GIOIA TAURO, IL PORTO E IL TRANSHIPMENT
TRA RISCHIO CHIUSURA E LA MARGINALITÀ

di GIUSEPPE ROMEOLa diversità culturale e politica che contraddistingue il Mezzogiorno e, con esso, la Calabria ha una sua ragion d’essere in una storia vissuta a metà. Non vissuta pienamente da un punto di vista politico dal momento che ciò che sopravvive ancora oggi è un senso di comoda subalternità alle élites romane. Ma nemmeno da una prospettiva economica, visto che nessuna condizione di crescita è riuscita ad affrancare la Calabria da un continuo stato di necessità e di emergenza che si tramuta in attese senza scadenze. Nell’ottica meridionalista certo le cause sono ben precise e altrettanto ben chiari i protagonisti di tale marginalità voluta e, direi, compiaciuta.

Tuttavia ciò che emerge dalla vicenda del Porto di Gioia Tauro non è solo l’aspetto delle solite cronache sulla distribuzione delle cariche o dell’insensibilità del potere centrale verso una realtà a cui si è affidato il rilancio di una regione. Ma è, particolarmente, la mancata visione allargata del ruolo che una simile struttura avrebbe dovuto giocare nel rilanciare la Calabria in un ambito allargato di partnership economica che va dal Mediterraneo al Nord Europa.

Le scelte del governo circa la persona a cui affidarne la guida – che sembrano abbiano destato il disappunto di chi se ne aspettava l’incarico – non saranno certo la causa delle future difficoltà del porto. Struttura nata in quel processo di compensazioni successive quale fu il cosiddetto “Pacchetto Colombo” – ovvero come riconversione di un porto destinato a sostenere l’idea fallimentare del Quinto centro siderurgico – il problema del porto di Gioia Tauro risiede nel suo insufficiente inserimento in un network di transhipment che sia funzionale alle ragioni del mercato.

Un network nel quale l’efficienza e la competitività si misurano rispettivamente nei costi di gestione delle attività portuali e nella movimentazione delle merci. Leggere, quindi, nella scelta di un non calabrese per la guida del porto, seppur sottoveste commissariale, una volontà di rendere marginale la realtà portuale non è realistico tanto quanto il ritenere che tale azione possa rientrare in un qualche disegno finalizzato a valorizzare altre realtà portuali a discapito di quella di Gioia Tauro. Perché il limite è in sé.

Il porto di Gioia Tauro è ancora uno scalo aperto al transhipment nonostante ci fossero stati nel recente passato segnali societari di traslocare verso Tangeri. Per le rotte mediterranee, in qualche misura, una certa capacità lo scalo calabrese può dimostrarla. Diventa difficile, però, giustificare lo scalo e la ridistribuzione successiva per le merci che, una volta stoccate a Gioia Tauro, dovrebbero raggiungere le destinazioni del Nord Italia e dell’Europa ricollocandole su navi di maggiori dimensioni o seguendo altre vie alternative al mare se queste fossero “percorribili”.

Il Porto di Gioia Tauro non può disporre di un retroterra efficacemente organizzato a supportarne le attività. Non può disporre di una linea ferroviaria ad Alta Capacità (l’alta velocità per le merci per intenderci) né di un terminal cargo aeroportuale che possano creare efficienze di costi affidandosi alla rapidità del trasferimento verso le destinazioni finali ed evitando la ri-collocazione su nave.

Gioia Tauro, poi, non è l’unico scalo per il Mediterraneo, visto che sia ad Est che ad Ovest del Grande Mare vi sono porti ben orientati verso rotte commerciali più convenienti. E se si dovesse guardare da Sud verso Nord non sembra che un eventuale potenziamento di Genova, ad esempio, sia perseguito a svantaggio di Gioia Tauro dal momento che sono i costi e l’infrastrutturazione di quanto c’è “dietro” all’impresa portuale che fa la differenza. Genova, con i suoi alti e bassi, dispone da sempre di un porto collaudato sia nel trasporto delle merci che nel traffico passeggeri. Ma da quando le Ten (le linee transeuropee per semplificare) sono diventate una realtà politica prim’ancora che logistica, il capoluogo ligure trova dietro di se, tra le tante altre, due strutture competitive che sono state non a caso realizzate e organizzate guardando al futuro
Guardando a quella rotta mediterranea da Ovest verso Est dopo il mare e via terra, e quella dal Sud verso il Nord che forse la nebbia che avvolge la politica calabrese difficilmente voleva intravedere: gli interporti di Rivalta Scrivia e di Novara. Realtà queste, che – se si osservasse la mappa di quelli già indicati come corridoi 5 e 6 con l’attenzione e i rudimenti di una geografia scolastica – si sono collocate proprio all’incrocio tra il corridoio mediterraneo che andrebbe da Lisbona a Kiev con quello che unirebbe Genova a Rotterdam.

È semplice capire che se non vi sono altre possibilità per movimentare le merci in termini economicamente vantaggiosi verso Nord e poche possibilità di ridistribuirle con minori costi verso “rotte” mediterranee che possono contare su altri scali e spazi di sostegno ben strutturati e qualificati, tanto vale far proseguire le navi per Tangeri nel Mediterraneo e per Genova o Trieste verso il Nord Europa rendendo superfluo stoccare merci temporaneamente a Gioia Tauro.

Rotte ed itinerari che si snodano tra corridoi e porti, che realizzano sistemi infrastrutturali di sostegno, interdipendenti e intermodali. Rotte ed itinerari di crescita che qualcuno in Calabria, e non altrove, non ha voluto o saputo individuare e percorrere da tempo. (gro)



RIDATI ONORE E LIBERTÀ A MIMMO LUCANO
«L’EX SINDACO NON HA MAI PRESO UN EURO»

di SANTO STRATI – C’ è un giudice non solo a Berlino, ma anche a Reggio Calabria: in Corte d’Appello è stata riconosciuta l’onestà di Mimmo Lucano e riformata la sentenza di primo grado che lo aveva condannato a 13 anni e 2 mesi di reclusione. Gli è stato contestato soltanto l’abuso d’ufficio con una condanna (pena sospesa) a 18 mesi. L’ex sindaco di Riace, il “cittadino del mondo” (il prestigioso magazine Fortune lo aveva collocato nel 2016 al 40° posto tra i 50 leader più influenti del mondo), aveva avviato un riuscito modello di integrazione e inclusione multietnico e multiculturale, interrotto da un’inchiesta giudiziaria (Xenia) che gli imputava pesanti accuse: associazione per delinquere, truffa, peculato, falso e abuso d’ufficio. Un’enormità di infamanti sospetti, tramutati in pesanti accuse accolte dai giudici di primo grado che gli avevano inflitto una pena degna d’un criminale incallito, ma decisamente spropositata. I sostituti procuratori generali Adriana Fimiani e Antonio Giuttari in appello avevano accolto le tesi accusatorie ma richiesto una diminuzione della pena a 10 anni e 5 mesi. La difesa, rappresentata dagli avvocati Andrea Daqua e Giuliano Pisapia (già sindaco di Milano) hanno smontato la richiesta della pubblica accusa, definendo la ricostruzione dei fatti come un “accanimento non  terapeutico” e sostenendo che un uso distorto delle intercettazioni ha provocato uno stravolgimento dei fatti. Per cui ne hanno chiesto l’assoluzione.

La decisione della Corte d’Appello di Reggio che riconosce solo l’abuso d’ufficio (infliggendo una condanna di 18 mesi, con sospensione della pena) restituisce la libertà e soprattutto l’onore a Mimmo Lucano, che – come si evince dal dispositivo – non ha preso per sé mai un euro, spendendosi  a favore degli immigrati e della popolazione multietnica che a Riace aveva trovato rifugio, casa e lavoro.

Un modello, ripetiamolo, che, pur qualche inevitabile debolezza, avrebbe dovuto ispirare soluzioni ottimali per l’accoglienza e l’integrazione. Gli immigrati (soprattutto profughi se in fuga da guerra, miseria e povertà) possono costituire una risorsa pe  il nostro Paese se anziché mantenerli nei centri di accoglienza come “prigionieri” con qualche spicciolo per la vita quotidiana, si offrisse loro un percorso di formazione, inclusione e integrazione nel tessuto dei tanti borghi desolatamente spopolati della nostra Calabria. Quello che in un certo qual modo aveva provato a fare (riuscendoci in buona parte) Mimmo Lucano nella sua Riace, divenuta ben presto un simbolo di fraternità e accoglienza.

Quando venne condannato in primo grado, Lucano si era sfogato con i giornalisti: «La mia vicenda giudiziaria inizia con l’arrivo del nuovo prefetto di Reggio Calabria. Da subito il suo atteggiamento fu molto sospettoso: cercava di contrastare ciò che avevamo fatto fino ad allora a Riace». Perché «tanta violenza contro di me? – si era chiesto l’ex sindaco – Non mi spaventa la condanna la ma delegittimazione morale della mia persona e del mio operato».

