LA QUESTIONE DEL MEZZOGIORNO NON SI
RISOLVE CON UNA “PAROLACCIA-INSULTO”

di MIMMO NUNNARISe del “grido” di 700 sindaci del Sud davanti a Palazzo Chigi sede del Governo sbarrata come mai resta solo quell’insulto dal “sen fuggito” al presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, significa che il Governo Meloni ha messo il rullo con i titoli di coda sul Mezzogiorno. Porte aperte a Calderoli con l’Autonomia differenziata – una secessione mascherata – porte chiuse agli amministratori del Sud – quasi mille – che avevano qualcosa da dire.

È un vero peccato che di quella manifestazione di Roma sia rimasta solo quella parolaccia [str… za] rivolta alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni dal “sen fuggita” al vulcanico politico; e purtroppo si sa che  “Vóce del sén fuggita Pòi richiamàr non vale” (Cioè, la parola detta non sa tornare indietro) come scriveva Metastasio, nell’opera Ipermestra. Politici, uomini di Governo, giornali solo di quell’insulto hanno parlato; delle ragioni del “viaggio” a Roma dei sindaci, guidati da De Luca, niente. Anzi, qualche ipocrita interpretazione si è avuta: «il Sud è così perché, non ci sa fare».

La stessa presidente Meloni seduta nel salotto di Porta a Porta di Vespa Ospite di Bruno Vespa non ha perso l’occasione per lanciare un attacco all’indirizzo di De Luca, accusandolo di finanziare, con i fondi che reclama, sagre di paese e feste varie. Non ha mai trovato il tempo, però, la presidente, per spiegare come sia stato possibile tagliare con un tratto di penna, nella manovra di bilancio, il fondo simbolo immaginato per contro bilanciare l’autonomia differenziata, che era pari a 4,4 miliardi di euro. Forse anche questo i sindaci e De Luca avrebbero voluto chiedere al Governo se avessero incontrato qualcuno. Peccato, dunque, che del grido dei sindaci sia rimasta solo quella parolaccia-volgarità. Non certo la peggiore che in questi ultimi anni abbiamo sentito pronunciare dai politici.

Va detto, comunque, nel caso di De Luca, che non è scusabile, che l’ insulto – “rubato”  in un anticamera di Montecitorio – non era pronunciato per arrivare a destinazione. Tuttavia, quella parolaccia, conferma che l’aggressione verbale è diventata il linguaggio comune della comunicazione pubblica e che è pratica non cominciata certo l’altro giorno, col presidente della Campania. La storia è lunga: inizia con Bossi, che inaugurò la stagione politica della Lega Nord mostrando il dito medio e poi seguito’ con la sua personalissima interpretazione della sigla Spqr (“Senatus popolusque romanus”) che – secondo lui – voleva dire: «Sono porci questi romani».

Da allora la politica ha cominciato a vivere una delle fasi peggiori della sua storia contemporanea, caratterizzata da quella che l’ultimo leader democristiano, il mite bresciano Mino Martinazzoli, definiva “una sorta di continua e permanente trivialità”: che è fatta di insulti, attacchi personali, diffamazioni e sofisticatissime criminalizzazioni. La volgarità, compagna di strada dell’insulto, meriterebbe un capitolo a parte. Tanto per fare qualche esempio, è indimenticabile il Calderoli leghista del Nord che definisce “orango” il ministro Cécile Kienge ed è indefinibile il suo collega Vito Comencini, che raggiunge l’apice col vilipendio del presidente della Repubblica Mattarella: «Questo presidente della Repubblica, lo posso dire? Mi fa schifo».

Di insulti politici, di questa moda frutto di una subcultura che ha distrutto e liquidato la politica, se ne occupò a suo tempo anche il grande Umberto Eco, scrivendo un divertente stelloncino dal titolo esplicativo “Insulti politici”, pubblicato su la Repubblica, più di dieci anni fa. Ecco l’incipit: «I giornali registrano, da parte degli uomini politici, insulti da carrettiere”. In quell’occasione, il semiologo e filosofo di origini piemontesi, sdoganò, profeticamente, proprio la parola “stronzo” – che ora è al centro della polemica che si è sollevata con De Luca – pur con qualche necessario avvertimento: «È vero che io avevo tempo fa rivendicato il diritto di usare la parola stronzo in certe occasioni in cui occorre esprimere il massimo sdegno, ma l’utilità della parolaccia è appunto data dalla sua eccezionalità».

Eccezionalità che, francamente, pur comprendendo l’ira di De Luca, per quel “vadano a lavorare”, detto dalla presidente Meloni, non è possibile riscontrare nel sui caso specifico. Di quella giornata romana, di De Luca, con settecento sindaci che manifestavano contro il disegno del governo di autonomia differenziata e contro il blocco del Fondo sviluppo e coesione, purtroppo resta solo la parolaccia e non il senso di una legittima battaglia di amministratori del Sud che sollecitavano i fondi per ambiente, trasporto transeuropeo, efficienza energetica e energie rinnovabili.

Anzi, come si diceva, media nazionali, politica, e anche la stessa presidente Meloni, hanno approfittato per dare un’immagine di Sud che è così [arretrato] perché non ci sa fare. Sono chiaramente tutte accuse (false) e ipocrisie che servono solo a intorbidire il dibattito che De Luca e i 700 sindaci volevano invece aprire, con la manifestazione di Roma, dove – a differenza degli agricoltori con i trattori – hanno trovato le porte chiuse. Personalmente non ricordo mai il portone di Palazzo Chigi sbarrato, come quel giorno in cui è andato a bussare De Luca a nome del Sud. Forse aveva ragione il sociologo Domenico De Masi, che, nella sua ultima intervista, sul tema del Mezzogiorno, disse: «Il Sud finora è stato fin troppo paziente, dovrebbe invece avere il coraggio di perderla la pazienza».

Resta l’amarezza per l’ennesima occasione sprecata nella storia controversa del rapporto difficile tra lo Stato [il Governo pro tempore] e il Sud dell’Italia. (mnu)

NEI TANTI PROGETTI PER LA CALABRIA SI
CONTINUA A NON CONSIDERARE LO JONIO

Nei giorni scorsi ci è capitato di leggere alcuni dispacci stampa sulla questione della futura linea AV in Calabria e di alcuni progetti collaterali volti a potenziare i raccordi tra le linee storiche e quelle previste.

Alcuni Amministratori del Tirreno e dell’area valliva calabrese hanno addotto singolari teorie sulle motivazioni che dovrebbero spingere Rfi a realizzare la nuova linea AV lungo la dorsale tirrenica nel tratto Praia-Paola.

I Sindaci di Paola, San Lucido e Castrolibero hanno esplicato le loro motivazioni sostenendo che, quasi a compensazione dei 90 anni in cui la ferrovia tirrena-meridionale avrebbe inferto disagi al litorale di ponente calabrese, detto percorso — per non tradire le aspirazioni delle locali Popolazioni — sarebbe quasi dovuto. È stata significata, altresì, a suffragio della tesi sostenuta, la presenza di una cospicua offerta turistica sul richiamato litorale che non può essere ignorata.

«È inimmaginabile che non si pensi —  si legge nell’intervento dei sindaci — ad una proposta che non sia quella del potenziamento linea tirrenica».

A fianco le motivazioni dei sindaci, abbiamo letto di Prelati sibariti che hanno annunciato nefasti presagi circa la realizzazione del Deviatoio di Thurio. Si configura, finanche, un immaginario disegno di cancellazione della stazione di Sibari dalla mappa delle connessioni ferroviarie.

Ancora, autorevoli Docenti universitari che si schierano a spada tratta sull’ipotesi di un percorso esclusivamente tirrenico della nuova Av. Quasi a voler configurare la prevista linea veloce come esclusiva per le esigenze di connessione, nel minor tempo possibile, dello Stretto con la Capitale.

Naturalmente, tali manifestazioni non destano in noi meraviglia alcuna. È risaputo quanto funzionale sia al pensiero centralista ogni possibile sistema utile a giustificare l’ingiustificabile. A fianco quanto detto, si sommano poi piccole visioni localistiche che, evidentemente, annaspano a realizzare quanto il Mondo (per fortuna) si estenda oltre il semplicistico concetto di recinto d’ambito immaginato da Costoro. Tuttavia, ci chiediamo se la Calabria possa considerarsi un territorio in cui le Classi Dirigenti e la civica opinione agiscano per il bene comune piuttosto che per sterili interessi di bottega. Ci domandiamo, ancora, quale sia il senso di ragionare in termini di contesto regionale, se poi ogni ambito si comporta come organismo a parte e smembrato da un ragionamento unitario e di rete. Ma andiamo per ordine e cerchiamo di capire perché quanto contenuto nelle diramate dichiarazioni mistifica la realtà.

Questione tracciato alta velocità

Abbandonare l’idea Praia-Tarsia o la più funzionale Lagonegro-Tarsia, optando per la variante Praia-Paola non giova a nessuno. Neppure al Tirreno! Solo chi non conosce il territorio in questione potrebbe immaginare una nuova linea ferrata lungo l’angusto corridoio di ponente calabrese. La mancanza di aree pianeggianti e la saturazione di zone antropizzate a ridosso della linea di costa porterebbe, inevitabilmente, il tracciato ad un percorso di mezza costa. Considerata la conformazione quasi a falesia dell’intero ambito compreso tra Praia e Paola, la ferrovia si caratterizzerebbe come un continuum di viadotti e gallerie. I circa 80 km di linea da realizzare surclasserebbero, abbondantemente, il numero di km da percorrere su strutture impalcate e trincerate previsti dalle alternative vallive.

