PER IL VERO RISCATTO DEL SUD SI DEVONO
UTILIZZARE TUTTE LE RISORSE DEL PNRR

di ANTONIETTA MARIA STRATIPer il riscatto del Sud bisogna attuare integralmente gli investimenti del Pnrr e fare molto di più sull’occupazione giovanile e femminile, realizzare infrastrutture sociali e materiali che assicurino a tutti pieno godimento dei diritti di cittadinanza». È la via indicata dal segretario generale della Cisl, Luigi Sbarra, nel corso dell’assemblea organizzativa della Cisl Calabria svoltasi nei giorni scorsi a Pizzo.

Una vera e propria Guida al cambiamento, dove identità, partecipazione e innovazione sono le parole chiavi e l’emblema della lotta e dell’impegno che la Cisl – non solo nazionale, ma anche regionale – sta portando avanti da mesi, perché, ad oggi, la partecipazione, in ogni settore, è fondamentale per la vera crescita del Paese e del Mezzogiorno.

E proprio per quanto riguarda il Sud il cislino ha ribadito la necessità non più rinviabile di «rafforzare la fiscalità di sviluppo, realizzare impianti energetici come i rigassificatori di Gioia Tauro e Porto Empedocle, investire su rinnovabili e nuove tecnologie, infrastrutture che facciano della Calabria e del Sud un hub energetico e industriale».

Lo stesso Sbarra ha sottolineato la necessità di dare vita a un modello di sviluppo più equilibrato, competitivo, partecipativo. E da qui l’appello al Governo, affinché venga siglato un «patto con sindacati ed imprese che porti al riscatto delle fasce medie e popolari, ad una nuova politica dei redditi, ad una manovra redistributiva che difenda e rilanci salari e pensioni dissanguati dal caro  vita».

«L’appello alla corresponsabilità, al dialogo sociale del nostro Segretario Generale Luigi Sbarra è un appello al bene comune, a “rilegare”, ad unire», ha detto Tonino Russo, segretario generale di Cisl Calabria.

«Dentro c’è il senso profondo dell’essere Cisl, la motivazione di tante scelte del passato, del presente e del futuro prossimo di un Sindacato libero», ha continuato Russo, sottolineando come «qui  troviamo anche il senso del nostro impegno ed il percorso da compiere per un’organizzazione capace di essere all’altezza delle nuove sfide. Un’organizzazione che di fronte alle grandi transizioni green e digitale, alle trasformazioni del mercato del lavoro, della società, non arretra, ma accetta la sfida del cambiamento».

«Un’organizzazione capace, come recita il titolo della nostra Assemblea Organizzativa, di guidare il cambiamento – ha aggiunto – mettendo al centro del proprio essere, la dimensione organizzativa, identità, partecipazione, innovazione. Tre parole chiave nel nostro futuro».

«Le radici ancorate nella terra dei nostri padri, lo sguardo dritto e aperto sul futuro. Un sindacato riformista, innovativo, che fa della partecipazione il suo tratto distintivo. La Cisl a tutti livelli  – ha ricordato – è impegnata nella campagna di raccolta firme per la legge di iniziativa popolare “La partecipazione al Lavoro”, nei territori e sui luoghi di lavoro, tante iniziative realizzate in questi mesi». 

«Per la Cisl la grande riforma della partecipazione – ha proseguito – è un tassello fondamentale per ripartire dal Patto sociale. Le sfide della ripresa, della resilienza e del futuro, le cogliamo e le vinciamo solo insieme. Al nostro Paese non servono divisioni, contrapposizioni, fazioni, ma un grande Patto sociale, una nuova stagione di dialogo sociale, concertazione, partecipazione. Serve costruire relazioni, conquistare tavoli, anche quando è forte la tentazione di buttare la palla in tribuna, di fronte ai mali atavici di una regione che continua ad arrancare, senza riuscire a risalire la china». 

«Cito solo alcuni dati dei nostri divari persistenti – ha detto ancora – il tasso di occupazione al 43,5%, a fronte della media italiana del 60%; i dati sui Lea vedono la Calabria in gravissimo affanno, maglia nera per l’area distrettuale e della prevenzione, terz’ultima per l’area ospedaliera (dati Gimbe)».

Ma non sono solo i dati Gimbe a fotografare una Calabria in affanno: in un articolo de Il Sole 24 Ore, a firma di Gianni Trovati, la Calabria è tra le sette regioni “bocciate” per i Lea – livelli essenziali di assistenza, qualità dei servizi raggiunta dagli ospedali e attività di prevenzione, sono appena sufficienti.

«Lavoro e sviluppo, sanità e sociale restano le due grandi priorità – ha ribadito Russo –, insieme al superamento dei divari generazionali, di genere e digitali che sono i grandi obiettivi del Pnrr. Siamo preoccupati, da questo punto di vista, per il percorso di attuazione del Pnrr, viste le difficoltà degli enti locali calabresi. Restiamo in attesa di capire con certezza le modalità di finanziamento delle risorse assegnate alla Calabria dal Pnrr, circa un miliardo, oggetto della rimodulazione legata al Piano Repower Eu, che cerca di aiutare il Paese a superare i tanti problemi energetici».