Qualche settimana fa, Mimmo Lucano aveva scritto un’accorata lettera ai giudici: Sono passati cinque anni da quando sono stato arrestato con l’accusa infamante di svolgere la mia attività di accoglienza e integrazione dei migranti per finalità di carriera politica e di lucro. Sono passati due anni da quando mi è stata inflitta la condanna in primo grado a una smisurata pena detentiva quale non tocca spesso ai peggiori criminali. È passato un anno da quando la Procura generale ha nuovamente richiesto la mia pesante condanna che descrive il sottoscritto come responsabile di gravi reati e addirittura di essere stato il capo di un’associazione a delinquere. Ebbene, nel confermare piena fiducia agli avvocati difensori che si occupano della mia sorte, condividendone le argomentazioni difensive, una sola cosa sento il bisogno di dichiarare a voi, rispettosamente, prima che vi riuniate in camera di consiglio. Ho vissuto anni di grande amarezza e di sfiducia nella giustizia, non solo e non tanto per la limitazione della libertà personale, quanto per l’ingiusta campagna di denigrazione che si è abbattuta sull’esperienza di ripopolamento del borgo vecchio di Riace aperto all’accoglienza dei migranti. Non appena è stato possibile, durante questi anni di iter processuale, ho continuato a dedicarmi a tempo pieno, da privato cittadino, alla riapertura e alla gestione del Villaggio globale di Riace che ha ospitato e continua ad ospitare bambini e persone con fragilità. Non si è interrotta, dunque, quella che considero la missione della mia vita, a prescindere da incarichi pubblici e finanziamenti statali. Altro che associazione a delinquere. Al termine di questo processo vi invito a visitare il Villaggio Globale di Riace, sarete i benvenuti».

In buona sostanza, non hanno retto in appello le tesi accusatorie che avevano portato i giudici di Locri a emettere, in primo grado, una sentenza clamorosa e decisamente, a prima vista, spropositata.

Ai microfoni della webzine reggina CityNow, Mimmo Lucano, poco dopo aver appreso la sentenza non ha nascosto l’immensa soddisfazione: «Sono contento per tutti quanti ancor prima che per me stesso – ha detto  –. C’è tanta emozione, la speranza non mi aveva mai abbandonato. Oggi è la fine di un incubo, è il senso di essere libero di nuovo. Sono stati anni lunghi, che hanno influito sulla mia vita e sul mio carattere. Non mi sembra vero quello che ho vissuto, ancora oggi penso ‘ma che cosa ho fatto?’.

«Mi dedicavano film e canzoni, il modello Riace veniva elogiato in tutto il mondo e parallelamente c’era un’azione giudiziaria nei miei confronti. Impossibile da capire, Tutto è sempre stato fatto in maniera spontanea.

«Riace è stata un’idea globale nata qui e apprezzata in tutto il mondo. Qual è il segreto? nessuno, tutto è stato fatto per andare incontro al dramma che vivono le persone. Ad un certo punto una bella pagina era diventata una storia criminale.  Come è possibile che un documento di identità fatto da me diventava un reato penale? Avevo capito benissimo che c’era qualcosa dietro, volevano cancellare una pagina di umanità. Su di me non potevano trovare nulla perchè non ho nulla. Anche il colonnello della Guardia di Finanza ha chiarito durante il processo, ‘il sindaco non aveva alcun interesse economico’».

La sua compagna insieme con gli altri 16 imputati è stata assolta, il processo accusatorio fondato sul nulla si è momentaneamente concluso. E ora cosa farà Lucano? Sempre a CityNow ha dichiarato: «Non posso immaginare oggi il mio futuro, è troppo presto. Di sicuro sarebbe bello che quel sogno di una Calabria diversa e rivoluzionaria possa ricominciare. Io ho provato in tutti i modi a portarlo avanti, evidenziando come i migranti possono diventare una risorsa.  Il sogno di una giustizia vera oggi è rinato con questa sentenza. L’insegnamento ricevuto? Che anche nei momenti più bui e difficili, tutto può rinascere».

La difesa dell’ex sindaco ha insistito sul fatto che l’innocenza di Lucano fosse “documentalmente provata” e fatto rilevare che la trascrizione delle intercettazioni non fosse fedele: un po’ quello che è avvenuto con la vicenda dell’ex senatore Marco Siclari, condannato in primo grado a 5 anni per mafia, e poi completamente assolto in Appello, quando è stato riconosciuto un vero stravolgimento del contenuto di intercettazioni, che se fossero state trascritte in modo corretto avrebbero dimostrato da subito la totale estraneità del politico di Villa San Giovanni.

Per Mimmo Lucano è avvenuta più o meno la stessa cosa e l’uso delle intercettazioni (legittime e fino a oggi utilissime per stanare e condannare veri criminali) quando non smodato deve però offrire la massima limpidezza nelle trascrizioni. Ne tenga conto il Ministro della Giustizia Nordio: non vanno abolite, ci mancherebbe, ma va tutelato il principio di non colpevolezza, sancito dalla Costituzione, e salvaguardata la privacy di persone estranee alle indagini.

Per troppo tempo il tribunale mediatico di molta stampa ha condannato anzitempo e anche solo per un indizio persone perbene (poi riconosciute estranee ai fatti delittuosi delle accuse) che si sono viste rovinare reputazione, attività lavorativa, la vita stessa, con famiglie rovinate e messe in seria difficoltà.

Ha esultato l’avv. Giuliano Pisapia che aveva preso molto a cuore la vicenda di Lucano: «La decisione della corte d’Appello testimonia che Mimmo Lucano ha sempre operato per i soggetti più deboli e mai per se stesso. Sentenza importante sia dal punto di vista giuridico che sociale. Sentenza dalle ripercussioni politiche? Un conto è la giustizia, un’altra è la politica. Quando la politica entra nelle aule, la giustizia ne esce inorridita. Oggi parliamo di giustizia e di diritti. La sentenza di oggi fa emergere la giustizia, in nome di tutte le persone che si sono spese per i più deboli. Una sentenza del genere, riconosciuta da giudici giusti, mi ha emozionato».

Il famoso giudice di Berlino di Bertolt Brecht dovrebbe essere, però, ovunque, perché prevalga la verità: siano condannati, senza esitazione a fronte di prove certe,  i mafiosi, i corrotti, i malavitosi di mestiere e chiunque delinque, ma sia rispettato, sempre e comunque, l’imprescindibile principio di innocenza.  (s)

(Foto di copertina courtesy Telemia)

TG1-SAN LUCA: SCANDALOSA NARRAZIONE
DI UNA CALABRIA CHE SI VUOLE AFFOSSARE

di MIMMO NUNNARI – Da vecchio cronista Rai e da telespettatore calabrese mi sono molto indignato la sera che il Tg1 delle 20 ha mandato in onda a freddo senza alcun aggancio con una notizia qualsiasi un “servizio di propaganda” sull’attività dei “cacciatori” dei carabinieri, nel cuore dell’Aspromonte, a San Luca.

Ho provato a immaginare cosa poteva essere accaduto, senza tuttavia giustificare lo scivolone di stampo colonialista del primo telegiornale del servizio pubblico radiotelevisivo. Contatti tra uffici stampa dell’Arma e della testata giornalistica principale della Rai: normali scambi di cortesie, che non sono rare nel rapporto tra giornali e istituzioni. Cose che si sono sempre fatte, tra media e forze dell’ordine, e si fanno ancora, non solo alla Rai. A volte questo tipo di servizi si costruiscono con buone intenzioni, alfine di aumentare la fiducia dei cittadini verso le forze dell’ordine, che in questo caso erano i benemeriti carabinieri.

Ma da qui a fare uno spot – così s’e’ capito – senza senso, senza soggetto predicato e complemento, ce ne passa. Il risultato non sarà piaciuto per primi ai carabinieri, che sicuramente avrebbero preferito essere presentati – come meritano – come il volto rassicurante dello Stato presente sul territorio; a volte l’unico volto, dove lo Stato storicamente non c’è, come in alcune località della Calabria, per esempio San Luca. Quel San Luca, presentato come simbolo negativo di una Calabria immaginata come persa e irredimibile, come una comunità da cui stare alla larga, e che i carabinieri tengono a bada.

Ma non è così. Anche Polsi, uno dei santuari mariani più conosciuti del Mezzogiorno, luogo storico di pellegrinaggi e devozione popolare, ricadente nel territorio di San Luca, è stato citato nel servizio semplicemente come località famosa per le riunioni dei mafiosi. Ma non è così. Che a Polsi si siano riuniti in passato i mafiosi, e forse si riuniscono ancora adesso, è risaputo, ma non basta questo storico  “insulto” dei criminali a un tempio sacro, per cancellare la storia di un luogo di culto che “nacque in modo del tutto favoloso”, come scrisse Corrado Alvaro, scrittore di dignità e dimensione europea, che era proprio di San Luca, paese che ha dato i natali pure a padre Stefano de Fiores, uno dei mariologi più famosi della storia della Chiesa.

Chi ha realizzato il servizio televisivo, non aveva certo l’obbligo di sapere tutto ciò, e di fare eventualmente dotte citazioni, o elogiare l’umanità della stragrande maggioranza dei Sanluchesi, ma sarebbe servito per alleggerire il modo preconcetto di narrare che cos’è San Luca, secondo gli stereotipati modelli mediatici nazionali. E neppure di essere informato che qualche settimana prima il ministro della pubblica istruzione Giuseppe Valditara fosse stato nel vecchio centro aspromontano – da secoli abbandonato dai Governi di tutti i colori politici – per promettere: «Investiremo nell’istruzione e nella scuola per dare un futuro ai giovani», aggiungendo: «Ciò significa credere nello sviluppo, ma soprattutto significa riunire l’Italia, un’Italia che oggi è spaccata, che non ha le stesse opportunità formative».