È bene chiarire, altresì, che l’eventuale opzione restiling dell’attuale linea tirrenica non rappresenterebbe neppure la copia mal riuscita di binari ad alta velocità. Piuttosto, si tratterebbe di una sommaria velocizzazione. Quest’ultima alternativa, poco gioverebbe alle esigenze del comprensorio tirrenico; ancor meno a quelle di tutta la Regione. Soprattutto, l’investimento — comunque importante — lascerebbe quasi immutate le tempistiche di percorrenza odierna.

Inoltre, trattandosi di soldi pubblici, non troverebbe giustificazione alcuna. Al contrario, il percorso mediano (Pollino-Vallo del Crati) garantirebbe il giusto compromesso ai bisogni delle due coste e dell’area interna. Vieppiù, metterebbe in condizione l’intera popolazione delle provincie di Cosenza e Crotone di poter accedere in tempi europei (max 55 minuti) ai punti di raccordo e smistamento previsti sul tracciato principale.

Questione geografica-demografica

La popolazione calabrese si assesta su circa 1.8 milioni d’Abitanti. La metà di Costoro risiedono tra le provincie di Cosenza e Crotone. La concentrazione antropica delle principali aree urbane regionali della Calabria del nord giace nelle città di Crotone, Corigliano-Rossano e Cosenza. La metà dei 900mila residenti circa del nord Calabria, vive negli ambiti urbani della Città bruzia, della Piana di Sibari e del Marchesato rivierasco.

I significati contesti sono allocati in area valliva e lungo la riviera jonica. La popolazione che gravita sulla sponda tirrenica (da Praia a Paola), invece, resta inferiore a 100mila abitanti; tra l’area valliva e la dorsale dell’Arco Jonico, al contrario, ne risiedono circa 800mila. Anche un bambino comprenderebbe che, a giustifica dei cospicui investimenti previsti per la realizzazione dell’infrastruttura, è necessario mettere in condizioni quanta più utenza possibile di poter fruire dell’opera stessa. È paradossale, se non illogico, se non scriteriato, dare prelazione all’area meno popolata (tra l’altro servita comunque dal raccordo di Praia), lasciando alla mercé di sé stesso il territorio che potrebbe mettere sul piatto un’utenza pari ad otto volte quella tirrenica.

Questione nodo di Tarsia e deviatoio di Thurio

Svuotiamo il campo da una diceria che in taluni ambienti romani e della Cittadella regionale sembra aver preso il sopravvento. Secondo accreditate Personalità politiche, lo Jonio prediligerebbe un tracciato via Tarsia per avere la comodità di una stazione “sotto casa”. Intanto, contrariamente a quanto ancora qualche disattento osservatore pensa, a Tarsia non è prevista alcuna stazione. In realtà, il nodo di Tarsia rappresenterebbe, semplicemente, un’immissione della linea storica sulla futura AV. Quindi, nessun investimento da destinare a mega stazioni (oltretutto non avrebbe neppure senso). Piuttosto, il passaggio da Tarsia, darebbe opportunità a tutto il contesto dell’Arco Jonico di raggiungere i binari veloci senza circoscrivere, da nord a sud, mezza Calabria per raggiungere innaturalmente il basso Tirreno cosentino.

Altra questione non di poco conto, Tarsia non è propriamente il riferimento “sotto casa” dello Jonio. Invero, la località è posta ad una distanza che varia da 25 a 55 minuti dalle Località joniche. Tali tempistiche verrebbero confermate previo operazioni di velocizzazione lungo il tronco jonico e vallivo delle attuali linee ferroviarie, con un progetto chiamato: Bretella di Thurio. Quest’ultimo, da non confondere con la riduttiva proposta di Rfi (lunetta di Sibari), prevederebbe una biforcazione ferroviaria nei pressi dell’ex posto movimento di Thurio (Corigliano-Rossano) con immissione in prossimità della ex stazione di Cassano.

Naturalmente, l’opzione dovrebbe comprendere la messa in funzione della stazione di Cassano e la creazione di una stazione a servizio della Città di Corigliano-Rossano e dell’interland della Sila Greca. L’attuale stazione di Sibari continuerebbe ad assurgere al ruolo che ha sempre svolto, ovvero la porta da e verso la dorsale adriatica. Solo per alcune direttrici, il mancato passaggio su Sibari, sarebbe compensato dalla sosta dei treni sulla reistituenda stazione di Cassano. Il Comune sibarita, quindi, si ritroverebbe ad ospitare due stazioni operative e non già una.

Questione offerta turistica

Contrariamente a quanto molti — non sappiamo se per mancata conoscenza o per mala fede — pensano, l’offerta turistica della dorsale tirrenica cosentina rappresenta meno di un terzo della proposta dell’intera Provincia. Il resto è totalmente concentrato lungo la lingua di costa che distanzia Villapiana da Corigliano-Rossano passando per Sibari (oltre 30 mila posti letto contro i poco più di 10mila compresi tra Praia e Scalea).

Va da sé che considerare i soli posti letto presenti sul Tirreno, disconoscendo l’offerta jonica tre volte superiore, dimostra ampiamente la considerazione che la Politica riserva all’estremo levante calabrese. Se a questo, poi, aggiungessimo i numeri compresi  tra i comuni di Crotone, Isola e Cutro (circa 20mila posti letto), ci troveremmo di fronte al più imponente sistema turistico dell’intera Regione.

Questione politica

Fermo restando quanto sopra dichiarato, resta da capire e decifrare quale sia il ruolo della folta Rappresentanza politica jonica nelle vicende che caratterizzano i prossimi passi della mobilità territoriale. Oggi, l’Arco Jonico, esprime, tra il Crotonese, la Sila, la Sibaritide ed il Pollino, 4 Parlamentari nazionali, 7 Rappresentanti regionali, 13 Consiglieri nelle rispettive Province e due Presidenti di Provincia. Una così corposa presenza istituzionale non esiste in nessun’altra area della Regione. Sarebbe lecito porsi domande riguardo a quale sia l’influenza di questa Rappresentanza, sulle scelte operate dallo Stato nell’ambito territoriale di loro pertinenza. Lo Jonio, d’altronde, si è sempre lamentato di non avere Referenti che amplificassero la voce delle legittime esigenze di quella che potrebbe essere una della aree più produttive dell’intero Meridione.

Tuttavia, oggi, si ritrova in una condizione — pur in presenza di un cospicuo numero di Figure istituzionali — di marginalità rispetto ai processi di crescita. Quanto su riferito, purtroppo, esplica il livello qualitativo di buona parte della nostre Classi Dirigenti. Vieppiù, certifica, per meri fini elettoralistici, succursali interessi agli equilibri del centralismo storico. Non ci risulta, infatti, esclusa una sparuta minoranza delle richiamate Personalità, l’avvio — ai vari livelli di rappresentanza — di interrogazioni finalizzate a chiarire la molteplicità di storture ed aberrazioni nel tempo perpetrate a danno dell’Arco Jonico. (Comitato Magna Graecia)

IL DOLORE PER CUTRO, UN ANNO DOPO
RIVEDERE LE POLITICHE D’IMMIGRAZIONE

di SANTO STRATI  –  È passato un anno da quella tragica alba di sangue e di dolore, a Steccato di Cutro, sulle costa crotonese. Un’alba che ha portato 94 vittime ufficiali e chissà quanti dispersi, vittime di un Mediterraneo inesorabile cimitero dei migranti. Ma non è il “Mare Nostrum” il responsabile di queste vittime, è la crudeltà dell’uomo, è la spietatezza di trafficanti di carne umana, che tratta i migranti come merce che se va a male si butta via.

È la follia del dio denaro che mette in moto vere e proprie organizzazioni criminali che vendono “passaggi” su carrette del mare a prezzi superiore di una prima classe in aereo. Un vergognoso traffico che va stroncato sulle coste di partenza, colpendo connivenze e criminali favoritismi che puzzano di corruzione e sarebberi facilmente individuabili. È una storia che si ripete continuamente in questo mare che rappresenta, in realtà, il volano di sviluppo di tutta la sua area costiera e, grazie alla centralità del Porto di Gioia Tauro, una formidabile opportunità di crescita per tutto il Paese.

Oggi, però, piangiamo quelle povere vittime, di cui rimangono a perenne ricordo le immagini di quelle croci improvvisate e realizzate con i legni dell’imbarcazione andata distrutta. Un simbolo e un monito a non dimenticare per tutto il Paese. Ma non per la Calabria che non dimentica: le lacrime di questa terra sono state e sono tutt’oggi autentiche. È come se si fosse perso un parente, un amico, un conoscente. Eppure restano senza volto molte di quelle 94 povere vittime e non si saprà mai quanti sono stati inghiottiti dalle acque.

