ZES UNICA, UN GRANDE AIUTO PER IL SUD
PERÒ SERVE UNA POLITICA INDUSTRIALE

di FRANCESCO AIELLO – Rispetto alla precedente disciplina sugli investimenti a Sud in regime di aiuti, la Zes unica per il Mezzogiorno è migliorativa sotto alcuni punti di vista. Innanzitutto per la copertura finanziaria: la dotazione per il credito di imposta complessivo del 2024 fissata dalla Legge di Bilancio è pari a 1,8 mld di euro.

Inoltre, rispetto al Bonus Sud 2023, cosiddetto Credito d’Imposta Mezzogiorno, con la Zes unica è ammesso il credito di imposta anche per l’acquisto di terreni e immobili. Il regime di aiuti è previsto per progetti di investimento fino a 100 milioni di euro e varia al variare della dimensione dell’impresa. La regola generale è che le piccole e le medie imprese godranno di un credito di imposta pari, rispettivamente, al 60% e al 50% dei costi ammissibili per progetti fino a 50milioni di euro, mentre per le grandi imprese il beneficio fiscale sarà pari al 40%.

Si tratta di vantaggi fiscali superiori a quelli previsti dal Bonus Sud 2023, che fissava al 45%, 35% e 25% il credito di imposta, rispettivamente, per le piccole, le medie e le grandi imprese. È plausibile pensare, quindi, che i vantaggi fiscali sono ad un livello tale da rendere conveniente l’avvio di nuovi investimenti produttivi regionali e attrarre investitori extra-regionali. Si tratta, però, come dimostra la storia decennale delle politiche industriali nel Mezzogiorno d’Italia, di una condizione necessaria, ma non sufficiente: la convenienza relativa ad investire in un determinato luogo piuttosto che in un altro non è unicamente determinata dalla fiscalità di vantaggio.

Questa conclusione è ancora più valida in un contesto in cui più regioni godono dello stesso regime di aiuti: perché un investitore dovrebbe scegliere di localizzare le proprie attività in Calabria, piuttosto che in Puglia o in Campania? A parità di aiuto fiscale e di snellimento delle procedure amministrative, i capitali si concentreranno nelle aree che hanno meno costi di accessibilità e offrono più servizi alle imprese (rete di trasporti efficiente, energia affidabile, disponibilità di infrastrutture tecnologiche avanzate) e che hanno qualche vantaggio di localizzazione legato alla possibile riduzione dei costi di approvvigionamento e di vendita.

Senza dimenticare che l’attrattività di un territorio dipende molto dalla qualità della vita del contesto, ossia dall’offerta di servizi pubblici efficienti, istruzione di qualità, assistenza sanitaria accessibile, giustizia certa e veloce e un ambiente culturale stimolante. In assenza di queste condizioni, parlare di crescita, restanza, tornanza, ripopolamento dei borghi è un puro esercizio accademico, un vezzo tra intellettuali.

Inoltre, esistono altri due potenziali punti di debolezza della Zes unica, che derivano in modo esclusivo dal fatto che il progetto non è inserito in un’organica strategia di politica industriale per il Sud e che la localizzazione degli investimenti industriali non ha alcun vincolo territoriale. Così come nella precedente architettura istituzionale con le otto Zes in ciascuna regione del Mezzogiorno d’Italia, anche in questo caso il regime di aiuti fiscali e lo snellimento delle procedure amministrative sono pensati per avviare Zes generaliste, de-specializzate, quando,  al contrario, sarebbe più efficace puntare a delle concentrazioni spaziali di attività produttive specializzate in pochi settori, che, nella fase iniziale, possono essere fortemente legati alle vocazioni territoriali di ciascuna regione e alla qualità e specificità delle risorse produttive disponibili.

Esiste, infine, il tema dell’assenza di restrizioni territoriali degli investimenti che beneficiano della normativa della Zes unica. Su questo aspetto è utile ricordare che le Zes sono state istituite nel 2017 dal Governo Gentiloni con l’intento di incentivare investimenti produttivi nelle aree limitrofe ai porti nel Mezzogiorno, allo scopo di superare una delle principali sfide all’industrializzazione del Sud: la distanza geografica dai mercati di approvvigionamento e di distribuzione.

