SVIMEZ, DOVE VANNO LA CALABRIA E IL SUD
CRESCITA DEBOLE E DIVARIO IN AUMENTO

di ANTONIETTA MARIA STRATI – Dove andrà la Calabria, se continua a registrare numeri bassi e negativi? La domanda sorge spontanea, leggendo i dati del report Dove vanno le regioni italiane della Svimez, in cui è emerso come il Pil della nostra regione, nel triennio 2023-2025, crescerà solo dello 0,40%, portando un esiguo contributo alla crescita del Sud.

All’incontro hanno partecipato Luca Bianchi, direttore generale della Svimez, Fedele De Novellis, partner Ref, Stefano Prezioso, vicedirettore Svimez, Alessandro Fontana, direttore del Centro Studi di Confindustria, Alessandra Faggian, docente di Economia applicata al Gran Sasso Science Institute.

Un dato, quello presentato dall’Associazione, che non si discosta troppo dalle previsioni provvisorie dell’Istat, che indicava a dicembre 2023 una variazione del Pil calabrese del 3,2%. Guardando il dato del Mezzogiorno, secondo le stime della Svimez, la Calabria in sostanza nel prossimo triennio raggiungerebbe la stessa cifra del Sud, ossia il 3,5.

Un dato preoccupante, considerando che la nostra regione ha tutte le carte in regola per essere motore di sviluppo del Mezzogiorno. Eppure, secondo le stime di Svimez, il tasso di crescita sarà solo dello 0,8%, seguito da Basilicata (0,7%) e Molise (0,5). Andando più nello specifico, la Calabria, per il prossimo triennio, contribuirà alla crescita cumulata del Pil dello 0,25% per le spese Pa, dello 0,04% per l’export, dello 0,37% con la spesa delle famiglie e dello 0,10% con gli investimenti.

Preoccupano, poi, i dati relativi sul valore aggiunto delle imprese strutturate, ossia multinazionali estere e italiane, gruppi domestici italiani, con i dati del 2020: è solo del 39,8% contro il 44,9% del Mezzogiorno e del 57,3% dell’Italia.

Anche per quanto riguarda gli addetti alle unità locali per mille abitanti, in Calabria se ne registrano solo 152,9 contro i 194,1 del Mezzogiorno e i 292,2 dell’Italia. Preoccupano, infine, i dati riguardanti il bilancio della popolazione residente: Quello complessivo è -149.056, quello migratorio -94.892 e quello naturale -54.164.

«Nel corso degli ultimi anni – si legge nel Rapporto – l’economia italiana, al pari delle altre economie europee, è stata sottoposta a una serie di shock straordinari – legati alla pandemia e alla crisi energetica – cui sono corrisposte reazioni altrettanto eccezionali delle politiche, sia quella fiscale che quella monetaria. Ciascun territorio ha risentito di tale instabilità in maniera diversa, a seconda del grado di esposizione a tali shock della propria struttura produttiva».

«D’altra parte, i differenziali di crescita fra le diverse macroaree sono stati nel complesso contenuti – viene spiegato – un risultato che in parte deriva dal fatto che alcuni shock hanno colpito settori presenti, pur in maniera non uniforme, sull’intero territorio nazionale, ma che può essere spiegato anche con le misure compensative adottate dalla politica di bilancio per sostenere le imprese e le famiglie che di volta in volta sono state colpite nelle varie fasi della crisi. In definitiva, nel corso degli ultimi anni, nonostante le difficoltà che hanno attraversato il sistema economico, le politiche hanno avuto successo nel prevenire un ulteriore allargamento dei divari territoriali».

«Dalla pandemia – continua il Rapporto – sono derivati effetti differenziati sui settori manifatturieri. Alcune filiere hanno subito conseguenze permanenti, penalizzando soprattutto le regioni dell’Italia centrale. Anche i settori dei servizi privati sono stati caratterizzati da una elevata instabilità, in particolare nelle attività assoggettate alle misure di distanziamento sociale, quindi nei settori degli alberghi e ristoranti e negli spettacoli. Tali andamenti sono stati condivisi dalle diverse regioni, ma hanno naturalmente avuto impatti maggiori nei territori a vocazione turistica che, dopo essere stati più penalizzati dalle chiusure imposte a seguito della pandemia, hanno poi registrato una fase di recupero più vivace».

