Tavoli di confronto tra Regione, sindaci e Prefetto di Reggio per Tendopoli di San Ferdinando

La Regione è pronta a finanziare, attraverso l’utilizzo di specifici fondi comunitari, lo sgombero e la bonifica della tendopoli di San Ferdinando. È quanto ha reso noto il presidente della Regione, Roberto Occhiuto, al termine del tavolo di confronto tra la Regione, i sindaci e il prefetto di Reggio, Massimo Mariani.

Presenti, all’incontro, l’assessore regionale alle Politiche Sociali, Tilde Minasi, i sindaci di San Ferdinando, Andrea Tripodi, e di Gioia Tauro, Aldo Alessio e il prefetto Mariani.

Oltre alla bonifica, inoltre, la Regione installerà, – presso terreni di proprietà regionale – di moduli abitativi non permanenti che potranno essere usati in modo temporaneo dai migranti durante i mesi di lavoro nei campi.

«Questa sistemazione – ha spiegato Occhiuto – avrà comunque nelle immediate vicinanze tutti i servizi necessari, gli uffici comunali, e i presidi permanenti delle forze dell’ordine e dei vigili del fuoco. Stop con le tendopoli e con i campi, il nostro progetto è quello di realizzare una soluzione abitativa momentanea ma allo stesso tempo sicura e dignitosa».

«I partecipanti alla riunione odierna – ringrazio il prefetto e le amministrazioni locali coinvolte per l’attenzione e la sensibilità dimostrate – si rivedranno a stretto giro, dopo che gli uffici della Regione predisporranno una specifica scheda tecnica in merito alla fattibilità dell’intervento» ha concluso il Governatore.

Per l’assessore Minasi, questo primo tavolo di confronto «è un primo, ma significativo, passaggio verso una soluzione idonea e condivisa per eliminare la tendopoli di San Ferdinando».

«Sin dall’insediamento con il presidente Roberto Occhiuto – ha spiegato – ci siamo impegnati ad individuare, con una certa priorità, quali direttrici intraprendere per garantire in primis i migranti occupati nei lavori agricoli ma anche l’intera area, dove si registrano situazioni di degrado sociale e di scarsa vivibilità per quanto riguarda la salute e l’incolumità di chi vi risiede, come dimostrano le presenze al di là della capienza possibile e come hanno dimostrato alcuni avvenimenti drammatici accaduti non troppo tempo addietro».

«Un incontro a più voci che, oltre al Prefetto – ha proseguito – ha ovviamente coinvolto i sindaci di San Ferdinando, Andrea Tripodi, e di Gioia Tauro, Aldo Alessio: è fondamentale un approccio corale al problema affinché qualsiasi azione sia frutto di una concertazione con i territori e con la massima autorità provinciale in materia di pubblica sicurezza. Sebbene si parli di moduli abitativi non permanenti, questi ultimi costituiscono una validissima alternativa allo status quo, perché più congrui ad una quotidianità decorosa, e rispondono ad un duplice intento, cioè bonificare la zona, appunto, nonché la sistemazione dei migranti in terreni di proprietà regionali per allontanarli da situazioni di abbandono e precarietà, mancando attualmente anche i servizi primari».

«La ferma volontà della Regione – ha concluso – che ha attivato tutti gli uffici preposti, che ringrazio per il lavoro che andranno a svolgere, è quella di definire, celermente e concretamente, il percorso più appropriato per rispondere alle esigenze di un’area della nostra terra che, troppo spesso, è balzata agli onori delle cronache per delle condizioni difficili che non intendiamo vengano mantenute oltre». (rcz)

ARCO JONICO, DIVERSAMENTE CALABRESI
L’ALTRO DIVARIO CHE SEPARA LA REGIONE

di DOMENICO MAZZA – Si parla tanto di mancata equità fra Nord e Sud della nazione, nonché di tutto ciò che, a questo insano andazzo, è collegato. Si discute di un Paese che ha generato figli e figliastri che sottrae, sempre più, ad un Mezzogiorno depresso per devolvere ingenti somme verso un Nord, già oltremodo sviluppato e per questo portato ad una eccessiva saturazione.

Poco però, se non nulla, si dice sull’invisibilità, la trasparenza, l’inconsistenza che l’Area Jonica Magnograeca, sconta rispetto all’altro versante della Regione.

Un sistema di trasporti pubblici che, da un lato, offre una parvenza di civiltà: autostrada, linea elettrificata e a doppio binario, treni veloci, aeroporto internazionale, un porto reso crocevia del Mediterraneo, ecc. Dall’altro versante, una strada (e già tale appellativo sa d’eufemismo) olocausto infernale, con più croci che lampioni, con svincoli ed accessi abusivi e, per buona parte del suo lungo tragitto, non superiore ai 6 metri d’ampiezza e con punte di traffico che, in alcuni casi, superano finanche l’A2. Una ferrovia monobinario, ancora non elettrificata, e risalente al periodo dei Borbone. Una sanità che non rispetta neppure il minimo sindacale dei Lea (meno di un posto letto ogni 1000 abitanti contro i 3 su 1000 del resto della Regione), nessun presidio di Giustizia tra Taranto e Crotone, ed un numero di forze dell’ordine ridotto ad un terzo di quelle che dovrebbero esserci.

Tutto ciò, ed altro ancora, ha contribuito notevolmente a generare quell’appendice periferica, ormai in cancrena, che è lo Jonio rispetto alle aree del centralismo. Una periferizzazione che oltre la geografia ha creato un ritardo culturale che, da Sibari in giù, si taglia con il coltello.

Si avverte quanto le popolazioni e anche gli Amministratori, ad ogni livello di rappresentanza, (non tutti per fortuna, ma sicuramente la stragrande maggioranza) si sentano in una posizione di disagio, ancor prima culturale che geografica, rispetto alle aree dei Capoluoghi storici. Non si spiegherebbe, altrimenti, la mancanza di visione, di progettualità, di politiche che riverberino benessere alle popolazioni.

