L’OPINIONE / Aldo Ferrara: Nuova misura persegua le stesse finalità di Decontribuzione Sud

di ALDO FERRARALa scelta da parte del governo di non rinnovare “Decontribuzione Sud” necessita di un adeguato contrappeso normativo che prenda il posto, migliorandola ulteriormente, di una misura che, numeri alla mano è stata determinante perché il sistema produttivo del Mezzogiorno reggesse alle drammatiche crisi economiche e finanziarie degli ultimi anni, garantendo occupazione e crescita della forza lavoro nelle aree più fragili del Paese.

Per questo motivo e con puro spirito propositivo, il sistema confindustriale calabrese rilancia l’esigenza di adeguare il panorama degli strumenti a sostegno delle imprese meridionali con una misura che sia a tutti gli effetti di perequazione sociale, che sia capace di continuare a intervenire sul gap infrastrutturale e della qualità dei servizi pubblici essenziali, temi che in Calabria risultano tanto attuali quanto impattanti sulle le condizioni di base in cui le imprese locali si trovano a operare.

La misura annunciata per succedere a “Decontribuzione Sud” può annoverare tra i suoi fattori positivi la previsione di una durata fino al 2029, circostanza che permette una pianificazione degli investimenti in forza lavoro.

Tuttavia, il nuovo intervento dovrà caratterizzarsi per essere di facile accesso e utilizzo, nonché cumulabile con altri incentivi e connesso proprio alla componente lavoro e al necessario innalzamento delle relative competenze. In più, l’auspicio è che il negoziato con l’Europa porti alla definizione della misura a decorrere già dal 1° gennaio prossimo, così da non interrompere il sostegno alle imprese. (af)

[Aldo Ferrara è presidente di Unindustria Calabria]

 

L’OPINIONE / Giovan Battista Perciaccante: Nuova misura dovrà essere altrettanto efficace nell’attenuare i gap di competitività

di GIOVAN BATTISTA PERCIACCANTE – La Decontribuzione Sud è una delle misure assolutamente strategica per il sistema produttivo meridionale, che la Legge di Bilancio prevede venga sostituita con un’altra agevolazione di cui al momento non si conoscono né il contenuto né la modalità di funzionamento.

Grazie alla ‘decontribuzione Sud è stata preservata la base occupazionale, garantendo anche la crescita della forza lavoro. Dalla pandemia in poi, il Sud ha mostrato segnali di vitalità non indifferenti, in termini di Pil, investimenti, crescita delle esportazioni e incremento dell’occupazione, nonostante i fenomeni migratori interni.

Lo strumento della decontribuzione per il Mezzogiorno era stato pensato per attenuare, in modo semplice ed efficace, il differenziale negativo del fare impresa al Sud, agendo su una delle leve di costo. Differenziale dovuto a fattori noti e purtroppo a oggi irrisolti, a partire dalla dotazione infrastrutturale e dalla qualità dei servizi pubblici essenziali. 

Le agevolazioni per le nuove assunzioni di soggetti svantaggiati non possono assolutamente compensare la perdita di questo strumento rilevante e la nuova misura, a valere sul nuovo Fondo costituito su scala pluriennale, dovrà essere altrettanto efficace nell’attenuare i gap di competitività.

I cinque anni previsti dalla norma che la istituisce agevolano le scelte di medio periodo e sono, perciò, una scelta positiva; il nuovo intervento dovrà però configurarsi come una misura di semplice utilizzo, cumulabile con altri incentivi e connessa alla componente lavoro e al necessario innalzamento delle competenze.

Andrà concordata con l’Europa per cui auspichiamo che quel negoziato conduca il prima possibile a un esito positivo, senza soluzione di continuità ed efficacia a partire dal 1° gennaio 2025. Un intervento ancora ambizioso nel puntare ad attenuare i divari e che non sia selettivo, poiché dovrà riguardare tutto l’apparato produttivo meridionale e la sua intera struttura occupazionale.