Chissà, se le promesse saranno mantenute, ma il gesto del ministro è apprezzabile: significa, se le promesse saranno mantenute, far uscire San Luca da dietro la lavagna, dove da sempre sconta una punizione, senza sapere qual è la sua colpa. Un servizio giornalistico coi fiocchi, non confezionato come uno spot commerciale, di questo avrebbe dovuto tenere conto. Il fatto è che al Tg1, come in genere in tutti i media nazionali italiani, hanno la convinzione che la Calabria esista solo per la cronaca nera. Non è una novità e c’è poco da stupirsi. Ma questa volta siamo di fronte al massimo dell’improfessionalita’, alla realizzazione di un servizio che pure con l’abc del giornalismo, ha poco a che fare. Dopo la gratuita intemerata del Tg1 il sindaco di San Luca Bruno Bartolo ha preso carta e penna e ha scritto al direttore del telegiornale, invitandolo a San Luca, e per dirsi: «Attonito, deluso, disilluso, scorato» e chiedersi da quel galantuomo che è: «Ha senso ciò che faccio? E ancora, in che modo amministrare? Quando ci si vede, costantemente e volutamente, martoriati?».

Nessuna meraviglia caro Bartolo. Da sempre, il modo di descrivere la Calabria sradicato dallanalisi dei contesti specifici ha prodotto solamente frutti avvelenati, alimentato retaggi storici e rinchiuso sempre più alcuni territori – come San Luca –  allinterno di recinti di metaforico filo spinato, dentro cui si sviluppa il male, e il termometro dellinsufficienza civile segna rosso, mentre il bene non riesce a prevalere. Qualunque racconto, non solo quello del Tg1, come in questa occasione, che non sia accompagnato da unanalisi attenta dei fattori degenerativi che si sono innestati nel tessuto sociale della Calabria, rischia di diventare, se non proprio falso, quantomeno non credibile.

Quel che stupisce pure, è che a parte la solitaria avvilita rimostranza del sindaco di San Luca, nessuno, per quanto finora al momento di scrivere si sappia, dei parlamentari eletti in Calabria – tra i quali i “forestieri” ex magistrati Roberto Scarpinato e Federico Cafiero de Raho – abbia sentito il bisogno e il “dovere” di interessare la Commissione di vigilanza Rai, per chiedere chiarimenti su quel servizio “senza notizia” del Tg1, che ha messo in castigo San Luca. O, forse, sono d’accordo anche loro, i parlamentari, che San Luca è irrimediabilmente perso? (mnu)

IN CALABRIA SOLIDARIETÀ E INCLUSIONE
A SALVAGUARDIA DELLA SALUTE MENTALE

di FRANCESCO CANGEMIOggi il mondo celebra la Giornata della Salute mentale. Ma la Calabria come si prepara a celebrare questa giornata? Con i soliti e immancabili problemi legati non tanto ai professionisti del settore ma, bensì, a quello delle strutture pubbliche. In un momento storico come quello attuale, in cui la cura della salute mentale è diventata fondamentale, la poca attenzione da parte delle Istituzioni sul tema è allarmante.

D’altronde, se in Italia si parla di un incremento consistente a ricorrere all’aiuto di uno psicologo o di uno psichiatra per affrontare le fragilità che emergono nel corso di una vita che ci fa sentire sempre più sottopressione, nella nostra regione, invece, sembra esserci indifferenza.

E questo deve far riflettere, perché dopo il Covid, il numero dei giovani che decidono di ricorrere alle cure psicologiche o psichiatriche sta aumentando vertiginosamente.

La pressione sui giovani, dal mondo esterno e dal mondo interno, sta diventando sempre più schiacciante e loro sperano di trovare una soluzione nella terapia. Più in quella di parola che in quella dei farmaci. Ma, molte volte, la parola psicologica non è sufficiente ed ecco aumentare il consumo di farmaci che aiutano a contenere stati ansiosi.

C’è una consapevolezza maggiore nelle nuove generazioni, non esiste praticamente più la “sciocca” vergogna di affrontare una psicoterapia per affrontare i blocchi che la vita ci pone e questo è un bene perché, tendenzialmente, dovrebbe portare ad avere donne e uomini di una sensibilità più spiccata.

Torniamo a fotografare la situazione della nostra regione.

A Cosenza, ad esempio, esiste un solo Centro di salute mentale pubblico ed è oberato da un numero di pazienti molto, molto importante. Le istituzioni hanno praticamente lasciato “soli” i medici dell’Asp che operano nella struttura (che “gestisce” anche il reparto di psichiatria dell’ospedale Annunziata), e che combattono quotidianamente una battaglia in favore dei pazienti ma che, troppe volte, schiaccia gli operatori. Per non parlare della totale solitudine che affrontano dal punto di vista dell’assistenza sociale. Non riescono, infatti, a trovare interlocutori istituzionali che li ascoltino veramente e questo, per i medici della struttura, è a dir poco frustrante vista la mole di lavoro a cui, ogni giorno, vanno incontro.

Non si può pensare di risolvere il problema della salute mentale, a Cosenza, effettuando soltanto trattamenti sanitari obbligatori meglio noti come Tso.

Ma se la Calabria Citra non se la passa bene, nel reggino non ride di certo. Giusto pochi giorni fa, sulle nostre pagine, abbiamo ospitato l’accorato appello scritto da Giuseppe Foti, Vincenzo Barbaro e Filippo Lucisano operatori della Coolap di Reggio Calabria che, senza mezzi termini, scrivevano di come «La cura della salute mentale dev’essere “strumento maturo” e sufficientemente attendibile, ma al momento risulta ostaggio di criticità e di carenze di risorse economiche e strutturali di cui la politica, e non solo, si deve fare assolutamente carico, come facciamo noi da sempre e con spirito di sacrificio».

«Vi ricordiamo, a tal proposito, – scrivevano in un appello i tre operatori alle istituzioni reggine – che da oltre otto anni i ricoveri sono bloccati e questo ha comportato il venir meno del diritto alla cura per tanti pazienti, che avrebbero come unica alternativa la strada. Molti vengono, passateci il termine poco ortodosso, “deportati” in altre strutture fuori regione, rendendole più che mai traboccanti e assumendo sembianze manicomiali: tutto il contrario di quanto compiuto dall’Italia con la legge Basaglia, tesa proprio ad eliminare questo tipo di strutture. Abbiamo constatato con la pubblicazione della rete territoriale, che i numeri dei posti letto (170 circa) non sono assolutamente corrispondenti alla richiesta di un territorio vasto come quello di Reggio Calabria e provincia».

A Catanzaro non si sta bene nemmeno. Con la scusa che la consulenza psichiatrica è divisa fra l’Asp e il Policlinico universitario, il reparto di psichiatria di via Campanella scoppia, anch’esso, di pazienti da visitare. Accanto ai medici di lungo corso, ci sono tutta una serie di giovani promesse del settore che si formano curando già i pazienti con grande professionalità nonostante tutto.

Ad attenuare un po’ la situazione, ma veramente di poco, ci pensano gli psicologi privati che non tutti si possono permettere anche se molti, per fortuna, applicano tariffe calmierate a chi non può permettersi di spendere determinate cifre per difendere il proprio stato di salute mentale.

E poi c’è il mondo dell’associazionismo.

Un esempio su tutti viene da Cosenza, anzi da un paese vicino che è Carolei.

«Il 10 ottobre si celebra la Giornata mondiale della Salute mentale – scrivono dall’associazione presentando l’iniziativa di un safari alternativo – un’occasione importante e, per certi versi, unica per riflettere sulle iniziative che riguardano tante donne uomini del nostro tempo. In un’epoca in cui siamo concentrati nella ricerca di modelli e azioni che consentano la sostenibilità economica e ambientale delle nostre iniziative, l’attenzione agli aspetti sociali è talvolta limitata rispetto al complesso delle necessità che si manifestano».

Aggiungono da Carolei: «In tale contesto, la fattoria sociale e didattica Arcadinoé ha organizzato un evento che consentirà di scoprire i suoi percorsi laboratoriali rivolti alle persone con diversa abilità. L’idea del “safari” è dunque quella di affacciarsi e di immergersi, con la curiosità dell’esploratore, nei percorsi inclusivi progettati e realizzati dall’Arcadinoé.

Con il sostegno di Coldiretti Calabria e di Campagna amica, dalle ore 10 ci si ritroverà per scoprire i percorsi di agricoltura, musica, teatro e artigianato, in cui ciascuno de “i ragazzi dell’Arca” ha il suo compito specifico, necessario per la riuscita complessiva delle attività. Il tutto è reso possibile grazie al supporto dei volontari che sposano i valori e la missione della fattoria sociale».

«Al termine del safari – conclude la nota – è previsto un momento di ristoro e di riflessione sull’esperienza vissuta, per dipingere un quadro concreto di collaborazione e sensibilità, con i diversi ospiti del mondo della politica, degli enti assistenziali, dell’università, del mondo del volontariato e i cittadini che hanno già espresso la loro adesione alla manifestazione. L’Arcadinoé, con “salute in campo”, vuole offrire il suo contributo di testimonianza e impegno per celebrare, con la semplicità che la caratterizza, una giornata così importante per i propri ospiti, le persone più sensibili al tema della sanità mentale e, certamente, per l’intera comunità degli uomini». (fc)

IN CITTADELLA OGGI IL CONVEGNO
scarica la locandina del programma della conferenza salute mental

I VERDI: SI FACCIA IL PARCO DELLO STRETTO
BELLA IDEA, MA NON SI ESCLUDA IL PONTE

di ANTONIETTA MARIA STRATI – Tutelare un’area di grande valore storico, culturale e ambientale, con significative ripercussioni economiche per il territorio. È questo l’ambizioso obiettivo del disegno di legge per l’istituzione del Parco Nazionale dello Stretto e della Costa Viola, presentato nei giorni scorsi alla Camera dei Deputati dalla Federazione Metropolitana Europa Verde di Reggio Calabria.