Non è pensabile di poter assistere, sullo Jonio, alla celebrazione di ordinaria amministrazione presentandola con effetti di straordinarietà, pur nella consapevolezza di aver mescolato il nulla al niente, quando dall’altro lato vengono partoriti progetti sinergici e dalla lungimirante parvenza. E non è neppure giustificabile l’atteggiamento arrendevole delle popolazioni e degli Amministratori, che si dilettano a manifestare rabbia sui social senza poi però alla protesta far seguire la proposta.

Senza una riorganizzazione regionale che sia foriera di un nuovo ed equilibrato bilanciamento, prima culturale e di conseguenza su basi  territoriali caratterizzate da affinità e comuni interessi, l’Arco Jonico, Sibarita e Crotoniate, andrà sempre più verso una deriva in cui il territorio non potrà considerarsi parte di una Regione, ma, giocoforza la sua parte diversa: i diversamente calabresi.

La politica, il civismo, le casacche di tutto l’Arco costituzionale sono chiamate ad un’operazione non più differibile: schiarirsi le idee, smettendola con proclamazioni di vacuità e studiando le modalità per portare fuori dal baratro della depressione un territorio ormai alla canna del gas. Il prossimo Consiglio regionale, qualunque sia il colore che lo caratterizzerà, non potrà permettersi il lusso di continuare a tenere nell’indigenza un quarto della popolazione calabrese.

Un corpo non funzionerà mai alla perfezione se ogni organo ed ogni arto non saranno messi in condizione di generare sincronie contribuendo, ognuno per la sua parte, all’armonizzazione dell’insieme.

Se questa Regione continuerà ad essere madre con taluni e matrigna con altri, allora non sarà più il caso di chiamarla Regione, ma guazzabuglio malriuscito di un’amalgama pensata solo per tutelare sacche di accoliti a danno di intere collettività. (dm)

[Domenico Mazza è co-fondatore del Comitato per la Provincia della Magna Graecia]

Molinaro (Lega) sulla vicenda acqua per irrigazione nel Crotonese

Il consigliere regionale della LegaPietro Molinaro, in merito alla vicenda dell’acqua per irrigazione nel Crotonese, ha sottolineato che «non è più accettabile continuare ad assistere ad un ruolo marginale e da spettatrice della Regione, quasi da Ponzio Pilato, che non difende gli interessi generali e dei territori privilegiando gli interessi della multinazionale che paga le tasse fuori dai confini regionali e sta  impoverendo sempre di più i calabresi e l’economia agricola ed agroalimentare della regione».

Per il consigliere regionale, infatti, «è giunto il momento di porre fine a questa ingiusta anomalia». Nel corso della conferenza stampa del Consorzio di Bonifica e Irrigazione di Crotone, il presidente del Consorzio Torchia «ha illustrato tutte le fasi che hanno portato alla non soluzione dell’annoso problema – ha spiegato Molinaro –. In gioco ci sono la perdita di 20/40 milioni di euro di produzione agricola a causa della inspiegabile  mancanza di coraggio e determinazione dei Dipartimenti Regionali che non contestano ad a2a l’uso improprio della risorsa acqua dei laghi silani».

«La società che gestisce i laghi silani – ha concluso – in regime di monopolio continua a rapinare i calabresi e purtroppo bisogna constatare che ci sono  tante e troppe connivenze che hanno determinato il paradosso di considerare nei fatti il Consorzio di Bonifica una controparte che è costretta ad elemosinare l’acqua». (rcz)

Covid-19 / Innalzare la spesa sanitaria per produrre crescita di salute

  • La dott.ssa Mariateresa Fragomeni, già assessore regionale al Bilancio nella Giunta Oliverio, è una commercialista ed esperta contabile di chiara fama e collabora con la Luiss al Master di Risk Management in sanità. Questo il suo contributo in merito all’attuale scenario dell’emergenza sanitaria.

di MARIATERESA FRAGOMENI – L’emergenza Covid ha stravolto il nostro modo di vivere e, probabilmente, ci ha cambiato per sempre, come singoli e come comunità. In poche settimane, su tutto il pianeta, ci si è resi conto che non sono il libero mercato e l’economia, ma il senso di umanità e di solidarietà, che stanno tenendo il mondo insieme.

In ambito sanitario, l’emergenza Covid ha messo a nudo tutte le criticità ed i limiti di un sistema sempre più basato alle sole regole di mercato. Quanto, però, questo sistema sia in realtà fallimentare, lo si è visto in queste settimane. I modelli sanitari improntati al criterio della massima produttività, dove si privilegia la concentrazione ed il potenziamento dei settori a più alta redditività, mentre si abbandonano quelli a più alto rischio o basso rendimento (vedi le terapie intensive) sono collassati su se stessi. Al contrario, hanno retto, di più e meglio, quei modelli in cui il pubblico è più forte, dove si privilegia l’erogazione del servizio e la distribuzione sul territorio ed in cui il privato agisce ad integrazione del pubblico e non in sua sostituzione.

L’esperienza di questi giorni, ci ha insegnato, inoltre, che la salute non è solo un bene primario individuale, ma è un bene sociale da difendere e tutelare come interesse generale dell’intero paese.

E se la dimensione del problema è nazionale – anzi – sovranazionale – allora l’approccio allo stesso deve essere di ampio respiro, senza le tare ideologiche che caratterizzano il braccio di ferro tra l’apparato centrale e quelli locali. I principi di sussidiarietà e di decentramento vogliono che le amministrazioni locali si occupino di questioni di respiro locale, mentre quelle nazionali si occupino di questioni di ambito nazionale o internazionale.