Tuttavia, l’implementazione di una Zes unica per l’intero Mezzogiorno potrebbe comportare il rischio di non considerare appieno i vantaggi derivanti dalla localizzazione vicina alle vie del mare. Con questa prospettiva, gli investimenti produttivi potrebbero essere distribuiti in tutto il Mezzogiorno anziché concentrarsi nelle zone adiacenti ai porti, perdendo in tale modo l’opportunità di sfruttare in modo compiuto i benefici strategici offerti dalla prossimità ai principali hub marittimi. Un esempio chiarisce il punto: i costi di trasporto di un’impresa globalizzata, ossia che importa beni intermedi ed esporta beni finali, che è localizzata nel retroporto di Gioia Tauro sono infinitamente inferiori ai costi di un’altra impresa che opera in qualsiasi altra parte della Calabria.

Questo rischio si può annullare fissando una priorità di politica industriale: rendere altamente attrattivo il retroporto di Gioia Tauro e canalizzare in quegli spazi tutti i nuovi investimenti Zes per trasformare l’intera area in un polo industriale su cui puntare per dare una speranza di crescita alla Calabria. Disperdere risorse in tutta la regione non ha alcun senso. È tutt’altro che un’opzione di sviluppo industriale trainato da una Zes. (fa)

[Francesco Aiello è prof. Ordinario di Politica Economica, DESF, UniCal]

Giuseppe Auddino: Entro l’estate al via i lavori al retroporto di Gioia Tauro

Il già parlamentare del M5s, Giuseppe Auddino, ha annunciato che, a seguito della scadenza del bando di gara per l’aggiudicazione dei lavori, «presto sapremo quale sarà l’impresa aggiudicataria, per far partire entro l’estate i lavori di riqualificazione dell’area retroportuale e risolvere una volta per tutte i problemi legati all’incuria e allo stato di abbandono in cui versano molte zone dell’area».

«Ancora qualche mese di pazienza – ha aggiunto – per gli ultimi adempimenti di tipo amministrativo (l’iter tecnico si è già concluso) e il progetto di riqualificazione dell’area retroportuale che seguo da tre anni (presentato nel corso della conferenza stampa tenutasi presso la sala consiliare del Comune di Gioia Tauro lo scorso 3 agosto e successivamente approvato) darà il via ai lavori».

«Grazie al mio emendamento alla legge di bilancio 2020 – ha ricordato – questa spesa di 6 milioni di euro permetterà l’ammodernamento e lo sviluppo del retroporto di Gioia Tauro nell’ottica di uno sviluppo che, come ho sempre sostenuto, dovrà essere coordinato tra sistema portuale, retro portuale, settori produttivi locali e attività correlate alla logistica».

«L’area industriale retroportuale sarà “bella e accogliente come il salotto di casa nostra”, per attrarre investimenti che porteranno nuovi posti di lavoro. Ho seguito in questi ultimi due anni passo-passo l’intero iter che ha portato a questo progetto di riqualificazione dell’intera area industriale retroportuale: il progetto non ha precedenti nella storia politica del mio territorio!».

«Sarà un risultato di grande valore per tutto il territorio – ha evidenziato – la riqualificazione della zona industriale del retroporto renderà il sistema imprenditoriale regionale attorno allo scalo gioiese più forte e competitivo. Da anni sostengo l’importanza dello sviluppo dell’area industriale retroportuale ai fini della crescita economica e dello sviluppo del sistema imprenditoriale di tutto il territorio regionale e non solo: adesso con questo progetto la mia idea si concretizza!».

«Le risorse previste dall’emendamento – ha detto ancora – saranno impiegate per eseguire opere di riqualificazione nell’ambito del decoro urbano dell’area industriale quali, in particolare, la realizzazione della videosorveglianza e molte aree verdi, percorso pedonale, parcheggi, la realizzazione della pista ciclabile (necessaria a proteggere i ciclisti che percorrono questa lunga arteria già teatro di numerosi incidenti stradali), nuova illuminazione a luci led e, in generale, nell’ambito della viabilità, dei trasporti e del decoro urbano dell’area industriale».

