I BUONI PROPOSITI PER IL 2023: BISOGNERÀ
CAMBIARE PASSO E CAMBIARE PURE TESTA

si MIMMO NUNNARI – Si auspica da più parti che nel 2023 appena iniziato la Calabria cambi passo, per superare isolamento e  solitudine che hanno radici antiche,  in parte affondate nei torti dello Stato e in parte in quell’esodo biblico di uomini e donne obbligati a partire, per andare dove si trova il pane che a casa propria non c’è. Partiamo da un dato non trascurabile, per parlare di futuro della Calabria, dalla demografia reale e virtuale. Sono più di quattro milioni i calabresi. Metà, due milioni, sono sparsi nel mondo e altri due milioni o quasi vivono nella regione d’origine. Sul tema emigrazione come causa dello svuotamento di braccia e di anima dell’alluce dello stivale (cit. il New York Times) sono state scritte e si scrivono ancora pagine intense nell’ambito della narrativa di qualità, mentre in molti saggi un certo numero di  storici e studiosi hanno tentato di spiegare perché una terra così bella e sorprendente non si è mai sviluppata come tutte le altre terre. 

Ci sono sicuramente colpe interne che conosciamo bene per la mancata crescita della Calabria, tuttavia il fenomeno di un territorio disuguale nell’ambito di una stessa nazione resta unico in Occidente e Europa ed è inutile tornarci sopra. Questo semmai è il momento dell’azione, non più dell’analisi, a cui probabilmente ci penseranno un domani gli storici. Non serve proprio rivangare il recente o lontano passato se si vuole realmente cambiare  passo. Servono piuttosto uomini e donne del “fare”, per uscire dal disagio e “dall’invisibilità” di una regione visibile soltanto per fatti di cronaca. 

Oggi, dalla maggioranza del Paese, la Calabria è vista come la terra dei misteri e delle ombre nere, lontana dalla realtà nazionale e europea e oppressa dalla convinzione di non farcela più a mutare un destino che appare segnato da oscuri presagi. La sua immagine è pessima, ancorché marchiata da pregiudizi e da disprezzo, mentre sull’altro fronte la capacità di reazione, costruzione e ribellione è minima, in mancanza di istituzioni efficienti e di una rete sociale e civica capace di connettere in un circolo virtuoso le energie, le potenzialità, le intelligenze diffuse. 

Secondo un luogo comune si crede che per avvicinare la Calabria al Paese servono più soldi, ma questa è una verità parziale. L’esperienza ci insegna che con i finanziamenti distribuiti senza progetti validi i soldi si sperperano quando non si rubano, e soprattutto le elargizioni non mutano l’impronta deleteria di subordinazione della classe dirigente calabrese alla politica nazionale. 

Qui, ora, prima di tutto occorrerà ricostruire un’idea di Stato che dimostri come il Governo non è unicamente distributore di risorse e assistenza ma è primariamente legge e diritti uguali per tutti; è controllo del territorio per garantire libertà ad ognuno; autorità capace di sostituirsi alle gestioni mafiose o corrotte e ridare fiducia ai cittadini. Ogni istante che si perde, nel sottrarsi a questi compiti, che sono alla base di un’idea democratica di Stato, favorisce l’arretramento di una parte del Paese e spinge l’altra parte verso zone di rischio dove risiede l’aspetto inquietante del nostro tempo: la globalizzazione criminale. Stare fermi significa non avere più in futuro la possibilità di correggere il perpetuarsi di una storia nazionale incompiuta che se non perfezionata trascinerà tutti nella voragine. 

Un vescovo intelligente e illuminato che non c’è più e ci manca, come padre Giuseppe Agostino, sosteneva che la Calabria per cambiare ha bisogno di una “redenzione della sua socialità rimasta bloccata dal lamento, dal fatalismo, dai condizionamenti della politica e della mafia, che è tristemente incidente sulla libertà, condizione primaria di ogni vera crescita”. 

Cambiare passo non è dunque operazione rinviabile (anche il presidente Roberto Occhiuto ne ravvisa l’urgenza) per mutare un destino che sovrasta la Calabria, ma che si può lottare e modificare. La Calabria si trova, mai come in questo passaggio storico del post Covid, di fronte a un bivio: scegliere se riprendersi la propria storia umana, o correre il rischio che il suo territorio assuma sempre più le sembianze di uno stato mafia di modello balcanico. 