La crisi di questi giorni ci ha ricordato (non si può dire insegnato, perché lo sapevamo già) che la cura della salute è una questione di carattere generale e nazionale, non certo regionale. Facendo un brevissimo excursus sulla disciplina del nostro sistema sanitario, va detto che questo è stato interessato, nel tempo, da una serie di interventi legislativi che lo hanno via via trasformato profondamente. Dal 1992, (con il D. L. n 502/92) al 1999 (con il d.lgs. n. 229/1999) si è passati da una concezione di assistenza pubblica illimitata, ad un sistema in cui la spesa sociale e sanitaria doveva essere proporzionata alla effettiva realizzazione delle entrate: le vecchie USL sono diventate ASL, ossia aziende pubbliche con a capo un “manager” e successivamente ASP (passando da un ambito territoriale locale ad uno provinciale).

Per contrappeso, è stato introdotto, sin dal ’92, il principio dei c. d. LEA, ossia dei livelli essenziali di assistenza, uniformi su tutto il territorio nazionale, ai quali, però, le singole regioni, con oneri a carico dei propri bilanci, avrebbero potuto aggiungere servizi ulteriori. Va detto però che la concreta attuazione delle riforme è sempre stata asimmetrica: se da un lato, infatti, si è data da subito attuazione ai principi “aziendali”, dall’altro è mancato, dall’inizio, un piano sanitario nazionale e la stessa definizione dei LEA, è arrivata molto più tardi (solo nel 2001).

Sul piano attuativo, poi, i livelli minimi non sono mai stati raggiunti ed applicati su tutto il territorio. Con la (a voler essere generosi) opinabile riforma del titolo V del 2001, infine, è stato costituzionalizzato il passaggio dal servizio sanitario nazionale a quello regionale.

Tuttavia, come accennato in precedenza, si è trattato di una riforma progettata male ed attuata ancora peggio. L’asimmetria tra il criterio dell’efficienza contabile e quello del livello adeguato del servizio, ha creato un vero e proprio circolo vizioso: da un lato, infatti, la mancanza dei servizi essenziali crea inefficienza e migrazione sanitaria, che si risolve in un disavanzo di gestione e nella risposta statale dei commissariamenti e dei tagli lineari, dall’altro non si può riuscire a garantire i livelli essenziali, senza effettuare investimenti ed assumere personale sanitario, cosa che però è resa impossibile dal regime dei piani di rientro che prevedono il blocco del turn over.

In realtà, se si guarda al servizio sanitario nel suo complesso, la sua regionalizzazione non ha portato dei miglioramenti al sistema globalmente inteso, ma ha solo trasferito servizi e risorse da alcune zone già povere e depresse, ad altre realtà c. d. (per autodefinizione) virtuose.

Il sistema, però, nel suo complesso, non ci ha affatto guadagnato:

– c’è stata maggiore confusione e sovrapposizione di competenze tra Stato e Regioni;

– il contenzioso è cresciuto a dismisura ed è cresciuta altrettanto esponenzialmente la spesa complessiva che, dal 2000 ad oggi, è aumentata del 69% in termini nominali e del 22% in termini reali.

Dunque la sanità, oggi, non solo costa complessivamente di più, ma funziona anche peggio, perché drena molte risorse che non finanziano il servizio in sé, ma la mobilità passiva.

Vi è poi un altro dato che merita di essere preso in seria considerazione, ossia quello che riguarda l’asimmetria nella ripartizione della spesa pro capite, che è molto più alta nelle regioni del Nord (mediamente del 50%) rispetto a quelle del Sud. E si tratta di un divario che è inevitabilmente destinato ad aumentare, soprattutto se si darà attuazione alle richieste di autonomia differenziata di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Eppure, soprattutto in tema di bisogni anelastici (o di domanda caratterizzata prevalentemente da componenti anelastiche) l’investimento in termini di spesa pubblica smette di essere produttivo oltre una certa soglia.

Secondo molti studi (ad esempio il modello Dea dell’Oecd, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) nei territori a bassa spesa sanitaria, un suo innalzamento può produrre una notevole crescita di salute, mentre nei territori che già spendono oltre una certa soglia – quelli evidentemente più ricchi , o che comunque, come in Italia, attraggono una quota maggiore di risorse pubbliche – un aumento ulteriore di spesa non garantisce un corrispondente aumento della salute generale.

Va dunque ripensato il ruolo delle regioni, che non possono essere le titolari di un settore così importante per i cittadini, dando vita ad un sistema frammentatissimo, con 20 sottosistemi diversi ed in concorrenza tra loro. Va però ripensato anche il ruolo del Governo: anch’esso frammentario e soprattutto improntato ad una logica ragionieristico-sanzionatoria.

Il Governo è infatti (o dovrebbe essere) responsabile della concreta attuazione dei LEA (la salute è prima di ogni altra cosa un diritto) ma, mentre è vigile e solerte quando si tratta di intervenire sul disavanzo, rimane di fatto inerte quando si tratta di agire sul disservizio.

Il punto è, però, che i due aspetti sono quasi sempre correlati, per cui, se c’è un disservizio, il cittadino andrà a curarsi altrove e la regione subirà una perdita economica. Per rendersene conto, basta prendere ad esempio quello che sta accadendo nella realtà calabrese dove, nonostante la sanità sia commissariata da oltre un decennio e la gestione sia stata caratterizzata da una politica di continui tagli lineari, il disavanzo, anche a causa della mobilità passiva, è sempre cresciuto. Va dunque rivisto, con una organica riforma legislativa, sia il ruolo del Governo che delle regioni, a queste ultime può ben restare la gestione – in termini rigorosamente esecutivo amministrativi – ma il sistema va pianificato e normato a livello nazionale.

