di PINO NANO – In vecchiaia era tornato nella sua città natale per vivere il suo viale del tramonto ed è a Reggio Calabria, città che adorava, che venerdì scorso se ne è andato via per sempre. Aveva 88 anni Agostino Cordova, magistrato che per le sue inchieste era diventato negli anni ’80 il magistrato più famoso d’Italia.
Era entrato in magistratura nel 1963, il suo primo incarico pretore a Reggio Calabria, prima al penale e poi al civile, fino al 1970 per poi passare al Tribunale, dove è stato componente il collegio per cinque anni. Quindi il passaggio all’Ufficio istruzione, dove è rimasto fino al 1980. In quel periodo, ha istruito importanti processi contro le cosche della ‘ndrangheta, uno in particolare, quello contro il gruppo cosiddetto ”dei 60” capeggiato da Paolo De Stefano, ucciso in un agguato a Reggio Calabria nell’ ottobre del 1985. Un processo che si concluse con la condanna di buona parte degli imputati. Dal 1980 al 1987 Cordova viene chiamato a presiedere la sezione penale del Tribunale di Reggio Calabria, e nel dicembre del 1987 il Csm lo nomina Capo della Procura della Repubblica di Palmi. Corsi e ricorsi della storia, oggi al suo posto c’è Nicola Gratteri, calabrese come lui e quanto lui.
Nicola Gratteri, attuale Procuratore di Napoli lo ricorda oggi così: «Ho conosciuto Agostino Cordova quando io ero ancora un giovane Pubblico Ministero a Locri, e posso dire che era una delle persone più oneste in assoluto che abbia mai conosciuto in vita mia. Uomo profondamente onesto, rigoroso, e che con grande senso dello Stato amministrava la giustizia».
«Ho avuto l’onore – ha aggiunto – di fare delle indagini collegate tra la Procura che lui dirigeva, a Palmi, e la procura di Locri dove io lavoravo, e questo mi è servito a capire la grande serietà e lo scrupolo immenso con cui lui lavorava e amministrava giustizia. Cordova aveva grande capacità investigativa e soprattutto grande intuizione investigativa. Temo però che lui qualche volta abbia peccato di ingenuità fidandosi di persone che non meritavano la sua fiducia. Ricordo che all’epoca Cordova era uno dei pochissimi magistrati che in Italia avevano la sua autorevolezza. Lui era uno di quei magistrati che veniva ascoltato dalla politica, ma era soprattutto un magistrato temutissimo dal potere e dai gruppi di potere dominanti».
«Ricordo a me stesso che era un magistrato osannato, ossequiato, corteggiato da tutti seppur con timore e reverenza – ha proseguito –. E quando poi lo hanno nominato Capo della Procura di Napoli, pensando forse che lui fosse alla fine una persona accomodante e controllabile, è stato immediatamente attaccato da soggetti appartenenti a centri di potere che non lo volevano al suo posto. E non posso non ricordare che alcuni che a Palmi erano stati vicino a lui, e a Napoli come a Palmi avevano lavorato e collaborato con lui, appena hanno sentito puzza di pericolo gli hanno voltato le spalle e lo hanno lasciato completamente solo».
«Questa è la grande amarezza – ha concluso – che mi scorre per il corpo nel ricordare un magistrato importante come lui. Ecco che ti accorgi allora che quando ti succede qualcosa, quelli che apparentemente tu ritenevi fossero tuoi amici spariscono invece per sempre e a gambe levate. Ma forse questa è la vita…».
Quella di Napoli fu per Agostino Cordova una stagione difficile, complessa, piena anche di polemiche e di insidie professionali di vario genere, era lui stesso che lo raccontava dopo aver lasciato la Procura partenopea per sempre. In quel periodo fece scalpore una sua inchiesta su presunti intrecci tra mafia, politica e massoneria che portò al sequestro di tutti gli elenchi dei massoni del Goi, mesi e anni in cui i grandi giornali italiani non facevano che dedicare al suo lavoro prime pagine e titoli di testa. Ma fece immenso scalpore anche la sua inchiesta calabrese su presunte irregolarità negli appalti per la realizzazione della centrale termoelettrica dell’Enel a Gioia Tauro portò, che nel luglio del 1990, al sequestro del cantiere.
Alla scadenza del suo mandato a Palmi come Capo della Procura concorse per la Direzione Nazionale Antimafia ma senza successo e successivamente, nel luglio del 1993, viene nominato Procuratore Capo a Napoli. Ma qui per lui incominciano i problemi veri.
«Cordova – ricordava allora una nota dell’Ansa – ripetutamente denuncia la carenza di uomini e mezzi, e sostiene che il tentativo di ripristinare la legalità trova sempre più ostacoli. E sempre più spesso cita sarcasticamente uno dei suoi libri preferiti, il Candido di Voltaire (”Tutto procede nel migliore dei modi nel migliore dei mondi possibili…”)».
Indimenticabile la difesa che fece di lui l’attuale ministro della Giustizia, Carlo Nordio, che davanti al Csm difendeva le sue tesi e la sua persona: «Sul caso Cordova il Csm sta smentendo sé stesso, visto che in ”decine” di documenti lo ha definito in passato ”il procuratore più bravo»’.
Su Cordova in quel periodo pendeva una richiesta di trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale e funzionale, e Nordio va giù di petto: «Cordova ha alle spalle 40 anni di carriera più che onorata», e Nordio riporta i mille pareri lusinghieri per il procuratore di Napoli espressi dal consiglio giudiziario di Napoli, ma soprattutto dal Csm. Una valutazione positiva condivisa anche dagli ispettori del ministro della Giustizia, la cui ultima relazione «ha dato atto dell’autorevolezza del procuratore di Napoli». «
Che cosa è successo allora? – chiede polemicamente Nordio al Csm del tempo –. Perché oggi Cordova venga ritenuto incompatibile non solo con Napoli, ma anche con le sue funzioni?»
Personaggio scomodo, uomo di intelligenza rara, una casa piena di libri e non solo di diritto, ma dai modi a volte anche scontrosi, inavvicinabile, scortato a vista per anni, temuto e ammirato, la sua storia non ha mai conosciuto il colore grigio, o bianco o nero, mai una mediazione, mai un tentennamento, mai una confessione aperta della solitudine immensa che, come magistrato della Repubblica, ha vissuto per anni. A volte l’ho aspettato per ore e ore, all’uscita della Procura di Palmi, per avere da lui una sola “primizia” o semplice “indiscrezione”, ma al massimo riportavo in redazione questo suo sorriso stentato e quasi beffardo che faceva di lui un vero “mastino” del Palazzo di Giustizia. (pn)