Cambiare, in ogni caso, non significa rinunciare alla propria diversità culturale, anzi metterla a valore, a disposizione di tutti. Anche sulla lotta alla mafia serve il cambio di passo. Citiamo su questo delicato tema un altro vescovo: padre Giancarlo Bregantini, presule a Campobasso e a lungo nel recente passato amato vescovo di Locri. 

Le parole di questo prete di origine trentina, convinto che non basta militarizzare un territorio, per vincere le consorterie mafiose, bisognerebbe scolpirle sulle porte dei palazzi che contano: “Se si vogliono ottenere risultati positivi in questa difficile battaglia contro le forze del male, occorre vincere la cultura della precarietà che strangola il Sud. I giovani che vivono in questo territorio hanno bisogno di certezze, per continuare a credere nel futuro. Se si vogliono strappare al male bisogna offrire loro occasioni di speranza che hanno un nome preciso: scuole, lavoro, centri di aggregazione, momenti formativi e spazi di confronto, per ritrovare la fiducia perduta nei partiti che hanno perso credibilità per le continue ruberie a cui ormai ci hanno abituati”. Perché l’auspicio di Bregantini si possa tradurre in concreta azione occorre che lo Stato in Calabria si mostri governante e non solo occhiuto, andando a rintracciare le risorse l’anima e l’esperienza di vita di un popolo che non è secondo a nessuno. Istituzioni, pezzi di società, semplici cittadini, devono potersi sentire parte di un progetto di rinascita valutando le soluzioni concrete possibili ai problemi, che poi spetta al Governo e alle istituzioni applicare. Per cambiare il passo certo non si può ignorare la situazione, per come oggi si presenta: con un grande scarto tra la Calabria e il resto del Paese, con la forbice del divario che si allarga in un periodo storico in cui tutto a livello globale è in tumultuosa trasformazione e all’orizzonte si profila minaccioso un complesso di sfide economiche, ecologiche, tecnologiche e migratorie che nessuno è in grado di governare da solo. Con tanti oscuri tamburi che rullano in lontananza sperare ancora che qualcuno possa giungere in soccorso della Calabria per aiutarla a superare le sue criticità e difficoltà di regione ultima in tutte le classifiche è perfettamente inutile. Il futuro, perciò, dipende da noi: dalla capacità di riscossa civica, dal pretendere che la classe dirigente regionale e la rappresentanza parlamentare non sia suddita dei propri partiti, dal riuscire a indirizzare la crescita reginale incanalandola nelle energie che esistono, dalla determinazione a uscire dall’atteggiamento di lagnusia, come diceva Leonardo Sciascia riferendosi ai siciliani. Sarà tempo perso aspettare il “salvatore” che per esperienza fatta sulla pelle degli stessi calabresi si sa che quando a volte arriva, non essendo il Salvatore dei Vangeli, ma un comune mortale fa più danni irreparabili che bene; ne abbiamo visto qualcosa con l’esperienza nella sanità, con commissari improvvisati, mandati dallo Stato, con macchiette travestite da esperti, con viceré improbabili, con esibizionisti rozzi e impreparati che hanno lasciato più macerie di quante ne avessero trovate arrivando. 

Gente qualsiasi, mandata a raddrizzare la sanità, mentre avrebbe dovuto essere raddrizzata essa stessa. Ci hanno riso in faccia in tutta Italia e nessuno ha chiesto scusa alla Calabria per aver mostrato in quelle occasioni il volto più insignificante dello Stato. Alla luce di questa esperienza la Calabria non può che cominciare far da sola, ragionando su quali misure mettere in campo per cambiare passo. 

Serve costruire un’unità ampia attorno al Governo regionale, che coinvolga istituzioni, movimenti politici associazioni sindacali imprenditoriali e città, queste ultime chiamate ad abbandonare il vizio deleterio del municipalismo, della rivalità rionale. È una questione di opportunità, prim’ancora che culturale, cominciare a sentirsi tutti insieme orgogliosi dell’appartenenza a una terra con una grande storia alle spalle – ancorché negata e disconosciuta dalla cultura nazionale e dalla storiografia ufficiale. 

