QUEL DIVARIO NEL DIRITTO ALLA SALUTE
DALLA CALABRIA È FUGA PER CURARSI

di LIA ROMAGNO – Nel Mezzogiorno peggiori condizioni sanitarie, meno prevenzione e più alta mortalità oncologica.

Due donne, una emiliana, l’altra calabrese, hanno la stessa patologia oncologica ma una diversa possibilità di futuro che riflette il gap tra Nord e Sud nella sanità, e si traduce in un divario nel diritto alla salute. Sono le protagoniste del video che ha fatto da prologo alla presentazione del rapporto Un Paese, due cure. I divari Nord – Sud nel diritto alla salute, realizzato da Svimez in collaborazione con Save The Children.

I numeri messi nero su bianco mostrano come la loro possibilità di futuro dipenda dalla disponibilità di cure – che è non pari sul territorio – che si declina su tanti fronti: dagli screening periodici nell’ambito della prevenzione alle apparecchiature necessarie, dalla qualità delle strutture sanitarie alla loro prossimità, tutti elementi che sono alla base di quel turismo sanitario verso le regioni centro-settentrionali che fa ancora grandi numeri e che comunque non è alla portata di tutti, alimentando il fenomeno dell’impoverimento sanitario, ovvero il peggioramento delle condizioni economiche familiari, se non la rinuncia alle cure. È su questa Italia già drammaticamente “spaccata”, l’innestarsi di forme di autonomia differenziata non potrà che approfondire il solco, mettendo ulteriormente a rischio il principio dell’equità orizzontale della sanità.

I numeri offrono una fotografia allarmante, che il pacchetto di prerogative che la riforma Calderoli “consegna” alle Regioni, non potrà che aggravare. Senza considerare il fatto che «quelle del Mezzogiorno, tra piani di rientro e commissariamento, hanno le ganasce e non possono prendere nessuna autonomia regionalistica», sottolinea il presidente della Fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta, intervenuto alla tavola rotonda, insieme al direttore della Svimez, Luca Bianchi, Raffaella Milano, direttrice dei programmi Italia-Europa di Save the children, e Anna Lisa Mandorino, segretaria generale di Cittadinanzattiva.

I numeri, illustrati da Serenella Caravella, ricercatrice della Svimez, mettono a fuoco un aumento dei divari territoriali in un contesto di debolezza generalizzata del sistema sanitario nazionale, che il confronto con gli altri Paesi europei mette ancora di più in evidenza: le risorse pubbliche stanziate sono in media pari al 6,6% del Pil, contro il 9,4% della Germania e l’8,9% della Francia, a fronte di un contributo. La spesa sanitaria pubblica reale pro-capite è calata sul suolo tricolore del 2% tra il 2010 e il 2022, mentre è aumentata del 38% in Germania e del 32% in Francia.

L’incidenza della spesa sanitaria privata, pari al 24% della spesa sanitaria complessiva, è invece quasi doppia rispetto a quella di Francia e Germania, rispettivamente al 15,2% e al 13,5%.

I dati relativi alla spesa sanitaria pro capite nelle singole regioni spiegano il divario: per la spesa corrente la media italiana è di 2.140 euro, che in Calabria scende a 1.748 euro, in fondo a un’ideale classifica anche Campania (1.818 euro), Basilicata (1.941 euro) e Puglia (1.978 euro). Guardando al Nord, giusto per fare qualche esempio, è pari a 2.583 euro in Friuli, a 2.495 euro in Emilia Romagna.

Per la parte di spesa in conto capitale, i valori più bassi si registrano in Campania (18 euro), Lazio (24 euro) e Calabria (27 euro), a fronte di una media nazionale di 41 euro. Mentre risalendo la Penisola, il Friuli si attesta sui 60 euro, 63 il Veneto, 85 euro la Valle d’Aosta.

Sulla qualità delle prestazioni e dei servizi offerti è “illuminante” il monitoraggio Lea, i Livelli essenziali di assistenza (prestazioni, distrettuale, ospedaliera), in cui spiccano i deludenti risultati del Mezzogiorno, dove 5 regioni risultano inadempienti (non raggiungono il punteggio minimo, ovvero 60 su una scala da 0 a 100).

Nella fotografia scattata nel rapporto Svimez emergono altri dati drammatici: su 1,6 milioni di famiglie italiane in povertà sanitaria – perché hanno avuto difficoltà nel sostenere le spese sanitarie, o hanno rinunciato alle cure – 700 mila vivono al Sud. Qui la povertà sanitaria riguarda l’8% dei nuclei familiari, una percentuale doppia rispetto al 4% del Nord-Est (5,9% al Nord-Ovest, 5% al Centro).

Un altro primato negativo è sulla speranza di vita alla nascita che è 81,7 anni (dato 2022) per i cittadini meridionali, in media 1,5 anni inferiore a quella dei settentrionali.

Ma il divario si riscontra già nelle culle: secondo gli ultimi dati Istat disponibili, il tasso di mortalità infantile (entro il primo anno di vita) era di 1,8 decessi ogni 1000 nati vivi in Toscana, ma era quasi doppio in Sicilia (3,3) e più che doppio in Calabria (3,9).

E nel Mezzogiorno è più alta anche la mortalità per tumore che è pari al 9,6 per 10 mila abitanti per gli uomini rispetto a circa l’8 del Nord; per le donne è rispettivamente a 8,2 e inferiore a 7 al Nord: nel 2010, si rileva nel rapporto, i due dati erano allineati. E su questo fronte “la partita” si gioca soprattutto sul campo della prevenzione: tra il 2021 e il 2022 circa il 70% delle donne tra i 50 e i 69 anni si sono sottoposte ai controlli, due su tre aderendo ai programmi di screening gratuiti messi in campo dalle Regioni. Anche qui la copertura è diversa sul territorio: si va dall’80% nel Nord al 76% nel Centro, fino ad appena il 58% nel Mezzogiorno. Prima in classifica il Friuli-Venezia Giulia (87,8%), fanalino di coda la Calabria, dove solamente il 42,5% delle donne di 50-69 anni si è sottoposto ai controlli.

Per quando riguarda la possibilità di fruire degli screening organizzati, la percentuale delle donne oscilla tra il 63 e il 76% in Veneto, Toscana, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, P.A. di Trento, Umbria e Liguria e circa il 31% in Abruzzo e Molise. Le quote più basse si registrano in Campania (20,4%) e in Calabria, dove le donne che hanno effettuato screening promossi dal Servizio Sanitario sono appena l’11,8%, il dato più basso in Italia: numeri che in queste regioni hanno molto a che fare, oltre che nelle difficoltà sull’organizzazione delle campagne di prevenzione, spiega Caravella, con la carenza di personale, l’obsolescenza dei macchinari, tutti fattori che giustificano una scarsa fiducia nella qualità dei servizi.

La “fuga” dal Mezzogiorno verso le strutture sanitarie del Centro e del Nord ha numeri importanti: nel 2022, dei 629 mila migranti sanitari, il 44% era residente in una regione meridionale.

Per le patologie oncologiche, 12.401 pazienti meridionali (il 22% del totale) si sono spostati per ricevere cure negli ospedali del Centro e del Nord. In direzione opposta hanno viaggiato solo 811 pazienti del Centro-Nord (lo 0,1% del totale). Ed ancora la Calabria a detenere il primato del “turismo sanitario”: il 43% dei pazienti si rivolge a strutture sanitarie di regioni non confinanti. Seguono Basilicata (25%) e Sicilia (16,5%).

Per i pazienti pediatrici “l’indice di fuga” nel 2020 si è attestato in media all’8,7% a livello nazionale, con differenze territoriali che vanno dal 3,4% del Lazio al 43,4% del Molise, il 30,8% della Basilicata, il 26,8% dell’Umbria e il 23,6% della Calabria. Nel complesso, «la fuga per farsi curare vale 4,25 miliardi», è la stima fornita da Cartebellotta.

L’attuazione dell’autonomia differenziata, si sostiene nel report, rischia di aggravare ulteriormente il divario, creando una maggiore sperequazione finanziaria e, di conseguenza, ampliando le diseguaglianze nel diritto alla salute e il fenomeno della mobilità sanitaria (che porta altri soldi nelle casse delle regioni di destinazione).

«La concessione di ulteriori forme di autonomia – si sostiene – potrebbe determinare ulteriori capacità di spesa nelle Regioni ad autonomia rafforzata finanziate dalle compartecipazioni legate al trasferimento di funzioni e, soprattutto, dall’eventuale extra-gettito derivante dalla maggiore crescita economica».

Senza contare che la discrezionalità nella gestione e retribuzione del personale, la regolamentazione dell’attività libero-professionale, l’accesso alle scuole di specializzazione, le politiche tariffarie rafforzano la competitività del sistema sul fronte dell’attrazione di fondi e risorse umane – quest’ultime già carenti sull’intero territorio – e della possibilità di garantire servizi più efficienti.