La solidarietà, la fraternità, il fortissimo senso di accoglienza dei calabresi, qualora ce ne fosse mai stato bisogno, si è rivelato in quelle acque gelide, nella straordinaria opera di soccorso di forze dell’ordine e privati cittadini che si sono buttati, all’alba, nelle acque gelide per salvare quante più vite possibili. E, poi, a dare aiuto, assistenza, sincera solidarietà ai sopravvissuti, sostegni con ogni mezzo e iniziativa possibile. Piangiamo, a un anno di distanza quelle vittime e non riusciamo a tenere a bada una giustificata rabbia per quanto accaduto. Inutile utilizzare la retorica del “si potevano salvare”, oggi bisogna pensare a come fermare non gli sbarchi, ma le partenze. L’aiuto va dato nei luoghi di origine di chi scappa dalla fame o dalla guerra e appare crudelmente assurda la “deportazione” in Albania studiata dal Governo Meloni. Soldi buttati via, per deportare, secondo opinabili criteri selettivi, chi tenta di sbarcare nel nostro Paese.

Non è la soluzione e il Paese dovrebbe vergognarsi di questa scelta che punisce i migranti e lascia impuniti gli scafisti, ma soprattutto gli organizzatori di questo disperato quanto inaccettabile traffico di uomini, donne e bambini. È proprio errata la considerazione che viene data ai migranti: sono un problema per i più, ma in realtà sono risorse di cui il nostro Paese avrebbe estremo bisogno. Fuggono non solo disperati e affamati, ma anche tantissimi laureati, professionisti, medici che poi finiscono, nella migliore delle ipotesi, nei campi a raccogliere pomodori. È sbagliato non accorgersi del capitale umano che questi nostri fratelli, che tentano di fuggire da una vita impossibile, rappresentano.

Per un Paese, come il nostro, dove la denatalità cresce a ritmi vertiginosi (ma quanti oggi possono permettersi un secondo o un terzo figlio?) e dove i borghi diventano sempre più aree desolate e abbandonate. Mimmo Lucano tutto questo lo aveva capito subito e dai primi curdi accolti a Riace, la città dei Bronzi ma soprattutto la città dell’inclusione e dell’accoglienza, era riuscito a ripopolare un borgo fatto di vecchi e quasi senza bambini. Andate a guardare le immagini di Riace di alcuni anni fa, con quell’arcobaleno di etnie, quei bambini di ogni provenienza, che danno luce e colore a un borgo che stava morendo. Ma il “modello Riace” di integrazione e accoglienza è stato, ingiustamente, criminalizzato e fatto fallire. La formula, in fondo, era semplice: lavoro e accoglienza per favorire l’integrazione, e funzionava.

Eppure la storia dovrebbe insegnarci a guardare al passato per costruire il futuro: le lacrime di Cutro devono servire a far ripensare alla politica di immigrazione, guardando ai borghi e allo spopolamento di medie e piccole cittadine: un piano serio di formazione e avviamento al lavoro per i migranti che hanno diritto di restare in Italia (arrivano anche delinquenti, sia chiaro) significherebbe davvero attuare una ammirevole politica di inclusione e di accoglienza. Non sono turisti i migranti disperati che affrontano i pericoli del mare: bisogna aiutarli a casa loro (dove non c’è guerra, ovviamente) e avremmo una politica mediterranea degna di questo nome. Non serve molto, ma soprattutto è necessario buonsenso. Quello che fino ad oggi è mancato nell’attuare politiche di immigrazione rivelatesi vessatorie e antiumanitarie.

Ricordiamolo ancora una volta: i migranti non sono un problema, ma risorse utili al nostro Paese. Non vogliono vivere di sussidi, ma chiedono di poter vivere una vita giusta, lavorando e osservando le leggi del Paese che li ospita. Tenerli in gabbia (come avviene nei cosiddetti Centri di Accoglienza temporanea) non solo è inumano, ma ha un costo superiore a quello di offrire loro formazione e lavoro. Per questo, l’anniversario di Cutro e il ricordo di quelle lacrime che si rinnovano, può essere l’occasione per ripensare – seriamente – a nuove politiche di inclusione e accoglienza, oltre che di soccorso a chi, nonostante gli allarmi e gli avvertimenti, continua ad affrontare ugualmente il mare su carrette che sfidano la sorte. (s)

ZES UNICA, UNA SVOLTA PER MEZZOGIORNO
TRA INNOVAZIONE E SVILUPPO SOSTENIBILE

di VINCENZO CASTELLANOL’importanza della Zona Economica Speciale (Zes) Unica nell’orizzonte economico e di sviluppo del Mezzogiorno è un tema che, negli ultimi giorni, ha catalizzato l’attenzione politica e mediatica, segnando un passo decisivo verso la concretizzazione di una visione di crescita e innovazione. La recente riunione della cabina di regia per la Zes Unica, presieduta dal Ministro Fitto e alla quale hanno partecipato Ministri e rappresentanti delle otto Regioni interessate (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sicilia e Sardegna), nonché l’Upi e l’Anci, rappresenta un momento di svolta nel percorso di attuazione di questa ambiziosa iniziativa.

Al centro dell’incontro, la predisposizione del Piano strategico triennale della Zes Unica, che si pone come obiettivo principale quello di definire una politica di sviluppo capace di integrarsi armoniosamente con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) e con le programmazioni nazionali e regionali dei fondi strutturali europei. Questo piano strategico avrà il delicato compito di indicare gli investimenti e gli interventi prioritari, i settori da promuovere e quelli da rafforzare, applicando un regime semplificato dell’autorizzazione unica, con l’intento di rendere più agile e attrattivo il contesto imprenditoriale.

L’approccio adottato dalla cabina di regia, che prevede la convocazione di appositi tavoli tematici per avviare un confronto costruttivo con tutti i principali attori, pubblici e privati, inclusi le associazioni di categoria, sottolinea la volontà di un coinvolgimento trasversale e partecipativo. Questa metodologia di lavoro mira a garantire che il Piano strategico sia il risultato di un’analisi condivisa delle esigenze territoriali e delle potenzialità di sviluppo, nel rispetto delle specificità locali e delle vocazioni produttive delle regioni coinvolte.

La Zes Unica rappresenta, dunque, una leva strategica per il rilancio economico del Sud, offrendo un’opportunità unica di attrazione degli investimenti, di creazione di nuove opportunità di lavoro e di stimolo per l’innovazione e la competitività delle imprese. In questo contesto, la decisione di trasferire, a partire dal 1° marzo, le funzioni svolte dagli otto Commissari straordinari alla Struttura di missione Zes segna l’avvio di una nuova fase operativa, che vedrà l’implementazione concreta delle strategie e degli interventi previsti dal Piano.

L’attenzione rivolta alla semplificazione amministrativa, attraverso l’adozione dell’autorizzazione unica, è un aspetto fondamentale che può significativamente contribuire a ridurre i tempi e i costi per le imprese, incentivando così l’avvio di nuovi progetti e la realizzazione di investimenti in aree cruciali per lo sviluppo economico e sociale del Mezzogiorno.

In conclusione, l’impegno profuso nella realizzazione della Zes Unica e nel suo Piano strategico triennale si configura come un elemento chiave per il futuro delle regioni del Sud Italia, proiettando queste aree verso un orizzonte di crescita sostenibile e inclusiva. La sinergia tra governo, regioni, enti locali e parti sociali sarà determinante per trasformare le sfide in opportunità, assicurando che il Mezzogiorno possa giocare un ruolo di primo piano nello scenario economico nazionale ed europeo, valorizzando al meglio le sue risorse e le sue competenze. (vc)

[Vincenzo Castellano è dottore commercialista e Founder Zes Consulting]

 

PIETRO CIUCCI: IL PONTE “DELLO” STRETTO
COINVOLGERE LE IMPRESE DEL TERRITORIO

di SANTO STRATI – Il Ponte sullo Stretto è un’infrastruttura essenziale per lo sviluppo del territorio di Reggio e Messina, ma non solo, bensì dell’intero Mezzogiorno, anzi di tutto il Paese: l’affermazione corale viene dall’incontro di mercoledì in Confindustria Reggio Calabria con l’amministratore delegato della Società Stretto di Messina.

Una voce univoca levatasi dai rappresentanti delle categorie professionali, di sindacati, professionisti e ingegneri, riuniti nel quanto mai affollato salone degli industriali reggini, messo a disposizione dal Presidente ing. Domenico Vecchio. Accanto al capo di Confindustria Reggio, l’ing. Giovanni Mòllica che ha coinvolto l’ad Pietro Ciucci nell’incontro di domande e risposte e il commercialista Alberto Porcelli.

L’ad della Stretto di Messina è stato per 75 minuti collegato a disposizione degli intervenuti per rispondere ai tanti quesiti e chiarire ulteriormente la posizione della rinata Società cui è affidata l’esecuzione del progetto del Ponte.

Un’attenzione, quella di Ciucci,  rivolta al territorio che offre una chiara indicazione di come – contro ogni nefasta aspettativa dei no-ponte – questa volta si fa sul serio. Il progetto definitivo è stato approvato lo scorso 15 febbraio dal Comitato Tecnico Scientifico, guidato dal prof. Alberto Prestininzi, e – ragionevolmente – sarà possibile rispettare il cronoprogramma che il Governo, attraverso il ministro Matteo Salvini, si è dato per l’avvio dei lavori.

