LA GUERRA DEI PONTI E IL “NO” IDEOLOGICO
SULLO STRETTO SOLO INUTILI DISCUSSIONI

di LEANDRA D’ANTONE – L’inaugurazione, nello Stretto dei Dardanelli, del ponte campata unica più lungo del mondo con 2,023 km di luce, opera i­niziata nel 2017 per collegare la Tur­chia europea con quella asiatica, era stata programmata per il 18 marzo 2023, ma ha addirittura anticipato di un anno in un giorno dal forte valore simbolico: 18 marzo, giorno della vit­toria militare di Ataturk a Gallipoli sulla Triplice Intesa nel 1915, consi­derato come quello della nascita del­la Turchia moderna. Il Cannakkale Bridge è stato progettato da Cowi società leader mondiale che aveva progettato il Ponte di Messina utiliz­zando la stessa tecnologia prevista per  lo Stretto, nota al mondo proprio come Messina type.

Il Cannakkale ha tolto il primato al ponte giappo­nese Akahasi, con 1,991 km di campa­ta unica, inaugurato nel 1998 per col­legare le due isole giapponesi Honsu (104 milioni di abitanti) e Awaij (157.000 abitanti). Entrambi i ponti sono stati realizzati in aree ad eleva­tissima sismicità, rappresentando anche attraverso le tecnologie più innovative e l’efficienza realizzativa, la dislocazione di assi portanti dell’e­conomia e della geopolitica mondiali verso l’Oriente e il Sud del Mondo.

L’Italia invece, naturale piattaforma europea nel Mediterraneo, è riuscita a sprecare persino la sua fortunatissi­ma posizione. Il progetto definitivo del Ponte sullo Stretto di Messina, era pronto nel 2009, dopo oltre 50 anni di studi approfonditi da parte dei migliori scienziati del mondo, al punto che i risultati di essi racchiusi in un primo Rapporto, furono pre­sentati nel 1981 nella prestigiosa sede dell’Accademia dei Lincei.

Il progetto definitivo, com’è noto, ha raggiunto la fase esecutiva nel 2011,, MEN dopo essere passato attraverso il vaglio dei gran­di advisor mondiali in campo tecni­co-ingegneristico, di impatto tra­sportistico, economico sociale ed ambientale, del Consiglio superiore dei Lavori pubblici al tempo presie­duto dal prof. Aurelio Misiti, del Cipe e degli azionisti della SdM. È stato af­fossato nel 2012 non dall’Unione Eu­ropea per deficienze della documen­tazione e scarsa affidabilità, ma dal Governo italiano (con l’avallo delle regioni Sicilia e Calabria complessi­vamente, negli anni decisivi imbelli e scarsamente lungimiranti), con motivazioni ideologiche di singolare inconsistenza:”non è una priorità”, a meno che alle parole vuote non si as­soci il loro vero significato.

Al di là della sua usuale retorica meridionalista non erano allora una priorità politica né il Sud né il superamento delle disuguaglianze territoriali (non sono riusciti a diventarlo neanche oggi). Della portata dell’occasione perduta è stato fino a pochi anni addietro convintissimo l’ing. Remo Calzona, che è stato Presidente del Comitato scientifico della Società Stretto di Messina che ha approvato il progetto preliminare al bando di gara per l’individuazione del Contraente Generale.

Ancora fino a qualche anno fa (Tempo stretto, febbraio 2019) Calzona ha sottolineato come il Ponte del Mediterraneo (sic!) col progetto del 2009 costituisse un’occasione d’oro: “Si poteva fare allora e si può fare adesso. Oggi è un’opera banale. Mentre in riva allo Stretto si disquisiva, il mondo intero andava avanti e costruiva ponti ben più complessi di quello di Messina”. È infatti quel che è accaduto in tutto il mondo con la realizzazione di ponti lunghi fino a molte decine chilometri. ad una o più campate, in Paesi o tra Paesi in cui nessuno ha avuto come in Italia pregiudizi contro le grandi opere o dubbi sul valore fondamentale, non solo economico-sociale, ma anche cultu­rale e ambientale delle connessioni ben studiate fra territori.

Nessuno ha comunque potuto negare che il patrimo­nio di studi accumulato per l’ideazione e la progettazione del collegamento stabile sullo Stretto abbia formato un archivio di conoscenze scientifiche di altissimo valore e rilievo mondiale. Senonché, in questi giorni, lo stesso ing. Calzona, presentando l’idea di ponte a tre campate, già verificata e scartata dagli advisor, ha accusato di imbecillità e analfabetismo chi aveva creduto nel precedente progetto (quindi anche se stesso?). Beninteso, soprattutto per chi del mondo degli ingegneri non fa parte e guarda con fiducia a tecnologie sem­pre più innovative, al punto a cui siamo arrivati e dopo il tempo perduto, ben vengano soluzioni migliori (esistono anche i vantaggi del ritardatario) se queste esistono davvero. Ma della proposta del ponte a tre campate non esiste neanche un progetto di massima che ne dimostri non solo la fattibilità tecnica ma anche il minor costo relativo.

Esiste, invece, la recente storia politica, che dopo il 2018 ha portato alla formazione di governi con forte presenza pentastellata, caratterizzati dal no ideologico a grandi opere infrastrutturali. La pan­demia e il PNRR hanno dal 2020 messo di fronte all’urgenza di investimenti soprattutto nel Sud e soprattutto in al­cune grandi infrastrutture di cui non si può più negare la necessità. La Com­missione “de Micheli”, insediata ad hoc nel 2020 dal Governo Conte, ha conclu­so che il Ponte è necessario. ma che oc­corre verificare gli “eventuali vantaggi” derivanti dalla realizzazione di un ponte a tre campate.

Il Ministro della Mobilità sostenibile del Governo attua­le, ha ereditato le conclusioni della Commissione “de Micheli”e ha stanziato risorse per 50 milioni per un ulteriore studio di fattibilità che metta a con­fronto il precedente progetto di Ponte a campata unica con quello di ponte a tre campate e che prevede persino l’opzione zero. Parallelamente è stato fi­nanziato con 500 milioni il potenzia­mento del traghettamento. Dunque si ricomincia daccapo. Alla fine dei conti, gli imbecilli sembriamo noi che, privi delle conoscenze tecniche, ma ancora lucidi nell’osservare i fatti politici, con­tinuiamo a crederci. (lda)

Leandra D’Antone è Professore senior di Storia contemporanea dell’Università di Roma “La Sapienza”

[courtesy La Sicilia, quotidiano diretto da Antonello Pireneo]