«Chi afferma che dall’autonomia trarranno vantaggio le regioni del Sud dice una balla spaziale», la chiosa di Cartabellotta.

Per Bianchi la possibilità di un riequilibrio della situazione passa «dall’aggiornamento del metodo di riparto delle risorse del fondo sanitario nazionale con gli indicatori socio-economici: i criteri di deprivazione sono al momento considerati solo marginalmente, sottostimando il bisogno di cura e prevenzione nel Sud». (lr)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud –L’Altravoce dell’Italia]

MANCA LA GIUSTA SANITÀ NEL BASSO JONIO
COSENTINO: LE ISTITUZIONI INTERVENGANO

di ANTONIO LOIACONONell’entroterra del Basso Jonio cosentino, l’anima e il corpo dei cittadini sono affidati a due strutture fondamentali: da un lato, il personale “ecclesiastico” che si prende cura della comunità e che non manca mai nelle proprie “sedi”; dall’altro, “i medici di famiglia” (queste chimere!) che dovrebbe garantire la necessaria assistenza medica in caso di necessità: figure in via di estinzione nei piccoli centri jonici, con conseguenze drammatiche per i residenti.

A Terravecchia, Scala Coeli, Mandatoriccio, Campana, Bocchigliero ed in tante altre piccole realtà, la carenza di medici di famiglia non è soltanto un problema di accesso alle cure primarie, ma influisce pesantemente anche sul sistema di emergenza. I pronto soccorso delle strutture ospedaliere, già oberati dalla mancanza di personale e risorse, diventano la prima e spesso unica opzione per molti cittadini, costretti a rivolgersi a essi anche per problemi che potrebbero essere gestiti in modo più appropriato da un medico di famiglia. Questo sovraccarico contribuisce a congestionare ulteriormente le strutture ospedaliere, mettendo a repentaglio la qualità delle cure per tutti i pazienti.

Una delle sfide più pressanti per i cittadini di questa area è la difficoltà nel trovare un medico di famiglia. L’accesso a una figura medica di riferimento dovrebbe essere un diritto fondamentale, ma per molti abitanti dei comuni dell’entroterra diventa un’impresa ardua. Trovare un medico disponibile a visitare e prescrivere cure diventa un vero e proprio calvario, costringendo le persone a rivolgersi al proprio medico, attraverso le “chat sanitarie”: “Che farmaco devo prendere, dottò? Mi mandate la ricetta? “. Queste risorse digitali non possono e non devono sostituire l’attenzione e la competenza di un medico “in carne ed ossa”! Spesso, i pazienti, sono lasciati senza risposte adeguate alle loro necessità mediche che dovrebbero, invece, essere risolte “de visu”.

Anche le postazioni di guardia medica, seppur cruciali per garantire assistenza notturna, non sono esenti da problemi. La loro presenza non è uniforme tra i comuni dell’entroterra, lasciando molte aree prive di un punto di riferimento per le emergenze notturne. Anche quando sono presenti, queste postazioni possono essere sottodimensionate o mal equipaggiate, rendendo difficile garantire un servizio adeguato a chi ne ha bisogno.

In definitiva, la situazione sanitaria nell’entroterra del Basso Jonio cosentino è critica e richiede interventi urgenti da parte delle autorità competenti. È necessario investire nelle risorse umane e strutturali per garantire un accesso equo e adeguato alle cure mediche di base, così da evitare che i cittadini debbano continuare a lottare per ottenere assistenza sanitaria essenziale. 

Una possibile soluzione potrebbe essere l’implementazione di iniziative volte a incentivare i medici e gli operatori sanitari a stabilirsi in queste aree, magari offrendo incentivi o agevolazioni fiscali. È importante rendere queste zone più attrattive per i professionisti della salute, in modo che possano offrire cure adeguate e continuative alla popolazione locale.

Le istituzioni locali e regionali devono collaborare attivamente con le comunità e i professionisti della salute per identificare soluzioni su misura ed affrontare le sfide specifiche di queste aree. È necessario un approccio olistico che tenga conto delle esigenze specifiche della popolazione locale e che promuova la partecipazione attiva dei cittadini nella pianificazione e nell’implementazione di nuove strategie sanitarie: è importante sensibilizzare l’opinione pubblica e promuovere una maggiore consapevolezza riguardo alle sfide e alle necessità del sistema sanitario in queste aree. 

Questa situazione non solo è fonte di frustrazione per i residenti, ma rappresenta anche un rischio per la salute pubblica. La difficoltà nel ricevere cure mediche tempestive e adeguate potrebbe portare a gravi conseguenze per i pazienti, compromettendo la qualità della vita e l’efficacia del sistema sanitario locale.

È evidente che sia necessario un intervento urgente per migliorare l’accesso ai servizi sanitari in questi comuni dell’entroterra. La mancanza di medici di famiglia e di risorse nelle strutture sanitarie locali rappresenta una sfida che richiede l’attenzione delle autorità competenti e un impegno concreto per garantire a tutti i cittadini un accesso equo e tempestivo alle cure mediche di base.

Affrontare questa emergenza sanitaria, richiederà un impegno congiunto da parte delle autorità locali, regionali e nazionali, così come una stretta collaborazione tra istituzioni sanitarie, associazioni professionali e comunità locali. Un approccio integrato e cooperativo consentirà di superare queste sfide: è tempo di agire con determinazione per porre fine a questa storia annosa e dannosa e assicurare un futuro più sicuro e salutare per le nostre comunità. (al)

 

LA MANCANZA DI VISIONE DELLA POLITICA
SUL VALORE DEGLI AEROPORTI PER IL SUD

di PIETRO MASSIMO BUSETTA – Centonovantasette milioni di passeggeri nel 2023. Il presidente di Assaeroporti, Carlo Borgomeo, ha commentato: «il 2023 si è chiuso con quasi 200 milioni di passeggeri, un record assoluto per gli aeroporti italiani, un’importante soglia psicologica raggiunta. Si conferma una straordinaria voglia di volare, a riprova della resilienza del nostro comparto, che è in ottima salute e resta strategico per il Paese».

Certamente il fatto che la gente si muova potrebbe essere un indicatore di benessere. Ma se vogliamo andare a indagare sui dati possono anche essere interpretati in maniera più articolata e complessiva. Se confrontiamo infatti i dati degli aeroporti italiani con quelli degli aeroporti francesi ci accorgiamo che la Francia ha 30.000 passeggeri meno in un anno. Circa 160 milioni e se consideriamo che il reddito pro capite francese è più alto di quello italiano qualche domanda ce lo dobbiamo fare.

Infatti il grande traffico aereo può derivare, oltre che da una capacità economica maggiore dei paesi interessati, anche da altri due fattori: il primo è quello di una mobilità all’interno del paese particolarmente elevata dovuta al fatto che vi sia una sviluppo economico diseguale che porta, come accade in Italia, molta gente a viaggiare da un lato all’altro, perché si sposta dalla sua residenza al lavoro. Magari non giornalmente ovviamente, ma avendo parenti, amici, radici, in una parte e il lavoro in un’altra i viaggi diventano abbastanza numerosi e frequenti. 

Tale visione è confortata dai dati degli aeroporti meridionali che rappresentano, con i circa 60 milioni di passeggeri, quasi un terzo del traffico complessivo. Tale dato è anomalo e non è collegato al reddito pro capite, ma alla popolazione. In realtà, avendo un reddito pro capite che è la metà di quello del Centro Nord, dovrebbe avere un traffico di gran lunga inferiore, invece unico dato rispetto a tasso di occupazione, export pro capite, a tasso di povertà e potrei continuare a lungo, dati che sono ovviamente a dimostrare un diverso sviluppo, il numero di passeggeri invece é in linea con la popolazione ed evidenzia che è così alto proprio perché vi è questa mobilità interna dovuta alle migrazioni.

Il secondo aspetto, che mette in evidenza, é la carenza di alternative ferro aria o gomma aria. Cioè il fatto che le movimentazioni attraverso le ferrovie e attraverso le strade sono così carenti che l’unico mezzo disponibile diventa l’aereo. 

Tale riflessione è confermata abbondantemente dallo stato delle infrastrutture del Sud, abbandonate da anni da parte di Rfi, ma anche di Anas, che scontano un ritardo ventennale rispetto ai collegamenti del Centro Nord. Ormai da Roma a Milano si utilizza spesso l’alta velocità ferroviaria come è noto a tutti, mai da Roma a Palermo. Tali riflessioni possono aiutare a cambiare visione adesso che il Piano Nazionale degli Aeroporti, di prossima pubblicazione, deve definire le  linee strategiche per il comparto. Perché le riflessioni fatte possono aiutare  a individuare le esigenze dei nuovi scali. 