Confindustria a tutti i livelli, con il presidente Emanuele Orsini ed il vicepresidente con delega alle Politiche Strategiche e allo Sviluppo del Mezzogiorno Natale Mazzuca, vuole contribuire alla costruzione della nuova misura, consapevoli che dovrà inserirsi in una visione strategica per il Mezzogiorno, a sua volta articolata su due gambe: da un lato, il sostegno alla resilienza del tessuto economico esistente, in tutti i comparti, non in una logica assistenzialista, ma di mantenimento della capacità produttiva, proprio per non disperdere il potenziale di sviluppo enorme presente al Sud; dall’altro, una strategia che faccia leva sulle eccellenze esistenti e costruisca, attorno a queste, vere e proprie filiere strutturate e diversificate.

Un processo che va accompagnato con misure di sostegno incisive (come il credito d’imposta Zes Unica) e con investimenti infrastrutturali adeguati (non solo quelli finanziati dal Pnrr). (gbp)

[Giovan Battista Perciaccante è presidente di Confindustria Cosenza]

L’OPINIONE / Giovanni Papasso: Scongiurata chiusura dell’Hospice

di GIOVANNI PAPASSO – Come molti di voi sanno, dal 18 dicembre al 2 gennaio, l’Hospice “San Giuseppe Moscati” di via Ponte Nuovo avrebbe garantito solo le prestazioni diurne. Circostanza emersa da una comunicazione ufficiale. I familiari, dunque, avrebbero dovuto trasferire i proprio cari in altre strutture.

A conti fatti, questa evenienza si sarebbe trasformata in una vera e propria chiusura di quello che è l’unico Centro residenziale di cure palliative dell’Asp di Cosenza e, in quanto residenziale, che accoglie pazienti in fase avanzata di malattia cronica ed evolutiva che non rispondono più ai trattamenti specifici (malattie oncologiche, neurologiche, cardiologiche, respiratorie, ecc) con lo scopo di dare al malato la massima qualità di vita possibile con dignità.

Per questo motivo, dopo essermi sentito con sua eccellenza il Vescovo di Cassano monsignor Francesco Savino, il quale mi ha avvisato della cosa tempestivamente, di comune accordo con lui, sono intervenuto sia con la dottoressa Mariarosaria Ferrigno, dirigente della struttura, sia col dottor Martino Rizzo, referente dell’Asp della Provincia di Cosenza, lavorando senza sosta per scongiurare questa circostanza e, ora, posso dare comunicazione del fatto che ci siamo riusciti: l’Hospice continuerà a lavorare con i soliti turni e non chiuderà dal 18 dicembre al 2 gennaio. La decisione, dunque, è stata revocata.

Ringrazio sia il dottore Rizzo sia, soprattutto, la dottoressa Ferrigno per la disponibilità dimostrata. A lei e al personale in servizio vanno riconosciuti grandi meriti e un grande spirito di abnegazione. Sono felice perché permetteremo agli ospiti della struttura e alle loro famiglie di passare un Natale sereno nonostante le preoccupazioni causate dalla malattia.

Abbraccio singolarmente tutti gli ammalati e i loro cari a cui esprimo solidarietà per il grande dolore che sono costretti a vivere e per tutte le difficoltà che devono affrontare e la chiusura dell’Hospice per due settimane li avrebbe caricati oltremodo di altri problemi che non meritano assolutamente di subire.

Contestualmente ho chiesto all’Asp di inviare alla struttura personale medico, oss e infermieri perché una struttura di eccellenza che svolge un servizio unico e così delicato nella Provincia di Cosenza deve essere potenziato e non lasciato in balia di situazioni del genere. Annuncio, a tal proposito, che nel nuovo atto aziendale approvato dall’Asp di Cosenza, l’Hospice diventa struttura dipartimentale che dovrebbe coordinare tutte le altre. Si tratta di un importante passo per il riconoscimento del grande lavoro fatto da tutti coloro che operano alacremente per portare in alto il nome di questa struttura.

Il nostro impegno non si ferma qui: lavoriamo senza sosta per migliorare la situazione sanitaria a Cassano anche se, come ben sapete, la responsabilità è di altri organi e istituzioni e non del sindaco e dell’amministrazione comunale ma noi ci siamo e faremo fino in fondo la nostra parte. (gp)

[Giovanni Papasso è sindaco di Cassano allo Ionio]

L’OPINIONE / Bruno Tucci: La gente che va a votare in percentuali irrisorie

di BRUNO TUCCI – Ormai è una prassi consolidata in tutto il Paese, purtroppo. La gente che va a votare ha percentuali irrisorie. Così accade da tempo in Italia, così è accaduto di recente in Calabria quando la gente ha dovuto esprimersi su “La città unica” che riguardava Cosenza e il suo hinterland.