Chi prefigura un’altra cattedrale nel deserto sarà smentito dall’inizio della prima pietra: se si comincia (è tutto qui il punto) non si potranno lasciare le cose a metà. Per questo appare sempre più concreta la realizzazione dell’attraversamento stabile dello Stretto mediante il Ponte: forse è la volta buona che si farà davvero. Ma non sarà un “semplice” ponte che collega due sponde, c’è da prevedere il rilancio dei territori interessati con tutte le opere complementari necessarie: strade, infrastrutture di collegamento, la SS 106, l’Autostrada del Mediterraneo, e, soprattutto, l’Alta Velocità ferroviaria (quella vera).

Opere senza le quali il Ponte non avrebbe senso. Bisogna essere, insomma, ottimisti e positivi, nonostante il difetto di comunicazione che la Società Stretto di Messina continua a rivelare: occorre spiegare ai cittadini (non solo calabresi e siciliani) cosa significa l’Opera per lo sviluppo dei due territori, ma evidenziare le ricadute eccellenti che da esso possono arrivare al Paese. Il Mediterraneo è la nuova frontiera dello sviluppo con il Porto di Gioia (su cui alcuni media continuano a gongolare gettando fango per il traffico di droga, come se negli altri grandi porti italiani non accade la stessa cosa) e il Ponte sullo Stretto. Quest’Opera costituisce un volano straordinario di investimenti e, soprattutto, produce occupazione diretta e indotta di cui tutto il Mezzogiorno ha un bisogno estremo.

Un particolare merita di essere segnalato: il prof. Ciucci parla di Ponte “dello” Stretto proprio a voler sottolineare l’appartenenza al territorio di un’opera che il mondo intero adesso guarda con curiosità e interesse, ma che poi ci invidierà, con buona ragione. Non dimentichiamoci che i progettisti italiani sono stimati e apprezzati in tutto il mondo e il Ponte rappresenta una stella al merito per le competenze indiscusse dei progettisti e delle società coinvolte nella realizzazione.

Naturalmente, nel corso dell’incontro, si è parlato anche dell’indagine avviata dalla magistratura di Roma sul Ponte dopo l’esposto del centro-sinistra sulla eventuale mancanza di trasparenza, firmato dal verde Bonelli, dalla segretaria del pd Elly Schlein e da Nicola Fratoianni. Ciucci si è detto fiducioso che l’iniziativa si rivelerà un buco nell’acqua, visto che serve solo come ulteriore tentativo di sfiduciare l’Opera e svalorizzare quanti stanno lavorando al progetto.

A dispetto dei pochi irriducibili quattro gatti dei no-ponte che mostrano di parlare e seminare confusione senza citare il minimo dato scientifico (le parole non fermano il progresso, com’è avvenuta quando si trattò di costruire l’Autostrada del Sole), però rendono difficile la vita di chi lavora con correttezza, impegno e tanto entusiasmo.

C’è il rischio che gran parte dei lavori favorisca l’arrivo di imprese del Nord – ha detto l’ing. Mòllica – secondo un’inaccettabile previsione di OpenEconomics che calcola nel 21% la quota di risorse che andranno a beneficio del Pil di Sicilia e Calabria a fronte del 49% che finirà in Lombardia e Lazio.

Bisogna preparare le risorse dei due territori e le imprese reggine – ha messo in evidenza il Presidente Vecchio – sono in grado di dimostrare capacità e competenza. «Siamo convinti – ha detto il capo degli industriali reggini – che se si fa rete, se le aziende si mettono insieme, allora si possono dare risposte sempre più costruttive, sempre più positive, per importanti ricadute sul territorio».

Tra i vari interventi, quello della prof. Francesca Moraci, che ha sottolineato l’esigenza di coinvolgere l’Università Mediterranea, del dott. Porcelli, del geologo Solano, il quale ha messo in evidenza la necessità di una forte attività di comunicazione, e del presidente della Piccola industria Daniele Diano e dell’avv. Domenico Infantino.

Il prof. Ciucci ha ascoltato con attenzione le osservazioni e le richieste di imprenditori, parti sociali, professionisti, senza eludere le domande e rispondendo puntualmente, in maniera esaustiva alle preoccupazioni delle imprese del territorio. Ciucci garantisce la massima attenzione al territorio e il suo personale impegno (sarà di nuovo da queste parti la prossima settimana) a sottolineare che bisogna guardare al territorio.

Dice Ciucci: il Ponte rappresenta appena un terzo dell’investimento complessivo, il resto riguarda le opere accessorie e l’adeguamento delle infrastrutture. Per questa ragione il Ponte rappresenta l’occasione (e il pretesto) per dare una svolta epocale alla mobilità nello Stretto e nelle due regioni. Se si pensa che i costi dell’insularità per la Sicilia ammontano a sei miliardi l’anno, si capisce bene che una volta realizzata l’Opera questa voce di oneri scomparirà e si potranno utilizzare in modo più proficuo i fondi fino ad oggi da essa risucchiati.

Il fantasma di un Monti-bis che improvvisamente cancella tutto quando si sarà a un passo dall’avvio dei lavori, per fortuna non c’è (il Governo non rischia di cadere, nonostante i continui screzi nella coalizione) e quindi si può immaginare il sogno centenario (se ne cominciò a parlare nel 1840, ai tempi di Ferdinando II, quando c’era il regno delle Due Sicilie) ha buone possibilità di trasformarsi in realtà. Rimane un’amarezza: se non si fosse stoppata l’opera nel 2011 con la conseguente liquidazione della Stretto di Messina, oggi i calabresi e i siciliani avrebbero un Ponte in funzione già da qualche anno.

Per costruire la conurbazione della Stretto, un’Area di grande suggestione e di grande impatto economico-sociale. Siamo ancora in tempo. (s)

LA CALABRIA PUÒ ESSERE HUB LOGISTICO
CHIAVE PER IL SUD E PER IL MEDITERRANEO

di ERCOLE INCALZA – Sono apparse a dicembre tante notizie relative alla nascita di un polo logistico in Austria; in particolare nella Carinzia; una Regione che riveste un ruolo strategico in quanto attraversata da un asse che collega Vienna e Venezia; inoltre rappresenta l’ambito territoriale più meridionale dell’Austria ed è anche attraversata dal Corridoio delle Reti Ten – T Baltico Adriatico. Esistono poi una serie di progetti infrastrutturali che amplificano ulteriormente la dimensione strategica della intera Regione come la ferrovia di Koralm ed il porto interno di Furnitz.

Ricordo che la galleria di Koralm, completata ultimamene, è lunga 33 Km e quando l’intero asse ferroviario sarà completato collegherà in modo davvero veloce i capoluoghi delle provincie Graz e Klagenfurt. Inoltre una volta completata questa ferrovia i collegamenti tra l’Austria ed il Veneto potranno contare su un asse ferroviario veloce e l’intero Corridoio Baltico diventerà interessante e strategico quanto quello Helsinki – La Valletta; disporremo in realtà di una seconda spina dorsale che dal Mar Baltico raggiungerà oltre che Trieste tutti i porti dell’Adriatico fino a Bari e a Brindisi.

Ma leggendo un protocollo d’intesa firmato tra l’Italia e l’Austria scopriamo che si sono costruite le condizioni per la istituzione di un “Corridoio doganale ferroviario transfrontaliero” tra il porto di Trieste e l’interporto di Villach Sud/Furnitz. Grazie a tale Corridoio le merci in arrivo al porto di Trieste potranno essere caricati dalla nave sulla ferrovia in direzione Villach Sud/Furnitz senza dover espletare le procedure doganali ed il relativo stoccaggio intermedio. È inutile ricordare i vantaggi di un simile collegamento sia in termini di contenimento di tempi, sia in termini di consumi energetici, sia in termini di produzione di Co2.

Ho voluto dilungarmi su questo esempio, tra l’altro ritengo utile precisare che pochi giorni fa il Corridoio doganale è entrato in funzione, perché lo ritengo davvero un esempio concreto di intervento finalizzato a modificare sostanzialmente l’assetto sia di una vasta area austriaca, sia del nostro Nord Est e indirettamente, come dicevo prima, a trasformare un Corridoio, quello Baltico Adriatico, da interessante asse di collegamento a impianto logistico lineare in grado di amplificare al massimo i vantaggi sia delle realtà produttive ubicate lungo il Corridoio che del vasto mercato dell’area orientale della Unione Europea.

Ma chi legge questa mia nota non riesce a comprendere quale sia il collegamento con la Calabria, quale sia la motivazione che mi ha portato a questa lunga premessa e, soprattutto, cosa c’entra con la Calabria un progetto così avanzato di intelligenza logistica; in realtà la mia è solo una banale provocazione basata essenzialmente sulla delusione che provo ogni volta che analizzo una serie di condizioni privilegiate possedute da alcuni ambiti della Calabria e che da anni restano solo grandi potenzialità. Elenco di seguito tali riferimenti strategici:

Il porto di Gioia Tauro

È il primo porto italiano per traffico merci e il decimo porto in Europa. Si estende su una superficie di 620 ettari ed è una delle maggiori infrastrutture presenti nel Mar Mediterraneo

Il porto trae vantaggio dalla profondità naturale delle sue acque (fino a 18 m) e offre una banchina lunga 3,4 km. Le strutture comprendono ventidue gru di banchina in grado di raggiungere fino a ventitré file di container, i dipendenti sono oltre 1.300 e la struttura ha una capacità massima di quattro portacontainer ultra grandi. La portata del porto ha raggiunto i 3.467.772 di TEU (container lungo 20 piedi) e può raggiungere e superare la soglia dei 5 milioni di Teu.