Perché evidentemente, considerato che per completare una linea di alta velocità velocità ferroviaria o un’autostrada sono necessari 10 anni e costi incredibilmente alti e che invece per fare un aeroporto bastano pochi mesi, e poco più del costo di 2 km di autostrada, se non si considerano i tempi burocratici necessari per le autorizzazioni, che teoricamente potrebbero essere ridotti, si potrebbe pensare a soluzioni provvisorie che consentano di collegare i territori più  periferici e marginali, in modo da potenziare le loro possibilità di sviluppo, in attesa di quelle infrastrutture stradali e ferroviari che possano rendere inutile una struttura aeroportuale, che come si apre potrebbe pensarsi anche che possa chiudersi, laddove le esigenze di collegamento aereo venissero meno.

L’esempio più calzante che spiega e dimostra che il ragionamento è corretto è quello delle esigenze aeroportuali di Agrigento. Cittadina che è distante oltre due ore da qualunque scalo aeroportuale e che, per i prossimi 10 anni, é certo che non avrà un’alta velocità ferroviaria né un’autostrada che la collegherà agli aeroporti più vicini. Nel frattempo però, nel 2025, sarà capitale della cultura. La sua Valle Dei Templi è un tesoro che aspetta soltanto di essere scoperto adeguatamente da un pubblico che arrivi da tutte le parti del mondo. Considerato che, se adeguatamente valorizzata,  potrebbe rientrare nei primi 10 posti che ognuno nella vita non deve perdersi, come le piramidi d’Egitto per esempio,  Petra, Machu Picchu, le cascate del Niagara, le piramidi Maya, il Partenone o il Colosseo. 

E certo una vera utilizzazione e scoperta può avvenire solo se vi sono dei collegamenti adeguati. La riserva più importante che viene posta, quando si parla di aeroporti, è quella di un traffico minimo che ne consenta la sopravvivenza, senza che vada in passivo. 

Ma è chiaro a tutti che il ragionamento va fatto non a bocce ferme, né pensando che gli aeroporti debbano servire per il collegamento dei residenti con Roma e Milano. Ma capendo perfettamente che si tratta di strutture al servizio soprattutto dell’incoming, cioè quei collegamenti che possono portare i tanti ricchi europei, che sono costretti a vivere  in posti dove, e per sei mesi, sono sotto lo zero, a venire a svernare o a viaggiare per vedere località  dove ai primi di  febbraio la primavera inizia  e inonda di bianco una Valle Dei Templi che festeggia la sua sagra del mandorlo in fiore, normalmente ignorata dalla Rai pubblica, davanti ad un Tempio della Concordia, in una area archeologica  tanto ben conservata da far invidia alla zona archeologica del Partenone. 

Bene, a parte il fatto che con accordi con compagnie tipo Ryanair anche scali come Trapani riescono ad arrivare al milione e mezzo di passeggeri che dovrebbe essere quel dato che consente un break even di utili, bisogna capire che gli aeroporti in alcune realtà possono anche costituire una struttura di servizio all’economia, che anche se può perdere qualche milione di euro in un anno, come succede ai trasporti locali o ad altre utilities, se poi mette in movimento un volano che porta ad una complessiva crescita del sistema economico, può essere una scelta che nella globalità é conveniente. 

Poi considerando come spesso la politica distribuisce mance e mancette, risorse per sagre della ricotta o del carciofo che non hanno alcun significato economico, ci rendiamo conto come le risorse che possono essere dedicate ad un’aeroporto, se non servono per  l’assistenza sociale a disoccupati che vengono assunti per avere un posto non per fare un lavoro, allora la visione può anche essere differente. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

DAI TRATTORI L’URLO: NON SVENDERE A UE
LA SACRALITÀ E IL VALORE DELLA TERRA

di GIUSY STAROPOLI CALAFATISe all’uomo è stata affidata una cosa preziosa, questa è la terra. Quella dura da cui da solo ha dovuto imparare a dissotterrare il pane per vivere. Rassodando la terra, i nostri padri, ci hanno consegnato nelle mani la loro vita, il sacrificio, il duro lavoro, la preghiera degli uomini retti e miti, unici ereditieri della terra; la raccomandazione di lasciare ai nostri figli un mondo migliore di come lo abbiamo trovato. Ed è per questo che, la terra, quella nera a zolle grosse, l’abbiamo rivoltata parecchie volte, prima a mani nude, poi con l’aratro, infine con i trattori per renderla meno dura, e potervi continuare a piantare il grano e, con la farina del nostro sacco, fare il pane, quella pitta sacra che attorno al tavolo riunisce la famiglia. 

Alla terra gli uomini hanno da sempre affidato ogni cosa: le gioie e i dolori. E chi l’ha bestemmiata per la fatica immane che la terra chiede, l’ha subito benedetta per quanto in cambio gli ha saputo dare: il pane e il vino. 

Abbiamo dedicato lotte di intere generazioni alla terra, abbiamo fatto battaglie ideali per tutelarla, abbiamo giurato sulla memoria di chi in nome della propria terra è nato morto, pur di renderla fertile. Per un pezzo di terra da coltivare, abbiamo pianto, siamo partiti e poi anche tornati, ci siamo fatti chiamare terroni. Noi del Sud, la terra l’abbiamo sempre difesa con le unghie e con i denti, con le spade e i bastoni, quando è servito. Giuditta Levato è stata uccisa per la terra. Incinta di sette mesi non è arretrata neppure di un millimetro davanti alle canne dei fucili dei latifondisti, e piuttosto morta nella terra, che viva senza.

Mio nonno se non fosse per il pezzo di terra che coltivava al paese, dalla Germania la famiglia in Calabria, non l’avrebbe mai più riportata. E se non fosse per quella terra lavorata da mio nonno, da mio padre non avrei mai imparato che le patate buone si fanno sottoterra e non sopra gli alberi. E oggi non avrei saputo coltivarmi l’orto, quello che produce la genuinità di cui sono testimoni i miei figli. Che dei cibi freschi dell’orto provano gusto, di quelli conservati in scatola molto meno. 

L’uomo è agricoltore dalla nascita, se solo non avesse avuto le basi dell’agricoltura, non sarebbe mai diventato l’uomo geniale che oggi tutti conosciamo, che ha salpato molti mari, scoperto l’America e arrivato persino sulla luna. Il progresso incalza, è vero, e l’uomo lo segue, ne è artefice, più che mai complice, ma l’agricoltore che c’è in lui non può modificarsi né evadere dalla sua forma mentis. Egli ha il dovere di rimane profondamente radicato alla tecnica primordiale dell’uomo agricolo.

La terra non si mercifica solo perché le lobby economiche europee hanno deciso che così deve accadere, il suo fine nemmeno; i prodotti buoni della terra hanno un protocollo genetico da rispettare, che nessuna Europa ha il diritto di riformulare. L’uomo, che è stato prima di tutto Robinson Crusoe, naufrago su una terra “margia” che per vivere sazio e non morire digiuno ha dovuto coltivare, non può perdere di vista la sua ragione, il suo status quo, egli ha l’obbligo morale di rimanere saldo nell’identità, essere illuminato dalla sapienza. Come? Giurando ancora una volta sul pane, il suo rispetto alla terra che il pane lo dona. Insomma, rimanendo fedele al suo credo.

Agricoltore non è solo colui che lavora la terra, che ara i campi, ma agricoltori siamo tutti. Chi semina nella terra e chi nella politica, chi nella scuola e chi nella pubblica amministrazione; chi semina nelle chiese e chi per strada, chi negli ospedali e chi in riva al mare, in mezzo al mare. Se dunque l’agricoltore è colui che porta avanti una produzione, il politico non deve forse produrre bene per la sua comunità? E un professore non deve produrre sapere in mezzo ai suoi studenti? E un prete? Un prete non deve forse produrre speranza per i suoi fedeli?

La Calabria è terra di agricoltori da generazioni, l’agroalimentare e il turismo rappresentano le sue due colonne portanti. Che passano a tre se al centro si pone la storia magnogreca della regione con l’iconico sito di Capo Colonna. Ed è sui trattori, spalla a spalla agli agricoltori, che oggi vorrebbe vedere scendere in campo la sua classe politica, quella dirigente, la scuola, le istituzioni, la chiesa. Finirebbero anche gli offertori altrimenti. E finiti i contadini, andrebbe perduta tutta la storia del presepe. Allora servono forza e coraggio per non svendere all’Europa la sacralità della terra che produce frutto; non liquidare l’Italia, la sua qualità, il suo valore, la sua potenza. 

Cara, Europa, l’agricoltore ha sempre salvaguardato l’ambiente e tu lo sai bene. Poteva fare meglio? Sì, certo, poteva, ma bisognava trovare una quadra unanime a questa questione. Giocare al pungo duro è una misera disfatta: per l’economia che tanto ti adoperi a salvaguardare, oltre che per le nostre vite. Quanto ai cibi sentitici, no, grazie. Farebbero bene ai tuoi conti correnti, ma non alla nostra salute. In merito ai grilli invece, sarebbe bene ascoltassi il tuo grillo parlante, piuttosto che farne farina. Tutti ne abbiamo uno. Pinocchio, io e pure tu. E non mi dire che tu non abbia mai letto Collodi, o conosciuto il burattino di legno più famoso del mondo! Ti si allungherebbe il naso. 