«Le risorse del Superbonus sono state assorbite in misura maggiore dalle regioni del Centro-Nord. Gli effetti del ciclo degli investimenti in costruzioni sulla crescita sono stati però maggiori al Sud, dato il peso più elevato delle costruzioni sull’economia. Un altro aspetto significativo delle tendenze recenti, a sua volta legato al ciclo delle costruzioni, è rappresentato dalla crescita dell’occupazione, che è rimasta vivace, nonostante la decelerazione dell’economia. Tale andamento ha caratterizzato tutte le aree del Paese, ma è risultato più intenso nelle regioni del Mezzogiorno. I rincari dei prezzi osservati nel 2022 e nel 2023 hanno interessato con particolare intensità alcune componenti del paniere dei prezzi, come l’energia e l’alimentare, che incidono in misura maggiore sulle fasce di reddito inferiori. Una conseguenza è stata l’impatto maggiore degli aumenti dei prezzi sul potere d’acquisto delle famiglie del Mezzogiorno. Dalla fine dello scorso anno le tensioni inflazionistiche hanno iniziato a rientrare. Nel 2024-25 la riduzione dell’inflazione avrà effetti di segno opposto a quelli osservati nel corso del passato biennio, restituendo potere d’acquisto in misura maggiore alle famiglie delle fasce di reddito inferiori e ai territori più deboli del Paese».

La Svimez, poi, ha evidenziato come «la recente revisione del Pnrr ha ridimensionato gli investimenti pubblici e incrementato i contributi alle imprese; tuttavia, l’apporto delle risorse messe in campo resta significativo, specie nel Sud dove queste da sole contribuiscono per quasi due terzi alla spesa complessiva prevista in investimenti pubblici nel biennio 2024-2025. Molto dipenderà dalla capacità delle amministrazioni di portare a termine i programmi di spesa».

«Le prospettive sono caratterizzate da una fase di crescita molto debole – viene spiegato – in parte spiegata proprio dal percorso di normalizzazione delle politiche, monetarie e fiscali, che sta orientando le scelte dei Governi europei. Il 2023 è stato per l’economia italiana un anno di decelerazione, con una variazione del Pil modesta, prevista intorno allo 0,7 per cento che si declina, a scala territoriale, in uno 0,9 per cento nelle regioni settentrionali, dello 0,6 per cento nelle regioni del Centro, e allo 0,4 per cento nel Mezzogiorno. Le tendenze per il 2024-25 sono segnate ancora da ampi margini di incertezza».

«In questo contesto, il 2024 dovrebbe far registrare, sempre a scala nazionale – si legge ancora – una live contrazione rispetto all’anno precedente (+0,6%), seguita l’anno successivo da una modesta accelerazione (+1,1%). Eppure, questa crescita relativamente contenuta in buona parte dipende dall’implementazione del Pnrr, specie al Sud. Ci attendiamo che le tendenze delle principali ripartizioni territoriali mantengano dei differenziali fra le macroaree relativamente contenuti, come già osservato negli anni scorsi. Ad ogni modo, anche se la tendenza generale è una relativa vicinanza tra le varie circoscrizioni, questo non elemina alcune differenze strutturali andate consolidandosi nel corso del tempo».

«Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto, al Nord, dovrebbero crescere di più, in particolare queste tre regioni quando riparte la domanda estera “giocano un’altra partita” rispetto al resto del Paese. Toscana e Lazio continuano ad allontanarsi da Umbria e Marche al Centro; anche il Sud al suo interno vede percorsi differenziati. Per certi versi, è qui che risiede la vera sfida del Pnrr: aggredire nei territori più in difficoltà da tempo quei nodi che ne ostacolano la crescita a saggi comparabili con le regioni più dinamiche. Interrompendo, così, la frammentazione dei percorsi di sviluppo regionali che si è consolidata da inizio millennio fino alla pandemia».