Per cambiare serve una rivoluzione culturale: un mutamento di mentalità, un progetto che avvicini la Calabria al Paese e ai calabresi sparsi per l’Italia e nel mondo, che “sono quelli che conservano un amore disperato del loro paese, di cui riconoscono la vita cruda che hanno fuggito e che in loro è rimasta allo stato di ricordo e di leggenda dell’infanzia” (cit. Corrado Alvaro). 

Non si parte da zero se si vuole cambiare passo. Pur tra tante differenze e contraddizioni che si sono accentuate a partire dagli anni Settanta, con la vicenda triste del capoluogo regionale che non è servita a nessuno la Calabria ha una sua storia di realtà sociali e di movimenti di volontariato, di eccellenze nell’imprenditoria e nella ricerca che hanno sempre agito e agiscono per il bene della collettività, supplendo spesso alle carenze e alle assenze delle istituzioni. Il problema è che questa ricca storia di realtà sociali di diversa ispirazione ideale per essere valorizzata ha bisogno che si attivino i canali di comunicazione indispensabili a costruire luoghi di impegno della società civile utili a uscire dal recinto e far scendere la Calabria nel mondo, dove ci sono due milioni di calabresi che non aspettano altro che essere partecipi trasferendo i loro successi laddove ci sono le loro radici. (mn)

   

I DANNI ECONOMICI PROVOCATI DAL COVID
AZIENDE A PICCO, IN CALABRIA -1,2 MLD PIL

I danni provocati dal Covid a livello economico e sociale sono sotto gli occhi di tutti e, mano a mano che si va avanti, emergono altre problematiche che, se non vengono risolte con tempestività, rischiano di fare terra bruciata in quelle imprese che hanno deciso di investire in Calabria.

Tali problematiche, infatti, emergono nel primo Report sulla Crisi Covid-19 dell’Osservatorio Mpi Confartigianato Imprese Calabria, che ha fotografato una situazione poco confortante per l’artigianato in Calabria: ulteriore perdita del Pil – Prodotto Interno Lordo a causa della recrudescenza dei contagi e aumento della disoccupazione.

L’Osservatorio, nato per «offrire uno strumento puntuale e sistematico per misurare, con parametri definiti, il cambiamento dello scenario economico e sociale» è sicuramente una opportunità per progettare al meglio e con più precisione le azioni da mettere in campo elementi di supporto al lavoro  delle nostre imprese. Uno strumento attraverso cui far conoscere studi e ricerche relativi a temi di interesse per le nostre imprese, in chiave territoriale che ha «l’obiettivo di facilitare il compito di Confartigianato nel rapportarci con il decisore politico, per provare anche ad indirizzare meglio le scelte da attuare per avvicinare l’azione politica alle esigenze delle imprese, e quindi aiutarci nel ruolo di rappresentanza» ha spiegato Silvano Barbalace, segretario regionale di Confartigianato Imprese Calabria.

Si stima che in Calabria una flessione della domanda di intensità analoga a quella registrata ad aprile, porterebbe fino a 746 milioni di euro in meno di consumi nel mese di novembre: per la Calabria si registrerebbe una ulteriore perdita di Pil di 390 milioni di euro nel 2020 e di 857 milioni nel 2021. Nei due anni in esame si cumula, quindi, una ulteriore minore crescita per 1,2 miliardi di euro.

Il documento mostra, per la regione Calabria, diverse evidenze su tematiche quali: l’ulteriore perdita di Pil a causa della recrudescenza dei contagi, il calo dei consumi a novembre a seguito della classificazione della Calabria zona rossa, le perdite cumulate del settore dell’estetica a seguito del blocco dell’attività, le perdite del commercio internazionale, i segni della crisi sul mercato del lavoro e sul tessuto imprenditoriale (con focus sull’artigianato), le risorse messe in campo dal bonus 110% e la platea di imprese del sistema casa, i driver della futura ripresa (green e digitale), burocrazia, credito e politiche di coesione.

Nello specifico, viene evidenziato come a novembre, in Calabria, sono a rischio 746 milioni di euro di consumi. «Gli interventi per contrastare  la recrudescenza dei contagi si riverberano su domanda e offerta, interrompono il recupero di  fiducia e aumentano l’incertezza, generando rilevanti effetti restrittivi. Si stima che in Calabria una flessione della domanda di intensità analoga a quella registrata ad aprile, porterebbe fino a 746  milioni di euro in meno di consumi nel mese di novembre». 