«L’istituzione del parco nazionale dello stretto e della costa viola, così come il parco nazionale delle 5 terre in Liguria, è un’occasione unica», ha detto la rappresentanze nazionale Giusy Elisa Romano, sottolineando come «fino ad ora nessuna forza politica ha mai attuato né inteso attuare nell’area dello stretto una proposta di sviluppo economico eco sostenibile di tale portata».

E, in effetti, è vero. Attualmente, l’unico “disegno” per attuare un vero e proprio sviluppo dello Stretto di Messina – e che vedrebbe coinvolte le città di Reggio e Villa San Giovanni in primis – è il Ponte sullo Stretto, opera la cui prima “pietra” dovrebbe essere posata per il 2024.

Europa Verde, invece, propone un’alternativa green – «e non un capriccio ecologista» ha evidenziato Angelo Bonelli, co-portavoce di Europa Verde e deputato di Avs, «ma un atto di responsabilità nei confronti dei cittadini calabresi e siciliani».

Per Bonelli «il progetto del ponte è folle, fallimentare e dispendioso che compromette il patrimonio naturalistiche del territorio che andrebbe valorizzato per un rilancio economico come nei contenuti della nostra proposta. Il nostro gruppo parlamentare chiederà anche alle altre forze politiche di opposizione di valutare la possibilità di sottoscrivere questa PdL: non è una questione di conservazione, ma di priorità e responsabilità. Non concederemo nemmeno un millimetro a Salvini. Dobbiamo difendere il nostro paese, amato e rispettato, e non permettere che interessi personali e politici prevengano sul benessere collettivo».

Il parco Nazionale dello Stretto e della Costa Viola, infatti, avrebbe il compito di tutelare un’area di grande valore storico, culturale e ambientale, con significative ripercussioni economiche per il territorio. Ma, soprattutto, «nasce dall’esigenza di fornire alle popolazioni di quest’area un’alternativa a quella che sembra ormai una proposta-destino che incombe sullo Stretto di Messina. La nostra proposta si basa sulla Legge quadro delle aree protette a cui l’area che abbiamo individuato risponde in pieno. Si tratta di un’area che comprende due regioni, – la Calabria e la Sicilia, – ricchissima in biodiversità e in cui sono presenti beni archeologici di grande valore, nonché strutture storiche, come fortificazioni», come ha sottolineato Gerardo Pontecorvo, co-portavoce della Città Metropolitana di Reggio Calabria nonché promotore e primo imbastitore dei contenuti della proposta.

«Il Parco costituisce, pertanto, un modello di sviluppo rapido e sostenibile che si basa sulla conservazione e la valorizzazione delle risorse, anziché sulla costruzione di un’opera quale il Ponte sullo Stretto» ha detto Pontecorvo, che denuncia le gravi conseguenze, a livello ambientale, che comporterebbe la costruzione dell’infrastruttura.

La superficie prevista nel Parco è di circa 30 mila ettari, ripartiti per il 50% circa tra terrestre e marina. Per l’area protetta si prevede un’articolata zonizzazione (zone a diverso livello di protezione) perché il territorio che si sottopone a tutela presenta centri abitati, villaggi turistici e aree agricole (zone C e D, rispettivamente zona di protezione ambientale e zona di promozione economica e sociale), e aree marine e terrestri di diverso valore naturalistico (zone A e B rispettivamente zona di protezione integrale e zona di protezione generale orientata). Le zone a riserva integrale si dovranno circoscrivere solo ad alcune aree come la ZSC fondali di Scilla. Si prevede anche la particolarità di una Zona Speciale aperta al traffico marittimo nazionale e internazionale non soggetta a restrizioni particolari e comunque sottoposta a monitoraggio ambientale.

Il Parco per caratteristiche ambientali, paesaggistiche, storiche (e mitologiche) sarà uno dei più importanti al Mondo. L’Ente Parco, con i suoi organi di governo e di rappresentanza politica può garantire e armonizzare le esigenze di tutela e le aspirazioni sociali ed economiche delle comunità locali. L’istituzione dell’area protetta permetterà, pure, l’integrazione economica e sociale delle due sponde che come abbiamo visto ha indiscutibili radici comuni, ma che invece è stata sempre ostacolata da sistemi amministrativi distanti e da un sistema di trasporto molto lento, dispendioso oltre che inquinante.

«La prima missione del Parco  – ha spiegato Pontecorvo – sarà quella di apportare un profondo cambiamento nel trasporto marittimo, e consentire così un migliore, più veloce e sostenibile attraversamento dello Stretto, in particolare a vantaggio della mobilità locale che avrebbe solo svantaggi da un attraversamento stabile. Si dovrà puntare a un congruo numero di traghetti a basso impatto ambientale di nuova generazione a propulsione Elettrica o a metano verde (gas naturale rinnovabile ottenuto dalla decomposizione anaerobica di materiali organici come rifiuti solidi, letame animale e biomasse vegetali)».

«Grazie alle risorse del Parco tutta l’area dei porti dovrà esse dotata di impianti solari ed eolici per rendere green la mobilità dei passeggeri, e le infrastrutture in prossimità degli approdi. Il tutto rivolto all’efficientamento energetico e alla riduzione di gas serra», ha detto ancora Pontecorvo, ricordando che il Parco Nazionale dello Stretto e della Costa Viola ha «solide basi scientifiche come dimostrano le zone di protezione speciali istituite dal Ministero dell’Ambiente, gli innumerevoli siti di interesse storico e archeologico tutelati dal Ministero dei Beni Culturali (tra cui la rete di fortificazioni unica al mondo), e gli strumenti di pianificazione paesaggistica regionali quali il Quadro territoriale Regionale paesaggistico della Calabria (QTRP), il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (PTCP) di Reggio Calabria e il Piano paesaggistico Siciliano».

D’altronde, come ribadito più volte dai relatori, «lo Stretto di Messina e la Costa Viola sono il cuore del Mediterraneo in cui nel corso di millenni si sono stratificati ambienti naturali e antropizzati, leggende, eventi storici che lo caratterizzano come un unicum straordinario nel panorama mondiale».

Ma l’Area presenta anche massimi valori per ricchezza e varietà paesaggistica, culturale, archeologica, mitologica. Il paesaggio, come dimostrano gli strumenti paesaggistici e di pianificazione vigenti in Calabria e in Sicilia, è composto da una moltitudine di ambiti strettamente interconnessi in cui le acque interne e marine (lo Stretto, le fiumare, i laghi di Ganzirri) si uniscono ai paesaggi terrestri (gli spazi naturali collinari, le coltivazioni tipiche, gli insediamenti urbani). L’Area che comprende lo Stretto di Messina e la Costa Viola può pertanto essere considerata un’unità paesaggistica, parte di un più grande contesto che ha nel massiccio dell’Aspromonte e dei monti Peloritani le colonne portanti, e che comprende anche l’Etna e le Isole Eolie.

L’area riveste un’importanza strategica per l’avifauna che si sposta nel bacino del Mediterraneo, e lo Stretto di Messina, insieme allo Stretto di Gibilterra ed al Bosforo, è uno dei tre corridoi in cui nel Mediterraneo si concentrano i flussi migratori. Ma lo Stretto è attraversato anche da numerose specie marine e tra queste, certamente le più rilevanti, da un punto di vista economico ed ambientale, sono i grandi pelagici, cioè il Tonno, l’Alalunga, la Palamita, l’Aguglia imperiale ed il Pescespada. E’ anche un punto di passaggio obbligato per le migrazioni e gli spostamenti dei Cetacei, infatti è definito dai cetologi una Whale Gate (Porta delle Balene), ovvero un passaggio obbligato per tutte le specie di delfini, le Balenottere e particolarmente i Capodogli che lo attraversano per andare a riprodursi nell’area delle Isole Eolie. Lo Stretto, inoltre, è un prezioso custode di rare specie abissali.

La Costa Viola, è costituita da un paesaggio collinare costiero formato da una costa alta e rocciosa e tratti di spiaggia, rocce scoscese che digradano rapidamente sul mare. Le piccole spiagge isolate e le grotte marine, incluse tra le falesie, sono spesso raggiungibili solo con imbarcazioni. Lungo i tratti scoscesi sono presenti aree interamente ricoperte da vegetazione ricca di endemismi e aree interessate dalle colture della vite che con i suoi terrazzamenti definisce un paesaggio tipico e caratterizzante.

Un patrimonio unico nel suo genere, quello dello Stretto e della Costa Viola, che deve essere a tutti i costi protetto e valorizzato. E, magari, anche farlo diventare un volano di sviluppo per tutta l’area dello Jonio e delle aree interne.

E da qui una idea: e se venissero realizzate entrambe le cose? L’istituzione del Parco Nazionale, da una parte, proteggerebbe la biodiversità e tutto il patrimonio boschivo, naturale e marino dello Stretto, e il Ponte, dall’altro, creerebbe un canale tra la Calabria e la Sicilia. Ma non solo: potrebbe, anche, contribuire a ridurre l’emissione di c02 prodotto dai traghetti che attraversano lo Stretto.