«Questo risultato – ha concluso – rappresenta la prima tappa di un mio progetto di crescita economica dell’intera area molto più esteso e di più ampio respiro, investimenti e sviluppo industriale del retroporto su cui sto lavorando da anni e che dovrà coinvolgere anche la crescita dello scalo gioiese». (rrc)

PORTO GIOIA TAURO, GIGANTE IN CRESCITA
DOVRÀ PUNTARE SULL’AREA RETROPORTO

di PIETRO MASSIMO BUSETTA«La capitaneria di porto di Gioia Tauro è l’unico ufficio marittimo nazionale che è nelle condizioni di poter autorizzare l’ingresso e l’ormeggio delle più grandi navi porta container esistenti al mondo. Si tratta delle cosiddette ULCS (Ultra Large Container Ships), veri e propri giganti del mare che con i numeri che le contraddistinguono – 235.000 tonnellate di stazza lorda, 400 metri di lunghezza (un campo di calcio é lungo 100 metri) e 61,5 di larghezza-testimoniano più di ogni parola il successo dello scalo di Gioia Tauro». 

Così il comandante della capitaneria di porto Vincenzo Zagarolo, nella prefazione del bel volume di Giuseppe SorieroAndata in porto, Gioia Tauro la sfida vincente

La costruzione del porto di Gioia Tauro ha avuto inizio cinquant’anni fa, nella prima metà degli anni ’70, nell’ambito del progetto speciale per la realizzazione delle infrastrutture sul territorio della provincia di Reggio Calabria.

All’inizio degli anni ’80 si è arrestato il programma dei lavori ufficialmente per la crisi del comparto siderurgico. Lo scalo è stato quindi riconvertito da porto industriale a polifunzionale con l’esigenza di rimodulare i programmi di infrastrutturazione, l’assetto operativo ed i piani di sviluppo.

La prevalenza della tipologia del traffico container, che si è affermata alla fine degli anni ’80, deriva dalla sua posizione geografica. Infatti frontaliero di Suez e baricentrico nel mar Mediterraneo, ha recuperato la sua caratterizzazione quale scalo di transhipment di contenitori e merci  in genere. 

L’attività operativa ha avuto inizio nel 1995 e si è sviluppata a ritmo elevato fino a far assumere allo scalo il primato nel settore del transhipment che ad oggi lo contraddistingue.

I dati che lo riguardano sono tutti da primato: la circoscrizione portuale ha una superficie complessiva di ettari 440, esclusi gli spazi acquei. L’imboccatura ha una larghezza di circa 300 metri ed è ad essa contiguo un bacino di evoluzione del diametro di 750 m.

In direzione nord si sviluppa il canale portuale della lunghezza di circa 3 Km e larghezza minima di 200 m, ampliato a 250 metri nel tratto iniziale. Il porto è un gigante, si pensi all’area di 440 ettari che lo contraddistingue, che il nostro Paese ha lasciato dormiente per anni, forse per non disturbare l’attività di Genova e Trieste

L’ha lasciato praticamente nella sua impossibilità di muoversi considerato che i collegamenti ferroviari con il resto del Paese, come in tutta la Calabria, in realtà  da Napoli in giù, sono praticamente fermi alle linee del 1860. 

Il tema è sempre analogo grandi progetti, individuazione di drivers importanti per lo sviluppo del Mezzogiorno, lasciati in sospeso, senza completare l’ultimo miglio. Anche la lotta alla criminalità organizzata, che poteva essere condotta con molta determinazione, considerato che l’area è relativamente contenuta, non è stata portata a termine con la determinazione dovuta e il gigante è rimasto bloccato a terra a vegetare, mentre i giovani calabri continuavano ad emigrare non avendo prospettive di lavoro adeguate nella loro terra. Il sistema ha registrato più contraddizioni che soluzioni politiche tecniche.

Un progetto di sicuro rilievo internazionale, che mai è stato fatto proprio dai governi italiani, tanto da non investire nell’alta capacità del trasporto ferroviario per collegarlo. Addirittura, dopo lo stop del ponte sullo stretto di Messina, deciso in Parlamento col decreto legge numero 93 del 2008, si sono impantanati finanziamenti prima destinati agli svincoli e raccordi che avrebbero potuto velocizzare la rete ferroviaria fino alla Calabria ed alla Sicilia, sottintendendo un progetto Paese di tagliare lo stivale e farlo affondare da solo.

