L'ANNO CHE VIENE TRA INCOGNITE, PROMESSE; SPERANZE E UN PO' DI OTTIMISMO: LA CALABRIA CE LA PUÓ FARE;
La famiglia Anania di Catanzaro: 16 figli

Alla ricerca di una concreta idea di sviluppo. Gli anni Venti aprono alla sospirata crescita

di SANTO STRATI – Permetteci un pizzico di ottimismo: guardando la fotografia della sempre sorridente famiglia Anania di Catanzaro (16 figli) simbolo di una Calabria che, nonostante gli ovvi problemi, guarda con fiduciosa allegria al futuro non si può non pensare che, in fondo, anche la Calabria ce la possa fare. Certo, l’alba di questi anni Venti del III Millennio si apre con molte incognite, tante promesse e illusorie speranze, ma ci sono segnali che lasciano immaginare spazio al cambiamento. Prima di ogni cosa il cambiamento deve riguardare il modo di pensare: è mancata fino ad oggi, in cinquant’anni di discutibile regionalismo, un’idea di sviluppo che associasse ai buoni propositi e agli annunci (spesso roboanti e inutili) l’effettiva realizzazione dei progetti. È mancata un’idea di progettualità che coinvolgesse ogni territorio della regione, dai capoluoghi alle periferie, dai centri di eccellenza universitari alle scuole rurali, dalle piccole iniziative artigianali di tradizione alle attività industriali che pure non mancano. In poche parole, la creazione, la realizzazione di una rete di risorse in grado di utilizzare al meglio ogni capacità, ogni competenza, guardando soprattutto al merito e alla professionalità. Non ci si improvvisa amministratori pubblici, si può imparare col tempo, ma occorre avere  quanto meno ben chiaro il concetto di bene comune. Onestamente, non possiamo dire che in questi cinquant’anni (le Regioni nacquero proprio nel 1970) siano stati in tanti, tra amministratori regionali, provinciali, comunali, a pensare soltanto ed unicamente al bene comune. Non è un difetto della sola Calabria, intendiamoci, ma da noi quest’aspetto pesa ancor di più perché questa terra sconta secoli di abbandono e indifferenza, preda di “conquistatori” che hanno soltanto preso senza mai dare, vittima di politiche assistenzialistiche volte solo ad arricchire i potenti di turno, con iniziative che un tempo si definivano “cattedrali nel deserto” e che non portavano posti di lavoro, né crescita né sviluppo alla regione.

Bene, ora è tempo di voltare pagina. È l’ultimo treno della notte, l’Italia è in recessione (persino la Grecia data per spacciata qualche anno fa ha fatto il doppio del nostro PIL) e i nostri governanti stanno a litigare su quota 100 e quel risibile reddito di cittadinanza che, se ha portato il sorriso a qualche famiglia veramente indigente, è servito solo a far aumentare (illusoriamente) il consenso verso i grillini. Non serve assistenzialismo, servono opportunità di lavoro, serve creare situazioni che permettano agli imprenditori di investire e ai giovani di trovare un impiego sicuro, stabile e, soprattutto, duraturo. La precarietà dalle nostre parti è una ricorrente ed epidemica calamità. Tanti soldi buttati via, finanziamenti a pioggia per iniziative prive di qualunque contesto di mercato, e allo stesso tempo soldi negati all’autoimprenditorialità dei giovani e dei disoccupati ai quali, a fronte di un qualsiasi progetto, al di là della sua validità, le banche calabresi chiedono garanzie di terzi, persino sulla parte interamente finanziata. Ma un disoccupato che vuole, per esempio, allevare lumache dove trova le garanzie per il prestito necessario per avviare l’attività? Ma non è solo questo. Indubbiamente la strana politica creditizia degli istituti bancari nel Mezzogiorno mal si concilia con qualsiasi proposito di avviare un’attività, mettendo insieme ingegno, operosità e fiducia nelle proprie capacità. C’è chi ci è riuscito, vi sono startup calabresi che hanno mostrato di saper fare bingo con le proprie idee, ma sono mosche bianche.

