LA RIFLESSIONE / Franco Cimino: Dalla violenza per una partita di pallone alla nuova educazione

di FRANCO CIMINO – Non è andata come auspicavo. Non come ho supplichevolmente chiesto. Come ho pregato che andasse. Giungono dalla rete a decina i video che dicono di una parte di Cosenza, la nobile Città, assediata da autentici commandos di ultras che hanno attaccato i pullman di tifosi giallorossi di passaggio obbligato per tornare a casa. E dicono di una risposta scellerata di una piccola frangia di questi.

Dicono, e documentano di un gravissimo attacco, di un manipolo di stupidi al Mc Donald di Rende, dove famiglie con bambini stavano godendosi le solite serate di semplice allegria nel posto “ più adatto” ai ragazzini. Il bollettino di guerriglia urbana, ché di questa almeno si tratta, dice di qualche ferito tra i “ combattenti” e addirittura di tredici tra gli uomini delle Forze dell’Ordine. È andata bene. Poteva andare peggio, come spesso accade nei dopo partita incendiati. Quando succedono queste cose io non penso ai pochi cretini, ma ai bambini. I pochi cretini vanno puniti, e severamente, ché non c’è riparo alla stupidaggine. Il daspo da solo non è sufficiente. Occorre altro. I bambini, invece, vanno protetti e presi in totale amorevole cura. Sono nel pieno della loro formazione. E sono tanti. Molto di più dei cretini. Rappresentano non il cosiddetto futuro, loro e della società, ma il presente. Anche nostro. Di questa assurda contemporaneità. Non i cittadini di domani, ma l’oggi che è già domani.

Un tempo particolare, cioè, che si carica sulle spalle anche il passato, che è loro affidato in quanto già quotidianamente parte della storia del loro paese. Della loro comunità. Della loro famiglia. I tre spazi più vitali della propria identità, i tre punti forza del loro cammino. Lo sport in generale è strumento della formazione. Come lo è l’istruzione per la prima conoscenza e il trasferimento dei saperi. Promuovere la passione per lo sport è atto educativo importante. Nello sport si radicano alcuni tra i valori umani più importanti. Il primo, la competizione. La vera competizione. In essa vi sono gli elementi più significativi ed essenziali per la costruzione di un’etica che ha valore tanto individuale quanto sociale. Quindi, fondamentale per la crescita della persona e della società.

Quali sono? Ripetiamoli ché li abbiamo dimenticati. Il desiderio di vittoria. Non esiste sport senza competizione e, questa, senza quel desiderio. Ma la vittoria è come la gioia, prevede la possibilità opposta. Che si perda. Questa bivalenza si trasforma in duplice valore. La vittoria, se pesa diversamente sul piano pratico, ha lo stessa bellezza della sconfitta. Sono fatte della stessa sostanza, la partecipazione alla gara. E della fatica per concorrervi. La fatica di prepararsi, la serietà nel dovere di prepararsi. E la necessità di migliorarsi. E non soltanto per vincere, ma per essere degno di partecipare. Ché la vittoria più grande è la stessa di quella di ogni competizione umana. Anche di quella politica, perché no? Affrontare la prima sfida. E vincerla. La sfida contro il limite proprio. Superarlo, anche di un millimetro, di un millesimo di secondo. Anche di un tiro, con il pallone, con il remo, con la racchetta, con il fioretto, con l’asta. Anche delle gambe. Anche di una mezza bracciata. Vincere rispetto a sé stessi della gara precedente. E nella vita, che lo sport emblematicamente ripete, di sé stessi del giorno prima. E a scuola, della “interrogazione” già resa e valutata.

È superando ogni volta la forza che si possiede che si procede verso la ricerca della vittoria sull’altro, sugli altri. Il desiderio di quella medaglia o di salire sul podio, accettando pure il terzo gradino, ché guardare più in alto dello stesso è come guardare il cielo. Lo sport è gara. Competizione sempre. Non è una guerra. Il suo campo d’azione sono i molteplici campi da giuoco, non i fronti accesi della battaglia. I competitori, sono gli antagonisti, necessari al nostro crescere e migliorare. Sono al massimo avversari. Mai i nostri nemici. Per questo lo sport genera sentimenti positivi, l’ammirazione tra questi. È amore allo stato puro, la gratitudine profonda in esso. Senza il nostro antagonista, noi non saremmo. Senza chi ci batte, noi non cresceremmo. Senza il grande campione che abbia battuto ogni record, anche quello che noi non eguaglieremmo mai, non assisteremmo alla meraviglia delle meraviglie, l’essere umano che con le proprie forze, il proprio sacrificio nell’immane fatica, ha superato il limite. Consegnandoci la vittoria di tutto. Quella dello sport. Che è, pertanto, lo spazio in cui si manifesta il senso pieno dell’onore.

