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Il vescovo Parisi partecipa alla Notte dei licei al "Fiorentino"

LAMEZIA (CZ) – Il vescovo Parisi partecipa alla Notte dei licei al “Fiorentino”

«Ringrazio il Liceo classico, gli studi classici perché a me hanno consegnato la capacità critica, quella di poter leggere la realtà, interpretarla, poi anche servirla e, sostanzialmente, mi hanno insegnato, ed è quello che vi auguro, a saper obbedire e disobbedire, a saper guardare la realtà e scegliere liberamente e responsabilmente sino alla fine». Così il vescovo, monsignor Serafino Parisi, intervenendo al Liceo Classico-Artistico “Francesco Fiorentino” di Lamezia Terme nell’ambito dell’iniziativa “La notte nazionale del Liceo”.

«Questo è il bagaglio della cultura classica – ha aggiunto monsignor Parisi – con le analisi dei testi che ci hanno fatto soffrire, in quei tempi ormai andati, ed adesso trovo tanti compagni di viaggio per guardare la realtà, interpretarla criticamente e servirla, spero, con quella passione che al Liceo ho vissuto in un contesto molto felice e bello, in un contesto di amicizie, di relazioni che mi fanno compagnia e mi incoraggiano ad andare avanti ed è lo stesso augurio che con sincerità faccio ad ognuno di voi».
Precedentemente il Vescovo, partendo dal dialogo tra Ciro e Creso, tratto dalle storie di Erodoto, in cui si parla del rapporto tra pace e guerra, ha incentrato il suo intervento sul termine greco εἰρήνη (eirene, pace) «del quale – ha detto al riguardo monsignor Parisi – si discute molto sul piano dell’etimologia e qualcuno, con molte contestazioni di accademici con altri pregiudizi, lo fa derivare da una piccola radice che è ‘ar’ (da cui viene eirene) che vuol dire connettersi, cioè stabilire relazioni. Nelle lingue semitiche – ha aggiunto il Vescovo – il concetto è positivo, però non ha questo aspetto della relazione, ha piuttosto una visione di stabilità interiore, tanto è che anche oggi nel saluto arabo ‘salam’, ‘shalom’ è la pace, ma vuol dire salute, benessere, prosperità. Quindi, c’è un legame con se stesso ma anche con gli altri».

«Nella tradizione classica – ha proseguito monsignor Parisi – questo termine che è connettersi, cioè entrare in relazione, mi fa pensare all’aspetto positivo, costruttivo del termine pace che vuol dire fare lo sforzo costante di poter entrare in relazione con l’altro perché insieme possa essere percepita la realtà del benessere, della pace, della prosperità che si condivide e c’è anche l’aspetto di una connessione con se stessi».

Tornando al testo di Erodoto, il Vescovo, ha ricordato che nel dialogo di Creso con Ciro si “opponeva l’idea della guerra a quella della pace. Di per sé il contrario della pace non è guerra – ha aggiunto – anche se purtroppo è una realtà che stiamo vivendo soprattutto oggi che la guerra è vicino a noi e ci sono anche quelle che percepiamo di meno perché sono distanti da noi. Di fatto, per comprendere la pace, guardando al suo contrario, bisogna riflettere sul fatto che il contrario della pace, proprio per questo concetto di relazione, è la divisione. Ciò che divide è, di fatto, la negazione della possibilità stessa della pace”. Un tema, questo, come ha ricordato monsignor Parisi, attestato “sia dalla tradizione che veniva dall’esterno della Bibbia, sia dove si stabilivano delle alleanze, cioè dei contratti di relazione con gli altri popoli per convivere e questo avveniva anche per cose di poco conto. Ad esempio, se bisognava portare il gregge ad abbeverarsi ad una fonte d’acqua, per evitare di essere preso per un nemico che voleva occupare il territorio, si andava dal responsabile di quella comunità per chiedergli l’autorizzazione a farlo. La storia dice che questo modo di relazionarsi, anziché creare opposizione, cioè percepire l’altro come nemico, quando mi presento come uno che vuole stabilire con te una connessione, questo favorisce la mia stessa vita, favorisce la prosperità della mia e, quindi, della vita di quella collettività che si allarga sulla base di una relazione così pensata».

«Questo tema – ha aggiunto il Vescovo – era presente nell’Antico Testamento recuperato dalle vecchie ed antiche scuole di pensiero come tutto quello che era stato scritto nel codice di Hammurabi. Nel Nuovo Testamento, nell’esperienza di Gesù, la pace diventa addirittura un bene messianico. Cioè, la pace diventa quella stabilità dentro un contesto che non è possibile pensare diversamente se non in un contesto di relazioni, di carità, di agape, dentro un contesto di unanimità. Allora, il bene messianico della pace è uno stimolo a costruire ciò che crea relazioni che, alla fine, fanno stare bene tutti quanti noi».

«La pace – ha concluso monsignor Parisi – la vedrei così ed anche nel dibattito tra Creso e Ciro, lascerei stare pure la parola guerra, non la utilizzerei per le cose negative che evoca e che purtroppo porta giorno per giorno dentro le nostre case. Diventiamo costruttori di pace, dentro noi stessi, in una relazione riuscita con noi stessi e relazioni vere, calde, belle di amicizia con l’altro, e ci sarà la prosperità».