Le procedure devono essere uniformi e più snelle ed a tal fine bisogna certamente agire sulla burocrazia, senza decentrare i processi decisionali, altrimenti si rischia solo di sostituire la burocrazia statale con quella regionale. Il Governo centrale, inoltre, ogni qualvolta si verifica un disservizio, deve intervenire non solo, in chiave squisitamente ragionieristica, sul relativo capitolo di spesa, ma piuttosto deve agire (e rimuovere) la causa concreta del problema.

La sanità, deve tornare ad essere un diritto, e come tale, deve essere garantita, per tutti i cittadini e su tutto il territorio nazionale. (mf)

 

Mariateresa Fragomeni, ex assessore al Bilancio alla Regione Calabria, è dottore commercialista
Gestore del rischio in sanità, collaboratrice direzione Master di Risk Management in sanità di Luiss Business School

Alla ricerca di una concreta idea di sviluppo. Gli anni Venti aprono alla sospirata crescita

di SANTO STRATI – Permetteci un pizzico di ottimismo: guardando la fotografia della sempre sorridente famiglia Anania di Catanzaro (16 figli) simbolo di una Calabria che, nonostante gli ovvi problemi, guarda con fiduciosa allegria al futuro non si può non pensare che, in fondo, anche la Calabria ce la possa fare. Certo, l’alba di questi anni Venti del III Millennio si apre con molte incognite, tante promesse e illusorie speranze, ma ci sono segnali che lasciano immaginare spazio al cambiamento. Prima di ogni cosa il cambiamento deve riguardare il modo di pensare: è mancata fino ad oggi, in cinquant’anni di discutibile regionalismo, un’idea di sviluppo che associasse ai buoni propositi e agli annunci (spesso roboanti e inutili) l’effettiva realizzazione dei progetti. È mancata un’idea di progettualità che coinvolgesse ogni territorio della regione, dai capoluoghi alle periferie, dai centri di eccellenza universitari alle scuole rurali, dalle piccole iniziative artigianali di tradizione alle attività industriali che pure non mancano. In poche parole, la creazione, la realizzazione di una rete di risorse in grado di utilizzare al meglio ogni capacità, ogni competenza, guardando soprattutto al merito e alla professionalità. Non ci si improvvisa amministratori pubblici, si può imparare col tempo, ma occorre avere  quanto meno ben chiaro il concetto di bene comune. Onestamente, non possiamo dire che in questi cinquant’anni (le Regioni nacquero proprio nel 1970) siano stati in tanti, tra amministratori regionali, provinciali, comunali, a pensare soltanto ed unicamente al bene comune. Non è un difetto della sola Calabria, intendiamoci, ma da noi quest’aspetto pesa ancor di più perché questa terra sconta secoli di abbandono e indifferenza, preda di “conquistatori” che hanno soltanto preso senza mai dare, vittima di politiche assistenzialistiche volte solo ad arricchire i potenti di turno, con iniziative che un tempo si definivano “cattedrali nel deserto” e che non portavano posti di lavoro, né crescita né sviluppo alla regione.

Bene, ora è tempo di voltare pagina. È l’ultimo treno della notte, l’Italia è in recessione (persino la Grecia data per spacciata qualche anno fa ha fatto il doppio del nostro PIL) e i nostri governanti stanno a litigare su quota 100 e quel risibile reddito di cittadinanza che, se ha portato il sorriso a qualche famiglia veramente indigente, è servito solo a far aumentare (illusoriamente) il consenso verso i grillini. Non serve assistenzialismo, servono opportunità di lavoro, serve creare situazioni che permettano agli imprenditori di investire e ai giovani di trovare un impiego sicuro, stabile e, soprattutto, duraturo. La precarietà dalle nostre parti è una ricorrente ed epidemica calamità. Tanti soldi buttati via, finanziamenti a pioggia per iniziative prive di qualunque contesto di mercato, e allo stesso tempo soldi negati all’autoimprenditorialità dei giovani e dei disoccupati ai quali, a fronte di un qualsiasi progetto, al di là della sua validità, le banche calabresi chiedono garanzie di terzi, persino sulla parte interamente finanziata. Ma un disoccupato che vuole, per esempio, allevare lumache dove trova le garanzie per il prestito necessario per avviare l’attività? Ma non è solo questo. Indubbiamente la strana politica creditizia degli istituti bancari nel Mezzogiorno mal si concilia con qualsiasi proposito di avviare un’attività, mettendo insieme ingegno, operosità e fiducia nelle proprie capacità. C’è chi ci è riuscito, vi sono startup calabresi che hanno mostrato di saper fare bingo con le proprie idee, ma sono mosche bianche.

Il futuro governatore (o governatrice) non avrà vita facile: dovrà impegnarsi a una politica del fare che finalmente veda realizzarsi i progetti che non possono restare sulla carta, dovrà combattere (e ridimensionare il più possibile) l’ottusa burocrazia regionale che deprime e scoraggia qualsiasi iniziativa, dovrà affrontare troppi temi che richiedono immediata soluzione. Nell’agenda del futuro inquilino della Cittadella di Germaneto figurano molte criticità, a cominciare dalla sanità. Non è più tollerabile che i calabresi non possano curarsi nella propria terra, dove ci sono fior di specialisti che molte università ci invidiano. Non solo è una spesa insopportabile per la Regione, ma è un vergognoso accanimento contro chi ha bisogno di cure. Il commissariamento della sanità in Calabria ha fatto troppi guasti che solo un drastico annullamento del debito potrebbe, alla fine, far dimenticare: la politica della salute è stata gestita malissimo non solo dal governo centrale nei confronti della Calabria, ma anche a livello regionale, risalendo indietro nel tempo di venti e più anni. È il primo impegno che si chiede a chi ci governerà per i prossimi cinque anni: una soluzione immediata che dia respiro ai malati e offra, oltretutto, sbocchi occupazionali, visto che mancano nella regione medici, infermieri e personale sanitario specializzato.

