di SANTO STRATI – Se, ancora una volta, il vero vincitore di una tornata elettorale sarà l’astensionismo, possiamo considerare persa una buona occasione per dare il giusto peso all’idea di Europa. Vale per tutte le elezioni (il calo dei votanti è irrimediabilmente costante) ma, in questo caso, c’è l’opportunità di mostrare che si crede nell’Unione Europea e nel ruolo che essa deve avere di fronte ai due terribili conflitti che, in vario modo, ci riguardano, e a una visione di futuro guardi fondamentalmente ai giovani e ai loro anni futuri.
Proprio i giovani, ahimè, sono quelli che – apparentemente – mostrano il maggior disinteresse non solo verso le elezioni europee, ma persino nei confronti dell’Unione, almeno questo dicono i sondaggi: nei fatti – crediamo, invece – c’è una forte domanda di partecipazione politica e il desiderio di poter puntare a un’Europa come una reale unione di Stati anche dal punto di vista politico (e non soltanto monetario).
I due conflitti in corso hanno fatto notare in maniera evidente la mancanza di un “ministro degli esteri” europeo, in grado di esprimere una comune visione contro la guerra (contro ogni guerra) e di assumere una funzione negoziatrice in nome e per conto di 27 Paesi.
Un’illusione, forse, ma ai nostri giovani, già delusi da una politica nazionale quasi inesistente, come facciamo a offrire una così modesta idea dell’Europa se non esprimendo – compatti – un voto che equivale al senso di partecipazione e e di fiducia. Non importa chi votate, ma andate a votare: è un segnale quello che serve all’Europa dei popoli e ai suoi futuri rappresentanti, perché prendano atto che Bruxelles non sia un posto di potere (come tanti altri) ma una cabina di regia che finalmente possa accogliere e, quando possibile, soddisfare le richieste dei cittadini di uno Stato comune europeo, che pur nelle singole e inevitabili differenziazioni esprime i valori della libertà e del viver bene che sono la base fondante dei padri costituenti di quella “Comunità” (CEE) che sarebbe poi divenuta “Unione”.
Quando, il 25 marzo 1957, venne firmato il Trattato di Roma che istituiva la Comunità economica europea e l’Euratom (Comunità europea dell’energia atomica), i padri costituenti di questa grande realtà “comune” mostravano una visione che rivelava la grande fiducia nel progetto europeo.
Un’idea nata nel 1941 ad Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi durante il confino a Ventotene (erano fieri oppositori del regime fascista): un progetto nato dalle riflessioni sui trent’anni di conflitti, dal 1914 al 1945, che cercavano di individuare un percorso comune per i cittadini di una “nuova” Europa.
Il cosiddetto Manifesto di Ventotene (poi curato e pubblicato da Eugenio Colorni) indicava la necessità di un radicale mutamento nel paradigma europeo, all’insegna di uno slogan che poi è il titolo originale del documento: “Per un’Europa libera e unita”. Scrivevano Spinelli e Rossi già nelle prime righe il concetto ispiratore dell’Unione: “La civiltà moderna ha posto come fondamento il principio della libertà, secondo il quale l’uomo non deve essere un mero strumento altrui, ma un autonomo centro di vita”. No al cittadino suddito (naturale condizione dei regimi totalitari) ma protagonista della vita politica, sociale ed economica del suo Paese nel nome della libertà.
È in base a questo concetto, della libertà, che il voto rappresenta la conferma della stessa libertà.
Andiamo a votare: è un diritto conquistato, consideriamolo un dovere verso le nuove e future generazioni, che – magari – potranno anche dire grazie. Non solo all’Europa, ma soprattutto a chi ci ha creduto. (s)