Uno studio condotto dai due ingegneri Giovanni Mollica e Antonino Musca e riportato da Pagella Politica in un articolo a firma di Carlo Canepa riporta come sia stato rilevato «le emissioni annuali di CO2 attribuibili ai traghetti nello Stretto di Messina si aggirano intorno alle 150 mila tonnellate. Le emissioni annue di CO2 delle auto che attraverseranno il ponte, una volta costruito, saranno invece pari a circa 10 mila tonnellate».

Tuttavia, Canepa nell’articolo ha rilevato come anche la costruzione stessa del Ponte emetterà co2 e che «per quantificare l’impatto complessivo del ponte sullo Stretto in termini di emissioni servirebbe una “valutazione dell’impatto del ciclo di vita” (in inglese life cycle assessment, Lca) dell’infrastruttura, che tenga conto sia delle emissioni prodotte dal ponte per la sua costruzione sia di quelle eliminate, per esempio a causa di un eventuale modifica dei mezzi di trasporto usati per attraversare lo Stretto. A oggi uno studio completo di questo tipo non c’è».

Intanto, però, utilizzare il ponte ridurrebbe le emissioni di co2 e scoraggerebbe i cittadini a utilizzare i traghetti, preferendo i treni che attraverseranno l’opera. Certamente ci sarà un lavoro e degli accordi da fare per incentivare l’uso del treno piuttosto che della macchina e, in quel caso, come già ribadito da Angelo Bonelli, sarebbe opportuno investire sul trasporto locale in Sicilia, così come quello in Calabria.

Al netto delle cose, quindi, perché non realizzare entrambe le opere? Basta seguire l’esempio, bellissimo, del Parco del Golden Gate a San Francisco: tutela dell’ambiente e veduta straordinaria del ponte rosso che sovrasta il parco tra due sponde. (ams)

LA SANITÀ MALATA: I TAGLI DEL GOVERNO
PENALIZZANO ANCORA DI PIÙ I CALABRESI

di MIMMO NUNNARISe nasci in provincia di Treviso la speranza di vita è 84,1 anni, se nasci in provincia di Crotone devi accontentarti di 80,8 anni, e poco cambia nelle altre province calabresi, o a Messina ed Enna, in Sicilia, dove la speranza è vivere qualche mese in più rispetto ai calabresi, per arrivare a 81 anni tondi. E’ chiaro che sono statistiche tanto poi, in ogni angolo del mondo, c’è chi arriva a cent’anni con tutti i denti sani e c’è chi muore giovane, pure negli Stati o nelle città metropoli dove ci sono presidi sanitari all’avanguardia e in grado di fare diagnosi precise, garantendo le migliori terapie possibili, per curarsi.

Questa è la vita e vivere, o morire, non dipende certo da noi. Ma dietro quei circa quattro anni di vita persi tra Treviso e Crotone, tra il Nord e il Sud, c’è la questione grave è intollerabile della disuguaglianza nella sanità, che non è come l’Alta velocità ferroviaria, o l’Autostrada, o l’economia, perché nella sanità la differenza è tra la vita o la morte, piuttosto che nell’arrivare prima o dopo viaggiando su una ferrovia moderna, che anche quello è comunque un divario intollerabile.

A incidere sull’aspettativa di vita, e non poco, è  il servizio sanitario nettamente più carente a Sud, dove, pure, l’alimentazione e il clima giocano a favore della longevità, che poi è invece minacciata dalla disuguaglianza. Il tema sanità in questi giorni è sotto la lente d’ingrandimento della politica, o almeno di quel che resta di questa lente, dato che ormai si guarda di più a cose futili, perdendo tempo prezioso in conflitti e litigi. Il Governo – chiaramente in affanno – taglia i fondi per la Sanità, quando invece ci sarebbe bisogno di maggiori risorse, quantomeno per poter raggiungere gli stessi livelli d’investimento dei maggiori paesi europei, e per aumentare gli stipendi di medici e infermieri, che ormai scappano verso il privato o all’estero.

Quel galantuomo del presidente della Repubblica Sergio Mattarella che le cose le percepisce come farebbe un buon padre di famiglia ha avvertito: «Il servizio sanitario del nostro Paese è un patrimonio prezioso da difendere e adeguare». Cioè, altro che tagli. C’è da difendere un servizio che è assolutamente insostituibile e prezioso, per la salute pubblica e quella di ognuno di noi. Fondato nel 1978, con ministro della Sanità Tina Anselmi (prima donna ad essere nominata ministro in Italia) è diventato in pochi anni uno dei migliori sistemi al mondo,  in grado di assicurare un eccellente livello di assistenza sanitaria per tutti, ricchi e poveri. Ma questo servizio, in questi ultimi anni, ha subito un lento ma continuo declino, a cui non è estraneo il passaggio di molte competenze dallo Stato alle Regioni, che in alcuni casi lo hanno massacrato. Ora i tempi sono quelli che sono e la situazione è quella che è.

Il Governo, che ancora ha molte competenze in materia di sanità e soprattutto il compito di vigilare, non sembra all’altezza della situazione, che è grave, soprattutto nella Regioni del Sud, Calabria in primo piano: regione dove spese inutili e corruzione hanno compiuto danni irreversibili. Ma quali che siano le responsabilità, sullo scempio della Sanità e sui colpevoli, che non è che è emerso molto in verità, neppure dalle poche, timide, inchieste giudiziarie che ci sono state, c’è poco da scherzare, o continuare a sottacere sulla qualità e sui livelli essenziali di assistenza che sono un diritto dei cittadini, e sono quelli che provocano la differenza insopportabile sull’aspettativa di vita differenziata tra Nord e Sud.

Qualcuno ha fatto una battuta, dicendo che percorrendo l’autostrada da Nord a Sud, tracciata dagli ultimi dati Istat sulla sanità pubblica, si vede che anche sul tema della salute ci sono ritardi e si viaggia a due o più velocità. E se il premio Nobel 2015 per l’economia Angus Deaton, dice da sempre che la disuguaglianza nella sanità è la più intollerabile e avverte: «La vita di molte persone messe ai margini sta cadendo a pezzi, dobbiamo agire», l’Oms (l’Organizzazione mondiale per la Sanità) fa sapere: «Le disuguaglianze uccidono, su larga scala» e sarebbe un crimine non agire, per eliminare le disuguaglianze.

Ergo, in regioni come la Calabria che si trova agli ultimi posti della graduatoria in quanto a qualità e offerta chi ha il dovere di fare e non fa, commette un crimine. L’impressione è che non ci sia consapevolezza sul grave possibile disastro che è alle porte, e mentre si lavora (in Calabria) sulle macerie del recente passato, si stenta a comprendere che serve un intervento rivoluzionario capace di sottrarre intanto la Sanità al sistema corruttivo e alle burocrazie parassitarie. Servono interventi agili e rapidi, serve attenzione e gratitudine a medici e personale sanitario, ma soprattutto serve controllo rigoroso nella regione delle doppie fatturazioni e dei bilanci scritti su pizzini di carta, come nelle vecchie botteghe di alimentari di un tempo.

Forse il presidente della Giunta regionale Roberto Occhiuto ce la sta mettendo tutta, forse l’opposizione in Consiglio regionale qualche idea ce l’ha, di sicuro associazione volontarie, come Comunità competente presieduta da Rubens  Curia, stanno offrendo contributi fondamentali, sarebbe il caso dunque che si facesse fronte comune perché il sogno di una sanità uguale, efficace, efficiente, possa diventare realtà. Sarebbe il primo passo verso il cambiamento, nella regione che sembra abbia un destino pessimo, irreversibile, al quale però non ci si può, e non ci si deve, rassegnare. (mnu)

CRISI CLIMATICA, EMERGENZA IN CALABRIA
AZIONI PER PREVENIRE, NON PER CURARE

di FRANCESCO CANGEMI – La crisi climatica si abbatte sulla Calabria così come nel resto del Paese. I cambiamenti del clima, infatti, creano non pochi problemi alle città calabresi ad ogni precipitazione e, soprattutto, alle colture come, ad esempio, è capitato negli ultimi tempi al bergamotto la cui lavorazione è andata in crisi proprio per gli sbalzi climatici e la conseguente siccità.

Un comparto che ha rivolto il proprio grido d’aiuto prima alle istituzioni regionali e poi al ministro dell’agricoltura Francesco Lollobrigida con una petizione firmata da 170 soggetti tra aziende e operatori del comparto, rappresentativi del territorio bergamotticolo dei 50 comuni della provincia reggina.

Sono negli occhi dei calabresi, e non solo, gli ultimi danni che la crisi climatica ha causato nel crotonese dove, ad ogni rovesciamento piovasco, è grande allarme. La città pitagorica ormai registra danni tutte le volte che la pioggia scende giù. Danni per le forti piogge si sono registrati anche a Catanzaro ultimamente che, paradossalmente, vive questo “dramma” insieme alla perenne mancanza di acqua in molte case.

Stesso problema che si verifica nella città di Cosenza dove le abitazioni del centro città vivono da sempre il dramma della mancanza di acqua per molte ore del giorno. Un contrasto dato che anche qui le copiose piogge degli ultimi anni hanno creato danni non indifferenti. Basti pensare alle frane che il maltempo ha causato nel centro storico.