Altro tema che affidiamo al prossimo Presidente è quello della mobilità, a cominciare dal problema aeroportuale. Quello di Reggio è il caso più emblematico, oltre che vergognoso: l’Aeroporto dello Stretto non vola, pur avendo un potenziale bacino d’utenza che si allarga fino alla vicina Messina. Sono crollate le partenze, si giustificano quelli della Sacal, la società che gestisce i tre aeroporti calabresi, ma si può facilmente obiettare che se si offrono partenze e arrivi a orari impossibili risulta evidente che i reggini siano costretti ad altre soluzioni. Un esempio per tutti, i voli Reggio-Roma-Milano (gli unici rimasti): fino a qualche tempo fa si partiva al mattino e si poteva fare ritorno alla sera, ora non più. Quanti sono i professionisti, i bisognosi di un consulto medico, costretti a pernottare per attendere il volo del giorno dopo per rientrare in Calabria? Qualcuno (la Sacal?) obietterà: ma ci sono i voli da e per Lamezia. Ma perché un calabrese (non solo reggino) o un messinese deve fare 50 minuti di volo e poi 100 minuti di bus? Lamezia non deve togliere traffico a Reggio e Crotone, occorre fare rete, se no diventa una guerra di chi fa più numeri con l’esito di una partita persa a tavolino. Ma la mobilità non è solo nei cieli: abbiamo un servizio ferroviario da terzo mondo (e per fortuna hanno elettrificato parte della rete jonica), eppure a Reggio potrebbero arrivare sia il Frecciarossa che Italo (magari non ad altisissima velocità, ma ci sono studi che confermano la percorribilità senza problemi). Ma non gliene frega a nessuno, della Calabria pare non gliene freghi niente neanche a gran parte dei suoi parlamentari. Sfogliando le pagine dedicate dal nostro giornale al Parlamento si scopre che l’attività dei parlamentari calabresi ha riguardato malappena il 10% i problemi della Calabria. E poi c’è chi si chiede perché la gente non ne può più della politica e diserta le urne.
Ovviamente non se ne può più di questa politica, fatta di mirabolanti annunci, ma zero realizzazioni. La stessa politica che mortifica i giovani rubando loro il futuro: le cifre dell’abbandono dei giovani che partono in cerca di prospettive e benessere è spaventosa. negli anni Venti, del secolo scorso, partivano contadini, artigiani, manovali verso le Americhe. Anni di dolore, sacrifici, mortificazioni, soprusi, cui sono seguiti per tanti il successo e la meritata fortuna. I nostri emigranti calabresi del secolo scorso hanno fatto la fortuna loro e del Paese che li ha accolti; i nostri ragazzi, preparatissimi, competenti e capaci, stanno facendo la fortuna (tecnologica) di molte regioni del Nord, ma anche di tanti altri Paesi che, furbamente li accolgono a braccia aperte. La Calabria spende per preparare questi giovani (le nostre Università sono centri di eccellenza, lo ripeteremo fino alla noia) e poi rinuncia a utilizzare queste risorse. Si svegli il futuro presidente e crei una cabina di regia sul lavoro. Non servono fabbriche in Calabria, servono opportunità di occupazione nel campo del turismo, della cultura, dell’agricoltura, della tecnologia. Il ministro per il Sud, Peppe Provenzano, ieri in un’intervista a Repubblica ha annunciato che sono pronti 100 miliardi in dieci anni per il Mezzogiorno. Ci sono risorse comunitarie che vergognosamente ritornano al mittente inutilizzate. È questa la vera sfida, è questo che ci si aspetta dal nuovo governo regionale. Gli anni Venti cominciano domani, facciamo cominciare una nuova era alla nostra amatissima Calabria. Auguri. (s)

Regionalismo differenziato. Oliverio scrive ai governatori del Sud

Il presidente della Regione Mario Oliverio ha inviato una lettera ai governatori delle regioni meridionali per un incontro che affronti in modo corale e condiviso le preoccupazioni del regionalismo differenziato.

«Nelle prossime settimane, – si legge nella lettera di Oliverio –  la bozza di intesa ministeriale finalizzata a delineare un nuovo rapporto tra lo Stato ed alcune singole Regioni, potrebbe pervenire  ad una definitiva approvazione. Non è, comunque, trascurabile il fatto che lo stesso dibattito, che si è sviluppato intorno al cosiddetto progetto di autonomia differenziata, abbia già concretamente modificato ed alterato il confronto tra Stato e Regioni. La stessa conferenza Stato-Regioni rischia di essere vanificata nelle proprie prerogative istituzionali, mentre il Parlamento rischia di essere svuotato della sua centralità e funzione essenziale, su un  nodo sostanziale relativo alla definizione del rapporto Stato e Regioni. Un fattore certamente non secondario per le prospettive del Paese e per la stessa coesione nazionale. Il mio allarme è, dunque, teso a sollevare non solo una questione di metodo. Ovviamente, esso è motivato soprattutto dalla preoccupazione che la revisione costituzionale relativa ad una molteplicità  di materie e funzioni, ad esclusivo vantaggio di alcune regioni ed aree forti del Nord, possa acuire gli squilibri accumulati e non risolti nel corso di decenni a netto svantaggio del Sud e delle sue popolazioni. In particolare, saranno i giovani costretti in larga maggioranza ad abbandonare la propria terra. Una impostazione che di fatto mette in discussione il Patto Nazionale su cui si regge l’impianto istituzionale e democratico. Il rischio che si possa creare una grave frattura sociale ed istituzionale è reale».