L’attuale chiusura dei centri estetici, in Calabria, si legge nel report «porterà ad una perdita complessiva di fatturato del settore pari a 1,8 milioni di euro  per il solo mese di novembre, che sommata agli effetti del lockdown di primavera arriva a  12,1 milioni di euro, il 55% del fatturato annuo. Questi effetti negativi si riverberano sulle 1.114 imprese del settore, in cui lavorano 1.578 addetti.  Un settore caratterizzato da un’elevata presenza femminile (94%) e da una forte vocazione artigiana  (sono artigiane l’88% delle imprese del settore)». 

Difficoltà  anche per il commercio internazionale: le vendite oltre confine dei prodotti manifatturiero made in Calabria, nei primi sei mesi del 2020 risultano in contrazione del -10,7%. Nello specifico, per i soli  prodotti realizzati nei nove settori manifatturieri a maggior concentrazione micro e piccole  imprese si calcola una dinamica meno accentuata di quella complessiva ma comunque negativa del -1,3%.

«Quanto sta accadendo oggi negli Stati Uniti – si legge nel report – a seguito delle elezioni presidenziali, impatterà sul nostro commercio estero. Ciò presenta una certa rilevanza per la nostra regione che, pur presentando un basso profilo export oriented, ha come primo mercato di riferimento proprio quello statunitense verso cui esporta manufatti per un valore di 56 milioni di euro, pari al 14,8%  del valore complessivo dell’export manifatturiero del territorio. Tra i settori maggiormente coinvolti, ne troviamo uno a forte presenza di MPI, quello dell’alimentare: che rappresenta il 31,9%  dell’export manifatturiero totale e l’89,2% dell’export dei settori di Mpi (moda, legno, mobili,  metalli, alimentari e altra manifattura comprensiva di gioielli e occhialeria)».

La crisi Covid-19 scaglia i suoi effetti sul mercato del lavoro, seppur, ad oggi, sostenuto da ammortizzatori sociali e blocco dei licenziamenti: come rileva il report, al «II trimestre 2020 in Calabria si è perso lo stesso numero di occupati della crisi del debito sovrano (2011-2013): -45 mila  occupati, pari al -8,1% (calo percentuale più elevato rilevato tra le regioni italiane). Il calo colpisce  per lo più l’occupazione indipendente (-23 mila unità, pari ad un calo percentuale del 16,0%) e gli  occupati del settore dei servizi (-43 mila unità), flessione quest’ultima che contribuisce al 95% del  calo complessivo occupazionale». 

Gli effetti negativi sul mercato del lavoro sono dovuti anche alla forte contrazione delle nuove assunzioni: a novembre 2020 le previsioni di assunzione delle imprese con dipendenti della  Calabria scendono del -25,8%, flessione più ampia rispetto a quella registrata per il Mezzogiorno del -23,5%. 

Tra i segmenti maggiormente in difficoltà, sul fronte lavorativo, c’è quello dei giovani. Nel Mezzogiorno si osserva «come al II trimestre 2020 il numero di occupati under 35 è sceso di 12,3%,  riduzione di 9,2 punti superiore rispetto al calo registrato per gli over 34 (-3,2%). Tale risultato trova spiegazione, sul nostro territorio, nel fatto che i settori più propensi  all’assunzione di giovani sono anche quelli che attualmente presentano una maggiore quota di  imprese in difficoltà (ancora lontane dai livelli di produzione pre crisi): Commercio, Industria della  carta, cartotecnica e stampa e Servizi di alloggio, ristorazione e turistici». 

Per quanto riguarda il tessuto imprenditoriale – che in Calabria conta 188 mila imprese registrate di cui il 17% (32 mila unità) artigiane e presenta un’elevata vocazione alla micro impresa con 0- 9 addetti, che rappresentano il 97,2% delle imprese del territorio che danno lavoro al 69,5% degli occupati – il report evidenzia come ad oggi, sul fronte produttivo, si nota una contrazione della voglia di fare impresa, poiché il  numero di nuove iscrizioni registrate da marzo ad ottobre 2020 segna una contrazione del 19,3%, pari a -1.252 iscrizioni registrate rispetto al numero di un anno fa. 