Ci sono i soliti sapientoni che hanno letto i risultati e si sono espressi contro coloro che non si recano alle urne. Sono ritornelli riti e ritriti a cui noi calabresi abbiamo fatto il callo. Stavolta i pessimisti, non hanno potuto criticare a lungo, perchè il fenomeno interessa ogni angolo del nostro Paese, da Nord a Sud. Ragione per cui il borbottio ha avuto la durata di qualche ora, poi è finito nel nulla..

Comunque, la statistica di quest’ultimo voto è  a dir poco sconvolgente: ha votato poco più del 25 per cento della popolazione con il primato di Cosenza che non è andata al di là di un venti per cento. Se l’Italia non vota noi non dobbiamo essere contenti di un risultato così povero.
D’accordo, abbiamo violato un principio sacrosanto della nostra Costituzione. Però, qualche giustificazione è doverosa. Il progetto presentato agli elettori non aveva i crismi della originalità. Anzi, percorreva strade ormai note che non  ingannano più la gente. Chi deve esprimersi non si fa più prendere per i fondelli: legge e ragiona. Per cui molti si sono convinti che quanto proposto dalla regione era insufficiente anche se dagli organi responsabili si diceva un gran bene della “città unica”.
Adesso che è stato risposto con un chiarissimo no, quegli stessi studiosi ed esperti dovranno correre ai ripari perché “il progetto era privo di una qualsiasi visione del futuro”: In parole semplici, non c’era nulla di nuovo e lo studio non risolveva i problemi di oggi.
Allora, da ora in poi, sarà bene prima di indire un referendum che inviti la gente a rimanersene a casa, di avere una cura più attenta del piano o del programma che dir si voglia di modo che chi dovrà esprimersi con un voto lo farà volentieri senza rispondere con un no secco. (bt)

L’OPINIONE / Carmelo Gullì: La Calabria regione con pensionati più poveri

di CARMELO GULLÌ  – L’ennesima beffa, l’ennesimo schiaffo dato da questo governo ai più deboli e ai più fragili, l’aumento di un euro e ottanta centesimi sulle pensioni minime.

Avevamo già ampiamente manifestato contro l’ipotesi dell’aumento di tre euro, abbiamo portato in piazza a Catanzaro centinaia di pensionati da tutta la Calabria, stufi di essere l’ultima ruota del carro, ma non rassegnati a farsi schiacciare da una politica completamente miope e senza visione.

Viviamo in un Paese che va verso l’inverno demografico, eppure mancano servizi primari, welfare, strutture ospedaliere e tutto ciò che possa migliorare la qualità di vita degli anziani. Ora chi guida il Paese pensa di potere “vantare” l’aumento delle pensioni minime mettendo nella tasca di 4,8 milioni di italiani solo un euro e ottanta, cifra che in molte città non permette nemmeno l’acquisto di un caffè”.

Veniamo alla Calabria che,secondo il XXIII Rapporto Annuale Inps, registra gli importi pensionistici più bassi d’Italia con una cifra media inferiore a 1100 euro.Pensioni povere con le quali spesso i pensionati si trovano costretti a fronteggiare anche le prestazioni sanitarie presso privati visto che sono inaccessibili nelle strutture pubbliche sono inaccessibili.

Pensioni con le quali i pensionati devono decidere se fare la spesa o comprare le medicine. Lo venga a dire a loro la premier Meloni che l’aumento di un euro e ottanta al mese è un successo, specie dopo il fallimento dei centri di detenzione in Albania costati tre milioni di euro.

