Seduto in quel caffè di Sergio Dragone

di PINO NANO – Non sono un esperto di critica musicale, né tantomeno di storia della musica, non suono e non ho mai suonato nessuno strumento musicale, non ho mai cantato in vita mia, ma in questi giorni ho goduto della lettura di un libro sulla storia della musica scritto da un cronista che in Calabria ha rappresentato molto per la storia del giornalismo, quindi per tutti noi, soprattutto del giornalismo politico.

Parlo di Sergio Dragone, per lunghi anni storico Capo Ufficio Stampa del comune di Catanzaro, giornalista di grande capacità e di grandi interessi culturali. Bene, il suo ultimo saggio vi assicuro è quanto di più amabile e delizioso Sergio Dragone ci potesse regalare con il Natale alle porte, e quindi l’idea giusta di un regalo da fare all’amica più cara o anche o all’amico più caro.

Il titolo è ”Seduto in quel caffè”, lo pubblica Media&Books con la direzione editoriale di Santo Strati, 448 pagine, una bellissima e inedita Antologia dei versi più belli della canzone italiana, un saggio di rara bellezza, ma soprattutto un testo di rara modernità, scritto in maniera quasi didascalica, veloce, accattivante, di grande effetto emozionale, e di grande suggestione, perché dentro ci sono le più belle canzoni della nostra vita, i testi, i commenti, gli aneddoti legati al loro successo, ma ci sono anche i profili e le storie private dei grandi maestri della musica italiana.

Sergio Dragone li chiama “poeti della musica italiana”, e in realtà questo libro non fa che esaltare la bellezza dei versi di questi testi, che cantati o ascoltati in televisione o alla radio rischiano magari di distrarti, ma che invece letti, così come sono stati magistralmente impaginati, sono vere e proprie opere d’arte poetica. “Fabrizio De Andrè e Giulio Rapetti, in arte Mogol, – sottolinea Sergio Dragone- stanno alla canzone d’autore italiana, se mi si passa il paragone forse irriverente, come Dante Alighieri e Giacomo Leopardi stanno alla letteratura del nostro Paese. Quando, tra cento anni, si scriverà la storia della poesia italiana tra Novecento ed inizio Nuovo Secolo, i loro nomi saranno scolpiti nell’ideale pantheon”.

Questo di Sergio è un libro che si legge in una notte, tutto d’un fiato, che ci riporta indietro nel tempo, che ci rammenta pezzi del nostro vissuto, che ci aiuta a ritrovare emozioni sopite o dimenticate negli anni, che scandisce le stagioni della nostra vita, quando un tempo almeno noi che non siamo più ragazzi ballavano il ballo della mattonella, ma era l’unico modo allora per poter stringere a sé la donna del cuore.

Per me erano gli anni di Rose Rosse per te, di Massimo Ranieri, un pugno nello stomaco, che d’improvviso risveglia ricordi e immagini del passato, perché dietro ogni canzone c’è una stagione precisa della nostra vita, c’è un momento del nostro stato d’animo che ricompare prepotente dal buio e dal silenzio di tanti anni ormai trascorsi troppo in fretta e sempre di corsa, c’è la luce che solo la musica riesce ancora a darti. “Ogni giorno racconto la favola mia, La racconto ogni giorno, chiunque tu sia.

E mi vesto di sogno per darti, se vuoi, l’illusione di un bimbo che gioca agli eroi”. A pagina 158 Sergio Dragone copia integralmente Renato Zero, per raccontare la grande favole della vita di tutti noi, perché dentro questo saggio ci sono, in versi, i sogni, le rivolte, le tenerezze, le delusioni, le sconfitte e i successi della vita di ognuno di noi, ma è questa la forza e la grandezza della musica.

Un libro questo diverso dal solito, credetemi, un saggio che è sociologia della musica, una ricerca quasi maniacale di quella che è la storia dei parolieri italiani, oltre 250 brani analizzati e raccontati come lo si può fare a un bambino, oltre 500 gli autori e gli artisti citati, raccontati con un linguaggio comprensibilissimo e avvolgente, un vera e propria prova d’autore di quanto la musica e la poesia siano spesso la stessa cosa, lievito madre l’una dell’altra, mosaico indistruttibile della vita del mondo, anzi di più, perché la musica a volte supera la poesia e coinvolge molto più di quanto non sappia e non possa fare la poesia.