«Emerge, come è normale aspettarsi, una correlazione negativa piuttosto netta tra il tasso di crescita del Pil e l’indice di precarietà. Nelle regioni in cui la crescita è stata relativamente più intensa (i.e. Trentino Alto-Adige, Lombardia, Emilia-Romagna, ecc.) l’indice di precarietà assume valori più contenuti, e viceversa (come in Calabria, Sicilia, Sardegna). La bassa crescita, quindi, agisce anche sulla qualità dell’occupazione, oltre che sulla quantità di lavoro attivata. A sua volta, ciò dà luogo a un feed-back sulla crescita stessa. In regioni nelle quali la domanda interna ha assunto un’importanza preminente nell’orientare la congiuntura, come quelle meridionali e/o del Centro, una maggiore quota di occupazione precaria implica una capacità reddituale aggregata anch’essa relativamente minore. La spinta sulla domanda, in definitiva, ne risulta depotenziata».

la Svimez, poi, ha voluto porre l’attenzione sul fattore demografico, «che ha acquisito un peso crescente nell’orientare la performance dei singoli territori, specie se valutata con l’indicatore Pil pro capite precedentemente richiamato. Questo indice, infatti, oltre a risentire della minore/maggiore capacità di produrre reddito è influenzato, per l’appunto, dalle fluttuazioni della popolazione, in particolare quella in età lavorativa». (ams)

 

L’ORGOGLIO PERDUTO DI REGGIO CALABRIA
IL SINTOMO DI UNA REGIONE CHE STA MALE

di MIMMO NUNNARIL’ultimo affondo contro Reggio arriva dal sistema discusso e poco trasparente del calcio italiano, che non si sa se ha espulso giustamente, o furbescamente per  favorire altre squadre, dal baraccone pallonaro la Reggina, che tuttavia nella intricata vicenda c’ha messo di suo, con i suoi dirigenti “stranieri”  improbabili e improvvisati, sui quali bisognerebbe indagare, quantomeno per fare chiarezza su una vicenda ridicola che solo la penna arguta del poeta Nicola Giunta avrebbe potuto spiegare.
Figure alle quali generosamente gli amministratori comunali avevano appuntato sul petto medaglie e onori manco fossero stati madre Teresa di Calcutta o Gandhi.
Sembra – e lo usiamo come metafora l’abbattimento della Reggina, poiché il calcio non appartiene alle cose serie – che dopo questa mazzata il declino della città della Fata Morgans abbia toccato il fondo.
L’agonia, dura da molto in verità: Reggio, agli occhi del visitatore, non a quelli dei reggini, che’ ormai hanno la vista offuscata, è una città disordinata, senza regole, senza servizi, senza visioni, senza orgoglio.
A Reggio si vive – male –alla giornata: arrangiandosi, come nelle affollate e caotiche città mediorientali.
Eppure, siamo in fondo allo Stivale, nel luogo che il leggendario paesaggista inglese Edward Lear definì: “uno dei più bei posti visti sulla terra”.
E non fu il solo, Lear, ad esprimersi con tanta ammirazione ed entusiasmo per la dirimpettaia della gemella Messina. Altri, lo imitarono: viaggiatori e scrittori più o meno famosi, e non sbagliavano certo, nei loro giudizi, e neppure esageravano. Reggio è bella, bella davvero; adagiata come una dea omerica, sulla riva continentale dello Stretto. Il suo passato è ricco, di storia e di leggenda, ma il presente è pessimo.
È al contempo splendida e decadente Reggio. Con alti e bassi, vive il suo declino da cinquant’anni, da quando si è conclusa la vicenda triste del capoluogo di regione, con lo Stato colonizzatore che ha scontentato tutti, lasciando nelle città calabresi strascichi di rancore che hanno condizionato il futuro e impedito uno sviluppo armonico.
È stato come aver buttato sale su ferite ancora aperte da più di un secolo, per altri motivi: trascuratezza e abbandono dei Governi prima di tutto. Reggio ha bisogno di uno scatto di orgoglio e dignità, per superare questo presente indecente. Deve avere coraggio, reagire, non abbandonarsi alla rassegnazione, e ricordarsi di un detto famoso di San Francesco d’Assisi: “Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile”. 

Paradossalmente la querelle Reggina calcio può spronare la città ad invertire la rotta, riconciliandosi con se stessa e poi con il resto della regione, avviando intanto un dialogo concreto con Messina.