»È innegabile – prosegue il documento – che tale frattura possa mettere in discussione il principio della parità dei diritti universali e di cittadinanza. Nessun parametro fiscale  può essere assunto come elemento regolatore per definire i livelli essenziali di prestazione (lep) e i costi standard per i servizi primari. Saremmo costretti, inevitabilmente, a registrare una classificazione diversificata  tra territori e cittadini di serie A e altri di serie B o di categorie ancora più inferiori. Ciò nega il principio di eguaglianza per garantire pari dignità e libertà a tutti i cittadini. Tale rischio è assolutamente da evitare. Ci si troverebbe di fronte ad un processo di secessione erosivo delle fondamenta dello Stato unitario e Nazionale. Penso conveniaTe che le regioni, a cui ci è stato attribuito il dovere di rappresentanza, siano le più esposte ai contraccolpi di una politica rivolta a potenziare solo l’interesse di alcune del nord. Va da sé che non è mia intenzione sollevare o soffiare su vecchi e nuovi conflitti tra Nord e Sud del Paese. Nella attuale contingenza  il tema è ben altro: la necessità di un rilancio della forza e della capacità di competere dell’intero nostro Paese. Sarebbe un errore storico, di grave miopia politica, se si dovessero consegnare interi sistemi territoriali meridionali ad una condizione di abbandono e marginalità. Il danno non sarebbe soltanto quello di una accentuazione del dualismo storico ma quello della penalizzazione e della mancata crescita economico-sociale dell’insieme del Paese. Tutto ciò sarebbe ancor più miope, di fronte alla necessità di un rinnovato rapporto con l’Europa. Anche a questo fine, un Sud meno residuale ma più produttivo e moderno è una convenienza per l’ Italia intera. Al fine di un approfondimento di questi temi e con l’intento di poter pervenire ad una proposta unitaria da parte delle Regioni del Mezzogiorno, vorrei con la presente chiedere la Vostra disponibilità a partecipare ad un incontro tra i Presidenti delle Regioni del Sud e, dunque, concordare telefonicamente data e luogo di questo nostro appuntamento. Tale incontro ritengo debba essere aperto alle forze sociali, alle Università e ai rappresentanti delle amministrazioni locali». (gsc)

I dati Istat e l’allarme della Sculco: la disoccupazione cresce nel Mezzogiorno

La consigliera regionale Flora Sculco (Calabria in Rete) lancia l’allarme sul facile ottimismo sui dati appena diffusi dall’Istat relativamente alla crescita dell’occupazione e alla diminuzione dei disoccupati.

«I recenti dati pubblicati dall’Istat sul lavoro in Italia – afferma la Sculco – consentono di esprimere  moderata soddisfazione e, al contempo, confermano alcune preoccupazioni. Di sicuro, è particolarmente interessante il dato relativo alla crescita della forza lavoro occupata e la riduzione della percentuale di disoccupazione che va sotto la soglia del 10 %. Tuttavia – sottolinea la consigliera regionale –  bisogna  capire se tutto ciò è dovuto al traino esercitato dal positivo andamento dell’occupazione nell’intera Europa, oppure se si tratti di una tendenza strutturale riferita al nostro Paese e che può aprire una prospettiva di stabile e duratura crescita dell’occupazione. L’Italia, com’è noto,  nonostante il miglioramento dei dati sul lavoro,  si colloca tuttora  al terz’ultimo posto in Europa seguita dalla Spagna e dalla Grecia».

«Purtroppo, – aggiunge la Sculco – la crescita dell’occupazione non ha interessato le fasce giovanili per cui i  livelli di disoccupazione rasentano cifre elevatissime, mai conosciute dal dopoguerra, ma, ancora più grave, l’occupazione non solo non aumenta bensì peggiora nelle regioni meridionali ed in particolar modo in Calabria. Permane acuito il dislivello Nord-Sud al punto che si può quasi dare per certo che  alcuni provvedimenti del Governo come il “Decreto dignità”, voluto particolarmente dal vicepremier Di Maio, abbiano avuto qualche effetto positivo esclusivamente  nelle aree produttive del Nord, dove ha stimolato e favorito la trasformazione di lavoro precario in lavoro stabile mentre nel Sud, in quelle attività legate ad un andamento fluttuante del mercato del lavoro,”ha provocato un vero e proprio disastro,  come nel caso della Datel,  in particolare modo nella città  di Crotone  dove 800 lavoratori invece di essere stabilizzati  sono finiti nelle spire del licenziamento  e la conseguente disperazione. Senza dire che  l’emorragia non solo non è bloccata, ma continua a produrre ulteriori effetti disastrosi sui livelli occupazionali che sembravano essere consolidati nel sistema produttivo dell’azienda. Si accoglie  con favore, la notizia che, finalmente il 19 luglio, è stato  convocato al Ministero del Lavoro uno specifico incontro sulla situazione della Datel. Ovviamente auspichiamo che tale circostanza non sia un atto di cortesia e niente di più,  magari un ennesimo viaggio della speranza senza risultati che non potrebbe che ingenerare  ulteriore delusioni e sfiducia».

«Se migliora solo al Nord il quadro occupazionale mentre al Sud resta immobile, anzi peggiora, – conclude Flora Sculco – non c’è dubbio che il Governo Salvini-Di Maio, alimentati elettoralmente entrambi dal Sud, ha ignorato e continua sostanzialmente a farlo il Mezzogiorno verso cui, aldilà delle scempiaggini propagandistiche e millantatorie, da un lato non sono indirizzate  risorse per sostenere  un Piano di rilancio dell’economia e,  dall’altro,  sono  addirittura tagliate le risorse finalizzate ad alcune infrastrutture originate nel  precedente Governo Gentiloni. Oltre che per il delitto istituzionale annunciato dal Governo circa il regionalismo differenziato, torna indispensabile, dinanzi all’impoverimento generalizzato del Mezzogiorno, una sua reazione corale che superi la semplice protesta e definisca  una comune strategia di proposte per un’Italia unita che vuole crescere e tornare ad essere forte ed autorevole in Europa e nel mondo». (mp)

Il dopo-primarie: «Una vittoria straordinaria che premia la voglia di partecipare»

La vittoria di Nicola Zingaretti alle primarie PD mostra la rinnovata vitalità dei democrats in Calabria. Numerose le dichiarazioni dei principali protagonisti della sinistra in Calabria.

