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L'OPINIONE / Franco Cimino: Perché mi candido a Catanzaro

L’OPINIONE / Franco Cimino: La Madonna del Mare, la sua festa stanca

di FRANCO CIMINO –  Anche quest’anno sono venuto. Non ne ho persa una della tua festa da quando sono “rinato” nella tua Marina. Ogni anno la tua festa. Sempre uguale sempre diversa. Bambino tra le braccia di mia mamma. E, poi, un po’ più grande, mano piccola in quella grande di mio papà.

A seguire, tanti anni fino alla prima adolescenza dietro di te con la “tunica” di chierichetto, restandoti accanto anche sulla paranza che solcava il mare. Per tutte le altre volte, che non oso contare per non spaventare il mio tempo, che volesse ancora esser generoso per quel che gli resta con me, sono stato sulla spiaggia. A vederti passare. E, poi, nella zona di Corace, a cinquanta metri da casa dove abbiamo vissuto come famiglia, e fino a oggi, sul lungomare, seguendoti, sempre affascinato, dal momento della tua discesa dalla barca poi risalendo la sempre più breve profondità della spiaggia, fino alla via del mare che, dopo una processione purtroppo sempre più breve, ti porta alla tua casa. È la chiesa madre a te intitolata, quale matrona di questo quartiere, che non ha mai smesso, anche per il radicamento all’ultima domenica di luglio, la Tua, di sentirsi paese. Autonomo. Indipendente. E tutto proprio a se stesso e alla sua comunità, anche nella sua forma indigena quasi tutta scomparsa.

Che commozione! Ogni anno sempre più intensa. Tu, dentro quella statua di cartapesta, che rendi vive tutte le cose. Rinnovi i cuori e accendi gli sguardi delle persone. Per farli amanti e lanciarli sul mondo. Amanti dell’Amore. E occhi oltre la siepe di ogni confine, dove trovare ciò che cerchi o che hai lasciato. Ovvero trascurato. Dimenticato. Oltre la siepe di ogni confine, dove hai lanciato un giorno il tuo cuore, come caparra per la realizzazione dei tuoi sogni. Dove hai lasciato i sassolini di Pollicino, per ricordarti la via del ritorno.

E, come per quelle barche in mazzo ai marosi, anche il tuo ritorno vedrà quella Madonna di Porto Salvo che porge la mano per accoglierti in “salvamento”. Oltre la siepe di ogni confine, dove troverai intatti quegli ideali che ti hanno acceso di passione e fatto sentire l’eroe della rivoluzione che avrebbe fatto del mondo la casa di tutti gli uomini liberi e felici. Oltre la siepe di ogni confine, dove io spero di trovare ancora gonfio, nascosto tra i rovi e le rose, quel palloncino giallo che mi è sfuggito un giorno dalla mano, facendomi piangere tra le braccia di mia madre, lasciandomi finora insoddisfatta la domanda adulta se quel mio pianto fosse di dolore o di gioia.

Oltre la siepe di ogni confine, dove passato e presente si riconciliano con quel futuro prosciugato della paura che non sia lungo, che non sia bello, che non sia ricco. O, più tristemente, che non sia. Oltre la siepe di ogni confine, dove ritrovare la tua Marina per come era, attraverso quei ricordo indelebili che ti riportino tutto di lei, fatti, volti, sorrisi e pianti, speranze e illusioni, combattimenti e sfinimenti, lotte perdute e desideri di vittorie mai abbandonati. Le partite di pallone sulla spiaggia con la gazzosa per scommessa. E amore lontani, perduti o non corrisposti. O del tutto silenziati negli unici sguardi scambiati tra i banchi della chiesa o nei corridoi della scuola. E quella storia mai scritta, che può scrivere ciascun marinoto.

Non per farne il diario segreto nel cassetto chiuso. Ma consegna di valori e di bellezza a quanti verranno dopo di noi. Tu Madonna di Porto Salvo, sei tutto questo per tutti. E lascia che lo dica un tuo fedele: in questo discorso la fede non c’entra. Tu sei tanto di più, sei Fede e laicità, sei tradizione e cultura viva, sei simbolo e idea. Sei radici indistruttibili e ricordi indelebili. Sei Marina e mondo. Sei confine che supera ogni confine, pur educandoci a rispettare le peculiarità degli spazi, delle culture e dei luoghi altri. Perché in ogni luogo vivono le persone con le loro storie. Tu sei preghiera di chi prega. E sei speranza di chi non crede ma a ciò che tu rappresenti si affida.

Tu sei la Marina bella, in cui il mare che proteggi è ricchezza e civiltà. Il mare, nel quale, “ i marinari”, (ah, se tornassero in tanti!) sono gli umili lavoratori e i principi illuminati di quel regno sempre pieno di cielo e di luce. Per questo sono venuto. Anche quest’anno. E che mi importa se nuovamente piangerò e tanti mi vedranno piangere! Tu sai bene perché piango. E sai anche bene per quale motivo aggiuntivo, ormai, io non manco alla tua festa. Tra la folla cerco la mia mamma, come facevo quand’era in vita. La sua testa bianca dei suoi capelli ricci ch’erano neri, affiora per quel suo modo timido di allungare il collo verso la tua immagine appena risalita dalla spiaggia.

Ed io che, fendendo la folla, a lei mi avvicino per dirle, mentre la copro del mio abbraccio: “ciao Ma’, vegnu cu tia appressu a Madonna.” Oggi ho pianto di lacrime diverse. Delusione e rabbia, le hanno disturbate. Non ho ritrovato mia mamma. E neppure i visi delle mamme dei miei amici e gli stessi miei sguardi nei loro occhi, che le cercavano. C’era poca gente, sempre meno a ogni anno che passa. Poca anche sulla spiaggia ad applaudirla al suo passaggio, con quel battimani lungo e scrosciante da coprire la musica della banda che suonava quasi ininterrottamente. Anche sulla paranza. Stasera la Messa di saluto a te si è svolta all’interno della tua piccola chiesa e ci stavano tutti comodi. In altri anni la piazzetta davanti non conteneva la folla sotto il palco della tua “ incoronazione” popolare.

La preghiera si faceva talmente corale che nel cielo si innalzava più colorata e rimbombante dei fuochi della mezzanotte. Anche stasera, puntuali all’ora stabilita, ci saranno i fuochi. Pare costeranno tanto. Io non li vedrò. Torno a casa con la paura che resteranno soltanto le accensioni del cielo di mezzanotte dell’ultima domenica di luglio, quale residuo simbolico di una festa che sarà finita.

E Marina, senza la cultura della festa della Madonna, la tua festa, non sarà più la Marina dei sentimenti e degli ideali, degli abbracci e delle radici. Della religiosità popolare e della folklorica manifestazione di un’identità comunitaria, che ci ha fatto tutti belli. Non sarà più la tenera custode di ricordi che si ravvivano, quasi fisicamente, ogniqualvolta il mare e il vento della vita che non finisce, te li riporta immodificati. Come la tua statua che resiste al tempo. Come il tuo amore per noi. (fc)