L’onore composto da dignità, lealtà, rispetto per l’altro. Per questo motivo, vittoria e sconfitta hanno pari valore morale, il riconoscimento nell’una e nell’altra dell’onore offerto e ricevuto dal solo fatto di aver partecipato. Di essere stati parte e protagonisti della gara. Lo spirito sportivo, appartenendo interamente ai processi educativi, favorisce la crescita nei giovani di quel buon senso della vita. Lo Sport, qui con la maiuscola, è vita che aiuta a vivere bene. Come la Scuola, sempre con la maiuscola, è la società. Specialmente, per i giovani di oggi, spinti da una cattiva educazione, familiare e sociale, a concepire i campi di ogni loro manifestazione, come campi di battaglia, dove gli altri che non appartengono alla nostra prossimità, sono nemici. Da abbattere più che sconfiggere.

Da odiare non solo da avversare. Campi di battaglia in cui non c’è la nostra squadra, ma l’esercito cui apparteremmo, la banda di cui faremmo parte in quell’assurdo senso di appartenenza che è la negazione del valore dell’identità. Educazione scellerata, che fa dei nostri figli degli esseri deboli, che alla prima sconfitta della quotidianità, invece che esaltarsi si deprimono. Così facendo spazio in loro a quel senso del fallimento che è tanto distruttivo da aver bisogno di quella carica aggiuntiva di aggressività senza la quale non si reggerebbe. Aggressività che in taluni, se non affrontata adeguatamente dal mondo degli adulti, si trasforma in violenza, sia che essa venga fisicamente praticata sia che venga soltanto immaginata o “ verbalizzata”.

Il calcio è lo sport più praticato nel mondo. Assai di più in Italia. Ad esso si avvinano, praticandolo o guardandolo, i nostri ragazzi. È stato così per noi allo loro età. Il calcio è una magia. Ci fa giocare in qualsiasi spiazzo. Anche nei corridoio della casa. Noi, i ragazzi di un tempo molto passato, accartocciavano fogli di giornali, li stringevano nello spago e ne facevamo palla per giocare nelle vie. Con le poche auto che ci interrompevano, magari mentre andavano a far gol nel tratto di marciapiede, strettamente chiuso a porta da cappotti e maglioni di cui ci eravamo liberati per sudare a più non posso. Il calcio ci fa sognare. Ancora oggi, che siamo vecchi incorreggibilmente giovani. Sognare di di diventare, io Omar Sivori, i miei amici Luisito Suarez, Mario Corso, e di lì, per generazioni, a scendere fino a Baggio, Totti, Maradona… E oggi, anche al marinoto Pietro Iemmello.

Si va alla partita di domenica anche per toccare con gli occhi il sogno. Gli stadi sono per questo sempre più pieni di bambini. Tutta l’aria si riempie dei loro sogni e il cielo dei loro occhi luminosi come le stelle, anche di giorno. Gli atti di violenza negli stadi e fuori degli stadi, lo dico a quei cretini, se hanno figli o che li avranno, sono atti contro i bambini. Lo sono doppiamente, in contemporanea al loro svolgimento, per il terrore che procurano in loro e nelle famiglie che li accompagnano. Lo sono per il pericolo di deviazione al loro percorso educativo, quando l’idea che la partita di pallone altro non sia che l’occasione per odiare il nemico e attaccarlo in qualche modo e non un momento dello spirito sportivo, che la sconfitta della propria squadra altro non sia che una ingiusta condanna e non uno stimolo a far meglio in futuro, che non aver vinto equivalga a un fallimento e non al riconoscimento del valore dell’avversario da onorare.

Un pericolo che può trasformarsi nell’idea che la vita sia fatta tutta di ingiustizie e di colpe altrui, che una sconfitta personale sia un fallimento irreversibile, che la lealtà parimenti al rispetto non esista, che la causa delle nostre sofferenze o dei più semplici problemi, sia prodotta dagli altri e che questi siano tutti nostri nemici, che usano violenza da contrastare con una violenza maggiore e che l’odio sia l’alimento esclusivo per sostenerla.