Serve un cambio di passo, un impegno concreto da portare avanti non solo con una rivalutazione “reale” delle pensioni minime, ma anche capendo che lavoro povero genererà pensioni povere e che il Paese rischia un drammatico collasso se non si investirà concretamente sull’occupazione e non si sosterranno gli anziani che, fino ad ora, sono stati l’unica forma reale di welfare in questo paese per le famiglie. (cg)

[Carmelo Gullì è segretario generale Spi Cgil Calabria]

L’OPINIONE / Mariaelena Senese: Statale 106, un’opera che la Calabria non può più attendere

di MARIAELENA SENESE – La Strada statale 106 è un’opera strategica per la Calabria che non può attendere, è una priorità per lo sviluppo della regione. È necessario, quindi, inserire il completamento della Strada Statale 106 Jonica nell’accordo di programma, considerando la Statale 106 una priorità infrastrutturale non solo per la nostra regione ma per l intero Paese. È inaccettabile che questa arteria fondamentale, indispensabile per la sicurezza, la mobilità e lo sviluppo economico, continui a subire ritardi e manchi di una visione strategica che ne garantisca il completamento.

La sua modernizzazione e realizzazione integrale rappresentano non solo un’opera essenziale per la mobilità regionale, ma anche un’opportunità unica per attrarre investimenti, migliorare l’accessibilità e potenziare il turismo nella regione.

Tuttavia, senza la nomina di un nuovo Commissario Straordinario, l’intero processo rischia di rimanere bloccato. Questa figura è indispensabile per coordinare efficacemente i lavori e garantire un’interlocuzione territoriale chiara e operativa. Il nuovo Commissario deve essere un professionista altamente qualificato, con un mandato preciso e, soprattutto con risorse adeguate, per imprimere una svolta decisiva nell’attuazione dell’opera.

Proprio per questo sollecitiamo il Ministro Salvini e il Governo ad affidare nel minor tempo possibile i lavori della 106 ad una nuova figura commissariale, che possa concentrarsi totalmente ed esclusivamente sul completamento di una strada importantissima per la nostra regione, che, purtroppo, ha già seminato troppe vittime e subito troppi ritardi

Il completamento della Strada Statale 106 non è solo un’opera infrastrutturale, ma un simbolo di equità territoriale e rilancio per il Mezzogiorno. Ritardarne ulteriormente la realizzazione significherebbe condannare la Calabria a un isolamento insostenibile, che l’Italia non può più permettersi.

Continueremo a vigilare affinché il Governo agisca con determinazione, garantendo risposte concrete per il futuro del territorio e dei suoi. In un momento storico in cui si discute di grandi progetti, è fondamentale che le risorse vengano allocate equamente, tenendo conto delle reali priorità del territorio.

Abbandonare o ritardare ulteriormente il completamento della Strada statale 106 significherebbe condannare la Calabria a un isolamento infrastrutturale ed economico che il nostro Paese non può più permettersi. (ms)

[Mariaelena Senese è segretaria generale Uil Calabria]

L’OPINIONE / Filippo Veltri: Vince anche il “no” del sentimento

di FILIPPO VELTRIDomenica sera sotto il diluvio di cifre e commenti su Tv e social per il referendum sulla fusione delle tre città, finito come è ormai noto mi è tornato in mente un vecchio racconto di tanti e tanti anni fa che mi fece una sera, ad una Festa meridionale dell’ Unità, il grande dirigente del PCI Pio La Torre. Dopo pochi mesi La Torre sarebbe stato assassinato dalla mafia a Palermo.

In un palermitano accentuato più del solito La Torre mi indicò un tavolo dove stavano cenando, separati, alcuni ‘’illustri’’ ospiti esterni al Pci e con un lampo e un gesto imperioso della mano destra mi disse: «Filippo… Filippo… non ti fidare mai di questi presunti intellettuali che ti scavalcano a sinistra a parole e con paroloni! Sono i primi pronti a raccattare le briciole sotto il tavolo dei potenti! Sotto il Tavolo! Manco sopra».

Queste parole di Pio La Torre – che passava per essere uno della destra del PCI – mi tornano spesso nei ragionamenti vari che si fanno attorno, e sopra appunto, la politica e mi sono riaffiorati l’altra sera al pensiero di quanto avvenuto in questo mese di campagna elettorale per dire sì o no alla fusione, clamorosamente bocciata dagli elettori. I pochi elettori in verità, soprattutto a Cosenza, ma anche questa è una sconfitta per chi pensava a ben altro.