«Che cos’è la coscienza?» chiede Pinocchio. «Cos’è la coscienza?» risponde il grillo «Ora ti spiego… è una piccola voce interiore che la gente ascolta raramente. Per questo oggi il mondo va così male!».

Migliaia di agricoltori, allevatori e contadini sono scesi in strada in questi giorni, e ancora ci sono, e proprio perché il mondo va male; tu però non scendi mai nelle loro terre per capire com’è fatto il mondo, abbassarti fino al suolo per sentire il profumo del primo raccolto, te ne stai invece a Bruxelles, dove il raccolto arriva già trasformato. Te ne stai seduta comoda nelle tue aule parlamentari, impedita, mediante il chiacchiericcio di questo e di quello, persino a riconoscere la voce di chi protesta per lavorare, costretto a non lavorare per protestare. 

Non sei forse un agricoltore anche tu? Non è forse tuo il compito di produrre bene ogni forma di bene? Se il contadino non coltiva, non si mangia, e dover lasciare incolto un pezzo della sua terra per accedere ai tuoi fondi è ignobile, turpe e vergognoso.

In nome dell’unità, della solidarietà e dell’armonia tra i popoli dell’Europa, pianta nella ‘terra’, oggi, la tua bandiera. Al Sud, per raccontare gli uomini basta guardare la terra. Essere parte di essa e non corpi estranei. Tutto passa dalla terra: la vita e la morte. La terra dà e la terra prende. Ma se questa viene trattata avidamente, allora potrebbe fare cose terribili. (gsc)

GENUINITÀ, UNICITÀ E TUTELA AMBIENTALE
ECCO IL PIANO TURISTICO DELLA CALABRIA

Genuinità, unicità e tutela dell’ambiente. Sono questi i tre punti cardine su cui verte il Piano regionale di Sviluppo Turistico Sostenibile 2023-2025 con cui la Calabria vuole ripartire.

Un piano triennale, dunque, che ha come mission «quella di creare e alimentare un Capitale Reputazionale Positivo non solo attraverso attività promozionali ma anche puntando sul contributo di comunicazione e di ambassadors dei “repeaters”. Dal punto di vista della specializzazione turistica – si legge nel documento – si tratta di costruire una strategia articolata per fasi che ruoti attorno al turismo balneare, in quanto proposizione predominante della regione. In considerazione del fatto che i trend turistici attuali vedono una necessità crescente di mettere a sistema i diversi tipi di turismi e promuovere i «politurismi», emerge una crescente importanza del turismo esperienziale (viaggio come esperienza e strumento per conoscere se stessi), lento (meno attività ma più approfondite) e sostenibile (rispetto dell’ambiente)».

Ma non solo: Il piano vuole, anche, riconoscere nelle attività promozionali un necessario strumento operativo rivolto a definire l’immagine unica dell’offerta Burc n.25 del 01 febbraio 2024 fonte: https://burc.regione.calabria.it 4 turistica calabrese nel suo complesso; realizzare interventi regionali per il sistema del cinema e dell’audiovisivo in Calabria; rafforzare il ruolo della cultura e del turismo sostenibile nello sviluppo economico, nell’inclusione sociale e nell’innovazione sociale; romuovere lo sviluppo sociale, economico e ambientale integrato e inclusivo, la cultura, il patrimonio naturale, il turismo sostenibile e la sicurezza nelle aree urbane, Rafforzare la crescita sostenibile e la competitività delle PMI e la creazione di posti di lavoro nelle PMI, anche grazie agli investimenti produttivi e, non meno importante, permettere ai cittadini, a imprese e organizzazioni di ricerca e alle autorità pubbliche di cogliere i vantaggi della digitalizzazione.

Insomma, un lavoro ambizioso quello prefissato dalla Giunta Occhiuto ma che sembra aver deciso, finalmente, di adottare un serio piano di rilancio, sviluppo e promozione per una regione come la Calabria che è quart’ultima per «arrivi turistici, con la Puglia e Sicilia, considerate come benchmark di riferimento per la Regione1 , che hanno registrato un numero di arrivi circa tre volte superiore a quello della nostra regione».

«Se si considera la quota di turisti stranieri – si legge nel documento – la Regione scala ulteriormente al terz’ultimo posto, con un’incidenza di visitatori stranieri pari al 15% del totale regionale, seguita solo da Abruzzo (12%) e Molise (9%). Puglia e Sicilia, al contrario, hanno registrato rispettivamente il doppio e (quasi) il triplo della quota di turisti stranieri della Calabria».

«La domanda di turismo nazionale verso la Calabria – viene spiegato – è caratterizzata da una elevata incidenza di “repeater”, la cui maggioranza proviene dalle regioni limitrofe. Secondo una survey realizzata da Unioncamere Calabria circa i canali di comunicazione che maggiormente influiscono sulle scelte del soggiorno, il 47,4% dei turisti sceglie di andare in Calabria perché ci è già stato o perché ha avuto esperienze pregresse sul territorio. Inoltre, circa 1/3 dei visitatori italiani vengono dalla Campania (con 1,7 milioni di presenze), con a seguire Lazio (636 mila), Lombardia (548 mila) e Puglia (502 mila)».

«Focalizzandosi invece sui turisti stranieri – si legge – emerge che il 67% proviene da Paesi di prossimità dell’Unione Europea, in particolare da Germania, Polonia, Francia e Austria (100.446 arrivi, il 44% del totale dei turisti stranieri in Calabria). Il restante 33% di stranieri proviene da Paesi extra-UE con particolare peso di Svizzera e Lichtenstein (17.980 arrivi), Regno Unito (13.429) e Stati Uniti (12.448 arrivi). Nel complesso, dai primi dieci Paesi di provenienza arriva il 72% dei turisti stranieri».

«Un’ulteriore caratteristica della domanda turistica della Calabria – viene evidenziato – è quella della “stagionalità”. I flussi turistici della Calabria, in linea con le altre Regioni del Sud Italia, sono caratterizzati da un’elevata concentrazione in determinati periodi dell’anno. Le conseguenze di tale dinamica si riflettono nella gestione dell’overtourism (l’elevata congestione delle strutture nel periodo di picco) e in una maggiore difficoltà per le aziende turistiche di ripartire le spese annuali/fisse».

Per essere precisi, l’offerta turistica calabrese rileva una predominanza del turismo balneare e domestico, ossia nazionale: Secondo la survey realizzata da Unioncamere Calabria, il turismo balneare, in linea con le tendenze dell’intera penisola, è quello maggiormente diffuso, con un’incidenza pari al 18,2% in Calabria (vs 24,5% di media nazionale)».

«Tuttavia – si legge – la Regione evidenzia una minore valorizzazione e promozione di “turismi” alternativi (primi tra tutti quello enogastronomico, naturalistico e culturale) rispetto alla media nazionale, che andrebbero opportunamente potenziati. Analizzando l’offerta ricettiva della Regione, si evidenzia come questa sia principalmente focalizzata su una tipologia di turismo medio spendente. Il numero di posti letto negli alberghi a 3 e 4 stelle corrispondente al 72% dell’intera offerta alberghiera regionale. Il turista medio spendente è anche il target delle strutture extra – alberghiere, con campeggi e villaggi turistici contenenti la maggioranza dei posti letto (60,4 mila)».

Anche le opinioni dei turisti confermano il potenziale dell’offerta ricettiva della Calabria. Il giudizio medio del soggiorno nella Regione per turisti stranieri e nazionali fa emergere un particolare apprezzamento nei confronti della qualità, accoglienza e costo degli alloggi. Sarebbe dunque opportuno andare a potenziare adeguatamente i servizi connessi al settore che, sempre sulla base delle opinioni dei turisti, sono inadeguati in termini di informazioni turistiche, e di costo ed efficienza del trasporto pubblico locale, in particolar modo per i turisti stranieri. Anche le competenze linguistiche degli operatori sarebbero da potenziare. Da questo punto di vista, in Italia il 23% degli addetti turistici presenta bassi livelli di formazione (13 punti percentuali in più rispetto alla media Ue); l’incidenza risulta particolarmente elevata nei settori della ristorazione (37%, ovvero 7 p.p. in più della media UE) e dell’hospitality (29%, 6 p.p. in più della media europea).