Vogliamo che i bambini crescano così e costruiscano, crescendo, una società di questo disvalore? Ci stiamo già dentro, forse, e non c’è ne siamo accorti? No, non deve essere cosi. Forse, siamo ancora sulla più brutta soglia, è vero. Ma, di certo, facciamo ancora in tempo a salvarli tutti, i nostri ragazzi. Occorre, però, mettersi al lavoro. Tutti insieme. Istituzioni, scuola e famiglia le più importanti, chiesa e confessioni religiose, associazioni umanitarie e sportive, società calcistiche in primis, mondo della comunicazione e i padrini del business, degli affari, soprattutto.

Debellare ogni forma di violenza e l’istinto all’aggressività. Questo il loro compito primario. Un compito “comandato” dall’amore, l’unica energia che può portare alla costruzione di un mondo migliore. L’Amore, l’unica forza del vero cambiamento. L’unica ribellione che può trasformarsi nella vera rivoluzione. Per dirla con Moro, “quella Cristiana, che trasforma la società e rinnova la bellezza umana”. (fc)

La scuola come luogo di crescita culturale e umana, non di scontro

di LUCIO FRANCESCO GULLO – In un rapporto complementare che favorisce la crescita culturale e umana dell’alunno, la scuola dovrebbe essere il punto di riferimento di ogni famiglia e la famiglia il punto di riferimento di ogni scuola. Una relazione, dunque, che vede lo studente al centro di essa, ma che sembra essersi spezzata, nella mattinata del 15 gennaio, tra le mura del liceo “G.B. Scorza” di Cosenza.

Quello che sarebbe dovuto essere un dialogo sereno, tra il dirigente della scuola, Aldo Trecroci (ricoprente anche la carica di consigliere comunale) e il genitore di un’alunna dell’istituto in questione, si è trasformato in uno scontro acceso che non ha dato spazio a chiarimenti, prima che il padre della ragazza tirasse uno schiaffo al preside, facendolo cadere a terra.

Secondo quanto riportato dal preside, lo stesso avrebbe più volte subìto minacce durante la conversazione e il modo stesso di presentarsi del genitore sarebbe stato un po’ brusco, sin dal suo ingresso nell’ufficio scolastico. I motivi di tale gesto del genitore restano incerti: secondo alcune indiscrezioni, la reazione del genitore sarebbe stata causata della mancata possibilità di far accedere l’alunna al percorso di alternanza scuola-lavoro che desiderava intraprendere, per la mancata disponibilità dei posti, già esauriti. 

Sebbene sia fondamentale un organizzazione scolastica che promuova l’interesse degli alunni verso attività mentalmente stimolanti per ognuno di loro, grazie a dei docenti attenti e alle opportunità offerte dai percorsi scuola lavoro (PCTO), è necessario evidenziare come spesso molti adulti pretendano di interferire nell’organizzazione intrascolastica senza rispettare gli ambiti di operatività e le norme che permettono il funzionamento del sistema scolastico.

Un sistema che dovrebbe dare la possibilità alle famiglie e al consiglio d’Istituto di poter soddisfare le esigenze di ognuno nell’adempimento dei propri ruoli, garantendo una comunicazione chiara e serena e nel massimo rispetto reciproco. Dopo la caduta, il dirigente Aldo Trecoci è stato assistito da alcuni collaboratori scolastici che hanno avuto la prontezza di aiutarlo e si è recato all’ospedale di Cosenza per farsi refertare, in seguito in questura per sporgere denuncia.

Diversi personaggi politici hanno tenuto a esprimere rammarico per quanto accaduto: Il sindaco Franz Caruso la sua massima solidarietà e condanna con fermezza il violento episodio senza uso di mezzi termini, il Presidente del consiglio comunale, Giuseppe Mazzucca, ha criticato aspramente l’episodio, il vice capogruppo di Fratelli d’Italia Alfredo Antoniozzi ha dichiarato: «È un gesto che squalifica la nostra città e che va condannato senza remore. È impensabile che si arrivi ad aggredire fisicamente un dirigente scolastico o un docente».

Pino Assalone dell’USB ha condannato l’episodio senza usare mezzi termini e l’ex vice Sindaco di Cosenza, Maria Pia Funaro che ha fatto notare come questa tipologia di episodi sia ultimamente in crescita.

Parecchie sono le tematiche relative all’educazione che vengono studiate nelle aule scolastiche, non poca è l’importanza che viene data al saper parlare e riuscire a stare al passo col sistema,ma quello che sembra venire meno al giorno d’oggi è la concretezza più banale,ma comunque essenziale,di un comportamento adeguato e umano capace di costruire orizzonti e non di reclamare con prepotenza,una concretezza che prescinde da qualsiasi pensiero teorico fine a sé stesso.