L’acqua che scende dal cielo fa paura anche nel reggino dove, a maggio 2023, tanti sono stati i problemi per poi passare una estate dove il caldo e la siccità hanno creato forti disagi alle colture. La crisi del bergamotto, a cui si faceva riferimento prima, su tutte. Il vibonese non è da meno. Basti pensare a cosa accade sulla strada che passa per la Costa degli Dei che ad ogni precipitazione viene invasa dal fango.

Ma i drastici cambiamenti climatici non riguardano solo la Calabria. A scattare la fotografia con nuovi dati alla mano su tutto il Paese è Legambiente che in occasione del V Forum Acqua dal titolo La transizione ecologica dell’acqua fa il punto sulla risorsa idrica tra ritardi e problemi da affrontare, in primis crisi climatica, fragilità del territorio e maladepurazione, indicando quella che per lei è la strada da seguire da qui ai prossimi anni in termini di gestione dell’acqua.

Dal 2010 al 31 agosto 2023 nella Penisola su 1.855 eventi meteorologici estremi, ben il 67% ha visto per protagonista la risorsa idrica con 667 allagamenti, 163 esondazioni fluviali, 133 danni alle infrastrutture da piogge intense, 120 danni da grandinate, 85 frane da piogge intense, 83 danni da siccità prolungata. Tra le regioni più colpite: Sicilia e Lombardia con 146 eventi ed Emilia-Romagna con 120. Tra le città spiccano Roma, con 65 eventi, Milano 32, Agrigento 24, Bari 24, Genova 20, Palermo 17, Napoli 17, Ancona 14, Bologna 11, Modena 10, Torino 10. Una Penisola che si trova a fare i conti sempre di più con gli effetti della crisi climatica, i danni per eccesso o mancanza d’acqua; ma anche con la fragilità di un territorio in gran parte a rischio frane e alluvioni e dove spesso la qualità dell’acque non è delle migliori come ricorda il problema cronico della maladepurazione, che è costato sino ad ora all’Italia oltre 142 milioni di euro in sanzioni pecuniarie, o l’inquinamento chimico di fiumi e falde.

«Quello che serve al Paese – sostiene Legambiente al Forum Acqua – è una strategia integrata per la transizione ecologica della risorsa idrica che metta al centro conoscenza, qualità e integrazione, rendendo sempre più sostenibile l’impronta idrica del nostro Paese sulla Terra e per assicurare un corretto adattamento alla crisi climatica. Solo così l’Italia potrà superare quei ritardi che ha accumulato in questo settore anche a causa di un approccio sbagliato della gestione della risorsa idrica, che considera i diversi usi separati l’uno dall’altro, invece che farli dialogare tra di loro, e che ha puntato solo sulla quantità senza considerare la qualità della risorsa. Un appello e una proposta che Legambiente rivolge ai commissari straordinari al Forum Acqua e che per i vari settori di competenza si occupano del tema: Nicola Dell’Acqua Commissario straordinario nazionale per l’adozione di interventi urgenti connessi al fenomeno della scarsità idrica, Fabio Fatuzzo Commissario straordinario unico per la depurazione, Francesco Paolo Figliulo Commissario alla ricostruzione post alluvione e Giovanni Legnini Commissario straordinario per la ricostruzione di Ischia».

Come si mette in campo una strategia integrata dell’acqua? Puntando su conoscenza, qualità e integrazione, tre concetti chiave e fondamentali per definire politiche lungimiranti e che per Legambiente si traducono in tre grandi macro-interventi: 1) la definizione di una cabina di regia e una governance unica e integrata dell’acqua che metta a sistema le esperienze maturate nel corso degli anni dai diversi soggetti che gestiscono da punti di vista e con competenze diverse una risorsa unica come quella idrica, e che permetta di superare gli stalli burocratici e tecnici che impediscono a interventi e a progettazioni virtuose di procedere. 2) La continua conoscenza e aggiornamento dei dati ad oggi disponibili sulla risorsa, che mettano al centro la disponibilità e gli usi dell’acqua attraverso bilanci idrici affidabili e condivisi. La conoscenza è essenziale per introdurre politiche efficaci di prevenzione e di gestione anche delle emergenze, dalla siccità alla crisi climatica, migliorando gli strumenti e le metodologie di misura tramite la digitalizzazione e le innovazioni tecnologiche, da implementare e promuovere in ottica di riutilizzo e circolarità. 3) Una progettazione integrata e di qualità per pianificare gli usi della risorsa e del territorio. Una progettazione volta a prevenire l’inquinamento e che assicuri anche una qualità della risorsa in uscita dagli impianti adeguata agli usi per un corretto riutilizzo in agricoltura e nell’industria anche alla luce del nuovo regolamento europeo entrato in vigore lo scorso giugno.

«Questi tre concetti e linee guida – dice ancora Legambiente – sono propedeutici per la messa a terra di quelle azioni che si devono poi introdurre e sviluppare nei singoli settori di intervento, senza che si perda quello sguardo di insieme. In termini di lotta alla crisi climatica l’integrazione passa dall’attuazione del Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc) e dallo stanziamento delle relative risorse economiche, che metta la corretta gestione della risorsa idrica al centro della pianificazione e delle azioni. Serve inoltre una legge sullo stop al consumo di suolo attesa da troppi anni in Italia».  (fc)

SERVE UNA POLITICA DEI BENI CULTURALI
PER TUTELARE I TESORI DELLA CALABRIA

di ANTONIETTA MARIA STRATI – Serve una politica per i Beni Culturali in Calabria. È ciò di cui hanno bisogno i borghi, i musei, i palazzi storici, le piazze, le Chiese e tutto il patrimonio culturale calabrese. Ma è anche quanto è emerso da una tavola rotonda svoltasi nei giorni scorsi a Cittanova, in occasione delle Giornate Europee del Patrimonio, organizzata dall’Associazione Città della Piana.

I lavori sono stati avviati dal presidente dell’Associazione, Armando Foci, a cui sono seguite le relazioni di Marcello Anastasi, già consigliere regionale, sul tema Una politica per i beni culturali. Sull’argomento Anastasi si è soffermato sulle questioni critiche ancora oggi aperte sui Beni culturali, proponendo anche possibili soluzioni a favore della tutela e della salvaguardia del Patrimonio  ed in funzione alla promozione dell’inclusività, la coesione sociale, la legalità, del senso di appartenenza al territorio di ogni cittadino. 

Nonostante  i passi in avanti rispetto al passato bisogna  continuare a lavorare intensamente per mantenere alti i livelli di vigilanza e superare le problematiche  da affrontare e risolvere, puntando anche facendo ricordo alle nuove tecnologie e anche a forme di collaborazione spontanee ripartendo dal basso, dalla comunità civile nell’opera di  valorizzazione del Patrimonio al quale va    riconosciuta anche l’importanza  dell’accessibilità, dell’inclusione e  della sostenibilità e del  concetto di benessere, nella sua accezione più ampia, che implica uno stato di salute congiunto a quello di felicità sociale.

«Mentre coloro che, da sempre, operano nel settore – ha spiegato Anastasi – sono alle prese con  le nuove sfide della società contemporanea  per ridefinire  il loro ruolo e le loro pratiche, a maggior ragione debba  riconoscersi il valore delle comunità locali  nei processi e nelle decisioni a sostegno del patrimonio».

Anastasi nella sua relazione ha ribadito l’urgenza, ormai evidente, si rendere chiare e accessibili le informazioni e le conoscenza, ma non solo: è necessario, anche, capire quali iniziative servono – e come intraprenderle – per tutelare le bellezze storiche, artistiche e paesaggistiche.

Significativa, poi,  è stata  la testimonianza del prof. Giovanni Laruffa, già sindaco di Polistena, che si è interessato personalmente a sostenere  il restauro e la rivalorizzazione della famosa statua della “Fortuna” di Giuseppe Renda, posta nel cortile di Palazzo Avati di  Polistena (RC).

Un esempio – è stato questo l’auspicio – che venga rifatto aprendo la strada a nuove collaborazioni.

L’ Archeologo Gian Luca Sapio,  ha raccontato la sua esperienza come esperto operatore nei beni culturali e presidente dell’Associazione RoPAM (Rosarnesi per il Parco dell’Antica Medma), adoperandosi  per l’apertura, dopo cinquant’anni di abbandono, del Parco archeologico  dell’antica Medma. Il Parco Archeologico dell’antica Medma è ampio circa quattordici ettari, ed è tra i luoghi più suggestivi e significativi della Calabria.

Da questa storia si evince, dunque, che anche se nel  mondo  dei Beni culturali siano state numerose le leggi e le norme per riformare e migliorare la gestione del patrimonio dei beni culturali, purtroppo sembra che le stesse non abbiano poi goduto, in corso d’opera, di validi  supporti rispetto ai reali bisogni,  portando spesso ad ottenere risultati al di sotto delle aspettative.

È evidente, dunque, che servono nuove forme di collaborazione per affrontare la questione dell’incuria, della cancellazione dei monumenti, palazzi storici a causa dell’abusivismo; della spoliazioni di opere, dei furti di beni artistici trafugati e falsificati. E, ancora, della mancanza di illuminazione o degli strumenti di video sorveglianza nei Parchi Archeologici a cielo aperto. Quest’ultimi, in particolare, sono soggetti ad atti di vandalismo. Un esempio lampante è il Parco Archeologico di Monasterace, lasciato all’incuria più totale e senza nessuna sorveglianza, tanto che ormai è diventato un passaggio per scendere a mare.