È difficile spiegarlo, lo so bene, me ne rendo conto, ma a me questo libro ha fatto uno stranissimo effetto, perché mi ha riportato prima bambino, poi ragazzo adolescente, poi ancora agli anni del mio liceo, e ancora dopo tra le camerate della Scuola Area di Firenze alle Cascine dove ero finito a fare l’ufficiale dell’aeronautica militare, e infine per le strade della vita, quelle percorse in tanti anni di mestiere e di professione.

Dietro ogni nota, dietro ogni testo, dietro ogni canzone che Sergio Dragone ha minuziosamente archiviato e catalogato c’è un avvenimento preciso della mia vita. Ma sarà lo stesso per voi nel momento in cui avrete questo libro tra le mani. Sergio Dragone lo spiega molto meglio nella sua introduzione: “Come diceva Roberto Roversi, il poeta di Lucio Dalla: «Anche con una sola canzone, oggi si può infilare un coltello nella schiena del mondo. Dunque, non è vero che con la canzone non si può fare altro che cantare.

Con una canzone oggi si può intanto discutere, sbagliare, ridere, avvertire, comunicare, lottare. Una cosa invece non si può più fare: ingannare”. La cosa che più mi affascina di questo libro è la suddivisione dei temi trattati, la musica suddivisa per argomenti, per concetti, per “ispirazioni”. Proprio così, per ispirazioni. A come Amicizia, come amore, amore assoluto, amore perduto, A come angeli, come anima, B come bacio, come bellezza, C come Cielo, come calcio, come città, D come Dio, come disperazione, come domani, e via di questo passo, una cavalcata metaforica nei meandri del proprio io e dell’esistenza delle proprie vite.

Bellissima la prefazione che fa al libro Carmen Di Domenico Bardotti, Presidente del Premio “Sergio Bardotti” e autrice lei stessa: «Questo lavoro – scrive – rappresenta la rivincita dei poeti che hanno messo il loro genio al servizio del prodotto musicale. Oggi, e dico finalmente, il posto degli autori, certo non di tutti, è saldamente nel campo della letteratura».

Ma la cosa più vera Carmen Bardotti la scrive subito dopo: «La missione del poeta è tutta racchiusa in un verso di una delle più belle canzoni di Sergio Bardotti, Piazza Grande, scritta assieme ad altri grandi autori “E se la vita non ha sogni io li ho e te li do”. È assolutamente vero, “non era facile sedersi in quel caffè con i mostri sacri della canzone italiana e scavare nella loro opera e nella loro creatività”, ma Sergio Dragone lo ha saputo fare con la stessa padronanza di linguaggio, e la stessa dimestichezza con cui per lunghi anni ha raccontato a noi la politica della sua città del cuore, che era Catanzaro.

Francamente non mi sarei mai aspettato da un giornalista come lui, analista impeccabile del suo tempo, al tempo stesso socialista e visionario dell’era Craxiana, un romanzo dedicato alla musica, e scritto con tanto cuore e con tanta luce negli occhi, ma non mi meraviglio più di tanto perché anch’io ricordo che in RAI a Cosenza, dove ho vissuto i miei primi 30 anni di vita professionale, c’era per esempio Raffaele Malito, storico cronista sindacale e politico, che intimamente e molto segretamente seguiva e coltivava la grande passione per la musica jazz, e non fu un caso che alla fine fu proprio lui negli anni con le sue cronache puntuali e informatissime fece del Festival Jazz di Roccella Ionica un evento nazionale.

E dopo di lui, fece altrettanto bene, e forse ancora di più Alfonso Samengo, oggi autorevole e amatissimo Vice Direttore di Rai Parlamento, perché la verità è che alla fine “al cuore non si comanda” e la musica è più forte di tutto il resto.