Le opere da realizzare, indicate meticolosamente in due distinti accordi del governo per un importo di 1 miliardo e 363 milioni di euro vengono stoppati. E tali finanziamenti sono dirottati, accentuando il dualismo ferroviario ben messo in evidenza dal grafico riportato nel 2022 dalla Svimez, con la figura che mette in evidenza l’assoluta mancanza di collegamenti nel Mezzogiorno d’Italia. 

Così Giuseppe Soriero, nel suo recente volume sul porto, denuncia lo stop di qualunque ipotesi di investimento serio. Adesso che il gigante malato si sta lentamente rialzando, anche se i maggiori investimenti continuano ad essere programmati prevalentemente per i porti di Genova e Trieste, malgrado tutti i limiti denunciati per quello di Genova, con progetti faraonici difficilmente realizzabili, bisogna fare il passo decisivo. 

Un porto nel Sud ha senso in una doppia logica: quella di avere uno scalo frontaliero di Suez, missione alla quale può rispondere ancor di più Augusta, se il collegamento ferroviario raggiungerà, con il ponte sullo stretto costruito, le ultime lande siciliane, ormai centrali rispetto alla proiezione euro mediterranea,  ma anche quella di creare quei posti di lavoro indispensabili per raggiungere quel rapporto 2 a 1 tra popolazione ed occupati, tipico delle realtà a sviluppo compiuto. 

Condizione  necessaria per evitare lo spopolamento e l’emigrazione che caratterizza tali aree, oltre che per combattere la criminalità organizzata e consentire la crescita sociale di una parte importante del Paese. 

Ma non è il solo transhipment che porta a tali risultati, in quanto ormai i porti, come quello di Rotterdam, sono talmente meccanizzati che assorbono una quantità di occupazione, interessante ma non di grandi numeri. 

Che invece provengono dalla lavorazione dei semilavorati nei retroporti attrezzati, che consentono al porto olandese di occupare tra diretti ed indiretti quasi 700 mila lavoratori. Questa era la vocazione di Gioia Tauro, per la quale il porto é stato creato nella visione che uno dei driver importanti per lo sviluppo del Sud dovesse essere quello della logistica. 

Adesso peraltro, entrato nella area Zes, questa vocazione potrebbe essere esaltata. Occhiuto ha chiesto che nell’area vada avanti il progetto del rigassificatore, ma tale realizzazione, strumentale anche per realizzare una catena importante del freddo per i prodotti agricoli, non va messa nei ricavi ma nei costi, che possono essere affrontati per dare energia al Paese solo se in cambio vi é la creazione di un’area manifatturiera che crei quei 300-400 mila posti di lavoro complessivi che risolvano l’esigenze di occupazione della Calabria.  Un progetto che preveda una sistematicità negli interventi, che riguardino la infrastrutturazione, la lotta alla criminalità organizzata, un cuneo fiscale azzerato, una tassazione degli utili molto contenuta per i primi dieci anni di insediamento e una semplificazione amministrativa che faccia partire le iniziative in tempi reali.  Ma in fondo serve una volontà vera di far partire la seconda locomotiva. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

DA SEMPRE TRASCURATI I PORTI DEL SUD
SI DIMENTICA GIOIA E S’INVESTE SU GENOVA

di ROBERTO DI MARIA – C’è un assioma che i governi italiani mostrano di condividere da anni: i porti del Meridione, semplicemente, non esistono. Non esiste Gioia Tauro, con i suoi 5 km di banchine, fondali adatti a navi da 20 mila TEU e il suo vasto retroporto inutilizzato; non esiste Augusta (10 km di banchine e i fondali più profondi del Mediterraneo) e nemmeno Taranto. Questi porti – e tanti altri – non esistono semplicemente perché mancano collegamenti efficienti con la rete stradale e ferroviaria europea. E non si vogliono realizzare, pur se richiedono risorse molto inferiori di quelle destinate a Genova e consentirebbero traffici competitivi con tutti gli scali del Northern Range messi insieme.