Dai dati sui flussi turistici in Calabria, è emerso poi, come ci sia un forte sottodimensionamento della domanda turistica regionale rispetto ai territori limitrofi. I gap di presenze turistiche esistenti tra la Calabria e le Regioni circostanti non si limitano soltanto agli stranieri. Anche considerando il numero di visitatori nazionali, la Calabria è in una situazione di “deficit” della domanda. Nel 2021 sono state registrate nella Regione 202,2 presenze di turisti italiani per km2 in meno rispetto alla Puglia. La magnitudine della perdita di domanda potenziale turistica diventa notevole se entrambi i deficit venissero sommati. In assenza dei gap esistenti relativi ai turisti nazionali, si stima che la Calabria avrebbe registrato 3 milioni e 80mila presenze aggiuntive nel 2022 (42% del totale delle presenze dell’anno).

Nel documento, poi, viene fatto un riepilogo di tutti gli interventi realizzati nel 2023, per un valore di 12,604 milioni di euro. Nonostante i buoni risultati ottenuti, sono rimaste alcune criticità, come l’assenza di diversificazione e quindi un ventagli più ampio di offerta che la Regione può offrire; una scarsa complessità e bassa differenziazione, una bassa specializzazione e un debole livello di integrazione con l’offerta del territorio.

Criticità che, sicuramente, la Regione vuole risolvere col nuovo piano triennale. Alcuni sono stati già anticipati dal presidente Occhiuto, come il sostegno alla creazione di Family Hotel, mentre gli altri sono migliorare la competitività del territorio attraverso, anche, un marketing digitale turistico «per incrementare  la competitività della Destinazione Calabria, sia a livello nazionale che internazionale. L’intento – riporta il Piano – è quello di intercettare i viaggiatori che utilizzano l’aereo quale mezzo di trasporto, con l’obiettivo di incrementare nell’arco di vita del progetto, almeno del 10% il flusso passeggeri negli scali calabresi».

Previsto, poi, il Portale Calabria Straordinario e l’Osservatorio Turistico, interventi per la promozione e comunicazione turistica, eventi e fiere nazionali e internazionali, iniziative cinematografiche e audiovisive. Spazio, poi, al Turismo delle Radici «per coinvolgere gli italiani all’estero e gli italo-discendenti non solo nella scoperta dei luoghi da cui provenivano gli antenati, ma anche nella conoscenza di tutti quegli elementi di cui si compone il patrimonio culturale italiano e, in particolare, quelli che non fanno parte dei circuiti mainstream del turismo italiano» e promuovere «viaggi delle radici” attraverso la creazione di un’offerta turistica nazionale e suddivisa per territori regionali per offrire una serie di esperienze finalizzate alla conoscenza della storia familiare e del territorio d’origine».

Un piano molto ambizioso, che sarà attuato dal Dipartimento “Turismo Marketing Territoriale e Mobilità” che dispone di un “piccolo” tesoretto pari a 30.0.693.900,00 di euro.

L’anno è da poco iniziato, ma le premesse sono ottime e, se come scritto si darà ampio spazio alle sinergie tra soggetti pubblici e privati che operano nel settore turistico in Calabria, forse vedremo davvero una «Calabria Straordinaria e che non ti aspetti». (ams)

IL PNRR SI È FERMATO IN CALABRIA: MOLTI
RALLENTAMENTI E POCHI CANTIERI AVVIATI

di WALTER BLOISE – Il Pnrr ha smesso di correre. Dopo una partenza lanciata, soprattutto in Calabria, si registrano troppi rallentamenti. Non siamo noi della Uil Fpl a lanciare l’allarme, ma istituzioni importanti come l’Ufficio Parlamentare di Bilancio.

Attraverso la piattaforma Regis le amministrazioni centrali e periferiche dello Stato, gli enti locali e gli altri soggetti attuatori compiono tutte le operazioni necessarie per rispettare gli obblighi di monitoraggio, rendicontazione e controllo delle misure e dei progetti finanziati dal Pnrr. Tale piattaforma fornisce pertanto una visione di insieme sull’avanzamento del Pnrr inequivocabile.

A fine 2023 è stata in gran parte completata la fase di assegnazione ai soggetti attuatori, con oltre il 67 per cento delle risorse allocato a singoli progetti. L’assegnazione delle risorse è avvenuta con celerità non dissimile tra Nord, Centro e Mezzogiorno. Al contrario la quota dei progetti conclusi è bassa dappertutto.

I ritardi nella messa a gara e nell’assegnazione dei lavori, si concentrano soprattutto nel Mezzogiorno. Emerge in questo caso uno storico punto debole degli appalti dei lavori pubblici in Italia, che nel Mezzogiorno hanno sempre scontato maggiori difficoltà nella preparazione e nello svolgimento delle gare, soprattutto da parte di stazioni appaltanti di piccole dimensioni.

Ciò, però, non deve alimentare l’alibi che al Sud non si riescano a spendere i soldi per incapacità e scarsa volontà e, quindi, le stesse vanno dirottare verso altri territori. Se i fondi non vengono spesi, se i progetti non si chiudono, se i lavori non partono è solo perché le macchine burocratiche degli enti locali sono deficitarie in termini di uomini e mezzi.

Una carenza atavica che, come più volte segnalato, si può risolvere solo avviando una stagione straordinaria di assunzioni.

Siamo convinti sia necessario e non più rinviabile l’avvio di un confronto costruttivo che coinvolga la Regione, le Province, l’Anci e le istituzioni locali al fine di stimolare la fase attuativa del Piano nazionale di ripresa e resilienza che, proprio nel 2024, dovrebbe ricevere una spinta determinante nella “messa a terra” degli importanti finanziamenti messi a disposizione dall’Europa.

Proprio in Calabria, secondo le stime offerte al Governo dall’Ufficio parlamentare di bilancio, il valore delle aggiudicazioni dei lavori si ferma al 14%: una delle percentuali più basse in assoluto rispetto alle restanti regioni italiane, pari a 5,1 punti percentuali sotto la media Nazionale.

Il rischio sotteso a queste percentuali è quello di vedere sfumare l’opportunità di crescita offerta dal Pnrr, di trasformare questo grande piano di investimenti in un’occasione mancata.

L’Ance stima in 9 miliardi il valore dei grandi cantieri del Pnrr aggiudicati che non riescono a partire, in tutta Italia, per problemi di diversa natura e non ultimo quello riferito alle carenze progettuali. In Calabria le procedure avviate sono il 25,8% delle opere progettate.

Carenze che si registrano particolarmente nei Comuni, che sono responsabili del numero maggiore di progetti finanziati con il Pnrr, ma che sono costretti a fare i conti con la grave carenza di personale, con la necessità di elevata specializzazione degli operatori dedicati allo sviluppo di questi interventi e con le ristrettezze economiche, basti pensare al numero elevatissimo di enti locali in predissesto e in dissesto economico che si registrano in Calabria.

In questi ultimi due anni sono state adottate misure urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, attraverso l’assunzione a termine dei professionisti esperti assegnati agli enti locali, per i quali avevamo chiesto al Governo soluzioni idonee a favorire processi di stabilizzazione ancor prima, lo ribadiamo, dell’avvio di una nuova stagione concorsuale a tempo indeterminato, per rilanciare il processo di attuazione delle opere.

Ma è poca cosa rispetto alle reali necessità dei Comuni che sono, da sempre, alle prese con il risicato numero di professionisti in pianta organica e rischiano di diventare, per le scelte poco oculate del Governo, enti locali sempre meno appetibili e, quindi, impossibilitati a offrire qualsiasi tipo di servizio ai cittadini calabresi.

In Calabria i comuni con popolazione inferiore a 2000 abitanti sono 213 e rappresentano poco più della metà dei comuni della regione.

Le problematiche strutturali della Pubblica amministrazione calabrese e in generale di quella italiana, continuano a influire pesantemente sul ritmo di attuazione del Piano e le misure di emergenza adottate specificatamente per il Pnrr non sembrano aver risolto questa situazione.

La stessa Corte dei Conti nel corso del 2013 ha giudicato l’apparato amministrativo pubblico poco efficiente, afflitto da carenze di personale e da una inadeguata competenza tecnica nonché da una mancanza di coordinamento tra diverse amministrazioni e livelli di Governo.

Se tali lacune non saranno colmate non solo i progetti ammessi finanziamento nei territori del Sud e in Calabria in particolare rischiano di non concludersi nei tempi previsti, ma si rischia anche che il Pnrr anziché ridurli, contribuisca ad acuire i divari tra i Comuni calabresi e il resto del Paese.

Al fine di contrastare la carenza strutturale di risorse economiche riteniamo come Uil Fpl Calabria non più rinviabile un’azione tesa a promuovere sempre di più sinergie tra Enti che favoriscano, attraverso l’utilizzo, anche condiviso di personale specializzato, l’adozione e l’attuazione delle misure di velocizzazione del Pnrr. È necessario sperimentare nuovi modelli organizzativi sinergici e collaborativi, nel quale la tecnologia svolge un ruolo importante di facilitazione e potenziamento delle capacità di cooperazione in ambiti territoriali vasti. Un modello di funzioni e servizi distribuiti, collegati e condivisi attraverso piattaforme tecnologiche, che garantiscono un efficace presidio di quelle funzioni strategiche che nella tradizionale frammentazione istituzionale dei territori risultavano spesso penalizzate.