Il fatto è, che, da cinquant’anni, Reggio è, più di ogni altra cosa, ammalata di solitudine: è incompresa, malamministrata – salvo brevi primavere – asfissiata da un sistema mafioso che condiziona la libertà dei cittadini.

È un’isola d’infelicità, che non tenta di rianimarsi, di uscire dal letargo, dal degrado non più sopportabile, e darsi una possibilità di futuro, come meriterebbe. Potenzialmente ha tutto: un’invidiabile posizione geografica al centro esatto del Mediterraneo, cultura, tradizione, patrimonio d’arte, intelligenza dei giovani, operosità di imprenditori, di esercenti, tuttavia è da mezzo secolo una città senz’anima: chiusa nella solitudine malinconica in cui è stata spinta da potentati politici ed economici, da predatori arrivati da fuori, travestiti da gente perbene.

La solitudine, in parte, se l’è cercata Reggio, restando appartata, offesa e mortificata, restando incapace di esprimere apertamente la propria rabbia, anche giusta, se si considera che nessuno –  Stato, Regione – da risposte su questioni vitali come l’aeroporto e i collegamenti con Messina, tanto per fare due esempi di problemi annosi vergognosamente irrisolti. Si è affidata, la città, ad una classe dirigente e amministrativa litigiosa, mediocre, dove le colpe per le cose che non vanno sono di tutti e di nessuno. 

Accompagnare all’uscita appena possibile i responsabili della mancata crescita di Reggio è il primo passo per cambiare.

Allo stesso tempo, le altre città della Calabria, non solo Catanzaro, dovrebbero prendere coscienza che la crisi di Reggio è un problema di tutti e solo in un’ottica di riconciliazione, con una tregua, nella guerra assurda dei municipalismi, si vince la partita dell’intera regione, che ha bisogno di spinte corali per non sganciarsi definitivamente dalla locomotiva Paese.

Per cambiare, serve che scocchi la scintilla collettiva, l’impresa, che è possibile solo dall’intreccio virtuoso fra la cooperazione delle menti più ingegnose che amano la città, al di fuori della politica, che a Reggio è di livello basso attualmente. Ogni tanto, c’è un piccolo scoppio d’indignazione, accompagnato da azioni concrete, ma si tratta più che altro fatti isolati, di gesti ammirevoli di singole persone, mentre ci vorrebbe l’urlo corale per vincere.

Le belle cronache non mancano.

Ci parlano di volontari giovani e in particolare donne che non si arrendono e fanno qualcosa di utile e inusuale.

Una piccola storia di resistenza civile e del fare, con l’esempio e l’azione, la sta scrivendo una giovane signora, che di mestiere fa l’addetta alla comunicazione  del segretariato regionale del Mibact per la Calabria.

Si chiama Angelina De Salvo, ed è attivissima sui social dove racconta il suo “fare”, che è il contrario di “lamentare’: ha cominciato con la ripulitura della scalinata di via Giudecca, cuore di un operoso quartiere, un tempo ebraico.

Con dozzine di altri volontari, ha sgombrato i siti culturali della città da sterpaglie e immondizia, riportato monumenti e luoghi storici al loro antico splendore. Angelina, donna dal piglio mediterraneo, poi le cose non non le manda a dire. Nei giorni scorsi rivolta agli amministratori comunali che lasciano nell’abbandono il tapis roulant, posto al centro della città, ha scritto una specie di invettiva di stile sciasciano: “Ma non vi vergognate di presentare ai cittadini e ai turisti questo luridume circondato da una rete arancione? Se non avete la possibilità di aprirlo perché almeno non tenerlo pulito? Se io fossi dentro l’amministrazione o fossi sindaco pagherei anche di tasca mia per chiamare qualcuno per pulirlo o lo pulirei io stessa”.

Sarà una coincidenza, ma due giorni dopo l’invettiva sparata a salve sui social da Angelina De Salvo,  il tapis roulant è stato ripulito. In quanto a farlo costantemente funzionare questa è un’altra storia.

Il tapis che giace come un serpente morto è la metafora della Reggio di oggi che ha bisogno della “scintilla collettiva”. (mnu)