di SANTO STRATI – Se la “giustizia” degli uomini – che in questo caso avrebbe potuto attendere almeno la chiusura delle urne – ha pensato di “punire” anche politicamente l’ex sindaco di Riace Mimì Lucano, in realtà gli ha fornito un assist formidabile per macinare consensi. In poche parole, risulta evidente che la sentenza di condanna – pesante ogni oltre immaginazione – trasformerà questa consultazione elettorale in un referendum sul modello Riace, chiamando i calabresi ad esprimere anche attraverso il voto lo sbigottimento e l’incredulità che il verdetto ha provocato, non solo in Calabria, non solo in Italia, ma in gran parte del mondo. Sia ben chiaro, lo abbiamo detto e ridetto ma repetita juvant: le sentenze non si commentano né si valutano a seconda delle convenienze o delle personali simpatie/antipatie verso l’imputato, ma la cronaca impone di dare conto del “terremoto” mediatico che si è scatenato dopo la veloce lettura della sentenza, nel Tribunale di Locri. Non si tratta di commentare la sentenza: o si crede nella giustizia o si incrina il pilastro che regge tutto l’impianto democratico di una nazione, però si possono, si devono, registrare le reazioni e ci sia consentito di fare qualche considerazione sulla mancanza di buon senso e sul “condizionamento” che una sentenza – a due giorni dal voto – può provocare.
Il prof. Enzo Ciconte, apprezzato storico (e mancato candidato – presumibilmente vincente – della coalizione di centrosinistra) ha tirato in ballo il mito di Antigone e Creonte, il re di Tebe che voleva impedirle la sepoltura del fratello Polinice che doveva restare mercé di animali e uccelli a farne scempio. Sappiamo com’è andata: Antigone non ha rispettato la legge crudele e l’ha infranta per seguire la propria coscienza e per questo viene imprigionata finendo per uccidersi. «I giudici di Locri – ha scritto Ciconte sul Domani – hanno scelto Creonte e soprattutto il suo cuore di pietra che non riconosce alcuna alternativa alla legge, dura e inflessibile». Nessun nobile fine, ma l’esatto contrario, secondo i giudici che hanno persino raddoppiato la pena invocata dalla pubblica accusa.
Il tempo è galantuomo e i vari gradi di giudizio che seguiranno ci diranno se l’avventura umana di Mimì Lucano doveva seguire la strada dell’oltraggio, dell’umiliazione, della persecuzione (com’è stato fino a oggi), oppure, ancora una volta, ci troviamo di fronte a un terribile caso di malagiustizia, che nessun risarcimento (né monetario né morale) potrà mai cancellare. Il “modello Riace” è stato indicato in tutto il mondo come simbolo di accoglienza (sentimento che i calabresi si tramandano da secoli nel proprio dna) e, probabilmente, qualche volta ha dovuto registrare una non corretta esecuzione delle norme legislative. In altre parole, s’è aggirata la legge da parte di Lucano, per fini di umanità, ma questo – giustamente – non può giustificare la violazione del diritto, perché si darebbe spazio al libero arbitrio se la legge si può rispettare a seconda delle situazioni. Ciò non toglie, però, che se rilasciare una carta d’identità a un migrante che non ne ha diritto è un “abuso d’ufficio”, questo non può essere condannato alla stregua di una violenza mafiosa (ci sono mafiosi dichiarati e condannati con la metà della pena inflitta a Lucano).
Non conta che Mimì Lucano non si è arricchito né ha comprato palazzi con i soldi della provvidenze pro migranti: di questo si deve occupare la magistratura, valutare l’eventuale reato e infliggere la pena ritenuta più giusta, che è poi ciò che è avvenuto a Locri. Secondo il Tribunale che lo ha giudicato in primo grado i reati – gravi – sono tutti accertati, la pena è quella che si ricava dai calcoli del codice penale. Ma non è questo l’aspetto inquietante della vicenda. C’è il rischio assai forte che le elezioni regionali di domani e dopodomani possano subire un’interferenza che può risultare intollerabile. Un po’ di buon senso avrebbe suggerito di rinviare di qualche giorno la camera di consiglio e soprattutto la lettura della sentenza. Ma qualcuno ha già obiettato che, visto che in Italia si vota in continuazione, se si seguisse questo criterio non ci sarebbero più sentenze per non condizionare il voto. E il segretario dem Enrico Letta s’è lasciato scappare una dichiarazione che la dice lunga su quanto accaduto: «Una sentenza che mina la fiducia nella magistratura».