La tecnologia per la gestione di servizi condivisi può ridisegnare i territori e modellare nuove forme di condivisione e di aggregazione diventando un fattore che può unire. Si tratta di una trasformazione importante che si realizza applicando logiche collaborative all’interno della singola Pubblica amministrazione e tra Pubbliche amministrazioni diverse, ridisegnando l’intera governance territoriale. Questo è tanto più vero se si considerano i piccoli Comuni calabresi il cui successo amministrativo non può che dipendere da uno sforzo di lavoro in chiave collaborativa sui tre livelli dell’innovazione istituzionale, organizzativa e tecnologica.

Da questo punto di vista, infine, le aggregazioni territoriali, nell’ottica di sviluppo devono valorizzare le specificità e le identità del territorio a cui appartengono e sono tanto più efficaci quanto più si auto generano piuttosto che essere imposte o calate dall’alto. (wb)

[Walter Bloise è segretario generale di Uil Fp Calabria]

LA CALABRIA SE L’AUTONOMIA SARÀ LEGGE
DA “CENERENTOLA” A “BADANTE DEL PAESE”

di GREGORIO CORIGLIANO – Davvero non cambia nulla per il Sud e per il Paese con il ddl Calderoli sull’autonomia differenziata?

E allora perché si fa, verrebbe da chiedersi. La verità, a stare attenti e a leggere le carte con sufficiente attenzione, è che non cambia solo per il Sud, ma per tutto il Paese. Come è stata concepita, la riforma consentirà di fatto la nascita di 20 repubbliche autonome con evidenti regole differenti. Come dire che si tornerà allo Stato preunitario fatto di staterelli, uno diverso dall’altro.

E quel che altrettanto conta è che ci saranno leggi e regolamenti diversi per ogni regione, che potrebbe pure non chiamarsi Regione, a questo punto, ma Repubblica autonoma della Calabria, per esempio. Con Sigla ReACal, tanto per dire. Per differenziarla dalla Re.A.Pi. E le amministrazioni locali ne soffriranno anche loro le conseguenze o gli effetti perversi, perché i sistemi amministrativi saranno profondamente differenti. E gli imprenditori che devono investire in Calabria o in Lombardia?

Ognuno avrà a che fare con legislazioni diverse. Ed i medici, anche loro. Gli stipendi saranno uguali in tutto il Paese, come dice la Meloni, in tutta la nazione?

Certo che no. Ed a quel punto, se già lo è oggi, figurarsi quando il ddl sarà legge.

Ci sarà pure una Regione, o uno staterello, che paga di più o no? Certo, ed allora medici e paramedici scapperanno là! E i docenti, la stessa cosa. Ognuno andrà dove si guadagna di più, se per andare da uno Stato all’altro non ci vorrà il passaporto. Calderoli mette le mani da dentista avanti e dice che ci saranno i Lep. Se questi saranno come i Lea, staremo freschi. Già scappano oggi per il Nord, se non per l’estero, come pure sta avvenendo. E quindi i cittadini non saremo tutti uguali, o no?

Come sarebbe possibile garantire a tutti i meridionali il tempo pieno a scuola, come succede per ogni famiglia settentrionale, senza i finanziamenti adeguati.

E questi vanno avanti, con leggerezza e col sorriso sulle labbra, tanto chi vivrà, appunto, vedrà. Perché si dice che si tratta di autonomia differenziata. Forse perché saranno “valorizzate” le differenze ambientali, storiche e culturali delle regioni? E se la Calabria, come scriviamo tutti i giorni, è la cenerentola del Paese, col ddl sarà addirittura la badante del Paese. Al Nord, infatti, è concentrata la produzione industriale vera e propria dell’Italia, e con la differenziata, avrà maggiori benefici! O no? E la meraviglia è che parlamentari del Sud, e politici meridionali, hanno votato a favore. Come si fa? A me pare, come dice il Laboratorio civico, un abominio. E le voci di quanti dicono “niet” a Calderoli sembrano “vox clamans” nel deserto di un Pese che sta vivendo, una mutazione che più radicale non si può. Un sussulto di coscienza dei politici calabresi e meridionali viene auspicato, ma ad oggi, il segno di vita è assai flebile.

Daranno un segno? Forse, quando, probabilmente sarà troppo tardi.

Come per la Zes, la zona economica speciale la cui riforma, a parere di uno che se ne intende, come il presidente della Puglia Emiliano, porterebbe ad una riedizione della Cassa per il Mezzogiorno. E perché l‘ex presidente della Corte costituzionale De Siervo parla di riforma precaria ed impugnabile in modo agevole? Perdono tutti i cittadini italiani con il ddl Calderoli: Certo, dice De Siervo, si rischia un periodo di insicurezza e di tensioni tra Regioni più forti e regioni più deboli.

Ecco perché gli oppositori parlano di decreto Spacca Italia, con un Nord potente ed un Sud misero ancor di più. Eppure c’è stato un periodo in cui si parlava di abolizione delle Regioni o di rivisitazione delle stesse, a distanza di mezzo secolo dalla loro istituzione ed invece adesso non solo non si cambiano in maniera più efficiente con l’esperienza acquisita, ma addirittura si peggiorano.

Ecco perché, se dovesse passare definitivamente, come passerà, non resta, detto adesso, che impugnare di fronte ai Barbera ed alla Consulta, perché viene violato l’attuale assetto unitario ed a perdere non sarà solo Calderoli, al quale non credo interessi molto, ma tutti gli italiani.

E Poi, piangere il morto, come diceva l’antico detto, sempre attuale, saranno lacrime perse.

E l’incorreggibile Kociss sarà sempre vivo e vegeto ma non tornerà più a occuparsi molari e premolari! (gc)

ALTA VELOCITÀ IN CALABRIA: ARCO JONICO
CORRE IL RISCHIO DI VENIRE EMARGINATO

di DOMENICO MAZZA – Correva l’anno 2021 quando scrivevo dei possibili benefici derivanti a tutto l’Arco Jonico dalla realizzazione di un’opera pensata a cavallo degli anni ’80: la bretella di Thurio. Purtroppo, al tempo, l’argomento destò poco interesse nelle nostre classi dirigenti.

C’è da dire che le Popolazioni joniche erano e sono talmente disabituate a servirsi di mezzi su ferro che in tanti, Amministratori compresi, disconoscevano cosa fosse un’infrastruttura del genere. In verità, ancora oggi, in molti, neppure immaginano cosa sia la bretella di Thurio e per quale motivo la sua eventuale realizzazione rappresenterebbe un punto di svolta nella mobilità ferroviaria per tutto il vasto ambito compreso tra Corigliano-Rossano e Crotone più relative aree interne (oltre 250mila abitanti).

Aggiungo che, se non avessi ritenuto l’argomento meritevole d’approfondimento, non avrei dedicato un paragrafo del capitolo “mobilità” all’interno del mio libro “La baia della Magna Graecia” all’infrastruttura in questione.

Tornando al nocciolo della questione, negli ultimi giorni, la stampa ci ha deliziato con una serie di comunicati avversi all’idea di realizzazione di un deviatoio ferroviario. Non che la cosa mi stupisca, si intende. Lungo lo Jonio siamo particolarmente bravi a farci la guerra tra poveri. Tuttavia, tacciare l’opera come la narrazione del de profundis per la stazione di Sibari è alquanto surreale. Vieppiù, denota una spiccata tendenza ad una fantasia immaginifica sugli sviluppi che tale operazione avrebbe per quelle Comunità poste a nord di Sibari.

È bene ricordare che infrastrutture similari esistono da tempo immemore sia nella valle del Crati (Bivio Sant’Antonello), sia sul Tirreno (asta di San Lucido). Se oggi il FrecciaRossa Sibari-Bz impiega circa 50 minuti tra Sibari e Paola, anziché 1.15h, si deve al bypass delle stazioni di Castiglione Cosentino e Cosenza. Questo sistema di convogliamento dei treni, inoltre, non è aduso solo in Calabria. Su diversi punti della linea AV To-Sa sono state create aste che consentono ai treni di evitare rotture di carico (cambio di marcia).

Si pensi alla stazione di Napoli Afragola, realizzata su un deviatoio ferroviario che permette ai convogli di evitare ingresso ed uscita da Napoli Centrale. Quanto descritto si traduce in un risparmio netto di circa 30 minuti sui tempi di percorrenza da e per Roma. Si pensi alla futura stazione di Firenze Belfiore, anche questa progettata su un tronco ferroviario che consentirà di accorciare i tempi verso Bologna di quasi 20 minuti.