Secondo, Marcello Anastasi,  numerosi sono ancora i  reperti  che rimangono sotterrati in attesa di essere riportati  alla luce mediante  nuove  campagne di scavi da finanziare, come nel caso delle aree di Palmi-Seminara. «Da non  dimenticare, anche – ha continuato Anastasi – quel che rimane sommerso in fondo ai mari che circondano la Calabria. Inoltre, i siti archeologici industriali, i vecchi casolari  testimonianze importanti  della nostra cultura contadina, insieme a vecchi  mulini,  acquedotti,  frantoi…».

«Altrettanto si può dire – ha proseguito – per  le vecchie stazioni ferroviarie, oggi dismesse, appartenenti alle linee ferroviarie della Calabro lucane e delle Ferrovie dello Stato. 

Rivolgendosi al consigliere regionale Pietro Molinaro, presente al convegno, è stato chiesto di porre all’attenzione del Consiglio regionale tali questioni, compresa anche quella delle numerosi professionalità di archeologi, storici d’arte, architetti, numismatici, archivisti, restauratori, operatori per i  Beni culturali, presenti nel territorio, mancanti di un   impiego e che potrebbero rientrare in un piano speciale di collaborazioni per il recupero e la tutela dei beni del patrimonio, piuttosto che  rischiare di perderli  aggiungendosi alla lunga lista di cervelli  in fuga verso altre regioni italiane o i Paesi esteri.

Particolare attenzione è stata, poi, rivolta a nuove infrastrutture o all’ammodernamento stradale, dotandole anche di un maggior numero di indicazioni turistiche sui luoghi d’arte da  visitare o sulle bellezze paesaggistiche. Se si vuole fare turismo e cultura insieme va  migliorata  l’offerta dei  servizi a partire dal trasporto per collegare i centri d’arte, i paesaggi caratteristici, i borghi anche a rischio  di spopolamento  per i quali servono urgentemente efficaci azioni  di rivitalizzazione.

Operazioni indispensabili realizzare un sistema  di connettività tra Patrimonio culturale e il Settore del  Turismo utili a drenare maggiori ricchezze economiche  per la nostra regione. Una  manovra  economica turistico – culturale davvero importante che coinvolga gli Enti pubblici e le Agenzie private nella promozione turistica che prevedano misure straordinarie  a favore  delle istituzioni scolastiche mediante  straordinari  finanziamenti a favore di iniziative varie, visite guidate o gite d’istruzione, in seno alla stessa nostra Regione; speciali sgravi fiscali per gli investimenti  a favore  della valorizzazione  del patrimonio, l’acquisto di beni e servizi culturali, prevedendo la  detrazione  dalla dichiarazione dei redditi  delle spese in merito (acquisto libri, biglietti di  ingresso ai cinema, ai  teatri, musei,   aree archeologiche, trasporto per visite al patrimonio ,musei, aree archeologiche, convegni. 

Il dott. Giacomo Oliva, direttore del Museo Diocesano di Locri- Gerace, intervenendo al dibattito  ha evidenziato  la necessità   di una migliore  comunicazione nella gestione  del patrimonio regionale  attraverso moderni sistemi digitali di informazione anche multilinguistica di cui dispone lo stesso Museo diocesano di Gerace che dirige, che pure quest’anno, ha registrato un elevatissimo numero di   presenze   calcolabile intorno a circa trentamila persone.

L’ing. Paolo Martino, direttore del Museo diocesano di Oppido Palmi , nel fare  riferimento alle Chiese della Piana di Gioia Tauro   ha posto in evidenza il numero  di opere d’arte di importante valore artistico culturale in esse custodite, appartenenti ai secoli passati e sfuggite fortunatamente alla furia distruttiva di  vari terremoti e che mancano di valorizzazione per l’inesistenza di segnaletica stradale all’interno delle stesse città e di altre forme di informazione.  

Un patrimonio che vanta nomi  d’arte come Montorsoli, Gagini, Bottone, Jerace, Tigani, e altri ancora. Ha poi aggiunto che  , ormai da tempo, la Chiesa si confronta anche con l’arte contemporanea, nella consapevolezza della grave crisi che la produzione artistica sacra sta vivendo. Il Museo Diocesano di Oppido Palmi, ha la primaria missione di essere frontiera di conservazione del patrimonio di arte sacra del territorio ma  è anche impegnato nella proposizione di un nuovo dialogo tra arte e fede, un dialogo continuo con gli artisti contemporanei, avviando    iniziative di tipo laboratoriale-didattico.

Un lavoro di conservazione e di promozione permesso  anche grazie alle donazioni previste dall’otto per mille.  

Il dott. Pietro Criaco, responsabile dei servizi del Polo Museale -Casa della Cultura  Leonida Repaci di Palmi, ha  illustrato a riguardo  la struttura  dotata di ampie sale, auditorium, biblioteca comunale, una pinacoteca d’arte moderna e contemporanea, sale per   conferenze, dibattiti, concerti,  mostre d’arte e  manifestazioni culturali di vario tipo fra le quali  il Concorso Nazionale di Esecuzione Musicale per Flauto e Musica d’insieme “F. Cilea”, giunto alla XXX edizione, ed il Premio letterario “Palmi” già all’XI edizione. Anche qui si avverte il bisogno di maggiori risorse sia professionali che  economiche  vista la mole  di servizi  per la comunità come  studenti  degli Istituti scolastici della Piana o anche  stranieri  in visite  di scambio  dei programmi Erasmus.

Il dott. Domenico De Luca, storico e Giornalista,  ricordato le grandi opere   dello scultore cittanovese Michele Guerrisi ed esposte in seno alla Gipsoteca. La dott.ssa Lucia Lojacono, Direttore del Museo Diocesano  di Reggio Calabria, ha illustrato la l’esperienza educativa e didattica del Museo diocesano di Reggio Calabria, quale  luogo di socializzazione e di dialogo con il territorio e le comunità, attraverso la condivisione dell’esperienza della Bellezza, al fine di favorire l’inclusione sociale e la piena accessibilità.

Ed infine il  Prof. Mario Panarello, Docente di Storia dell’Arte presso l’Accademia di Belle Arti di Lecce, ha relazionato sul valore  della ricerca storica per  conoscere e   valorizzare il Patrimonio, di cui è esempio  la sua esperienza del Museo delle ceramiche di Seminara, quale  costola del Centro Studi “Esperide” per la  cultura artistica in Calabria, che già promuove  una rivista scientifica e diversi importanti progetti e mostre.

La tavola rotonda si è, poi, conclusa con l’auspicio da parte dell’arch. Armando Foci, Presidente della Associazione Città della Piana  che ha ringraziato gli ospiti dell’incontro ed il numeroso pubblico presente , formulato l’auspicio che molto di più si possa ancora  fare  per il  Patrimonio, confidando in un impegno maggiore da parte degli Enti, le Istituzioni scolastiche, le Associazioni, i liberi cittadini a favore della tutela, la valorizzazione ed  il senso di appartenenza al territorio. (ams)  

 

PROBLEMA STRUTTURE PSICHIATRICHE RC
LE ISTITUZIONI LO RENDANO UNA PRIORITÀ

di GIUSEPPE FOTI, VINCENZO BARBARO E FILIPPO LUCCISANO – Il 10 ottobre in tutto il mondo si terrà la giornata mondiale della salute mentale. Quale momento più favorevole per impegnarsi nella risoluzione di un problema come quello delle strutture psichiatriche reggine che perdura da oltre trent’anni? Proprio per questo la Coolap ha scritto una lettera aperta, con l’obiettivo di scuotere gli animi, assopiti da tempo, su un settore come il nostro.

Una lettera nata dall’esigenza di far comprendere che il tempo per le strutture psichiatriche reggine sta volgendo al termine e, con loro, il sacrificio e l’impegno più che trentennale di oltre 150 operatori.

Crediamo che sia superfluo ricordare che tale apocalittica tragedia comporterebbe conseguenze nefaste e irrimediabili per tanti pazienti, famigliari, operatori e per un territorio in piena crisi sociale ed economica.

Sebbene la salute mentale sia riconosciuta e tutelata dalla Costituzione e dall’organizzazione mondiale della sanità, ancora i servizi a lei dedicati soffrono dell’indifferenza e dello scarso pragmatismo di chi li dovrebbe tutelare e riconoscere.

Noi operatori del Coolap lottiamo da tempo e con ogni mezzo per scongiurare tale tragedia, ma l’indifferenza e il benaltrismo politico ci sconforta e ci rende consapevoli che il disagio mentale, che fa parte della complessità umana, non interessa a nessuno.

È necessario che tale considerazione sia da parte Vostra riconsiderata così da agire nel più breve tempo possibile.

Vi ricordiamo, a tal proposito, che da oltre otto anni i ricoveri sono bloccati e questo ha comportato il venir meno del diritto alla cura per tanti pazienti, che avrebbero come unica alternativa la strada.

Molti vengono, passateci il termine poco ortodosso, “deportati” in altre strutture fuori regione, rendendole più che mai traboccanti e assumendo sembianze manicomiali: tutto il contrario di quanto compiuto dall’Italia con la legge Basaglia, tesa proprio ad eliminare questo tipo di strutture. Abbiamo constatato con la pubblicazione della rete territoriale, che i numeri dei posti letto (170 circa) non sono assolutamente corrispondenti alla richiesta di un territorio vasto come quello di Reggio Calabria e provincia.