Quelle parole di Pio La Torre mi servono per aggiungere un paio di notarelle sull’allegra compagnia di giro che si è accodata alla decisione del Consiglio Regionale della Calabria di tentare una così improvvida manovra alle spalle di tre città. 

Professorini e presunti tali, professoroni ordinari nelle università, intellettualini di mezza tacca di provincia, politici di vecchio stampo e accademici sonnolenti, autonominati pensatori-portavoce- addirittura opinion leader dell’invincibile armata (somigliava tanto a quella del povero Achille Occhetto sbaragliato come è noto alla fine da Silvio Berlusconi), aspiranti incarichi/prebende nel codazzo alla corte dei Re oggi in auge (per domani sono peraltro già pronti a un nuovo eventuale salto della quaglia) sono, infatti, accorsi per qualche briciola sotto il tavolo (a Cosenza diciamo in dialetto ‘pi nu piatto i pipi’), inventandosi dotte disquisizioni, arditi argomenti, persino accuse infamanti contro chi tentava solo di fare ragionare e pensare. Qualche buontempone è arrivato a definirci dei borbonici!

 I social e le Tv in questi 30 giorni sono stati invasi, tutti i partiti – da Fratelli d’ Italia a Sinistra Italiana passando per i sindacati (roba mai vista questa unità) – hanno martellato ma poi la gente ha capito e non è andata a votare (a Cosenza) o ha dato il suo No ad un progetto che era pasticciato e inutile. Ma è proprio a Cosenza che è emerso un ultimo dato, da non sottovalutare affatto, che mi sta molto a cuore, espressosi sia nel non voto che nel No: quello cioè di uno spirito di appartenenza che non è conservazione ma voglia di contare.

Di dire una cosa in fondo semplice semplice: una città non è fatta solo di strade e palazzi ma di quello che ci sta sotto e prima, di chi l’ha messa in piedi, delle pietre che parlano, degli angoli che narrano un passato che è storia e per essere cancellato ha bisogno di essere dunque quantomeno condiviso. A Cosenza come a Rende e a Castrolibero. 

Lo abbiamo scritto il primo giorno e oggi lo ribadiamo: non è nostalgia (peraltro sentimento nobilissimo) ma umile voglia di contare, di non stare sotto i tavoli del racconto di La Torre ma almeno al tavolo con pari dignità.

Chi non ha pensato a questo ha dimostrato di non sapere che la politica è anche sentimento, o almeno dovrebbe essere, e chi a questo sentimento ha dato una sponda (a Cosenza una ventina di persone in tutto) alla fine ha vinto ed è una lezione che vale anche per il futuro. O almeno dovrebbe valere, se non si vuole andare incontro a nuove spiacevoli sorprese.

Il professore Renzo Rosso, ordinario di ingegneria idraulica alla Statale di Milano, ieri ci ha ricordato come in Liguria, ad esempio, ci sono due Albissola, di sotto e di sopra. Due comuni rigorosamente governati da sponde politiche diverse che talora si invertono. Ma lì in Liguria sanno come fare le cose! (fv)

  

L’OPINIONE / Ernesto Siclari: La Giornata della Disabilità non solo oggi, ma anche domani

di ERNESTO SICLARIPuò apparire retorico, ma la “Giornata mondiale sulla disabilità” assume vero significato soltanto se serve a scalfire l’indifferenza, se l’intento dell’organismo che l’ha istituita (Onu) trova un percorso di crescita culturale concreto, rimanendo altrimenti pura e sterile forma.

Dal 1981, il 3 dicembre di ogni anno ci vede impegnati a celebrare una giornata come tante per le persone con disabilità, perché, fuori dalla semplicistica polemica, domani è un altro giorno per la comunità, ma per le persone fragili tornerà ad essere la solita vita di sofferenza, isolamento, dolore.