«Un risultato netto e chiaro. – ha scritto su FB il governatore Maio Oliverio – Straordinario il dato della partecipazione: bella, intensa, emotiva e che anche in Calabria è stata forte, viva, allegra, densa di significati. Il risultato ci consegna, tra le altre cose, una grande responsabilità nel ridare slancio e fiducia al popolo del centrosinistra, evitare ulteriori frammentazioni, unire le forze del vero cambiamento in vista delle imminenti elezioni europee. C’è poi il problema grande del partito, di dare corpo e sostanza, finanche vita aggiungerei, ad un’organizzazione che negli ultimi tempi è sembrata come sparita dalla scena politica, in particolare nel Sud e in Calabria. 

Il Governatore Mario Oliverio
Il Governatore Gerardo Mario Oliverio


«Ci sarà tempo e modo – scrive Oliverio – di discutere e di vedere che fare e come fare. Il nostro assillo dovrà tradursi prima di tutto di lavorare nel Mezzogiorno d’Italia, forse ancor più che altrove, a costruire una grande e moderna forza politica di massa, popolare e organizzata territorialmente, che interpreti per davvero ansie, bisogni, aspettative di quella parte grande della società che anche quando esprime disaffezione è portatrice di molteplici domande di cambiamento.
«Qui abbiamo bisogno di un Pd che senza ambiguità dica, ad esempio, un no chiaro al disegno di spezzare in due il Paese, un disegno che finirebbe per impoverire ancora di più un’area che ha invece risorse per determinare il proprio riscatto ma anche per incidere significativamente nel processo di crescita e modernizzazione del Paese. Esattamente il contrario di quello che l’attuale Governo, invece, sta facendo».

Nicola Irto
Il presidente del Consiglio regionale Nicola Irto

Il presidente del Consiglio regionale Nicola Irto: «È stato emozionante e commovente vedere le tantissime persone, giovani e anziane, che in questa domenica si sono messe in coda per votare alle primarie del PD. Grazie a ciascuna e a ciascuno di loro. E grazie ai tanti volontari che hanno reso possibile questa straordinaria giornata di partecipazione e di democrazia. Ricominciamo da qui: da questo #3marzo storico, dal nostro popolo, dalla serenità e dai sorrisi dei gazebo, dall’entusiasmo di chi vuol costruire un’Italia migliore e, al tempo stesso, normale. Auguri di cuore e buon lavoro al segretario #Zingaretti. Adesso rimbocchiamoci le maniche e mettiamoci all’opera perché il Partito Democratico deve rispondere a questa grande domanda di partecipazione e buona politica. Riprendiamo slancio per essere, oggi più che mai, al servizio dell’Italia».

«Queste primarie – ha detto il sindaco metropolitano di Reggio Giuseppe Falcomatà – segnano un punto di svolta non solo per il Pd ma per il Paese. Il nostro popolo ha dimostrato di avere una gran voglia di partecipare. Questa giornata, una vera e propria festa per la democrazia, consegna a Nicola una comunità solida ed entusiasta, plurale ed unita, pronta ad abbracciare la sfida dell’alternativa al Governo delle destre e dei populisti. È una vittoria straordinaria che ci assegna una grande responsabilità: sono convinto che faremo un ottimo lavoro». (rrm)

70.000 calabresi ai gazebo delle primarie PD A Zingaretti la “ricostruzione” della sinistra

di SANTO STRATI

— Due dati sono estremamente significativi di queste primarie PD: il primo riguarda la straordinaria affluenza (oltre 1.800.000 a fronte di una stima che faticava ad arrivare al milione), il secondo la percentuale altissima di consensi al nuovo segretario. Entrambi gli elementi concorrono a rendere chiaro che la sinistra “non è morta” (forse stava solo sonnecchiando?) e che, anche in Calabria, c’è voglia di alternativa e di riscatto. Marco Minniti, mancato aspirante segretario, aveva rimarcato che un segretario che non avesse raggiunto la maggioranza alle primarie sarebbe stato un segretario dimezzato, costretto a subire i giochi del congresso, incapace di riunire le tante “anime” della sinistra. Nicola Zingaretti ha sbaragliato ogni previsione che pur lo dava per vincente: la sua missione – ricostruire la sinistra – è sicuramente ora più agevole, perché la grande partecipazione al voto mostra un elettorato che vuole tornare ad essere protagonista, che faccia sentire la presenza di un’opposizione che, francamente, sembrava davvero all’acqua di rose negli ultimi tempi.

È un ottimo segnale che si associa all’altro pervenuto sabato scorso da Milano: la società civile (quella che in piazza Duomo ha riunito giovani, donne, anziani, militanti o semplici cittadini) non può più tollerare di vedere l’Italia andare a rotoli, a causa di dilettanti allo sbaraglio che credono di governare solo con le parole e i proclami. È ora che torni la politica, quella seria, dove l’opposizione faccia l’opposizione dove è necessario, valuti e trovi eventuali alleanze per proporre un governo agli italiani, in grado di rimettere in moto crescita e sviluppo.