SEDUTO IN QUEL CAFFÈ
di SERGIO DRAGONE
Media&Books – Isbn 9788889991855

Jova batte Muccino: quando prevale la passione e la gioia…

di  SERGIO DRAGONE  – La differenza? La passione e la gioia. Jova batte nettamente Muccino, ma non è solo questione di visualizzazioni (anche se 120.000 in 24 ore non sono proprio da buttare via). E’ la felicità che batte la retorica, l’ingenuità che batte la cinica iper professionalità.

Il video “Alla salute”, girato da Jova tra Scilla e Gerace, è un inno alla gioia di vivere, un tripudio di colori, una festa corale di popolo. Il corto del celebre Gabriele, “Calabria, terra mia”, è invece un prodotto che tende alla perfezione tecnica, ma che non sprigiona emozioni, che percorre vie narrative scontate e incerte, con qualche improbabile licenza linguistica del protagonista (il suo “dove vuoi che ti porto?” è diventato un cult). Niente da dire su Raoul Bova, attore bravissimo che in questa stagione ha sbancato l’auditel con il suo don Massimo, sequel di don Matteo.

Ma vuoi mettere la carica emotiva di Jova, la sua capacità di intrufolarsi nell’anima calabrese e diventare, sia pure per 4 minuti, “uno di noi”, uno che balla sulla barca dei pescatori di Scilla e poi guida tra i vicoli di Gerace la banda e i giganti di cartapesta!

Sarà che Scilla è il mio luogo dell’anima, ma confesso di essermi emozionato nel guardare Jova sulla barca multicolorata e la Chianalea sullo sfondo.

Quello di Scilla è un mare che parla, che racconta, che emana suoni misteriosi, che custodisce segreti.  Si può restare per ore, incantati, a guardare il frangersi delle onde sulle case della Chianalea, con l’acqua blu cobalto che si insinua tra i piccoli canali che separano le costruzioni. Si sente l’eco

delle grida di leggendarie figure mitologiche nascoste nelle grotte o, più semplicemente, dei richiami pittoreschi che si scambiano sulle imbarcazioni i “cacciatori” di pesce spada.

Ecco, Jova ha capito di trovarsi nel luogo della leggenda ed è riuscito immediatamente a stabilire un feeling con l’ambiente e con la gente.

Il suo volto, in molte riprese, è apparso veramente colmo di felicità. Non fingeva, non recitava. La festa di popolo lo ha conquistato e lui ha restituito, grazie all’accorta regia di Giacomo Triglia, quella carica vitale che nasce dalla tradizione.

La Calabria di Jova è profondamente diversa da quella di Muccino. Entrambe le rappresentazioni mirano a rompere lo stereotipo di terra di mafia e regno dell’arretratezza. Ma mentre il corto di Gabriele contiene una visione patinata, il video di Jova affida ai colori e all’allegria le speranze di una terra e di un popolo. Bravo Lorenzo! (drs)

L’OPINIONE / Sergio Dragone: E se Augias avesse ragione?

di SERGIO DRAGONE – E se Corrado Augias avesse ragione? E se, al netto di frasi forti capaci di scatenare la proverbiale permalosità dei calabresi, la sua denuncia-shock avesse realmente il potere di provocare un moto di consapevole autocritica, tale da evitare l’infausta previsione (“la Calabria è una regione perduta, irrecuperabile”)?

La reazione sdegnata alle parole di Augias era largamente prevedibile. A nessuno piace vedersi rinfacciare i propri difetti. Ma se la Calabria occupa stabilmente l’ultimo posto in Europa come qualità della vita, se la sanità calabrese è classificata come la peggiore d’Italia, se la criminalità afferma la propria supremazia anche nei campi della politica, delle professioni e dell’imprenditoria, qualche dubbio sulla posizione di Augias è legittimo. Un conto sono l’orgoglio e l’identità, valori sicuramente preziosi; un altro conto è la presa di consapevolezza della gravità di una condizione che pone la nostra terra quasi ai margini.

Con questo, sia beninteso, non intendo minimamente giustificare Augias o, peggio, schierarmi al suo fianco. Dico solo che le sue dure parole fanno riflettere, oltre che fare male.