E la conferma viene dagli ultimi intendimenti relativi all’utilizzo dei fondi del PNRR: fare di Genova il “cuore logistico dell’Europa”. La grande stampa economica ha magnificato lo sforzo economico e infrastrutturale – Terzo Valico, Gronda, Nuova diga foranea – che lo Stato sta compiendo per battere la concorrenza di Rotterdam e Anversa. Ma è una
missione impossibile.

A parte la raffinata logistica, che affida all’informatica e all’elevata meccanizzazione, la movimentazione dei milioni di container in transito, i porti del Mare del Nord hanno, rispetto a quello ligure, un vantaggio territoriale incolmabile: sono in aperta pianura, al centro di una fitta rete di fiumi navigabili, strade e ferrovie che consentono di trasferire rapidamente le merci in tutta Europa. La sola Rotterdam, nei suoi 3.600ha di piazzali, ha gestito 15,3 milioni di container.
Più di tutti i porti italiani messi insieme.
Senza questa velocità di smistamento, le merci si accumulerebbero per settimane sui suoi 100 km di banchine.
Genova, invece, soffre da sempre di una condizione geomorfologica asfittica: le montagne a ridosso del mare la stringono in spazi limitatissimi. Può contare soltanto su 1,6 km di banchinamenti e 100ha di aree di movimentazione in grado di farle sfiorare, nel 2021, i 2,6 milioni di pezzi (Ports of Genova, Report Traffici Q4 2021). Tutti provenienti da navi di dimensione più ridotte rispetto alle portacontainer oceaniche, che “toccano” Rotterdam, Anversa e Amburgo ma non attraccano nel porto ligure. Il problema più grave – a parer nostro insolubile – è però rappresentato dalla capacità e dalla velocità di smistamento. Quella attuale è di 30 treni al giorno. Il Terzo valico (in esercizio, forse, nel 2024), consentirà di raddoppiarla, trasferendo non più di 1,5 milioni di TEU – 66 TEU per convoglio x 6 treni/h (!!) x 16 h/giorno (!!) x 250gg l’anno (?) – verso il retroporto di Alessandria, al di là degli Appennini.
Volumi irrisori rispetto alla sola Rotterdam.
Tant’è che già qualcuno, sventolando ipotetici 300 mila nuovi posti di lavoro, propone la realizzazione di un secondo “BRUCO” (Bi-level Rail Underpass for Container Operations), dopo che il primo, inattivo da vent’anni, è stato smantellato. Consentirebbe la “toccata” di navi da 15 mila teu – ma già navigano quelle da 25 mila -, lunghe 350m e larghe 100, che richiederebbero l’allargamento del canale che conduce all’ormeggio. Ulteriore follia finalizzata a evitare la soluzione più favorevole all’intero Bel Paese: una portualità distribuita tra le decine di porti italiani. Vocazione naturale per chi vanta 8 mila km di coste.
Intanto è scoppiato lo scandalo della nuova diga foranea con le clamorose dimissioni del Project Manager (supervisore globale) che ha denunciato costi e tempi reali doppi o tripli rispetto alle stime: “ci vorranno almeno 2 miliardi di euro e 15 anni di lavori”.
La notizia è passata sotto silenzio e si è andati avanti come se nulla fosse, con la gara di appalto – d’importo pari a “soli” 929 milioni di euro – deserta, adeguamento della base d’asta ai costi reali e ripartenza della procedura.
Ricapitoliamo. L’operazione Genova prevede: Terzo Valico, Diga foranea e Gronda per un totale di almeno 13 mld. Obiettivo: arrivare, se va bene, a un quarto della movimentazione della sola Rotterdam. Se aggiungiamo almeno un paio di miliardi per il BRUCO, arriviamo a meno di metà ma già circolano esaltanti analisi costi-benefici basati appunto sull’idea di perseverare a ignorare i porti del Meridione. Gioia Tauro, prosegue per conto suo, macinando utili e crescendo ugualmente, tra il disinteresse dell’esecutivo: se si attivassero i collegamenti e si utilizzasse adeguatamente il retroporto sarebbe ovviamente tutta un’altra storia. Altro che Genova… (rdm)

Presentato il progetto definitivo di riqualificazione dell’area industriale del retroporto di Gioia Tauro

Il senatore Giuseppe Auddino ha presentato, al Comune di Gioia Tauro, il progetto definitivo di riqualificazione dell’area industriale del retroporto di Gioia Tauro.