Per correttezza, occorre riconoscere anche agli altri due candidati, Maurizio Martina e Roberto Giachetti, il merito di avere dato una sorta di scossa a un partito che sembrava destinato a cambiare nuovamente nel difficile percorso di condivisione e di aggregazione delle sue varie componenti (non basta – come pensa qualcuno – cambiare solo il nome per rigenerare un partito). Invece, la risposta che viene da queste primarie è la supremazia della politica sull’incompetenza e il pressapochismo. Èd è un segnale che in Calabria va letto con una lente ancora più spessa: le due mozioni a sostegno di Zingaretti (una di Oliverio, l’altra di Carlo Guccione) hanno contribuito al successo del candidato, ma hanno, qualora non si fosse capito, rimarcato lo spirito divisivo che ancora insiste nella sinistra e, in particolar modo, nel pd calabrese.

Il tentativo di delegittimare Mario Oliverio – al di là delle vicende giudiziarie che, di fatto, hanno dimezzato il ruolo del governatore – in termini politici è riuscito solo in minima parte: il commissario regionale Stefano Graziano sta facendo il possibile per riallacciare le fila di componenti fuori controllo, ma dovrà essere Zingaretti – che non è venuto in Calabria nel suo pur faticoso tour elettorale – a indicare soluzioni non più divisive. La Calabria andrà al voto probabilmente a novembre e il candidato “naturale” Oliverio non sembra essere la scelta più azzeccata per contrastare una destra che è quasi certa di conquistare la Cittadella di Germaneto. Destra o sinistra, governo od opposizione, il fatto è che la Calabria ha bisogno di essere guidata: troppa burocrazia, troppi progetti fumosi, poca adesione al contesto sociale, alla realtà quotidiana. Chi vincerà le prossime elezioni regionali dovrà fare i conti con questo quadro d’insieme, se avrà a cuore una ripartenza seria per una regione sempre più ai margini, incapace di sfruttare e utilizzare le tantissime risorse del territorio e dei suoi validissimi giovani laureati.

A valutare l’operato di Oliverio in questi anni di governo regionale ci penseranno gli elettori, se sarà riproposto per un secondo mandato, però il malpancismo, tipico della sinistra e ancora più accentuato dalle nostre parti, potrebbe suggerire altre soluzioni. La Calabria ha una tradizione di lotte contadine, di una sinistra forte e combattiva: in questi ultimi anni, però, la sinistra ha mostrato solo il suo aspetto litigioso e divisivo, lontano dal popolo, staccato dalla realtà, non in grado di interpretare i sentimenti popolari. Facile col populismo intaccare questi valori, ma si può, sicuramente, recuperare.

Al neo segretario, in questo momento, arrivano complimenti e felicitazioni; noi vorremmo suggerire, da subito, di aprire il dossier Calabria: sono troppi i problemi da risolvere e non sarà l’assistenzialismo del reddito di cittadinanza (se mai vedrà la luce) a modificare in alcun modo la drammatica situazione occupazionale e la costante emorragia di risorse giovani, costrette all’emigrazione più odiosa, quella intellettuale. La Calabria, i calabresi non vogliono assistenzialismo né l’elemosina del reddito di cittadinanza: richiedono iniziative e opportunità che consentano di creare e offrire lavoro a chi non l’ha mai avuto, a chi lo ha perso, a chi lo cerca, nella sua terra. (s)

LA CALABRIA AL FESTIVAL DEI DUE MONDI DI SPOLETO

8 luglio – La Regione Calabria, per la prima volta, partecipa al 61esimo “Festival dei Due Mondi” di Spoleto. Oggi il presidente Oliverio sarà intervistato, alle 10.45, all’interno de “Gli incontri di Paolo Mieli”, il format concepito dal gruppo HDRà che presenta l’ormai consolidata rassegna di conversazioni condotte dallo storico e giornalista e dedicate a innovazione, cultura, futuro, sostenibilità, territorio, internazionalizzazione. Negli ultimi 4 anni si sono confrontati con Paolo Mieli grandi personalità a beneficio di un pubblico sempre numeroso e i protagonisti del mondo della politica e delle istituzioni.
La partecipazione della Calabria a Spoleto vuole rilanciare, da una prestigiosa manifestazione di carattere internazionale, il marketing territoriale della Regione. «Stiamo partecipando agli eventi che consentono di proiettare un’immagine positiva della Calabria. – ha dichiarato il presidente Oliverio – Spoleto è uno degli eventi più significati per lo spessore culturale che ha saputo affermare e per la partecipazione di autorevoli personalità del mondo della cultura, dell’arte, dello spettacolo, del giornalismo, della politica e delle Istituzioni. È anche una vetrina per la proiezione delle peculiarità dei territori e dell’identità regionali. Quest’anno la Calabria occupa un posto centrale».

 Lo storico e giornalista Paolo Mieli

«Ringrazio Paolo Mieli – ha dichiarato il presidente – dialogare con un grande intellettuale come Mieli non può che fare piacere».
«Egli – ha proseguito il presidente – è un grande conoscitore del nostro Paese, ed anche del Sud e della nostra Regione. In un momento come questo, caratterizzato dalla riproposizione di egoismi e da rinchiusure sovraniste, il Sud ha interesse a rilanciare una visione mediterranea nella quale ricollocare una funzione importante della dimensione europea e nazionale. Il Sud è una grande risorsa che, se adeguatamente considerata, può costituire una formidabile opportunità per aprire nuovi spazi per il nostro Paese e per l’Europa. Spoleto è anche questo: spazio e dimensione autorevole per dare voce al Sud che vuole proporsi come opportunità e risorsa».
Media partner sarà la Rai che trasmetterà gli incontri di Mieli, inclusa l’intervista con il governatore della Regione Calabria. La Regione Calabria è anche il main sponsor de “Gli incontri di Paolo Mieli”: il logo della Regione sarà infatti presente su tutti i materiali di comunicazione prodotti nonché nelle scenografie di allestimento della location a Palazzo Collicola.
Sempre presso il bookshop di Palazzo Collicola, sarà allestito un punto desk informativo dedicato alla Calabria. (rrm)