Il distretto portuale ha una superficie di 440 ettari. L’ingresso del canale ha una larghezza di 300 m e si allarga in un bacino di evoluzione con un diametro di 750 m. Il porto canale si dispiega verso nord per oltre tre chilometri, con una larghezza che varia da 200 a 250 m. All’estremo nord del canale c’è un secondo bacino di evoluzione con un diametro di 500 m. Il porto ha 5.125 m di banchine.

Con l’arrivo di Gianluigi Aponte, armatore italiano, fondatore e proprietario della Mediterranean Shipping Company, cioè della prima compagnia di gestione di linee cargo a livello mondiale (220.000 dipendenti, 800 navi, circa 22,5 milioni di TEU movimentati all’anno) lo scalo è stato protagonista di un vigoroso piano di investimento, che ha interessato il rinnovo del parco macchine, operanti nel piazzale portuale. Tra gli altri mezzi, sono giunte a Gioia Tauro, direttamente dalla Cina, le tre gru a cavalletto, tra le più grandi al mondo, capaci di lavorare navi da 22 mila Teu.

L’aeroporto di Lamezia

L’aeroporto, realizzato negli anni ’70 dalla Cassa del Mezzogiorno dispone di un terminal merci, sempre attivo e in grado di effettuare movimentazione di merci varie. Inoltre, è dotato di un vasto magazzino per la temporanea custodia doganale, con doppi accessi air-side e land – side che agevolano le operazioni in ingresso e in uscita delle merci soggette alle procedure di custodia temporanea. Sono a buon punto inoltre i lavori per l’allestimento del Posto di Ispezione Frontaliera (Pif) che ha la finalità di sdoganamento diretto sullo scalo di prodotti di origine animale.

Importanti risultano anche le attività dei corrieri espressi, tenendo conto dello stretto rapporto di sinergia esistente con Aeroporti di Roma e in particolare con lo scalo di Roma-Ciampino, che risulta essere tutt’oggi la base operativa dell’Italia centrale per le principali compagnie di Express Couriers. Infine, la grande opportunità in termini di traffico è offerta principalmente dal potenziamento dell’intermodalità dell’aeroporto con il porto di Gioia Tauro, uno dei maggiori del Mediterraneo per questo tipo di movimentazioni.

Un asse ferroviario, quello lungo la tratta Salerno – Reggio Calabria

Un asse ferroviario ubicato sul Corridoio delle Reti Ten – T Helsinki – La Valletta che entro sette – otto anni potrebbe essere un asse con caratteristiche di alta velocità e che potrebbe rappresentare, senza dubbio, il progetto infrastrutturale dell’Italia meridionale tecnicamente, dopo il Ponte sullo Stretto, più importante e finanziariamente più rilevante. Questo nuovo intervento garantirà l’accesso al sistema ferroviario Av del Paese e renderà possibile l’accessoa diverse zone a elevata valenza territoriale quali il Cilento e il Vallo di Diano, la costa Jonica, l’alto e il basso Cosentino, l’area del Porto di Gioia Tauro e il Reggino, oltre che una velocizzazione dei collegamenti verso Potenza, verso la Sicilia, verso i territori della Calabria sul Mar Jonio e verso Cosenza. Allo stesso tempo, contribuirà in maniera significativa al potenziamento dell’itinerario merci Gioia Tauro-Paola-Bari

Un’asse autostradale quello tra Salerno – Reggio Calabria

Un asse, ubicato sul Corridoio Ten– T Helsinki – La Valletta, tra i migliori del Paese, che si estende per 432 Km. Il suo percorso si snoda in gran parte su territorio montano. Comprende 190 gallerie e 480 tra ponti e viadotti. Dei suoi 432 km, 125 km si percorrono in galleria e 97 km tra viadotti e ponti. 35 gallerie hanno una lunghezza che oltrepassa i 1000 metri e 70 ponti superano la lunghezza di 300 metri, Sarà la prima smart road italiana ed europea, cioè sarà dotata di un’infrastruttura wireless di ultima generazione, che metterà in collegamento autostrada, utente e veicolo tramite un’apposita app, la quale fornirà in tempo reale servizi di deviazione dei flussi di traffico nel caso di incidenti, suggerimenti di traiettorie alternative, interventi tempestivi in caso di emergenze.

La smart road è una “strada intelligente” sulla quale i veicoli possono comunicare e connettersi tra di loro L’investimento complessivo del programma Smart Road di Anas è di un miliardo di euro e verrà messo in atto in tre step. La prima fase, che sarà realizzata nei prossimi tre anni, prevede un investimento di circa 250 milioni di euro, anche grazie a contributi europei, e riguarderà alcuni dei più importanti nodi stradali del Paese, tra cui appunto la A2 Autostrada del Mediterraneo. I primi 100 km sono già stati cablati

Ebbene, questi quattro pilastri infrastrutturali già esistenti o disponibili entro un arco temporale certo, questo impianto logistico da qualche anno seguito con interesse da un grande imprenditore come Aponte, questa vasta realtà territoriale oggi guidata da un Presidente della Regione come Roberto Occhiuto convinto che la Calabria ha tutte le condizioni per diventare un Hub logistico chiave non solo del Mezzogiorno ma del “sistema Mediterraneo”, tutto questo fa scattare automaticamente un interrogativo: perché la Carinzia senza questa ricchezza strutturale ed infrastrutturale può permettersi il lusso di diventare uno degli Hub logistici più avanzati della Unione Europea?

Molti risponderanno precisando che le cause vanno ricercate nella ubicazione geografica della Carinzia, praticamente al centro dell’Europa, molti diranno che il porto di Gioia Tauro, a differenza del porto di Trieste, è solo un porto transhipment e quindi non c’è attività di manipolazione dei prodotti e di relativa distribuzione e commercializzazione, potrei continuare ad elencare tante motivazioni senza però raccontare quella che ritengo sia la più vera: noi stessi, sì noi meridionali, spesso non siamo coscienti di questa ricchezza infrastrutturale e, come emerso lo scorso anno nel primo Festival Euromediterraneo (Feuromed) a Napoli, inseguiamo una narrazione sbagliata delle nostre ricchezze e non siamo in grado di costruire un catalizzatore capace di trasformare queste potenzialità in ricchezze.

Nella prossima edizione del 2° Festival Euromediterraneo forse sarà opportuno ed utile avanzare proposte che rendano concreta e possibile la ricaduta di queste misurabili capacità, di questa sommatoria di occasioni perse sulla economia della Calabria, del Mezzogiorno e del Paese.

Forse è bene ricordarlo e ribadirlo: la Calabria non ha nulla di meno della Carinzia. (ei)

L’ITALIA PUNTI SULLA CALABRIA E SUL SUD
PER UNO SVILUPPO “EURO-MEDITERRANEO”

di MIMMO NUNNARIDopo la visita al porto di Gioia Tauro della presidente del Consiglio dei ministri Giorgia Meloni si può tirare qualche somma sul futuro della Calabria.

Non che la premier abbia portato molti doni o disegnato prospettive interessanti per la regione terminale d’Europa, tuttavia sono da incorniciare le sue nette sincere parole sul porto di Gioia Tauro: «È un gioiello, il primo porto italiano e il nono europeo per traffico merci. Noi però siamo una piattaforma in mezzo al Mediterraneo, quel mare che è il punto di contatto tra l’Indopacifico e l’Atlantico. Noi siamo in mezzo, con un porto che sta nella punta di questa piattaforma. E allora il nono posto in Europa non è l’obiettivo massimo a cui possiamo ambire. Molti passano da Rotterdam e Amsterdam banalmente perché non abbiamo le infrastrutture».

Dobbiamo partire da qui nel tirare le somme della visita di Meloni in Calabria, fidandoci del ruolo di sentinella degli interessi della regione che sta svolgendo il presidente della Giunta Roberto Occhiuto, che – ora o mai più – ha la grande occasione di proiettare la Calabria nel Mediterraneo, in quel mare dove si può trovare il filo della della rinascita di una vecchia e dignitosa regione del Sud, perché questo la Calabria è.

Con i suoi 800 chilometri di costa, che nel tratto del basso Tirreno ospita il porto di Gioia Tauro e più a sud lo Stretto, da sempre crocevia del mondo, la Calabria, isole di Sicilia e Sardegna a parte, è la regione più di tutte immersa nel vecchio “mare nostrum”: il mare dove tutta la storia dell’umanità è scritta. Circa 5000 anni fa un uomo fenicio, di nome forse Onoo, fu il primo ad avventurarsi con coraggio tra le onde, con una specie di canoa, forse per fuggire dai suoi nemici, oppure perché curioso di scoprire nuove isole e nuove terre che stavano oltre la linea dell’orizzonte.

Da allora, è cominciato il viaggio nel mare che si chiama Mediterraneo. A raccontarlo questo “viaggio”, significa narrare il mondo romano in Libano, la preistoria in Sardegna, le città greche in Sicilia, la presenza araba in Spagna, l’Islam turco in Iugoslavia e poi realtà antiche, ancora vive, a fianco dell’ultramoderno; oppure, immergersi negli arcaismi dei mondi insulari e, allo stesso tempo, stupire di fronte all’estrema giovinezza di metropoli antiche che da secoli sorvegliano e consumano il mare. Qualcuno, dice che nel sud del Mediterraneo accade ciò che nel Sud Italia accade da due secoli almeno: stessa eredità di antiche civiltà, stesso crepuscolo e destino, nel collocarsi nella storia dalla parte del torto.