Ritornando alle nostre latitudini, ormai sempre più lande desolate e depresse e terre povere finanche di idee e progettualità migliorative, l’oggetto del contendere — se progettato come asta con ampio raggio di curvatura (dall’ex Posto Movimento di Thurio alla ex stazione di Cassano) — ridurrebbe i tempi di percorrenza tra Crotone e la tirrenica dalle attuali 3h circa a poco più di 2h.

Ho parlato di ampio raggio di curvatura poiché, ad oggi, si sta facendo confusione sull’idea progettuale. A tal riguardo, il chiarimento fornito dal Sindaco Papasso, su alcuni dettagli tecnici dell’operazione che RFI intenderebbe realizzare, risulta abbastanza esaustivo.

Partiamo dal presupposto che la lunetta di Sibari e la bretella di Thurio non sono la stessa cosa. La prima ipotesi è una progressiva ferroviaria di circa 3 km. Avrebbe un costo abbastanza contenuto, ma non consentirebbe ai treni di accedervi alla medesima velocità esercitata lungo il resto del tronco ferroviario. Pertanto, il vantaggio di evitare il cambio banco nella stazione di Sibari, sarebbe sostanzialmente vanificato da un eccessivo rallentamento dei treni a causa del gomito che si creerebbe in curva.

Il risparmio di tempo nella percorrenza, quindi, si limiterebbe ad una manciata di minuti. Nel secondo caso, invece, la curvatura di percoso (circa 10km) sarebbe quasi impercettibile ed i treni potrebbero mantenere la medesima andatura registrata sul binario jonico. Sicuramente andrebbe messo in cantiere qualche euro in più per la sua realizzazione. Bisognerebbe scavalcare il Crati, la vecchia statale 106 e superare la nuova ss531 in corrispondenza del tratto prossimo al nuovo adeguamento sulla futura variante stradale Sibari/Corigliano-Rossano. L’investimento, però, risulterebbe sempre irrisorio rispetto alla mole di finanziamenti che verranno catapultati nella realizzazione della AV tirrenica.

La creazione della bretella, altresì, consentirebbe ulteriori vantaggi. Intanto, la rimessa in esercizio della dismessa stazione di Cassano Jonio. Ordunque, considerato che il terzo megalotto 106 si raccorderà alla statale 534 a meno di 1km in linea d’aria dalla ex stazione di Cassano, gli avventori provenienti da nord sarebbero messi in condizione di raggiungere il rigenerato scalo in minor tempo rispetto a quanto si impiegherebbe per arrivare alla stazione di Sibari.

Si creerebbero, quindi, le condizioni per un embrione di reale intermodalità ferro-gomma. Parlo di raggiungimento dello scalo da nord su gomma poiché, fino a quando la Politica non si impegnerà a trovare linee d’accordo tra Calabria e Basilicata, le stazioni comprese tra Metaponto e Sibari, continueranno ad essere servite solo da mezzi sostitutivi. Quanto riferito perché le due menzionate stazioni rappresentano servizio di testa per le relative Regioni. Ancora, la realizzazione di una stazione mediana tra aree urbane di Corigliano-Rossano, nei pressi del costruendo nuovo ospedale, permetterebbe di immaginare un’unica fermata dei treni veloci per la Città, lasciando le attuali stazioni al solo traffico locale. Fatto comunque non trascurabile, Sibari continuerebbe ad essere lo snodo ferroviario per tutti i flussi di traffico provenienti dall’Adriatica e diretti verso la Tirrenica e la Jonica sud e viceversa.

In relazione a quanto descritto, è importante che le due principali realtà urbane dell’Arco Jonico facciano squadra. Le esigenze di mobilità di tutto il vasto territorio compreso tra la valle del Trionto e quella del Neto dipendono da come Crotone e Corigliano-Rossano riusciranno a giocare la loro comune partita. L’illustrato discorso vale, anche e soprattutto, riguardo alla futura linea di tracciato che di deciderà intraprendere per la prevista AV Sa-Rc.

Di certo, è surreale che nessun Amministratore del Crotonese abbia proferito parola sulla sciagurata ipotesi di revisione del tracciato AV. Tuttavia, non è ancora troppo tardi per ravvedersi, prendendo posizioni univoche e rispettose delle relative municipalità. Convincerci, d’altronde, che un’opera come la lunetta di Sibari equivalga ad un’idea come la bretella di Thurio, è il classico gioco centralista con il quale ci propinano molliche presentandole come caviale. Del resto continuare con le asservite politiche degli ultimi decenni, esercitate dal Crotonese e dalla Sibaritide ai rispettivi centralismi, non mi sembra abbia arriso particolarmente ai richiamati contesti. (dm)

ADESSO SERVE CHIAREZZA DA RFI SUL TRACCIATO DELL’ALTA VELOCITÀ IN CALABRIA

Tutti i centri toccati dall’AV vorrebbero una fermata: se così fosse, i vantaggi del collegamento veloce sarebbero vanificati. I treni dell’AV servono a velocizzare i collegamenti (Salerno-RC) e rendere Roma più vicina e facile da raggiungere (3 ore 1/2 da RC?). Per questo bisogna spazzare le richieste e le aspirazioni di chiunque e tenere conto del percorso più agile e più agevole. I calabresi (la gran parte) dirà grazie: per gli altri centri bisognerà creare comodi e sicuri collegamenti con la stazione AV più vicina. Ma adesso serve assoluta chiarezza da RFI. (s)

ESISTONO “DUE CALABRIE” PER IL PD: UNA
DIFFICILE, L’ALTRA NARRATA DA OCCHIUTO

di ANTONIETTA MARIA STRATI – «Ci sono due Calabrie: Una è quella che vivono quotidianamente i calabresi. Amara, difficile. L’altra è quella che ama narrare Occhiuto». È con questa premessa che si apre Il libro Bianco del Partito Democratico Calabria, pensato per «ripristinare la verità su due anni di legislatura appena conclusi, che non possono essere lasciati  al pensiero unico diffuso dalla Cittadella sui media e sui social. Un lavoro che ci è sembrato importante anche per rendere conto dell’attività intensa e determinata svolta dal gruppo del Pd».

«È il racconto che il gruppo regionale ha voluto fare di due anni d’opposizione, due anni di lavoro intenso ma anche due anni di opportunità perse per la Calabria, due anni in cui purtroppo la vita e la storia e le condizioni in generale di questa regione – penso anzitutto alla sanità – non sono migliorati ma anzi sono peggiorati», ha spiegato il senatore e segretario regionale del Pd, Nicola Irto.

«Purtroppo non esiste la Calabria raccontata dal decimo piano della Cittadella – viene rimarcato nella premessa –. La nostra Regione non è né migliore, né diversa rispetto al passato. Se non per una “malattia” che ha colpito da tempo i piani alti della Cittadella regionale: l’ansia da prestazioni unita ad una patologia correlata: l’annuncite».

«È da due anni ormai – si legge – che la guida legittimamente preposta al governo della Regione Calabria magnifica quotidianamente le (presunte) mirabilie del suo operato. E sempre da 2 anni, altrettanto quotidianamente, il Partito democratico svolge con scrupolo e coscienza il suo ruolo di minoranza, cercando di distogliere il presidente della Giunta dall’apparenza, provando a richiamarlo alla concretezza».

Quello presentato dai dem calabresi, dunque, è «breve ma denso rendiconto, basato su una premessa che costituisce un vero e proprio patto con il lettore: nelle pagine che vi accingete a leggere troverete soltanto fatti. Solo fatti. Documentati, attestati, certificati, comprovati».

«I fatti hanno una caratteristica che li rende antipatici a chi sostanzia la politica esclusivamente di propaganda: tendono ad essere argomenti molto ostinati», scrivono, sottolineando l’importanza di come saper distinguere i fatti dalle opinioni «dovrebbe essere il fondamento di un processo autenticamente democratico ma, oggi più che mai, la sapiente ma effimera visibilità mediatica può riuscire a promuovere una distorsione tale da produrre una “percezione della realtà” che con la stessa ha davvero poco a che a fare».

«Fra le tante mirabolanti riforme che il presidente Occhiuto si vanta di aver portato a termine in questo biennio – viene evidenziato nella premessa – di sicuro non c’è l’acquisto della modestia. E meno ancora il raggiungimento di un benché minimo spirito di realismo. Evidentemente ci sono due Calabrie: una è quella che vivono quotidianamente i calabresi. Amara, difficile. L’altra è quella che ama narrare Occhiuto. Tutti i nostri appelli, tutte le nostre proposte, tutte le nostre sollecitazioni sono state costantemente ignorate o apparentemente condivise con uno sterile dibattito in Consiglio regionale».