A prescindere da quelle che possano essere state le motivazioni del genitore, il rapporto che sta alla base di un efficace dialogo sembra essere stato assente durante questa discussione, una discussione che dimostra ancora una volta quanto l’approccio adottato tra due adulti che ricoprono due ruoli diversi possa trasformarsi in un mezzo di sopraffazione da parte di uno sull’altro e, in ultimo, sull’istituzione. 

Dopo tutta questa violenza, non ci resta che augurarci che questa sia solo una triste parentesi e non diventi parte di una serie di episodi che preannunciano una società incapace di usare il buon senso e di dare il giusto esempio alle nuove generazioni. (lfg)

LA LEGALITÀ E LA SICUREZZA, QUESTIONE
DI CIVILTÀ: IL MODELLO DI CASTROLIBERO

di ORLANDINO GRECO – Fin dalla cosiddetta prima repubblica il tema della legalità ha coinvolto la sensibilità dei più: basti pensare alle stragi di Stato, al terrorismo estremista, a tangentopoli, fino ad arrivare ai giorni nostri, all’evasione fiscale, alla criminalità organizzata e al business dell’immigrazione. Quest’ultimo punto, in particolare, resta di stretta attualità ed è interconnesso al tema della sicurezza perché coinvolge anche i luoghi del degrado urbano, occupando un notevole spazio nel dibattito pubblico.

Riflettevo, allora, sulle stucchevoli polemiche sollevate dalle opposizioni di “sinistra” in merito al Ddl Sicurezza del Governo Meloni. La mia domanda, ovviamente retorica, sorge spontanea. La risposta sta nel fatto che la legalità, così come la sicurezza, non dovrebbe essere un tema né di destra né di sinistra ma una questione di civiltà. La legalità, infatti, è la precondizione dell’impegno politico e civile, così come la capacità di governo e controllo dei territori deve essere precondizione dell’amministrare bene, con senso civico e con rigore al fine di contrastare fenomeni criminosi e di illegalità.

Pensiamo a quello che sta avvenendo nelle grandi metropoli come Roma e Milano, nelle cui periferie, spesso lasciate al loro destino, gruppi sempre più organizzati di persone italianissime ma molte provenienti da altri paesi aggrediscono cittadini e turisti. Oppure ai quartieri popolari di Napoli, Bari o Palermo, spesso bellissimi ma sempre più palestre di criminalità organizzata e per questo poco accessibili ai visitatori.
La riqualificazione di queste aree, unitamente ad un impianto di legge più incisivo, devono essere gli elementi di rottura con un passato che sta stretto alle tante persone che hanno scelto di vivere la propria vita nella legalità.
Sono questi i motivi che mi inducono ad accogliere favorevolmente il nuovo DDL Sicurezza del Governo Meloni che prevede, tra le altre, pene più aspre per gli occupanti abusivi delle abitazioni, procedure più rapide per la liberazione delle stesse e la detenzione per le donne incinte che commettono reati.
La politica deve essere esemplare, avanguardia di un’etica che passi dalla diffusione dei valori della libertà e del rispetto del prossimo. È ciò a Castrolibero stiamo cercando di fare, con un controllo più capillare del territorio, grazie all’azione incisiva delle forze dell’ordine, mediante l’installazione di telecamere che monitorano eventuali atti vandalici o criminosi, ordinanze che tutelino l’ordine pubblico e controlli severi sul rispetto dei diritti e doveri del cittadino, dalla raccolta differenziata al pagamento delle imposte, dall’abusivismo edilizio all’equa assegnazione degli alloggi popolari.
La legalità e la sicurezza sono valori che non dovrebbero avere colori politici di parte e dunque mi chiedo amaramente perché ancora una certa sinistra, utilizzando questo appellativo solo per individuare una parte dell’arco costituzionale dei partiti ideologici che di fatto ritengo ormai filosofia pura, si opponga a tali provvedimenti di buon senso.
Il “De officiis” di Marco Tullio Cicerone ha offerto un contributo significativo sul concetto di dovere e sull’importanza che ciò assume nell’ambito del fenomeno giuridico in quanto, spesso, le norme vengono considerate solo nella loro manifestazione oggettiva, come se esse non fossero il frutto di un comune sentire che si manifesta traendo ispirazione dai principi generali del diritto: il nuovo DDL Sicurezza ne è la manifestazione concreta rispetto ad un problema ormai annoso e che attanaglia migliaia di innocenti.
Occorre aprire una nuova stagione nella quale gli interessi di bottega e i buoni propositi demagogici non prevarranno più sull’interesse generale, l’unica bussola che deve guidare l’azione politica delle classi dirigenti. Ma da sola l’azione repressiva non è certamente bastevole: ritorniamo a parlare di doveri garantendo i diritti ma lavorando molto sulla prevenzione attraverso la scuola, la cultura, l’educazione ed il lavoro. Una società nella quale il figlio non rispetta il padre, dove il giovane maltratta l’anziano, dove l’uomo non coltiva modi gentili verso le donne e addirittura le utilizza come oggetti, e dove l’alunno arriva a minacciare l’insegnante con il silenzio dei genitori, è una società senza futuro, fermiamoci prima che sia troppo tardi. (og)