Vero è che il nostro Paese sta finalmente recependo la linea disegnata dalla comunità internazionale, dando vita ad un’opera di riforma normativa senza precedenti, in una rinnovata ottica multidisciplinare, così come la Regione Calabria, ha dato giusto seguito per quanto di propria competenza, proseguendo la filiera virtuosa prevista dal legislatore; tuttavia, non basta lo sviluppo precettistico a risolvere i problemi quotidiani che affliggono il territorio; la carenza e la mancanza di erogazione dei servizi previsti dalla legge resta tale se non vengono messe in atto tutta una serie di attività concrete e non si realizza quella “rete”, che deve vedere lavorare in sinergia tutti i soggetti che operano dell’ambito della disabilità: partendo dalla programmazione, dalla stima e dalla allocazione delle risorse, dalla progettazione fino alla concreta realizzazione dei servizi, attraversando il mare magnum della burocrazia, le carenze di personale qualificato, la mancanza di professionalità interna agli enti, tutte lacune che rallentano e a volte purtroppo arrestano il percorso, configurandosi come anelli deboli di una catena di trasmissione già vecchia e logora.

Mettersi in linea con la normativa significa capacità di ascoltare, sensibilità maggiore, studi approfonditi in tema di supporto e sostegno, specializzazione e preparazione; significa collaborazione, dialogo tra soggetti coinvolti: Enti e terzo settore devono viaggiare su un binario di rispetto e partecipazione, ciascuno per le proprie competenze, coadiuvandosi nell’interesse delle persone e delle famiglie. Questo aspetto è essenziale per guardare fuori dalla finestra con una nota di speranza nel futuro della nostra terra.

L’istituzione del 3 dicembre promuove i diritti e il benessere delle persone con disabilità, ribadendo il principio di uguaglianza e la necessità di garantire loro la piena ed effettiva partecipazione alla sfera politica, sociale, economica e culturale della società, ma se non vogliamo che tutto questo resti ipocrita utopia, serve rimboccare le maniche della nostra volontà di calabresi, ripartire dall’aspetto culturale e promozionale, ma puntare lo sguardo verso la concretezza, l’impegno quotidiano, il lavoro prezioso prestato in riscontro all’urlo di dolore, al richiamo di soccorso alla solitudine della singola persona che aspetta il 4 di dicembre per capire se qualcosa stavolta potrà cambiare davvero. (es)

[Ernesto Siclasi è Garante dei Diritti delle Persone con Disabilità della Regione Calabria]

L’OPINIONE / Franco Bartucci: Occhiuto è lo sconfitto di questo referendum

di FRANCO BARTUCCI – «Roberto Occhiuto, presidente della Giunta Regionale della Calabria è lo sconfitto di questo referendum. A dirlo è stato Mimmo Bevacqua, capogruppo PD in Consiglio regionale. Concordo perfettamente con questa dichiarazione e aggiungo altri nomi, Simona Loizzo, con la quale per prima mi sono confrontato nel 2019 nello scongiurare di mandare avanti la proposta di fusione dei tre comuni e di guardare invece all’idea progettuale della “Grande Cosenza”, elaborata nel 1971 dai padri fondatori dell’Università della Calabria ed in particolare del Comitato Tecnico Amministrativo, presieduto dal Rettore Beniamino Andreatta.

Una “Grande Cosenza” che includeva il Comune di Montalto Uffugo per effetto che il progetto dell’Università della Calabria si estendeva da Rende (Statale 107) a Montalto Uffugo (incrocio ferroviario di Settimo) e che il disegno regionale della fusione lo escludeva.

Tra gli sconfitti inserisco anche sindacalisti e figure politiche, compreso gli amici del Partito Democratico, ai quali ho esteso lo stesso invito nell’arco degli ultimi tre anni da a quando questa questione è venuta a galla ricevendo come risposta: «A Montalto ci penseremo dopo».

Chissà quando e come! Sappiamo per esperienza come le vie della politica sono complicate e lunghe.

Sull’idea della “Grande Cosenza” e dell’insediamento come dello sviluppo dell’Università in un’area urbana unica e vasta, il Rettore Beniamino Andreatta amava a quel tempo del suo mandato confrontarsi con la classe politica, sindacale ed istituzionale del posto come della regione a cominciare dal presidente Antonio Guarasci. Amava confrontarsi in incontri pubblici che avvenivano nell’aula circolare dell’edificio polifunzionale, come nel salone di rappresentanza del Comune di Cosenza ed anche nella sala del Consiglio provinciale di Cosenza.