Per l’artigianato, al III trimestre dell’anno, nei due settori più rappresentativi in cui operano oltre il 60% delle imprese – costruzioni e servizi alle persone – si osserva un aumento del  numero di iscrizioni e un saldo positivo (dato dalla differenza tra iscrizioni e cessazioni non  d’ufficio) più consistente rispetto a quello del III trimestre 2019, in modo particolare per il  primo. 

La dinamica tendenziale del numero di imprese artigiane registrate tra luglio-settembre 2020, rispetto a quelle dello stesso trimestre dello scorso anno, nei settori più significativi con oltre 100  imprese registrate, mostra incrementi rilevanti per Attività di servizi per edifici e paesaggio (+4,6%), Lavori di costruzione specializzati (+1,8%) e Riparazione, manutenzione ed  installazione di macchine ed apparecchiature (+1,5%); e flessioni più intense per Industria del legno e dei prodotti in legno e sughero (-2,1%), Fabbricazione di altri prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi (-2,1%) e Commercio al dettaglio (-2,3%).  Nel fare valutazioni di merito, che riguardano l’artigianato, «va tenuto conto – si legge nel report – che questo comparto è quello che più degli altri ha subìto, causa due passate recessioni, una selezione d’impresa più  pesante: al III trimestre 2020 difatti si contano oltre 5 mila imprese artigiane in meno rispetto al III trimestre 2009, conseguenza di una maggior perdita di imprese dell’Edilizia, dell’Autoriparazione,  della Fabbricazione di prodotti in metallo, della Lavorazione del legno e dell’Autotrasporto». 

«La pandemia lascia molte incertezze sulle previsioni future – ha affermato Barbalace – lo vediamo anche in merito ai dati della ripresa dei fatturati delle aziende inizialmente prevista per il 2021: per la Calabria si parla addirittura nel 2023. La prima considerazione da fare è quella sui dati: il 97,2% delle imprese calabresi sono di piccole dimensioni e una su 5 è artigiana, dati da dover tenere in considerazione quando si mettono in campo le azioni a sostegno delle imprese».

«Sono imprese – ha aggiunto – che stanno resistendo alla crisi stringendo la cinghia: quando chiude un’impresa artigiana chiude una storia, un bagaglio di conoscenze e di valori che per noi sono importanti. E questo che dobbiamo evitare».

«Cosa fare, quindi? Intervenire per consentire alle imprese di muoversi in un contesto favorevole, e tra gli aspetti critici – come emerge dal report – c’è sicuramente la burocrazia».

«Tra gli elementi messi in evidenza dalla pandemia – ha proseguito Barbalace – ci sono proprio i limiti di mancanza di efficienza da parte della Pubblica amministrazione, e la digitalizzazione che scarseggia nei nostri comuni (parliamo del 66%). Il dato molto preoccupante è quello relativo al calo del numero degli occupati, ed in particolare quello relativo ai giovani inattivi che è in costante aumento. Su questo, qualche giorno fa abbiamo avuto un webinar con l’assessore regionale allo Sviluppo economico, Fausto Orsomarso, che annunciava un intervento per le Politiche attive da cento milioni: proprio su questo faremo le nostre proposte sulla base guardando proprio alla riduzione delle imprese artigiane e all’inattività di tanti giovani nella nostra regione».

Gli elementi positivi che emergono dal report sono «la spiccata propensione delle nostre imprese verso la sostenibilità e, soprattutto, la consapevolezza dell’importanza della digitalizzazione che oggi non è più semplicemente una opportunità, ma una necessità».

«Le nostre imprese – ha detto ancora Barbalace – sfruttano un fondo regionale per artigiani per gli investimenti innovazione tecnologica, un fondo che sta subendo una serie di ritardi dal punto di vista burocratico. E questa è proprio una criticità da risolvere per creare contesti favorevoli in cui far operare le imprese e renderle competitive».

Il presidente di Confartigianato Impresa Calabria, Roberto Matragrano, nel chiudere i lavori, ha messo in rilievo l’importanza della formazione ed in particolare dell’apprendistato.

«L’artigianato – ha concluso – è uno dei settori su cui poggia la nostra economia regionale ed è capace di creare forza lavoro che viene richiesta più fuori regione che nel territorio. La politica deve sapere che l’artigianato è all’avanguardia, una realtà da tenere in considerazione proprio per incentivare l’occupazione giovanile». (rrm)