LA RIFLESSIONE / Rossella Napolano: La violenza e la sopraffazione che si nascondono dietro la parola

di ROSSELLA NAPOLANO – Nel 1980 Monica Vitti, straordinaria artista recentemente scomparsa, s’interrogava su cosa fosse l’amore, producendo uno straordinario filmato in cui intervistava donne, giovani, esperti ed illustri personaggi della cultura raccogliendo l’esperienza collettiva di un mondo in cerca di emancipazione che si poneva tante domande e che cercava ostinatamente le risposte in un tessuto sociale variegato ma che aveva la spinta propulsiva verso il cambiamento.

Quelle stesse domande oggi ci pongono di fronte a delle perplessità che spesso ci mettono in crisi come collettività soprattutto posti di fronte ad accadimenti e fatti di cronaca ove, nascosti tra le parole “t’amo”, troviamo violenza e sopraffazione, discriminazione e negazione delle identità personali e collettive delle donne, dei giovani e delle diverse sensibilità sessuali che ancora oggi dopo tanti anni stentano a trovare un riconoscimento fattuale legislativo, culturale e socioeconomico.

Negli ultimi anni, scossi dalla pandemia, le recrudescenze di certi fenomeni di inciviltà li abbiamo subiti e letti in ogni angolo del nostro paese, ma in certi territori, più complessi e problematici dal punto di vista occupazionale, culturale e sociale come nel cuore della Calabria , in cui si sperimenta sulla nuda carne il disagio sociale, ci pongono di fronte ad una sfida doverosa: dare risposte alle ataviche domande che quel mondo si poneva.

Cos’è l’amore in tutte le sue declinazioni, l’amore per la nostra terra ancora infiltrata dalla ndrangheta , che oggi vede lo scontro  tra la parte sana della società civile che vive secondo principi di legalità e civiltà ai quali non rinuncia contro quel cancro del malaffare e dell’antistato che si dimena per continuare a vivere silenziosamente. Dov’è l’amore per le nuove generazioni che passa attraverso l’istruzione e la formazione che in alcuni esempi negativi, come i fatti relativi a gli accadimenti che hanno visto coinvolto un Liceo di Cosenza ove si perpetravano violenze psicologiche e vessazioni di genere, non possono e non devono esimerci dal porci delle domande autentiche rispetto al ruolo degli educatori e delle istituzioni educanti tutte, che devono essere sane ed autorevoli perché in loro vive la speranza collettiva di un futuro migliore.

Dov’è l’amore per gli esseri umani che lottano per migliorare le condizioni vita, fuggendo dai loro paesi d’origine che non li rispetta e decidono di sfidare la morte e che si aggrappano alla speranza affidandosi alla nostra terra ,che spesso ha dimostrato di sentire quell’amore vestito di civiltà che si trasfigura nel volto di Riace che oggi più che mai è il nostra vera immagine.

L’amore in tutte le sue declinazioni, familiari, sessuali, umane, sociali ed istituzionali è oggi più che mai il centro della nostra esistenza e urla di certo una risposta con voce univoca: l’amore è Relazione, riconoscimento e rispetto, ricerca del bene collettivo ed è proprio quest’ultimo in cui  la Cgil Area Vasta si identifica ed esprime le sue prerogative, facendo battaglie civili e politiche che lasciano tracce nel tessuto socio-economico del nostro territorio che langue diritti e che rivendica i valori fondanti della nostra civiltà.

Ogni giorno la nostra organizzazione raccoglie la sfida attraverso tutti i suoi componenti, lo fa seguendo il senso di appartenenza, aggrappandosi all’alta idealità e all’insita umanità che la Cgil esprime da più di cento anni nei confronti del nostro paese e che ha dimostrato, soprattutto nella nostra terra, che l’amore collettivo si realizza attraverso la lotta e pretesa che le cose possano e debbano cambiare, per noi e per le generazioni che verranno che faranno memoria della nostra esperienza civile. (rn)

[Rossella Napolano è Segretaria con delega alla parità di genere CGIL Area Vasta Catanzaro –Crotone-Vibo]