 Alla conferenza stampa erano presenti il sindaco Aldo Alessio, il dottor Pippo Callipo e la deputata Anna Laura Orrico da remoto; l’imprenditore Nino De Masi ha portato i suoi saluti tramite Auddino.

«Grazie al mio emendamento alla legge di bilancio dicembre 2019 – ha spiegato Auddino – è stata inserita nella manovra la spesa di 6 milioni di euro, 2 milioni per ciascuno degli anni 2020, 2021 e 2022, per l’ammodernamento e lo sviluppo del retroporto di Gioia Tauro, in particolare per la realizzazione di opere di riqualificazione, in particolare nell’ambito della viabilità, dei trasporti, della logistica e del decoro urbano delle aree industriali ricadenti nei comuni di Gioia Tauro, Rosarno e San Ferdinando». 

«Dopo aver ottenuto 6 mln di euro per Gioia Tauro – ha spiegato il senatore – ho continuato a seguire l’iter di approvazione del progetto: non basta fare emendamenti se poi non garantiamo ai cittadini di spendere bene i loro soldi. A maggio 2021 ho aggiunto un altro tassello: la gestione dell’area del retroporto di competenza dell’ente regionale Corap è passata all’Autorità Portuale in seguito all’accordo con il Corap, grazie anche al lavoro che abbiamo svolto insieme alla Regione. Questo passaggio ha consentito lo sblocco delle risorse previste dal mio emendamento da parte del Ministero delle Infrastrutture per l’avvio dei cantieri». 

«Da quando ho iniziato ad occuparmi delle tematiche relative al Porto di Gioia Tauro – ha detto ancora – ho subito rilevato come una delle principali criticità presenti nel sistema portuale fosse la ripartizione della competenza sull’area portuale e su quella retro portuale tra vari enti e istituzioni e come gli interventi necessari allo sviluppo richiedessero atti d’intesa e di coordinamento tra essi, spesso non agevolmente realizzabili. Ho lavorato e mi sono battuto fino al raggiungimento del risultato. L’Autorità portuale quindi gestirà i cantieri che riqualificheranno l’area industriale retroportuale nell’ottica di uno sviluppo che, come ho sempre sostenuto, sarà coordinato tra sistema portuale, retro portuale, settori produttivi e altre attività correlate alla logistica». 

«A dicembre 2021 – ha spiegato ancora – la progettazione di fattibilità tecnico – economica per la riqualificazione e l’ammodernamento del retroporto è stata inviata al vaglio del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili. Il progetto inviato è corredato dal cronoprogramma dei lavori che prevede l’avvio dei cantieri nel primo trimestre dal 2023 e la fine dei lavori nel terzo trimestre del 2024, con la fase del collaudo alla fine del 2024». 

«A febbraio 2022 il Mims – ha proseguito – ha stilato ed inviato all’Autorità portuale l’accordo procedimentale, ossia l’accordo per determinare il contenuto del provvedimento finale che disciplina il finanziamento tra il MIMS e l’autorità di sistema di Gioia Tauro, individuata come soggetto attuatore. Tale accordo controfirmato dal Presidente dell’Autorità Portuale Andrea Agostinelli è l’atto con il quale vengono normate le modalità di erogazione del finanziamento da parte del Mims e quelle di rendicontazione della spesa e monitoraggio dei lavori». 

«Agli inizi di luglio 2022 – ha illustrato – sono stato all’Autorità portuale insieme all’ingegnere responsabile Carmela De Maria e agli ingegneri dello studio di progettazione DGE-Di Girolamo Engineering S.r.l. È stata una giornata di grandi risultati: finalmente, dopo anni di incuria ed abbandono, grazie al proficuo lavoro del Presidente Agostinelli e alla supervisione dell’ingegnere Carmela De Maria, con la convenzione tra Regione Calabria ed Autorità Portuale di Gioia Tauro, il progetto definitivo ha avuto la luce». 

