di ETTORE JORIO – Una riflessione da fare, ma di quelle serie, riguarda due fenomeni, dei quali uno evidenziato da anni, ma liquidato tuttavia con cause essenzialmente giustificative, e l’altro sottaciuto.
Il primo inerisce alla caduta libera dell’affezione al voto, che fa registrare soglie di aderenti al ribasso, inimmaginabili qualche anno fa nel nostro Paese. Ciò in quanto la Nazione era tra le più politiche, perché tra le più interessate a scegliere i propri decisori, nonostante ahinoi indotta, specie nel Sud, al consenso dalla promessa privata prevalente sulle opzioni più propriamente ideali.
Da qualche anno accade che la percentuale dei votanti è in discesa irrefrenabile. È più consistente solo nel primo turno delle comunali, perché rappresenta il risultato della pressione sugli elettori dei numerosi candidati, molti dei quali non più presenti però nel ballottaggio. Una dimostrazione, questa, come la politica sia diventata più una res di interesse privato che una attività di servizio pubblico.
Il secondo preoccupante evento – che, visto il mio attaccamento storico al movimento di difesa dei diritti dei lavoratori e delle aspettative dei disoccupati, mi intristisce non poco – afferisce alla inarrestabile emorragia di iscritti ai sindacati confederali: Cgil, Cisl e Uil. Un dissanguamento preoccupante e doloroso per tutti i democratici, sempre più vicino al milione di iscritti persi in dieci anni.
Chi vuole bene al Paese – piuttosto che rendicontare le perdite sul campo di lettori e di sostenitori dei sindacati – dovrebbe affrontare l’analisi delle cause e cercare di individuare i rimedi giusti. Non servono le giustificazioni e le promesse, il dissanguamento è costante e voluminoso. Non affatto rimediabile con trasfusioni, seppure numericamente copiose e generosamente consistenti. In siffatte situazioni le chiacchiere e le urla servono a poco.
Ed è qui che occorre, così come si fa nel diritto, distinguere le cause dai motivi, meglio dalle motivazioni dei perché.
Al riguardo, si potrebbero far risalire entrambi a fattori sociologici e antropologici nettamente al di fuori della mia portata culturale, ma spesso incomprensibili ai più e comunque offerti senza la soluzione del male.
Seppure attento alle statistiche, propendo per una ricerca più semplice e sensibilmente dolorosa: la perdita di credibilità e, conseguente, decremento della capacità attrattiva dei partiti e dei sindacati.
Ciò avviene perché manca un chiaro progetto del Paese, di quello che si desidera realizzare. Si è senza l’individuazione delle soluzioni alle diversità che lo compongono e lo dividono, senza la capacità di privilegiare le rispettive metodologie di governo e di lotta, senza la attenzione necessaria a selezionare le migliori rappresentazioni territoriali e le presenze nelle Istituzioni in genere.
Insomma, si constata una collezione di disattenzioni degli addetti ai lavori, così pretesi dalla Costituzione, che si traducono nell’anzidetto disastro che si concretizza con il deserto nelle urne e la disaffezione al tesseramento.
Poi ci sono i temi sui quali misurarsi. Ed è qui che casca l’asino. Specie in Calabria – ove nonostante una ottima compagine sindacale rappresentativa delle segreterie regionali Cgil, Cisl e Uil collaborate da due segretari generali di sangue e cultura autenticamente meridionalista (Bombardieri e Sbarra) – si continua a non esprimere politiche realistiche e produttive.
Quelle politiche finanziarie iscritte nella Costituzione (art. 119), quelle politiche industriali e quelle locali, quelle politiche di welfare assistenziale rispettose della Carta (art. 32), utili a conseguire due risultati: ritenere la Calabria culturalmente attaccata al Paese, al di là della saldatura che assicura il Pollino, e curare quel minus habens collettivo, nel senso di un insieme di persone, i calabresi, perennemente in posizione di svantaggio rispetto al resto della Nazione.
La nostra regione più delle altre deve offrire un ideale programmatico diverso e una pratica generativa di un nuovo modo di fare politica, che non può che essere di insieme. Scevro da contrasti inutili e contraddittori.
Quanto alle cose da fare e sostenere, al termine dell’amato Stivale non servono le belle ma superflue fibbie ornamentali. Il Ponto sullo Stretto è utile solo a chi a interesse a generarvi intorno business. A poco serve sia al suo imbocco che alla sua uscita. Prima dell’uno e dopo l’altra rimarrebbe il deserto che c’è, con l’unica neonata multinazionale che festeggiare l’evento: la ‘ndrangheta & mafia spa.
Alla Calabria, diversamente regione a statuto ordinario rispetto alla Sicilia, occorre un finanziamento che vi dia ragione nei suo esercizi annuali e una corretta valutazione se accedere o meno ad una maggiore competenza legislativa esclusiva. Due fenomeni che, unitamente a quella di definizione dei Lep, sono trattati dalla politica e dal sindacato così come se interessassero altri e non già come possibile rimedio a quella emarginazione e povertà che caratterizza la Calabria da sempre.
Scrissi nel 2010, sulla prestigiosa rivista (n. 10 di www.federalismi.it) del compianto prof. Beniamino Caravita del Toritto, che il federalismo fiscale sarebbe stata la soluzione per il Mezzogiorno. Oggi ne sono più convinto di allora. (ej)