Peraltro, non è la prima volta che sulla Calabria vengono espressi giudizi taglienti. Agli inizi dell’Ottocento, un funzionario napoleonico, tale Augustin Creuzè de Lesser, scrisse che L’Europe finit à Naples et même elle y finit assez mal. La Calabre, la Sicile, tout le reste est de l’Afrique. Risparmiamoci la traduzione.

Mi vengono in mente almeno due circostanze più recenti. La prima è il reportage di Giorgio Bocca del 1992, intitolato “Calabria Aspra”, in cui il grande giornalista piemontese paragonava la Locride al Vietnam, con la sola differenza che «lì la guerra è finita, mentre qui la guerra sembra non finire mai». Anche in quell’occasione, ci fu una mezza rivoluzione contro la leggendaria “penna” di Repubblica.

La seconda è l’irriverente “comizio” di Antonello Venditti durante un concerto in Sicilia nel 2009, in cui l’autore di Sotto il segno dei pesci si chiedeva provocatoriamente: «Ma perché Dio ha creato la Calabria». Aggiungendo: “«speriamo che facciano il ponte sullo Stretto, così la Calabria ha una ragione di esistere». Apriti cielo! Le canzoni di Antonello sparirono dalla programmazione di tutte le radio libere della regione.

Disprezzo etnico? Razzismo? Oppure un colpo di frusta per “costringere” le coscienze a riflettere, a fare autocritica, a fare tesoro di errori imperdonabili? Lascio ad ognuno il peso di una risposta esaustiva. Le parole di Augias fanno male. Personalmente, pur facendo fatica ad accettarle, preferisco pensare e riflettere sui nostri errori collettivi, sulla pesante responsabilità di ognuno di noi di avere contribuito a questa immagine devastante della terra che diciamo di amare. Preferisco pensare (e sperare) che la profezia di Augias non si realizzerà, che la nostra terra – come ha scritto Leonida Repaci in Calabria grande e amara– raggiungerà la sua felicità, magari con più sudore, ma la raggiungerà. E preferisco applicare alla Calabria un passo della poesia rap letta da Amanda Gorman alla cerimonia di insediamento del presidente Joe Biden: «Sorgeremo dal Sud inondato di sole. Ricostruiremo, ci riconcilieremo, guariremo insieme». (sd)

TU CHIAMALE SE VUOI POESIE
di Sergio Dragone

In attesa della nuova edizione, questa antologia dei versi più belli della canzone italiana, aiuta a ripercorrere una storia musicale straordinaria, dove i protagonisti sono le canzoni e i cantanti che hanno accompagnato gran parte della nostra vita.

Sergio Dragone, giornalista e scrittore dai mille interessi, ha realizzato nel 2015 questa inedita antologia dedicandosi con un impegno lodevole e invidiabile a cercare non solo tra le sue canzoni preferite ma in un universo sconfinato di parole e versi. «Un dato è certo – scrive Dragone nell’introduzione – i parolieri, i poeti cantori, i maestri della poesia applicata alla musica hanno saputo descrivere come nessuno le emozioni, le ansie, le gioie, i dolori, i tormenti interiori, i sentimenti laceranti della nostra epoca».

La riproposizione dei versi più belli della canzone italiana segue un rigoroso criterio tematico, seguendo con attenzione la cronologia di uscita dei brani. Un divertente esercizio mentale per farsi venire alla mente cosa ogni canzone riesce a farci pensare, a quali momenti o ricordi della nostra vita è legata. L’autore è al lavoro per una nuova edizione aggiornata al 2020.  (rl)

Tu chiamale, se vuoi, poesie
di Sergio Dragone – editore Lampi di stampa, 2015
ISBN 9788848815932

