di PIETRO MASSIMO BUSETTA – «É necessario dialogare con l’Europa ed è necessaria una comprensione da parte dell’Unione Europea, che deve mettersi in discussione: tempistiche così stringenti non permettono di mettere a terra opere che sono strategiche perché entro il 2026 è impossibile. Forse è meglio guadagnare qualche anno rispetto al 2026 e mettere a terra, almeno per i grandi progetti, qualcosa che serva davvero allo sviluppo del Paese».
Cosi il Presidente della Conferenza delle Regioni, Massimiliano Fedriga, Governatore della Regione Friuli Venezia Giulia, ma anche un esponente di rilievo della Lega.
Non so fino a che punto è possibile che la Commissione Europea possa prendere in considerazione richieste di allungamento dei tempi, considerato che, per l’Italia, l’elemento temporale oltre che quello territoriale è fondamentale rispetto agli obiettivi che la stessa Unione si è posta.
E che in ogni caso l’allungamento potrebbe mettere in discussione tutto la costruzione dei piani nazionali, perché é facile che le richieste dell’Italia possano essere reitirate da altri Paesi, che hanno problemi analoghi.
Ma vi è un progetto indiscutibilmente eccezionale per la sua importanza per tutta l’Europa, per la sua caratteristica di opera assolutamente di eccellenza che porta avanti la ricerca scientifica in un campo importantissimo per l’universo, paragonabile alle imprese di conquista dello spazio.
Ma l’opera rischia di essere accantonata per la solita mancanza di risorse che caratterizza il nostro come tanti altri Paesi. Parlo del Ponte sullo stretto di Messina.
Trentanove alti accademici , ingegneri, architetti e dirigenti di varie società della comunità scientifica internazionale hanno firmato un documento che afferma: «Noi che parliamo una sola lingua, quella della scienza e dell’ingegneria, affermiamo che il ponte sullo stretto non è una storia di sprechi, ma al contrario è un’impresa che ha portato all’Italia e alla comunità scientifica internazionale uno straordinario bagaglio di specifiche conoscenze multidisciplinari che sono state riconosciute ed oggi ricercate in tutto il mondo».
Contrariamente alla vulgata nazionale che ne fa un progetto di sprechi e di ruberie.
Anche il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini, che dell’impresa della costruzione del Ponte sullo Stretto ha fatto un obiettivo del suo ministero, mettendoci la faccia, su una impresa che é facile contestare e che dà materiale infinito a tutti i comici italiani ma anche a molti pseudo ricercatori che sul no al ponte hanno costruito la loro carriera, torna a parlare del Ponte sullo Stretto di Messina: «Lo Stato italiano sta investendo 11 miliardi di euro sulle ferrovie siciliane per modernizzarle e velocizzarle e altri 11 miliardi per modernizzare le ferrovie tra Salerno e Reggio Calabria. Basta un bimbo di quinta elementare per capire che è necessario un ponte che colleghi altrettanto velocemente la Sicilia all’Italia e all’Europa. Investire quei soldi senza il ponte sarebbe economicamente e culturalmente una sciocchezza».
Ma di là della logica stringente che porta verso la realizzazione, in tempi relativamente brevi, del collegamento stabile non si può non fare a meno di notare come l’evoluzione del patto di stabilità, le esigenze sempre più pressanti in presenza di una inflazione che stenta ad essere bloccata e quindi a trovare risorse importanti per sostenere, anche con la diminuzione del cuneo fiscale a favore dei lavoratori salari e stipendi che sono sempre più contenuti ed inadeguati rispetto al costo della vita, portano naturalmente ad evitare stanziamenti importanti, che dovrebbero avere una dimensione di perlomeno 2 miliardi l’anno per i prossimi sei anni, per un’opera che molti potrebbero sostenere, appoggiati dalla grancassa della Stampa, di Repubblica, del Fatto Quotidiano, del Domani e di molte emittenti televisive, non è il momento per essere realizzata.
Cioè é facile che si ripeta la sceneggiata di Monti, che con un colpo di gomma fece saltare un investimento che era già nella sua fase attuativa, con un bando regolarmente vinto e affidato e con il rischio che comportava in termini di credibilità internazionale oltreché di possibili vertenze giudiziarie. Adesso la cosa più facile è che si dica che non è questo il momento adatto.
E allora che il ministro Raffaele Fitto, meglio ancora la stessa presidente Giorgia Meloni, possa chiedere alla Commissione che per un’opera così eccezionale, in un momento in cui l’Italia rischia di perdere risorse già assegnate ed in ogni caso che la destinazione voluta verso il Mezzogiorno possa essere dirottata altrove, si possa portare la scadenza del Pnrr per la sua realizzazione al 2030, prorogando di quattro anni la scadenza del 2026, in modo da poterlo finanziare integralmente, non è un fatto non sostenibile.
D’altra parte le affermazioni del direttore di Webuild, Michele Longo, nel corso di una audizione parlamentare in merito alla realizzazione del collegamento stabile tra Sicilia e Calabria sono incoraggianti. “Il Ponte sullo Stretto di Messina è un’opera immediatamente cantierabile. Appena sottoscritto l’atto aggiuntivo per il ripristino del contratto, il progetto può partire. La durata della progettazione esecutiva è prevista in 8 mesi, mentre il tempo necessario per la costruzione del ponte sarà di poco più di 6 anni.
L’importo relativo alla costruzione del ponte, come sola opera di attraversamento, è di circa € 4,5 miliardi, corrispondente a circa il 40% del valore totale del sistema infrastrutturale che include il ponte e tutte le opere accessorie. Il restante 60% è infatti relativo a un complesso di opere di collegamento e potenziamento della rete stradale e ferroviaria sui versanti Sicilia e Calabria, e a un numero considerevole di interventi di riqualifica del territorio e di mitigazione del rischio idrogeologico.
Il progetto avrebbe un forte impatto economico e occupazionale sul territorio, con un incremento atteso sul Pil nazionale pari a €2,9 miliardi l’anno, pari allo 0,17% , e con il coinvolgimento di circa 300 fornitori, soprattutto piccole e medie imprese del territorio. Si prevedono inoltre oltre 100.000 persone potenzialmente impiegabili nel corso della vita del progetto, incluso l’indotto generato, con personale prevalentemente assunto in regioni come Sicilia e Calabria, con alto tasso di disoccupazione”.
Se a queste evidenze si aggiunge anche il costo dell’insularità della Sicilia, calcolato da Prometeia in 6,5 miliardi l’anno, non si riesce più a capire quali possono essere i motivi per non andare avanti velocemente nella realizzazione dell’opera se non quelli di lobbies interessate a proteggere i loro investimenti sul porto di Rotterdam o su quelli di Genova e Trieste o ancora interessi più localistici riguardanti l’area dello stretto, che con l’attraversamento dei traghetti dà lavoro e utili ad alcune società che lì operano. Ma superare tali ostacoli é compito di un Paese serio. (pmb)
[Courtesy Il Quotidiano del Sud L’Altravoce dell’Italia]