Ed è su questo che bisognerà confrontarsi a partire dalle 15 di lunedì, dopo la chiusura delle urne, quando lo spoglio ci dirà quanto ha pesato il “referendum” sul modello Riace, il consenso aggiuntivo – frutto di solidarietà e sostegno – arrivato a testimoniare una vicinanza e un affetto che sono, in ogni caso, largamente evidenti. Si ricorderà che Mimì Lucano non riuscì a farsi rieleggere dai suoi concittadini nemmeno come consigliere comunale (dopo il clamoroso arresto), ma quell’episodio non fa testo, oggi, alla luce di quanto avvenuto in questo anno di consiliatura ammezzata, con un presidente ff che, dopo la sentenza, poteva almeno risparmiarsi la zaffata d’odio buttata su Lucano, e una regione troppo sconvolta da un’ingovernabile inedia, inseguendo una data del voto continuamente rinviata causa covid.
Non si tratta di stabilire se De Magistris e la sua coalizione raccoglierà un consenso aggiuntivo e inaspettato (davanti alle urne ciascuno, ricordiamolo, sceglie il proprio futuro con o senza convinzione) quanto se la sinistra divisiva e pressoché disintegrata non riceverà il colpo di grazia da un voto popolare che non è di rabbia ma di umana considerazione verso un “dannato” che ha voluto sfidare il mondo indicando un modello di accoglienza che si basava soprattutto sulla solidarietà e i gesti di speranza. Quando, nel 1997, sbarcarono a Riace i primi curdi (da qui l’appellativo “Mimmo il curdo” che gli venne con disprezzo appioppato dalla destra forcaiola e intollerante) il paese era conosciuto solo perché nel 1972, nelle sue acque, erano affiorati i due magnifici bronzi della Magna Grecia che presero il nome del luogo. Era un paese di case senza gente e i migranti in fuga dalla guerra sbarcati a Riace erano gente senza casa. È stato geniale creare un modello di accoglienza basato sul senso di umanità e giustizia: il borgo rinasceva, si era ripopolato, tutti avevano inventato o trovato un lavoro di che vivere, persino gli asinelli del paese erano stati “ingaggiati” per il trasporto della spazzatura. Non tocca a nessuno, all’infuori della magistratura, individuare se – come hanno ritenuto i giudici del primo grado di giudizio – vi sono state violazioni di legge, ma la realtà di Riace oggi è la risposta più concreta alla domanda se fosse sbagliato il modello Lucano: il borgo è abbandonato, sono rimasti in pochi, hanno chiuso le attività artigianali che davano di che vivere, tutto s’è accartocciato sul primo avviso di garanzia e i provvedimenti che sono seguiti: arresti domiciliari, divieto di dimora, etc.
In un’intervista al Corriere della Sera, Mimì Lucano ha detto a Carlo Macrì: «Sono un uomo onesto. È stata la mia popolarità a dare fastidio a molti. Non ho avuto la notorietà perché me la sono cercata. Il mio impegno, il mio modo di aiutare il prossimo sono stati gli argomenti che mi hanno reso popolare». Come non condividere il pensiero di un uomo perbene che si è dato il titolo di “Fuorilegge” nel suo fortunato e apprezzato libro e che nel suo conto in banca ma meno di dieci euro? Come non indignarsi, con tutto il rispetto per chi emette sentenze, per una condanna senza precedenti? «La sola imperdonabile colpa di Mimmo Lucano – ha scritto in un post l’avv. Anna Falcone (candidata alle regionali con De Magistris) – è quella di aver aiutato i gli ultimi, i più derelitti, quelli che gli altri usano come bersagli di odio o di sfruttamento. E l’accanimento verso Mimmo Lucano nasce proprio dall’aver dimostrato, con l’esempio della sua Riace, i frutti dell’integrazione solidale, la rinascita che può derivarne per i nostri borghi e la nostra società vecchia ed egoista! Del resto, accogliere, aiutare, tendere non una, ma due mani, è quello che noi calabresi facciamo da sempre, da secoli! Perché la storia della Calabria è una storia di eretici, di esuli, di minoranze scacciati, perseguitate, bandite e accolte nella nostra terra, dove tante popolazioni, tanti “stranieri” hanno trovato asilo, portando ricchezza e umanità. La stessa che esportiamo nel mondo».
La rivista Fortune nel 2016 aveva collocato Mimì Lucano tra i 50 uomini più influenti della terra. Non disponeva di ricchezze né di potere, era armato di un grande, fortissimo, senso di umanità che il mondo intero ha avuto modo di conoscere e apprezzare. Lo stesso sentimento che, pur amareggiato e avvilito, Mimì Lucano continua a coltivare. Non “santo subito” perché non è uno che ha fatto miracoli, ma nemmeno il ludibrio d’una condanna che si attaglia più ad attività criminali di mafia e malaffare. (s)
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[Il dipinto che appare in copertina è stato realizzato dall’artista iraniana Golrokh Nafisi e quindi donato a Mimmo Lucano a Caulonia, durante il suo divieto di dimora a Riace, dalla dott.ssa Flavia Prestininzi che ha conosciuto l’artista, nata a Teheran, al Chelsea College of Art di Londra dove frequentavano insieme il corso di laurea in Curatela Museale.]