CATANZARO – Ai tifosi piace la “Leggenda del Catanzaro” di Dragone

Successo della presentazione alla Casa delle Culture del Palazzo della Provincia di Catanzaro del libro di Sergio Dragone La leggenda del Catanzaro. Il giornalista e scrittore catanzarese racconta in 300 pagine la bella storia dell’US Catanzaro attraverso settanta quadri d’autore, con inediti profili di presidenti, allenatori e calciatori che hanno fatto la storia della squadra di calcio che quest’anno festeggia i suoi “primi” novant’anni. Nel libro trovano spazio anche alcune delle indimenticabili partite che hanno lasciato un ricordo unico nei tifosi. Alla presentazione hanno preso parte il presidente dell’Us Catanzaro, Floriano Noto, il giornalista Giuseppe Soluri, presidente dell’Ordine dei giornalisti della Calabria, l’ex giocatore Tato Sabadini, l’attore Enzo Colacino e il direttore editoriale di Media&Books (l’editrice del libro) Santo Strati. Ha condotot brillantemente la serata la giornalista Stefania Scarfò.

Ai tifosi il libro è piaciuto tantissimo. Abbiamo scelto la testimonianza dell’avvocato Antonio Ludovico sul lavoro di Dragone, a rappresentare l’entusiasmo suscitato tra gli appassionati.

«Esistono storie calcistiche – ha scritto l’avv. Ludovico – che sembrano autentiche storie d’amore, non solo per come vengono raccontate, ma per come sono state vissute. Con inaudita passione, con ingenua visceralita’, con sano entusiasmo. Quella della squadra di calcio del Catanzaro è una di quelle e il giornalista Sergio Dragone ne offre uno spaccato, luminoso ed efficace, nel suo ultimo libro, edito da Media&Books, La leggenda del Catanzaro.
Ed a scanso di ogni equivoco, mi piace sottolineare come il titolo sia assolutamente azzeccato per inquadrare da subito un lavoro enciclopedico che si snoda attraverso settanta schede (di allenatori, di giocatori e perfino di partite “storiche”) che si leggono tutte d’un fiato, non solo per colmare le proprie lacune calcistiche, ma per un arricchimento tout court che da quelle pagine emerge imperioso. Ed infatti, si nota sin dalle prime righe quanto incessante e meticoloso sia stato il lavoro di Dragone per riannodare il filo dei ricordi, per rimembrare gli aneddoti più curiosi, per ricostruire, con il solo ausilio della memoria, una storia che si è trasformata in leggenda per un’intera regione e non solo per la città di Catanzaro. Innumerevoli e ben documentate le infinite curiosità, tantissime le voci e i protagonisti di una sorta di memoriale che scalda il cuore anche di coloro che non amano lo sport più bello del mondo, perché Dragone riesce a miscelare con inaudita abilità la passione per la storia e l’amore per la geografia, la cura maniacale del dettaglio e la fluidità della narrazione. E così si passa dalle rievocazioni partigiane di Ballacci all’eroismo di Kertesz, dalle parate del piccolo “ragno nero” di provincia (il portiere Umberto Provasi) agli stacchi di testa del “grande airone” Gianni Bui. Senza dimenticare le gesta eroiche del Presidentissimo Nicola Ceravolo, del primo “straniero” Egidio Ghersetich, dell’uomo chiamato cavallo (Pierluigi Busatta), del George Best italiano (Sergio Pellizzaro), dell’Angelo del fango (Angelo Mammì), del “fornaretto” di Pizzo Calabro( Gianni Fanello), dell’uomo che volle farsi re (Massimo Palanca), dell’allenatore del miracolo (Gianni Seghedoni).
«Come un fiume in piena, – conclude l’avv. Ludovico – Sergio Dragone dimostra non solo un amore incondizionato per i colori giallorossi, ma una ricerca storica che entusiasma per il suo rigore filologico. Un libro, insomma, che dovrebbe stare sul comodino di ogni vero cittadino catanzarese, non solo tifoso di calcio, che riporta alla luce episodi conosciuti e non, che tocca le corde dell’anima e che in un pomeriggio di pioggia, mi ha fatto perfino riporre momentaneamente la splendida biografia di John Lennon di Philip Norman, per dare spazio alla magnifica “leggenda in giallorosso “. Non me ne sono affatto pentito. Assolutamente consigliato. (rcz)

Nella foto di copertina: Floriano Noto, Tato Sabadini, Giuseppe Soluri, Santo Strati, Sergio Dragone ed Enzo Colacino.