Ad organizzare tali incontri fummo chiamati: il dott. Antonio Onofrio, io e Aldo Orrico, con la raccomandazione di chiamare a raccolta per quanto riguarda il settore politico solo i rappresentanti di quei partiti appartenenti all’area costituzionale. Ciò significava l’esclusione dei sostenitori ed appartenenti al Movimento Sociale Italiano. Da Democristiano e cattolico non aveva fiducia e stima di quel partito.

Passano gli anni, oltre cinquant’anni, e i discendenti di quel soggetto politico arrivano a governare la Regione Calabria, cosicché non so come tirano fuori un progetto e un disegno di legge che cozza e mira a bloccare l’idea progettuale della “Grande Cosenza” con al centro l’Università della Calabria scaturita dall’intelligenza e dalla passione politica di un uomo venuto in Calabria dal Nord Italia, con amore e rispetto nei confronti degli uomini e donne del nostro territorio, per insegnarci a vivere e credere nelle nostre possibilità di creare sviluppo e crescita economica, sociale e culturale, valorizzando e credendo soprattutto nei giovani, speranza del futuro.

Uno di quei giovani laureatosi all’Università della Calabria e divenuto Presidente della Giunta Regionale non ha dato ascolto alla lettera aperta pubblica apparsa su questo giornale in data 7 agosto 2024, con la quale rivolgevamo una preghiera, per salvaguardare l’ integrità territoriale destinata all’UniCal e al pensiero di Andreatta, di rinviare quel disegno di legge al consiglio regionale per la scrittura di un nuovo testo di legge, impostato in concordia con le parti e con il coordinamento degli esperti dell’UniCal, in modo da evitare danni consistenti a livello di immagine, per come è avvento con il referendum che in molti ritengono illegittimo, che ha dato l’esito che tutti sappiamo. Con questo mio contributo do un consiglio chiaro di impegno e lavoro agli amici del PD di riprendere nel cassetto il progetto della “Grande Cosenza” che ci ha lasciato in eredità Beniamino Andreatta, primo Rettore dell’UniCal e tra l’altro padre fondatore del Partito Democratico.

Non abbiamo bisogno di nulla se non metterci al lavoro da subito e concretizzare al più presto la ripresa dei lavori. Sulla Collina di Contrada Vermicelli ci sono da diciassette anni immobili due cubi che attendono di scendere a valle per raggiungere i binari ferroviari di Settimo e collegarsi con l’alta velocità che da Sibari vola verso Bolzano. (fb)

L’OPINIONE / Domenico Mazza: Vince l’astensione mentre dilaga l’apatia politica

di DOMENICO MAZZA – In ambito pubblico, l’apatia politica è una mancanza di interesse verso la πόλις (Città). Ciò detto, include: il disinteresse degli elettori e dei mezzi d’informazione negli eventi politici, le difficoltà di comunicazione delle proposte da parte dei partiti e dei gruppi di pressione, la disaffezione alla partecipazione democratica e ai sistemi di voto.

Non trovo altre parole che possano descrivere il disastroso metodo con cui la politica bruzia ha condotto la campagna referendaria sulla sintesi dei Comuni e l’altrettanta sciagurata risposta che è fuoriuscita dalle urne. Si badi bene, l’accezione “sciagurata” non è da riferire all’esito del referendum. Piuttosto, alla più completa apatia con cui gli aventi diritto al voto hanno licenziato l’argomento della fusione amministrativa. Personalmente, se l’esito positivo o negativo del referendum avesse visto la partecipazione di una distinta percentuale delle Popolazioni, avrei avuto ben poco da eccepire. Tuttavia, quando l’astensionismo da una condizione di deroga diventa norma, si conferma la presenza di malesseri profondi e conclamati: indifferenza, rassegnazione e scelta di non scegliere.

Affluenza alle urne: un quadro desolante che pesa sulla politica  

Poco meno di 95mila aventi diritto e a votare si sono recati in appena 25mila. Nonostante la percentuale di affluenza abbia fatto registrare picchi più significativi a Castrolibero e Rende, il dato complessivo dei votanti resta comunque distante dal rendere significativa la competizione. Ad intestarsi la vittoria di un anonimo referendum, quindi, restano i sostenitori del “No” che incassano il dato della dilagante astensione come fosse un plebiscito a loro favore.