E la Calabria, di questo Sud Mediterraneo, è indiscutibilmente e storicamente il centro. Quando la presidente Meloni da Gioia Tauro guarda all’Africa e al Mediterraneo, può essere certa che l’Italia il suo Mediterraneo lo ha in casa: con la Calabria, che rappresenta – messa giù in fondo allo Stivale – l’avanguardia dell’Occidente verso l’Oriente e l’Africa del Nord. La Calabria è geograficamente, storicamente e culturalmente, il territorio più vicino a quel grande teatro di dimensioni mondiali, a quel piccolo universo davanti al quale, come ha scritto domenica Lucio Caracciolo su la Repubblica: «L’Italia è quasi isola, esposta per ottomila chilometri al mare da cui importiamo le materie prime che non abbiamo e con cui esportiamo le merci che sostengono la nostra economia. La Penisola prospera finché il Mediterraneo è libero e aperto, soffoca se scolora in campo di competizione o peggio di battaglia fra potenze avverse».

L’Italia dunque ha bisogno del Mediterraneo e tutte le ragioni suggeriscono, perciò, rapporti non solo economici, ma anzitutto dialettici, culturali e di sfida sociale con la realtà mediterranea, e la Calabria, con le sue Università, le sue imprese eccellenti, il suo immenso patrimonio culturale, può legittimamente candidarsi a svolgere questo ruolo di punta di diamante del Sud nel Mediterraneo.

Tutte insieme, le regioni meridionali, in prospettiva mediterranea, possono rivestire, nell’Unione Europea, quel ruolo che Francesco Compagna, un illuminato meridionalista, in tempi lontani, indicava nella definizione di geopolitica come “Mezzogiorno d’Europa”. Gli scenari (incerti) del futuro, saranno difficili da gestire, senza un’accorta politica mediterranea e sarà l’Italia – se le sue visioni glielo consentiranno – a dover svolgere un ruolo importante in un processo di sviluppo euro-mediterraneo che comporterà certamente dei costi, ma che avrà innegabili convenienze.

Ma, senza puntare sulla Calabria, e sul resto del Sud, ogni visione, ogni progetto, rischiano il fallimento. (mnu)

LA RIVOLUZIONE DELLA SANITÀ CALABRESE
INIZI DAGLI OSPEDALI IN BIOARCHITETTURA

di GIOVANNI LAMANNA – Da qualche decennio, balza regolarmente, agli onori della cronaca il tema dell’edilizia ospedaliera calabrese e la “costruzione dei cinque grandi ospedali”.

Volendo riassumere brevemente la vicenda iniziamo dalla presidenza regionale  di Agazio Loiero, il quale ottenne un finanziamento, dall’allora governo Prodi per una cifra straordinaria di 500 milioni di euro destinati alla costruzione di cinque grandi ospedali. L’ambizione di quella amministrazione era la realizzazione di alcune grandi opere, tra le quali, il palazzo della regione, i cinque grandi ospedali e finire la diga del Melito (la diga più grande d’Europa che dal 1982 è al 16% dei lavori previsti). 

Da allora si sono succedute varie amministrazioni, il presidenza di Giuseppe Scopelliti,  la presidenza di Mario Oliverio, la cui giunta fu decapitata immediatamente dalla magistratura e il Presidente non riuscì neppure a farsi nominare Commissario della sanità calabrese.

Durante quella amministrazione, fu indetta una “consulta sulla sanità” (alla quale partecipai come tanti Medici, tecnici ed operatori sanitari) e nella quale si diedero indicazioni e possibili soluzioni ai problemi individuati, fra queste, la costruzione dei nuovi ospedali con criteri tecnologici avanzati e prendendo in considerazione la bioarchitettura. Da allora sono passati anni, con la scomparsa della compianta presidente Jole Santelli e l’attuale amministrazione regionale guidata dal presidente Roberto Occhiuto.

In tutto questo tempo i calabresi non sono rimasti di certo fermi, anzi, sono andati a curarsi in altre regioni aggravando il deficit di bilancio della sanità regionale. L’emigrazione nel solo nel 2022 ha causato la riduzione della popolazione, quasi del 6%  ma soprattutto se ne vanno i giovani a cercare lavoro al nord o all’estero. Per tutti gli altri dati negativi vi rimando all’Istat ed è poco utile stilare elenchi.

L’attuale giunta regionale ha pubblicato recentemente un piano programmatico, che prevede una serie di investimenti, al fine di creare una rete ospedaliera efficiente ed intervenire sull’edilizia ospedaliera calabrese, utilizzando i fondi del Pnrr.

Per quanto possibile, cerchiamo di guardare alle cose con un minimo di ottimismo e cogliere le opportunità che si possono concretizzare grazie alla spinta verso la “transizione ecologica” e “l’economia sostenibile e circolare”, verso la riduzione dell’inquinamento ed il risparmio energetico. Enormi investimenti  dell’Europa, ma non solo, spingono con forza in questa direzione.

Paradossalmente, l’enorme gap tecnologico e di sviluppo della nostra regione, potrebbe essere un vantaggio,  considerando che è spesso più facile e meno costoso costruire dal nulla, piuttosto che trasformare ed adeguare quello che già costituisce una strutturazione consolidata ed efficiente.

La proposta

La proposta di Italia del Meridione vuole essere ambiziosa, come è giusto che sia ciò che nasce in una regione con storia di culturale importante e millenaria.

Si propone di puntare sulla  costruzione di ospedali in bioarchitettura che siano autosufficienti dal punto di vista energetico e quindi in grado. di auto-produrre tutta l’energia necessaria. Ogni processo organizzativo dei servizi o produttivo sarà rivalutato rispetto a principi ed indicatori di qualità precisi ed ineludibili.

Rivedere le procedure organizzative, l’esternalizzazione dei servizi, la gestione dei rso ed rsu, la produzione autonoma di energia, la gestione dei risparmio energetico, la prevenzione della diffusione dei super batteri e delle infezioni crociate, l’integrazione col territorio ed il miglioramento del rapporto con i cittadini/utenti, con l’obiettivo finale di migliorare la salute e ridurre la migrazione sanitaria.

Temi complessi, all’interno di un sistema complesso, che si caleranno in un contesto economico e sociale drammatico. Sarà necessario uno studio accurato per non commettere errori.

l’istituzione di un “distretto tecnologico/sanitario” che avvii la progettazione dei grandi ospedali o riveda le progettazioni già avviate, secondo i più avanzati standard architettonici, organizzativi, energetici.

La ratio di tale organismo è consentire la collaborazione delle università della Calabria, in particolare la facoltà di architettura di Reggio Calabria, l’università di Cosenza per le tecnologie, l’informatica, l’intelligenza artificiale, l’università di Catanzaro per l’organizzazione sanitaria e  le istituzioni, ed ogni altra risorsa che si ritenga utile e necessaria  all’obiettivo di costruire un modello di ospedale innovativo, che costituisca un nuovo standard di riferimento, non solo per la nostra regione ma per l’intera l’Europa.

Una visione ambiziosa che non ci si aspetta provenga da una regione, sulla quale pesa il muro dei pregiudizi negativi.  Realizzare questa idea/progetto ci aiuterà cambiarne l’immagine della Calabria  in senso positivo e renderci fortemente attrattivi, non solo in campo sanitario ma anche turistico, sociale, ambientale, economico.

Buon ambiente e buona Calabria. (gl)

[Giovanni Lamanna è responsabile Ambiente – Direzione Regionale Calabria “Italia Del Meridione”]