«Per un motivo molto semplice: non collimavano con la narrazione social e, più latamente, mediatica, che il presidente Occhiuto predilige e rispetto alla quale non tollera critiche, preferendo una certa stampa accondiscendente che si presta a fargli da megafono. Il punto, però, non è la propaganda in sé. Il punto è che, dietro questa facciata di annunci roboanti e reiterati, non c’è niente. Di tante riforme annunciate, messaggiate, notiziate, non ne esiste una che abbia migliorato di una virgola la vita dei calabresi. Perché, ormai s’è capito, il senso dell’azione dell’uomo solo al comando non è il fare, ma l’annunciare».

Nove i punti a caratterizzare questo documento: sanità, le riforme di carta, ossia «il pasticcio di Arrical e i fondi perduti, il Pd che si è schierato con i sindaci, la mancata concertazione sui Consorzi», aree interne, isolamento e dimensionamento scolastico, Ponte e infrastrutture, cura del territorio, dissesto idrogeologico e cambiamenti climatici, lavoro e università, Pnrr, Por, Zes e Porto di Gioia Tauro, legalità e diritti e autonomia differenziata.

Per ciascuno di essi, il Pd ha ricordato tutto quello che ha fatto il Governatore: «C’è la montagna impervia da scalare costituita dal disastro della sanità? Nessun problema. All’uomo solo al comando basta annunciare l’avvio di Azienda Zero – si legge – un nuovo ente per il quale nessuno ha stimato i costi a medio e lungo termine. Nessuno ha chiarito le reali assunzioni di personale e soprattutto nessuno ha prodotto un’analisi dei risparmi che giustifichino la nascita di un’azienda che allo stato continua ad essere fantasma».

Ma non è solo Azienda Zero il problema: «attendiamo ancora ancora di vedere aprire i cantieri dei nuovi ospedali e l’effettivo ammodernamento della rete ospedaliera oppure che si chiarisca la bufala delle 2.500 nuove assunzioni quando tutti sanno che, per oltre il 70 %, si tratta soltanto di stabilizzazioni. Intanto, la Calabria conquista la maglia nera in Italia rispetto ai Livelli Essenziali di Assistenza e in relazione a tutte e tre le macroaree di riferimento (ospedale, distretto, prevenzione). Un trionfo, in negativo ovviamente».

I dem, sempre nel libro bianco, hanno ricordato di aver depositato una proposta di legge «a difesa e sostegno della sanità pubblica e universalistica, prevedendo un rapporto su scala nazionale tra spesa sanitaria e Pil mai inferiore al 7,5 %, già approvata in diverse Regioni italiane. Una proposta che sarebbe fondamentale per mantenere in vita il sistema sanitario universalistico, ma sicuramente non in linea con la strada “privatistica” invece intrapresa dal governo nazionale».

E poi dimensionamento scolastico, l’assenza di «una timida voce» per fondi Pnrr destinati originariamente alla 106 e ad oggi diretti al Nord; nessuna presa di posizione sull’Alta Velocità, l’incognita sulla crisi del modello dei Consorzi di Bonifica e l’esistenza del Consorzio unico, di cui i dem si chiedono ancora quale sia il suo fine. Stesso discorso sulla gestione idrica: «senza consultare sindaci e territori, annuncia la nascita del nuovo gestore unico, l’Arrical», hanno ricordato i dem, sottolineando come sia «inutile aggiungere che non basta chiamarla multiutility perché risulti effettivamente di qualche utilità. Specialmente quando nessuno spiega che fine abbiano fatto i debiti della Sorical e quali siano le risorse per rendere efficiente la rete idrica calabrese, considerando che la Regione ha continuato a perdere i finanziamenti europei destinati, lasciando i Comuni in piena emergenza».

Insomma, per i consiglieri regionali è un disastro, soprattutto sul tema delle politiche del lavoro: «non una parola – scrivono i dem – è venuta dall’esecutivo regionale in merito alla nostra proposta di abbandonare le attuali ma inconcludenti politiche del lavoro e aprire un dialogo serio con l’Unione europea per indirizzare in maniera intelligente i dovuti investimenti così come ha fatto, per esempio, con ottimi risultati, la Regione Campania».

Altro nodo cruciale: la Calabria ultima regione per la qualità della spesa dei fondi Ue, lo spopolamento inarrestabile nonostante i dem abbiano proposto di inserire il South working proprio per contenere questo fenomeno. E, ancora, mancata risposta al progetto TerraFerma Montagna solidale atta a intervenire sulla prevenzione attiva del dissesto idrogeologico.

In 96 pagine, dunque,  i dem offrono al lettore un «rendiconto» dei risultati ottenuti fino a oggi dall’insediamento della Giunta Occhiuto, accompagnata «dall’idea della Calabria che vogliamo costruire e che sta impegnando il Pd dall’inizio della nuova gestione democratica, dopo la fine del commissariamento».

Un vero e proprio work in progress che vuole coinvolgere «chiunque abbia voglia di partecipare alla nostra azione di cambiamento e rigenerazione» perché, come spiegato da Irto, «è giusto che il gruppo dirigente di un grande partito, il suo gruppo consiliare si ponga la questione e la affronti con i calabresi raccontando due anni di lavoro d’opposizione ma anche il racconto di una prospettiva diversa per una Calabria migliore e più positiva». (ams)

ELEZIONI EUROPEE 2024: COM’È IL VENTO
LE PRIME STIME DEGLI SCENARI DI GIUGNO

Non è un sondaggio, ma più semplicemente l’analisi dei flussi elettorali storici e del più recente andamento dei principali partiti a livello nazionale. Eppure finora gli analisti di Calabria.Live le hanno azzeccate tutte in questi anni, con una precisione quasi chirurgica, sia per le Comunali di Reggio Calabria e Catanzaro, le regionali del 2019 e del 2021, per le politiche del 2023.

Ed ecco le risultanze del più recente studio sulle Europee 2024 in Calabria che ovviamente sono da prendere con le pinze, sia perché il metodo utilizzato non prende in considerazione intenzioni di voto ma solo l’analisi di dati storici, sia perché all’appuntamento con le urne mancano quattro mesi.

Partiamo dall’affluenza stimata. Alle europee 2024 dovrebbero andare alle urne 600.000-650.000 calabresi, con una percentuale intorno al 40%, più bassa di quella di cinque anni fa (43,99%), di quella delle regionali (44,36%), decisamente inferiore al 50,80% delle politiche.

C’è da dire che nonostante queste europee siano percepite dai calabresi come distanti, in realtà ci troviamo di fronte ad un test politico di notevole importanza, soprattutto per il Governatore Roberto Occhiuto che si gioca una doppia partita: la tenuta complessiva del centrodestra e all’interno dello schieramento il risultato di Forza Italia.

Se le previsioni di Calabria.Live saranno confermate, avremmo una sostanziale tenuta del centrodestra, che si assesterebbe intorno al 40%, con una lieve flessione rispetto al 42% delle regionali, un allineamento con la percentuale della Camera, mentre più marcato l’arretramento rispetto alle europee di cinque anni fa (46%).

Anche il secondo dato sembrerebbe arridere ad Occhiuto, poiché la percentuale prevista per Forza Italia si muove tra il 12 e il 14%, praticamente il doppio di quella che i principali istituti di rilevazione assegnato agli eredi di Berlusconi a livello nazionale.

Sempre nel centrodestra, il dato più eclatante è il rischio estinzione della Lega che potrebbe arrivare tra il 3 e il 4%, uno o due punti in meno del 5,7% conquistato alla Camera 2022, ma addirittura 19 punti in meno dell’exploit alle europee del 2019. 

Le polemiche sull’autonomia differenziata e sul Ponte sullo Stretto, nonché l’appannamento del leader Salvini, potrebbero penalizzare molto il Carroccio. A meno di una strategia che costringa tutti i consiglieri regionali leghisti ad entrare in lista per compensare con consensi di natura personale.

Fratelli d’Italia appare in leggero vantaggio (20-22%) sul Movimento 5 Stelle (18-20) per la conquista del primo posto assoluto, primato che i grillini hanno confermato nelle recenti elezioni per la Camera dei Deputati.

Sul fronte opposto, il Partito Democratico calabrese, che è in buona parte ostile al nuovo corso della segretaria Elly Schlein, appare stabile, con una leggera tendenza positiva che potrebbe portarlo ad una percentuale tra il 15 e il 17%. Anche per i democrat si pone il problema di proporre candidature locali per attrarre consensi di natura personale.

Nel “derby” tra Calenda e Renzi appare in vantaggio il primo, che potrebbe portare a casa un 3% anche grazie all’apporto dei consiglieri regionali recentemente transitati ad Azione, mentre l’ex premier non supererebbe l’1,5-2%.

A sinistra del PD si muove una galassia che comprende sia Sinistra Italia/Verdi (stima 1-2%) sia la possibile lista pacifista proposta da Michele Santoro, Luigi De Magistris e forse Mimmo Lucano. Quest’ultima novità potrebbe anche arrivare al 3%, soprattutto se in lista dovesse esserci l’ex sindaco di Riace. (rrm)