Una lettura controversa quanto inesatta, figlia di un’interpretazione che distorce il concetto più nobile della democrazia partecipativa. Nonostante settimane di dibattiti e iniziative, invero, né le forze di maggioranza del centrodestra regionale, né una parte della sinistra sono riuscite a spingere le popolazioni a recarsi ai seggi. Un fallimento collettivo che evidenzia il distacco crescente tra politica e cittadini. Vieppiù, che conclama l’incapacità delle Classi Dirigenti a trasmettere un messaggio di crescita e sviluppo insito al progetto stesso di fusione amministrativa. Inoltre, il disinteresse mostrato dalla collettività verso il processo di sintesi indica come il concept progettuale necessiti di una revisione profonda; non solo nelle sue motivazioni, ma, soprattutto, nel modo in cui viene comunicato e percepito dai Cittadini.

Nessun vincitore, solo uno sconfitto: il popolo dell’area urbana

Probabilmente nella scelta di non scegliere il popolo cosentino ha voluto bocciare un Establishment che non ha saputo declinare le potenzialità racchiuse nel progetto di fusione. La Grande Cosenza, d’altronde, non poteva essere liquidata con l’effimero tentativo di costruire una semplicistica sommatoria demografica. Le titubanze della Politica che non ha saputo descrivere i vantaggi della nuova conformazione amministrativa, si sono tradotte in paura, immobilismo e apatia nelle Popolazioni.

Tuttavia, va considerato un altro fattore: se la partecipazione democratica si verifica a mo’ di random nelle varie tornate amministrative e langue nelle espressioni referendarie, evidentemente, una visione inquinata dei sistemi di consultazione elettorale esiste ed è concreta. Durante le campagne elettorali di indicazione locale apparati, correnti e interessi la fanno da padrone.

I quesiti referendari, al contrario, vengono avvertiti come distanti dalle esigenze particolari e dai personalismi e, pertanto, ritenuti poco interessanti e per nulla motivanti. La descritta percezione, purtroppo, è frutto di una visione miope e malata del corpo elettorale. Esternare il proprio parere su un’idea è, con ogni probabilità, ben più importante di quanto non sia esprimere la propria preferenza a un Amministratore. Il Cittadino che rinuncia al suo diritto-dovere di partecipazione elettorale non può considerarsi parte di una Comunità. Piuttosto, è un individuo che tenta di solcare i mari a bordo di una nave, ma senza l’ausilio di un timone.

E adesso? 

Considerare tramontata l’idea di una fusione dei Comuni vallivi contermini a Cosenza sarebbe un grave errore. Probabilmente, il progetto va ripensato, arricchito e esportato oltre i confini dei tre Comuni chiamati alle urne domenica scorsa. Bisognerà partire dalle scuole e dalle piazze. Sarà necessario trasmettere alle Popolazioni, senza titubanze, che Il progetto di fusione a Cosenza — in funzione di una razionalizzazione del numero dei Comuni e nell’ambito di una prospettiva di riassetto amministrativo della Calabria — può diventare volano di svolta, ma solo se accompagnato da una nuova governance del territorio regionale. L’azione descritta, infatti, risulterebbe in perfetta sintonia con la principale politica di investimento dell’Europa: la coesione territoriale.

La stessa che mette al centro il territorio sostenendone la crescita economica, la creazione di posti di lavoro, la competitività delle imprese, lo sviluppo sostenibile e la protezione dell’ambiente. I suoi vantaggi, dunque, sarebbero direttamente proporzionali all’autorevolezza politica inverata dalle aggregazioni territoriali.

Soprattutto, però, sarà necessario che le espressioni politiche del centralismo cosentino imparino a declinare un nuovo paradigma per l’agognata sintesi della Città unica: rinnovate narrazioni che abbandonino scampoli di pennacchi motivati da inutili dualismi con l’Arco Jonico.

Serviranno, invero, nuove relazioni programmatiche e non astruse teorie volte a infondere paure su improbabili traslazioni geografiche del Capoluogo e amenità simili. Così come, sulle sponde joniche, sarà necessario evitare squallide e disdicevoli politiche di salamelecchi, prostrate agli ordini di una casta cosenzacentrica che non affascina più neppure gli abitanti della val di Crati. (dm)

[Domenico Mazza è del Comitato Magna Graecia]