CHIUDERE LA “STORIA INFINITA” DELLA 106
BISOGNA COMPLETARLA E AMMODERNARLA

di ANGELO SPOSATO, TONINO RUSSO E SANTO BIONDO – Uno dei nodi che blocca lo sviluppo in Calabria è costituito dall’insufficienza delle infrastrutture materiali di cui la strada statale 106 è un esempio eclatante.
Occorre, dunque un’urgente, modernizzazione ed è proprio per questo che rimane il punto fondamentale della nostra vertenza Calabria ed il motivo per cui ci mobilitiamo.
Abbiamo assistito al commissariamento della stessa nella speranza, vana, che potesse servire ad accelerare i tempi.
Abbiamo assistito all’interesse senza alcun dubbio determinante da parte del presidente Occhiuto nel volere inserire tale infrastruttura nell’allegato infrastrutturale al DEF che ha portato ad ottenere nella legge di Bilancio del 2022 un finanziamento di 3 miliardi con il quale sono state finanziate le due tratte Catanzaro Crotone e Sibari Rossano, più un importo pari a 500 milioni che arriva in parte dal fondo di coesione regionale e in parte da quello nazionale.
Sulla gazzetta ufficiale del 29.12.22 è stata pubblicata la legge n.197 nella quale all’ art.1 comma 511 si è disposto il finanziamento di cui sopra con stanziamenti previsti tra il 2023 ed il 2037. Le tratte prioritarie individuate dal commissario sono state la Catanzaro Crotone e la Sibari-Rossano vista anche la presenza di risorse destinate alle opere.
È necessario accelerare rispetto ai tempi di realizzazione dell’opere, per aprire i cantieri fondamentali per garantire il diritto alla mobilità e aprire importanti opportunità occupazionali
Da quanto emerso nell’ultimo incontro con Anas le tempistiche previsti per il finanziamento dei due tratti sono state sensibilmente ridotte, così come i tempi delle procedure autorizzative grazie alla Valutazione di Impatto Ambientale ora in capo alla Regione Calabria.
Per una viabilità moderna e sicura, per togliere tutta la fascia ionica calabrese dall’isolamento, rinvendichiamo il completamento e l’ammodernamento di tutta la S.S.106, che è priorità della Vertenza Calabria sulla quale sono impegnati le Segreterie Nazionali.
L’intera tratta Catanzaro Reggio Calabria è inserita nell’allegato A1.1 di cui all’aggiornamento del Cassa Depositi e Prestiti 16-20 approvato con Delibera N.43 del 27.12.22 a cura del Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica e lo Sviluppo.
L’ intervento per complessivi 174 km comprende le seguenti tratte: Catanzaro Roccella Jonica 74 km; Siderno Palizzi 60 km; Bova Reggio 44 km.
Su tutte queste tratte e quindi su tutto l’asse Catanzaro – Reggio Calabria vi è solo lo studio di fattibilità. In fase di avvio il Progetto di fattibilità tecnica economica sulle seguenti tratte: Montepaone Copanello 4 km; Bovalino Gerace 14 km; Capo Pellare Saline 10 km; Saline Marina di San Lorenzo 13 km.
Sullo svincolo di Gerace ” Prolungamento Locri” è stata avviata presso il ministero dell’ambiente la Valutazione di impatto ambientale tutt’ora in corso. Quindi ad eccezione delle 2 tratte già progettate e finanziate, si parla ancora oggi, a distanza di più di 2 anni dalla presentazione degli interventi del commissario straordinario Simonini, di Piano di fattibilità tecnico economica, senza fare cenno alcuno a livelli di progettazione che consentirebbero il finanziamento dei vari lotti.
La mancata progettazione del prolungamento della variante dall’abitato di Palizzi verso Ardore, poi, rappresenta il sintomo evidente di quello che stiamo dicendo. Troncare un’opera viaria così importante appena fuori il centro abitato del piccolo paese dell’Area grecanica è un torto non solo per i reggini ma per tutti i calabresi.
Senza queste risposte concrete, il territorio metropolitano, proprio per mancanza di infrastrutture materiali, non potrà agganciare il treno della ripartenza.
Occorre proseguire l’infrastrutturazione avviata con i lavori del lotto della S.S. 106 Roseto-Sibari a Sud, definendo le procedure autorizzative e bandendo le gare per la realizzazione della tratta Sibari-Rossano, opera fondamentale per connettere un’area dinamica come la Sibaritide e lo Jonio Cosentino, collegando le aree interne della Sila Greca con il completamento della Longobucco-Mare.
La tratta Sibari-Rossano è di circa 30 km e il costo preventivato è di circa 1 miliardo. Nel contempo chiediamo di procedere con la progettazione dell’ammodernamento del tratto a sud, da Corigliano Rossano a Crotone, La tratta considerata Rossano-Crotone è nella quasi totalità ancora quella della prima S.S.106, senza che sia stata realizzata la S.S.106 bis, oggi completamento inglobata nel tessuto urbanistico dei Comuni attraversati.
L’opera in questione riveste particolare importanza per il rilancio dell’aeroporto di Crotone, che amplierebbe il suo bacino di utenza potenziale in misura importante. Nel contempo riteniamo necessario avviare nel più breve tempo possibile i cantieri nel tratto Catanzaro-Crotone, per una lunghezza complessiva di circa 50 km, suddivisi in sei lotti funzionali, di cui uno, quello da Papanice a Crotone risulta già aggiudicato.
Non si può perdere altro tempo, il Governo ha il dovere di garantire ai calabresi strade moderne e soprattutto sicure.
È innegabile che la priorità della Vertenza Calabria sia rappresentata dall’ammodernamento a 4 corsie della famigerata e tristemente nota “strada della morte”.
Continuare a sfuggire da questa realtà significa inevitabilmente assumersi la responsabilità di essere moralmente complici delle tante tragedie già avvenute e di quelle che purtroppo verranno.
Infine occorre precisare che la rivendicazione per la SS106, sia per la realizzazione delle nuove tratte che per l’ammodernamento dell’intero tracciato, rappresenta l’esigenza e la necessità di una adeguata risposta alla mobilità viaria non solo per il versante Ionico ma per l’intera Calabria che, tra l’altro, consentirebbe di contare su una infrastruttura in grado di favorire la competitività territoriale e di conseguenza attrarre e creare sviluppo economico-produttivo, oltre a rispondere alle indifferibili esigenze sociali. (as, tr e sb)
[Angelo Sposato, Tonino Russo e Santo Biondo sono rispettivamente segretari generali di Cgil Calabria, Cisl Calabria e Uil Calabria]

AGRICOLTORI, LA RIVOLTA SOSTENIBILE
I TRATTORI SIMBOLO DI UNA CRISI SERIA

di ROSARIO PREVITERAUna protesta diffusa può essere sostenibile dal punto di vista economico e ambientale e può essere sostenuta dalla collettività quando se ne capiscano bene le motivazioni e le origini.

La protesta degli agricoltori europei dell’inizio del 2024 verrà ricordata come la “rivolta dei trattori” e probabilmente si rammenterà molto più di quella dei gilet gialli francesi o degli eco-terroristi imbrattatori. E non solo per i disagi dovuti ai blocchi stradali ma anche a causa della conseguente probabile scarsità o mancanza di prodotti alimentari sugli scaffali. Il settore primario infatti è quello da cui dipende la nostra sopravvivenza: senza agricoltura sparisce il cibo.

Purtroppo lo si dimentica facilmente, visto che la popolazione vive prevalentemente in città e il suo rapporto con la ruralità è solo un ricordo, a volte romantico, se non una vera e propria disconoscenza del  “mondo dei contadini”. Invece il mondo contadino è quello da cui tutti proveniamo e dal quale è impossibile prescindere. Ed ecco che ci viene in soccorso  la vecchia storiella dell’albero degli yogurt dal quale i bambini spesso credono di potersi approvvigionare.

La protesta “dei trattori” in atto, partita a gennaio 2024 dalla Germania, ancora in corso in Spagna e appena conclusasi in Francia, scaturisce apparentemente dalle imposizioni volute dall’Ue che obbligano gli agricoltori a sottostare a regole definite “impossibili” anche se utili all’ambiente, alla transizione ecologica, alla decarbonizzazione, alla tutela della biodiversità, alla salvaguardia dei suoli ovvero alla lotta al cambiamento climatico e alla desertificazione. Tutti  argomenti presenti nella programmazione europea e negli orientamenti del “Green Deal”, del “Farm to fork”, del “Fit for 55”, di “Agenda 2030” e che in fondo costituiscono contemporaneamente sia gli effetti della buona agricoltura sostenibile sia la base per il futuro e la sopravvivenza dell’agricoltura stessa.

Regole che in parte sono state “ritirate” dall’Ue in seguito alla protesta, come quelle inerenti la riduzione e il futuro divieto di utilizzo di agrofarmaci, oppure le norme relative alla parificazione delle stalle alle industrie in termini di emissioni inquinanti,  le norme collegate alla regolamento sul Ripristino della natura che prevede di lasciare incolto il 4% delle superfici: problema di fatto poco consistente in quanto inerente ad aree di per se poco o per nulla coltivabili in aziende con più di 10 ettari (400 mq di incolto su ogni ettaro ovvero ogni 10.000 mq) e che può forse intaccare solo gli interessi delle grandissime società agricole operanti come holding su migliaia di ettari.

La rivolta dei trattori in realtà scaturisce da problematiche diverse, concrete e ataviche in quanto connesse al reddito agrario ovvero all’economia della filiera agricola. E quando parliamo di filiera agricola dobbiamo necessariamente considerare anche la componente finale ovvero quella del consumo: già negli anni ’70 Wendell Berry sosteneva che “mangiare è un atto agricolo”. Problematiche che hanno condotto all’esasperazione gli imprenditori agricoli non garantiti da un prezzo minimo e che hanno costretto a chiudere migliaia di medie e piccole aziende negli ultimi anni: più di 3.000 aziende nel 2022 in Italia mentre  nel decennio 2010-2020 le imprese agricole sono diminuite del 30% in Italia e del  25% in Europa. Certamente hanno influito la pandemia e i suoi effetti ma le cause della crisi agricola in nuce sono sempre uguali e tendono ad accentuarsi.

Di fatto, oggi come ieri, gli agricoltori lamentano l’aumento dei prezzi al consumo dei beni agricoli mai proporzionali all’aumento dei loro guadagni, visto che sono soggetti ad iniqui prezzi imposti: aumentano i costi di produzione (energia, concimi e materie prime, trasporti, manodopera, tasse, ecc.) mentre i loro beni agricoli vengono acquistati dai grandi player e dalla grande distribuzione a prezzi che non consentono nemmeno di ripagare le spese effettive sostenute dall’impresa agricola.

