccio nella distribuzione di risorse tra le diverse parti del Paese non è né semplice né scontato. Abituarsi da parte del Nord a non essere prevalenti in qualunque azione del Governo, che si tratti degli investimenti in infrastrutture, o quelli nella sanità, o quelli nella scuola, o nell’avere il monopolio della localizzazione delle agenzie internazionali, piuttosto che una presenza dominante nella comunicazione della Rai pubblica, non è facile. 

Senza voler dire che il rapporto è di tipo coloniale, non si può non ricordare che laddove le grandi democrazie occidentali hanno perso le loro colonie è stato necessario che i movimenti indipendentisti ricorressero alla mobilitazione non sempre pacifica.

Difficile far alzare qualcuno, che è seduto su una bella poltrona, e farla condividere con mezzi cortesi e affettuosi. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

SUD: INGIUSTIZIE SOCIALI, LEA, ASILI NIDO
IL GOVERNO NON PUÒ PIÙ RESTARE INERTE

di SANTO BIONDO – Quella della carenza di asili nido e della mancata applicazione dei livelli essenziali di prestazione nei servizi di cittadinanza al Sud, rappresentano certamente alcune delle più insopportabili diseguaglianze tra cittadini del Nord e quelli del Mezzogiorno. 

Su questo argomento sarebbe interessante capire, cosa ne pensano i candidati alla presidenza della Regione Calabria e quale impegno nei confronti della Calabria e del Mezzogiorno assumono i rispettivi partiti nazionali, all’interno delle aule parlamentari. 

Nei mesi scorsi il già ministro Boccia e di recente l’attuale ministra Mara Carfagna, hanno in tempi diversi, solo fatto accenno alla questione, rispolverando vagamente la questione dei livelli essenziali delle prestazioni, senza spingersi oltre.

Roberto Occhiuto, Amalia Bruni, Luigi De Magistris, soprattutto il primo, dato il suo ruolo di capogruppo alla Camera, dovrebbero porre con forza sul piano nazionale, la questione delle diseguaglianze di cittadinanza e provare a far rientrare con determinazione questo tema, sia nell’ambito di questa contesa elettorale, sia nel rapporto politico con propri esponenti  nazionali di partito.

È vietato voltarsi dall’altra parte, fingendo di non capire che la questione riveste un aspetto importante per la vita dei calabresi.

Tuttavia quella sugli asili nido non è la sola asimmetria nazionale, utile a certificare quanto, in questi anni, il Mezzogiorno sia stato sacrificato, dalla politica e dalle istituzioni di questo Paese, sul versante dei diritti di cittadinanza. 

La scorretta distribuzione statale, della spesa pubblica in conto corrente e in conto capitale, conseguenza di una legge discriminatoria votata da tutti i partiti, la legge 42/2009; è altrettanto evidente, se si prendono in considerazione anche altri ambiti e altri diritti di cittadinanza negati al sud, legati alla vita delle persone, solo per citare alcuni esempi: il diritto allo studio e all’istruzione, il diritto alla mobilità, il diritto alle cure sanitarie e alla autosufficienza di anziani e giovani con disabilità, il diritto abitativo.

In questi dodici anni di vigenza la legge 42/2009, meglio conosciuta come legge Calderoli, eludendo in modo scientifico la definizione e l’applicazione su tutto il territorio nazionale dei Lep, ma continuando ad utilizzare in maniera impropria, nella distribuzione della spesa pubblica in conto corrente, il criterio della “spesa storica”; ha di fatto sottratto risorse economiche, nell’ambito dei servizi di cittadinanza, ai territori che ne avevano e continuano ad averne più bisogno, tra questi la Calabria.

Una riduzione di finanziamenti nel Mezzogiorno, che in violazione al dettato Costituzionale, ha costretto in questi anni e costringe ancora oggi, molti Comuni soprattutto di piccole e medie dimensioni, a sacrificare, nell’ambito della loro programmazione di bilancio pluriennale, le politiche sociali.

Adesso che i guasti causati dalla legge sul federalismo fiscale sono venuti fuori, la politica nazionale e locale deve intervenire, deve farlo subito e senza tentennamenti. 

Le ingiustizie sociali e le sperequazioni di cittadinanza cagionate da questo provvedimento normativo, se c’è la volontà politica, potrebbero essere sanate all’interno della più ampia riforma fiscale, che il Governo dovrà varare nei prossimi mesi, in risposta anche alle richieste avanzate al nostro Paese, dalla Commissione europea. 

Le risorse che Bruxelles ha assegnato alla convergenza del Sud e della Calabria, non possono essere più considerate, come è accaduto in passato, sostitutive della spesa pubblica nazionale, ma dovranno invece ritenersi aggiuntive degli stanziamenti statali.

Questo presupposto vale anche per le risorse previste dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

Per fare questo, nell’ambito dei diritti di cittadinanza, occorre che si vengano a definire i Lep, così come è indispensabile l’istituzione e il finanziamento da parte dello Stato, del Fondo perequativo nazionale, previsti peraltro entrambi dalla Costituzione. 

[Santo Biondo è segretario generale di Uil Calabria]