Il rapporto ISTISAN (istituto superiore di sanità) di giugno 2023 presenta un’analisi dettagliata della residenzialità psichiatrica in Italia, che vede la Calabria essere sotto il valore medio nazionale del 50%, sia per strutture psichiatriche attive (-93%), posti letto residenziali psichiatriche (-81,1%), presenze in strutture psichiatriche (-98,4%) e ammissioni in strutture residenziali psichiatriche (-98%).

Numeri, a parer nostro, che dovrebbero fare riflettere e che vedono la Calabria fanalino di coda nella cura e nel trattamento del disagio mentale.

Ovviamente, messi in condizione di farlo, noi operatori avremmo la possibilità di fare meglio e di più, ma purtroppo siamo costretti ad una lotta psicologica e quotidiana per mantenere la sopravvivenza e per non far mancare il nostro supporto ai nostri pazienti che, vi assicuriamo, vedono in noi un punto di riferimento e in alcuni casi una famiglia.

Quest’ultimo e fondamentale punto ci spinge verso la lotta dei diritti e ci sprona a non mollare fino allo stremo delle nostre forze e alla risoluzione dei problemi.

Il delicato lavoro terapeutico e riabilitativo che noi svolgiamo non è sostenuto ed è in balia d’inerzie amministrative che ne bloccano la crescita, questa è la realtà dei fatti. Partendo da queste consapevolezze, Vi chiediamo un confronto immediato e che dia delle reali soluzioni e non ulteriori perdite di tempo o di energie.

L’obbiettivo da raggiungere dev’essere comune e deve contrastare la rassegnazione e l’inoperosità che aleggia nella mente di chi ancora non comprende l’importanza di certi temi, che evidenziano quelle fragilità umane più devastanti nei giovani, portandoli a idee suicide di cui sono piene le cronache odierne.

La cura della salute mentale dev’essere “strumento maturo” e sufficientemente attendibile, ma al momento risulta ostaggio di criticità e di carenze di risorse economiche e strutturali di cui la politica, e non solo, si deve fare assolutamente carico, come facciamo noi da sempre e con spirito di sacrificio. (gf, vb e fl)

[Giuseppe Foti, Vincenzo Barbaro e Filippo Lucisano sono operatori della Coolap]

IMPEDIRE CHIUSURA DEL PORTO DI GIOIA T.
AGISCANO GOVERNO, REGIONE E POLITICA

di ANTONIETTA MARIA STRATI – Scongiurare la chiusura del Porto di Gioia Tauro. Impedire alla Calabria di perdere una infrastruttura strategica e vitale. È questo l’obiettivo che la stessa Autorità di Sistema Portuale dei Mari Tirrreno Meridionale e Ionio, insieme ai sindacati, Medcenter Container Terminal Spa, il Comune di San Ferdinando, Orsa Mari e Porti, Silpa e l’ing. Antonino De Masi si sono posti, realizzando un manifesto per la difesa del Porto di Gioia Tauro.

Il fine è chiaro: tutta la Calabria si mobiliti per scongiurare la sua chiusura. Che ognuno, nel proprio ruolo, «intensifichi l’impegno per la difesa del porto di Gioia Tauro e per una difesa più organica e credibile dell’ambiente». Questo perché «noi – si legge – davanti a questi scenari apocalittici non possiamo tirarci indietro nel ricercare soluzioni migliori, nel rispetto della transizione energetica, che peraltro non mancano» .

«L’Autorità di Sistema Portuale le ha sommariamente indicate al Governo ed alle Istituzioni europee», viene ricordato nel manifesto: «dare le medesime regole ai porti mediterranei che giocano la medesima partita, avendo la medesima vocazione al transhipment! Oppure la previsione per i porti europei a vocazione transhipment, ma anche per i traghetti di continuità territoriale, di meccanismi di tutela in deroga alla Direttiva che prevedano una detassazione ai settori esposti al rischio di delocalizzazione».

Indicazioni che, tuttavia, non sembrano essere servite, perché la chiusura sembra essere dietro l’angolo.

L’infrastruttura, infatti, rischia di fermarsi a causa della misura della Commissione che impone agli armatori di compensare annualmente le emissioni inquinanti prodotte. Una situazione paradossale, già ampiamente denunciata dallo stesso presidente della Regione, Roberto Occhiuto, sottolineando come «se fosse approvata così come concepita e senza modifiche rischia di far perdere competitività e importanti quote di mercato al porto di Gioia Tauro a partire dal 2024».

«L’Unione europea, con l’obiettivo di abbattere le emissioni – ha spiegato – ha deciso di introdurre una tassa che colpirebbe le grandi navi porta container qualora queste scegliessero, come avviene oggi, di fare scalo nei porti europei che si affacciano sul Mediterraneo prima di raggiungere i grandi porti del nord Europa o quelli americani: la tassa verrebbe pagata al 100% nella tratta tra due porti Ue, al 50% se uno dei due porti (di provenienza o di approdo) è extra Ue, mentre non esisterebbe per una navigazione tra due porti extra Ue: una nave proveniente dall’India e diretta in Usa pagherebbe zero euro se decidesse di fare scalo in un porto nordafricano».

«Quale sarebbe il risultato – si è chiesto – di questa cervellotica trovata? Tanti terminalisti sceglierebbero come porti di trasbordo scali extra Ue, anche aumentando le miglia di navigazione, e dunque producendo più emissioni di Co2 rispetto alle attuali rotte».

«Una misura di questo tipo – ha detto ancora – avrebbe due effetti perversi: da una parte avvantaggerebbe enormemente i porti nordafricani, e dall’altra aumenterebbe l’inquinamento nel mar Mediterraneo: i terminalisti sceglierebbero anche rotte più lunghe pur di non versare centinaia di migliaia di euro di tasse».

Sia il commissario regionale della Lega, Giacomo Saccomanno, che il capogruppo della Lega in Consiglio regionale, Giuseppe Gelardi, hanno ribadito la necessità di trovare una soluzione per impedire la chiusura del Porto di Gioia Tauro.

Per Gelardi, inoltre, «il Governo, insieme alle autorità locali e agli operatori portuali, deve adottare misure efficaci per preservare l’occupazione e l’economia della regione. Allo stesso tempo, è fondamentale promuovere una strategia di sviluppo a lungo termine che renda il porto più competitivo e sostenibile. Solo attraverso una cooperazione internazionale e un impegno comune sarà possibile affrontare le sfide attuali e future legate al settore marittimo», ha ricordato.

Nel manifesto per salvare il porto di Gioia Tauro è palpabile lo sgomento di una situazione definita «paradossale» dai segretari generali di Cgil, Cisl e Uil Calabria, chiedendo, anche loro, un intervento da parte della Regione «perché l’Ue dia alle compagnie marittime il tempo di operare una riconversione del sistema di emissioni. Sono in pericolo migliaia di posti di lavoro ed è in discussione anche il futuro stesso del Porto di Gioia come hub strategico nel Mediterraneo».

«Il pericolo è veramente imminente – si legge nel manifesto – le avvisaglie le stiamo già leggendo sulla stampa di settore e la mancanza di concreta sensibilità su questo tema preoccupa. Il porto di Gioia Tauro, il più grande d’Italia per transhipment che quest’anno si appresterà a segnare il record della movimentazione dei container nella sua storia breve ma intensa, potrebbe ritornare ad essere un deserto, con le gru smontate e le navi dirette verso scali competitors che si trovano nei paesi del Nord Africa, dove la direttiva Ue non verrebbe applicata o si applicherebbe solo in parte, in ogni caso garantendo ai porti extra-europei un vantaggio competitivo notevole».

«Difendere l’ambiente dai cambiamenti climatici in corso è un dovere delle Nazioni e degli uomini – viene ribadito – ma occorre farlo tutti insieme, riavviando il nastro delle azioni da intraprendere con la massima responsabilità. Perché non si possono accettare drastici provvedimenti in Europa per inquinare meno e nessun provvedimento negli scali direttamente concorrenti a quelli europei, ubicati sull’altra sponda del bacino del Mediterraneo. Accettare tutto ciò significherebbe non solo non raggiungere gli obiettivi prefissati in Europa, ma chiudere gli occhi davanti a provvedimenti illogici e irrazionali, con conseguenze devastanti sul piano economico, occupazionale e soprattutto su quello delle potenzialità logistiche dell’Italia e dell’Europa». 

«Quello che rappresenta il porto di Gioia Tauro oggi è sotto gli occhi di tutti – viene evidenziato – quasi 4 mila addetti tra diretto ed indotto, quasi il 50% del Pil privato calabrese, la più grande piattaforma logistica dell’Italia e dell’Europa meridionale, uno dei più grandi hub portuali del Mediterraneo. Penalizzare gravemente un porto in pieno rilancio come Gioia Tauro significherebbe affossare la Calabria ed il Mezzogiorno ed indebolire il Paese intero». 

«E sosteniamo come su questa drammatica prospettiva l’attenzione debba rimanere altissima», continua l’appello, ricordando che quella che rischia la chiusura è «un’infrastruttura strategica per il futuro della Regione, dove si registra la percentuale di disoccupazione più alta d’Italia, con le ferite dell’emigrazione che vede  migliaia di giovani andare via ogni anno da questa terra. Fughe per bisogno e per necessità che impoveriscono la vita e l’esistenza dei nostri territori».

Se si ferma Gioia Tauro, rischia di fermarsi la Calabria. E questo non può essere permesso. (ams)