A ciò si aggiungano i cosiddetti costi burocratici nazionali e quelli connessi al rispetto delle stringenti normative Ue e nazionali alle quali non sono invece soggetti i prodotti agricoli provenienti dall’estero: questi giungono in Italia via mare e via terra a prezzi certamente molto più bassi e concorrenziali (si pensi ad esempio che un operaio agricolo egiziano guadagna  in un giorno intero e senza tutele quanto guadagna in un’ora un operaio italiano) ma con qualità e garanzia di sicurezza sanitaria assolutamente discutibili.

Inoltre molto spesso la concorrenza è costituita da prodotti esteri spacciati fraudolentemente come italiani o europei, quindi soggetti a trattamenti con pesticidi o conservanti vietati in Europa oppure oltre i limiti consentiti dalla legislazione vigente europea. Tutto ciò a discapito delle nostre produzioni e degli agricoltori. Ecco la concorrenza definibile “sleale”, purtroppo consentita da vari accordi commerciali o di libero scambio e da partenariati tra l’Italia o l’Europa e molti altri Paesi extraeuropei di ogni continente. 

Basti pensare, solo per fare qualche esempio storico di prodotti che giungono silenziosamente sottocosto, ai cereali ucraini, russi o canadesi, all’uva egiziana, ai meloni e agli ortaggi tunisini, all’olio marocchino, alle arance sudafricane, alla mandorla californiana, ai limone argentino, al pomodoro cinese e così via. Le quantità di ortofrutta importate (oltre 2 milioni di tonnellate) superano ampiamente l’export (1,7 milioni di tonnellate) portando nel 2022 il saldo commerciale ad un valore in negativo: 115 milioni di euro pari all’81,9% considerando che il saldo commerciale era di 635 milioni nel 2021. E visto che la crisi economica ormai è globale, il consumatore sceglie sempre di più prodotti a basso prezzo, nonostante appaia sempre più consolidata la sua consapevolezza sul termine “qualità” e nonostante sia in crescita il trend della scelta di prodotti controllati-certificati, made in Italy, a “km zero”, biologici ecc. 

A tutto ciò si aggiunga che il global warming, la siccità, gli eventi climatici estremi, l’aumento di nuove malattie, di parassiti vegetali, di specie cosiddette aliene (sia perché importati sia per le mutate e ospitali condizioni climatiche che modificano gli ecosistemi), stanno determinando gravissimi danni economici all’agricoltura e alla coltivazione in quanto tale a partire dalla perdita di produzione fino ai costi spropositati necessari per la difesa vegetale in genere. 

I dati Istat del 2022 evidenziano un incremento medio dei prezzi dei prodotti agricoli su base annua del 17,7%, quasi il triplo rispetto alla crescita registrata nel 2021 (+6,6%). Al contempo i costi di produzione a carico delle imprese agricole salgono del 25,3% ed il valore aggiunto agricolo, destinato all’agricoltore, scende dell’1,8 % e quindi anche la produzione va in crisi con una contrazione dell’1,5% ed un contrazione dell’occupazione agricola del 2,1%. È il caso di dire che siamo di fronte alla “tempesta perfetta” ovvero ad una congiuntura di fattori che rischia di bloccare l’attività agricola con tutto ciò che di drammatico ne deriverebbe.

Forse è uno dei tanti effetti, diretti e indiretti, visibili e invisibili, del riscaldamento globale aggravato dagli effetti a cascata e non prevedibili dei numerosi conflitti in atto. Siamo di fronte a un grande e composito domino ormai attivato e di cui non si riesce a vederne la fine in quanto mutevole. E l’agricoltura così come la nostra vita quotidiana ne sono parte e vittime inconsapevoli. Il tutto nel silenzio delle associazioni di categoria agricole dalle quali gli agricoltori non si sentono rappresentati e i cui “accordi di filiera” rimangono solo carta stampata.

La “Unfair Trading Practices (UTPs) Directive (EU) No 2019/633” ha introdotto una serie di misure per tutelare i fornitori di derrate alimentari rispetto alle clausole contrattuali inique imposte dai loro clienti industriali e dalla distribuzione organizzata ma il legislatore europeo non ha tuttavia chiarito il divieto delle vendite sottocosto. Una direttiva efficace in Francia ma non in Germania o in Italia a causa di numerose deroghe che consentono vendite sottocosto e promozioni fuori controllo, anche con la complicità delle sigle sindacali di settore e delle organizzazioni di produttori e rispettive confederazioni.

Cosa rispondere e come aiutare gli agricoltori in rivolta, protagonisti di tale “neo protestantesimo agricolo”? Certamente si deve puntare una volta per tutte nel regolare la filiera distributiva ponendo dei limiti, normativi o di contrattazione collettiva, alla moltiplicazione del valore aggiunto (oggi  da 10 a 20 volte) di ogni prodotto che dal produttore primario giunge al venditore finale ovvero al consumatore; valore aggiunto che dovrebbe potersi spostare proprio verso l’inizio della catena produttiva. Sarà importante abbattere il costo (cuneo) fiscale del lavoro e trovare formule di assunzione più snelle come i voucher nel rispetto della dignità lavorativa e del minimo salariale.

Occorre abbattere le accise e rendere ancora più agevolato il carburante agricolo così come sarà fondamentale semplificare e agevolare l’uso di energie rinnovabili in agricoltura e soprattutto ridurre quei costi energetici in generale che impediscono il mantenimento e lo sviluppo di quei comparti che dipendono dalla catena del freddo. E infine occorrerà rivedere i famigerati accordi di libero scambio e perché no ipotizzare nuove forme di dazio, così come contestualmente occorrerà intensificare i controlli sulla tracciabilità di filiera e l’etichettatura obbligatoria per annientare la concorrenza sleale dell’import. Probabilmente si dovrà in parte ritornare a sistemi che ricordano la vecchia Pac e che vanno oltre gli eco-schemi o la eco-condizionalità, ma che sostengono e integrano il reddito agricolo: ciò in relazione ad una rinnovata visione dell’agricoltore che deve essere premiato e incentivato quale custode della terra nonché ad una consapevole percezione della sua attività ovvero l’agricoltura, da intendere nei limiti della sostenibilità di base generale,  quale fattore economico e sociale effettivo per la conservazione. E non intendo solo la conservazione del paesaggio, del territorio, della biodiversità  come è stato fino ad ora ma parlo di conservazione e tutela della sicurezza sanitaria e della sicurezza alimentare, ovvero quella garanzia di cibo e nutrizione per tutti, che è sempre più a rischio. E sembra paradossale che l’Italia, un tempo giardino d’Europa oltre che patria della Dieta mediterranea, possa oggi correre gli stessi rischi di insufficienza alimentare caratteristici di quei Paesi in via di sviluppo o a sviluppo zero, che un tempo definivamo “terzo mondo”, da cui prenderanno le mosse biblici esodi di migranti climatici. 

In termini di investimenti ovvero di cofinanziamento per gli investimenti in agricoltura da parte degli imprenditori tramite i PSR regionali, oltre ad incrementare la quota a fondo perduto a più dell’80% risulterà importante finalmente rivoluzionare l’accesso al credito, il quale per le regioni del Sud continua ad essere un vero e proprio miraggio. A livello strutturale e infrastrutturale sarà importante proseguire nelle azioni contro lo spopolamento delle aree rurali e montane e occorrerà investire con i fondi di coesione disponibili  e con il Pnrr sull’incremento dei servizi per il miglioramento della qualità della vita e per il ripopolamento delle aree marginali: nei prossimi decenni gli esodi interni riguarderanno gli abitanti delle aree urbane che si sposteranno a quote più alte per vivere meglio e fuggire dal caldo sempre più intenso delle città, il quale insieme all’inquinamento costituisce e costituirà una delle principali cause di mortalità in Europa. E sempre di tipo infrastrutturale dovranno essere gli interventi sui bacini idrici e le azioni contro la siccità incalzante: una grande e urgente pianificazione e costruzione della rete degli invasi idrici collinari e montani deve essere affiancata necessariamente dalla desalinizzazione e utilizzo delle acque marine sia a scopo potabile che irriguo. Oggi la tecnologia specifica insieme a quella connessa per l’uso della necessaria energia “green” di vario tipo è in continua e rapidissima evoluzione.  

Anche se le necessità sono cresciute rispetto agli anni scorsi, il bilancio europeo per il 2024 prevede una spesa totale per l’agricoltura di poco superiore ai 53 miliardi di euro pari a quanto previsto l’anno precedente ma senza tenere conto dell’inflazione crescente e delle grandi crisi socio-economiche in atto. Si prevede una spesa di 336,4 miliardi di euro per il periodo 2021-2027 da suddividere tra le varie nazioni e regioni e su diversi fondi specifici. E’ una cifra appena sufficiente per le esigenze dei territori ma soprattutto è una risorsa che va qualitativamente distribuita e strategicamente reimpostata nelle finalità. Siamo di fronte a nuove emergenze e a nuovi scenari,  quelli agricoli, spesso sottovalutati, che influenzeranno come e più di quelli energetici i prossimi contesti geopolitici. Auspichiamo che il rombo dei trattori sia sufficiente e utile a ricordarcelo. (rp)

[Rosario Previtera è agronomo, manager della transizione ecologica,  docente di Geopedologia e presidente di Conflavoro Pmi Agricoltura]