«Dopo la presentazione del progetto esecutivo dell’impresa vincitrice della gara d’appalto – ha spiegato ancora – si potrà dare inizio ai lavori. L’area industriale retroportuale sarà “bella e accogliente come il salotto di casa nostra”, per attrarre investimenti che porteranno nuovi posti di lavoro. Come promesso ho seguito in questi ultimi due anni passo-passo tutto l’iter che avrebbe portato al progetto di riqualificazione dell’intera area industriale retroportuale di Gioia Tauro. Ora i 6 milioni di euro del mio emendamento alla legge di bilancio potranno essere spesi in questo progetto che non ha precedenti nella storia politica della Piana di Gioia Tauro». 

«Questo – ha sottolineato – è un risultato di grande valore per tutto il territorio regionale: la riqualificazione della zona industriale del retroporto renderà il sistema imprenditoriale attorno allo scalo gioiese più forte e competitivo. Da anni sostengo l’importanza dello sviluppo dell’area industriale retroportuale ai fini della crescita economica e dello sviluppo del sistema imprenditoriale di tutto il territorio: adesso con questo progetto la mia idea si realizza!».

«Le risorse previste dal mio emendamento – ha concluso – saranno impiegate per realizzare opere di riqualificazione nell’ambito del decoro urbano dell’area industriale retroportuale, come la realizzazione della pista ciclabile (necessaria a proteggere i ciclisti che percorrono questa lunga arteria già teatro di numerosi incidenti stradali), nuova illuminazione a luci led, videosorveglianza e aree verdi. Questi risultati rappresentano le prime tappe di un mio progetto più esteso di crescita economica, investimenti e sviluppo industriale del retroporto su cui sto lavorando da anni e che coinvolgerà anche la crescita dello scalo gioiese». (rrc)

Auddino (M5S): Progetto definitivo per retroporto di Gioia Tauro è realtà

Il senatore del Movimento 5 Stelle, Giuseppe Auddino, ha reso noto che il progetto definitivo di riqualificazione del retroporto di Gioia Tauro è realtà.

«I 6 milioni di euro del mio emendamento alla legge di bilancio – ha spiegato – potranno essere spesi in questo progetto che non ha precedenti nella storia politica della Piana di Gioia Tauro. Ieri sono stato all’Autorità portuale insieme all’ingegnere responsabile Carmela De Maria e agli ingegneri dello studio di progettazione DGE-Di Girolamo Engineering S.r.l. È stata una bella mattinata di grandi risultati: finalmente, dopo anni di incuria ed abbandono, grazie al proficuo lavoro del Presidente Andrea Agostinelli e alla supervisione dell’ingegnere Carmela De Maria, con la convenzione tra Regione Calabria ed Autorità Portuale di Gioia Tauro, il progetto definitivo ha avuto la luce».

«Ormai siamo in dirittura d’arrivo per la realizzazione del progetto di riqualificazione e ammodernamento del retroporto – ha aggiunto il senatore –. Adesso si procederà con il bando per la gara d’appalto e, dopo la presentazione del progetto esecutivo dell’impresa vincitrice, si potrà dare inizio ai lavori. L’area industriale retroportuale sarà bella e accattivante come il salotto di casa nostra, per attrarre investimenti che porteranno nuovi posti di lavoro. Questo è un risultato di grande valore per tutto il territorio regionale: la riqualificazione della zona industriale del retroporto renderà il sistema imprenditoriale attorno allo scalo gioiese più forte e competitivo».

«Da anni sostengo l’importanza dello sviluppo dell’area industriale retroportuale ai fini della crescita economica e dello sviluppo del sistema imprenditoriale di tutto il territorio – ha proseguito il senatore – adesso con questo progetto la mia idea si realizza! Le risorse previste dal mio emendamento saranno impiegate per realizzare opere di riqualificazione nell’ambito del decoro urbano dell’area industriale retroportuale, come la realizzazione della pista ciclabile (necessaria a proteggere i ciclisti che percorrono questa lunga arteria già teatro di numerosi  incidenti stradali), nuova illuminazione a luci led, videosorveglianza e aree verdi».

«Questi risultati – ha concluso – rappresentano le prime tappe di un mio progetto più esteso di crescita economica, investimenti e sviluppo industriale del retroporto su cui sto lavorando da anni e che coinvolgerà anche la crescita dello scalo gioiese». (rp)