Il futuro governatore (o governatrice) non avrà vita facile: dovrà impegnarsi a una politica del fare che finalmente veda realizzarsi i progetti che non possono restare sulla carta, dovrà combattere (e ridimensionare il più possibile) l’ottusa burocrazia regionale che deprime e scoraggia qualsiasi iniziativa, dovrà affrontare troppi temi che richiedono immediata soluzione. Nell’agenda del futuro inquilino della Cittadella di Germaneto figurano molte criticità, a cominciare dalla sanità. Non è più tollerabile che i calabresi non possano curarsi nella propria terra, dove ci sono fior di specialisti che molte università ci invidiano. Non solo è una spesa insopportabile per la Regione, ma è un vergognoso accanimento contro chi ha bisogno di cure. Il commissariamento della sanità in Calabria ha fatto troppi guasti che solo un drastico annullamento del debito potrebbe, alla fine, far dimenticare: la politica della salute è stata gestita malissimo non solo dal governo centrale nei confronti della Calabria, ma anche a livello regionale, risalendo indietro nel tempo di venti e più anni. È il primo impegno che si chiede a chi ci governerà per i prossimi cinque anni: una soluzione immediata che dia respiro ai malati e offra, oltretutto, sbocchi occupazionali, visto che mancano nella regione medici, infermieri e personale sanitario specializzato.

Altro tema che affidiamo al prossimo Presidente è quello della mobilità, a cominciare dal problema aeroportuale. Quello di Reggio è il caso più emblematico, oltre che vergognoso: l’Aeroporto dello Stretto non vola, pur avendo un potenziale bacino d’utenza che si allarga fino alla vicina Messina. Sono crollate le partenze, si giustificano quelli della Sacal, la società che gestisce i tre aeroporti calabresi, ma si può facilmente obiettare che se si offrono partenze e arrivi a orari impossibili risulta evidente che i reggini siano costretti ad altre soluzioni. Un esempio per tutti, i voli Reggio-Roma-Milano (gli unici rimasti): fino a qualche tempo fa si partiva al mattino e si poteva fare ritorno alla sera, ora non più. Quanti sono i professionisti, i bisognosi di un consulto medico, costretti a pernottare per attendere il volo del giorno dopo per rientrare in Calabria? Qualcuno (la Sacal?) obietterà: ma ci sono i voli da e per Lamezia. Ma perché un calabrese (non solo reggino) o un messinese deve fare 50 minuti di volo e poi 100 minuti di bus? Lamezia non deve togliere traffico a Reggio e Crotone, occorre fare rete, se no diventa una guerra di chi fa più numeri con l’esito di una partita persa a tavolino. Ma la mobilità non è solo nei cieli: abbiamo un servizio ferroviario da terzo mondo (e per fortuna hanno elettrificato parte della rete jonica), eppure a Reggio potrebbero arrivare sia il Frecciarossa che Italo (magari non ad altisissima velocità, ma ci sono studi che confermano la percorribilità senza problemi). Ma non gliene frega a nessuno, della Calabria pare non gliene freghi niente neanche a gran parte dei suoi parlamentari. Sfogliando le pagine dedicate dal nostro giornale al Parlamento si scopre che l’attività dei parlamentari calabresi ha riguardato malappena il 10% i problemi della Calabria. E poi c’è chi si chiede perché la gente non ne può più della politica e diserta le urne.
Ovviamente non se ne può più di questa politica, fatta di mirabolanti annunci, ma zero realizzazioni. La stessa politica che mortifica i giovani rubando loro il futuro: le cifre dell’abbandono dei giovani che partono in cerca di prospettive e benessere è spaventosa. negli anni Venti, del secolo scorso, partivano contadini, artigiani, manovali verso le Americhe. Anni di dolore, sacrifici, mortificazioni, soprusi, cui sono seguiti per tanti il successo e la meritata fortuna. I nostri emigranti calabresi del secolo scorso hanno fatto la fortuna loro e del Paese che li ha accolti; i nostri ragazzi, preparatissimi, competenti e capaci, stanno facendo la fortuna (tecnologica) di molte regioni del Nord, ma anche di tanti altri Paesi che, furbamente li accolgono a braccia aperte. La Calabria spende per preparare questi giovani (le nostre Università sono centri di eccellenza, lo ripeteremo fino alla noia) e poi rinuncia a utilizzare queste risorse. Si svegli il futuro presidente e crei una cabina di regia sul lavoro. Non servono fabbriche in Calabria, servono opportunità di occupazione nel campo del turismo, della cultura, dell’agricoltura, della tecnologia. Il ministro per il Sud, Peppe Provenzano, ieri in un’intervista a Repubblica ha annunciato che sono pronti 100 miliardi in dieci anni per il Mezzogiorno. Ci sono risorse comunitarie che vergognosamente ritornano al mittente inutilizzate. È questa la vera sfida, è questo che ci si aspetta dal nuovo governo regionale. Gli anni Venti cominciano domani, facciamo cominciare una nuova era alla nostra amatissima Calabria. Auguri. (s)