«Il nostro compito è di lavorare insieme alle Istituzioni, ognuno per la propria parte», ha detto ancora.

Nel corso del suo intervento di apertura, Russo si è soffermato anche sulla necessità di un’attenzione rinnovata ai giovani: «La Cisl calabrese – ha detto tra l’altro – riprenderà l’esperienza dei campi scuola, sulla quale proprio Gigi Sbarra da Segretario regionale ha puntato. Una palestra di vita e un luogo nel quale hanno mosso i primi passi tanti attuali dirigenti».

«In questa delicata fase, in cui le parole “crescita” e “sviluppo” possono e devono avere concretezza – ha concluso il Segretario della Cisl regionale –, tutti i soggetti sociali sono chiamati a dialogare, per sostenere persone e famiglie, per seminare speranza, per costruire un futuro diverso». (ams)

ENERGIE DEL SUD PER SCRIVERE IL FUTURO
IL CAPITALE UMANO È MOTORE DI SVILUPPO

di SANTO STRATI – Tra storia e innovazione, emergono opportunità, risorse e ostacoli dal V incontro di Sud e Futuri (rigorosamente al plurale) la tradizionale convention della Fondazione Magna Grecia guidata dall’on. Nino Foti. Un “pensatoio” (negli Usa direbbero ThinkThank) che si rivela sempre più prezioso per la grande mole di interventi e contributi a carattere trasversale destinati a chi governa, a chi spettano le decisioni funzionali allo sviluppo o, ahimè, all’inevitabile decrescita ove poco accorte. Vale per tutto il Mezzogiorno, ma vale in modo ancor più specifico per la Calabria ed è triste, alla fine di una tre giorni intensa e proficua, constatare che le idee ci sono, mancano gli esecutori, ovvero la classe politica decisoria che, evidentemente, non non solo non produce iniziative importanti per crescita e sviluppo, ma, disgraziatamente, non sta ad ascoltare idee e proposte che rivelano intelligenza e vivacità di giudizio in quanti credono allo sviluppo possibile.

L’incontro di Castellabate e Paestum è il segnale che esiste una parte d’Italia capace di coinvolgere (grazie alla Fondazione Magna Grecia) teste pensanti a respiro internazionale, in grado di provocare, proporre e suggerire modalità esecutive che non richiedono scostamenti di bilancio o nuove voci di spesa, ma, al contrario, indicano il percorso ideale, la strada maestra, per superare gli ostacoli e risvegliare il Mezzogiorno dal torpore a cui l’hanno costretto da troppo tempo politici inetti e una classe dirigente poco incline a occuparsi di Sud. Eppure tutti continuano a ripetere il mantra «se cresce il Sud cresce il Paese», però poi, nei fatti, la concretezza latita e rimangono solo una serie di buone intenzioni, con le incompiute cui ci hanno abituato negli ultimi 50 anni.

Per questa ragione, il thinkthank della Fondazione Magna Grecia merita un’attenzione particolare da parte della classe politica oggi al governo (ma l’opposizione non faccia ostruzionismo solo per avere la visibilità sempre più scadente) e può offrire solidi argomenti di discussione per avviare una seria riflessione su ciò che non è stato fatto e quello che invece è necessario portare a compimento. In fretta, senza indugi e traccheggiamenti di comodo, perché il Paese non può più aspettare. L’ansia deriva dal PNRR, una montagna di soldi (ahimè, in parte a debito, andranno restituiti), che mette a disposizione i denari necessari per la ripresa, ma esige progettualità e concretezze, non fumosi programmi che non arriveranno mai a compimento (né tantomeno saranno finanziati.

La corsa più rilevante della tre giorni è l’esigenza di puntare sul capitale umano del Mezzogiorno, sulle sue straordinarie risorse umane, svalorizzate e mal utilizzate, quando, in realtà queste energie sono la parte propulsiva di un motore di sviluppo che nessuno è capace di mettere in moto.

Le ragioni di questa inadeguatezza sono state sviscerate, analizzate e sezionate, in modo scientifico, da un parterre di relatori di altissimo livello che ha avuto la possibilità di confronto con ben tre ministri dell’attuale Governo: Eugenia Roccella (famiglia), Raffaele Fitto (Coesione e sviluppo e Gennaro Sangiuliano (Cultura).

I temi sono stati quelli relativi al mancato sviluppo. Si è iniziato parlando di denatalità e spopolamento: ma quale incentivazione c’è per i giovani a creare una famiglia, a mettere su casa e riempirla di figli, quando fare un figlio  significa, nella stragrande maggioranza dei casi, per la donna rinunciare al lavoro e a importanti sbocchi professionali, e per l’uomo assumersi un impegno di spesa che potrebbe rivelarsi insostenibile, con le intuibili conseguenze per una serena crescita del bambino. Si sono chiesti i nostri governanti perché i giovani si sposano sempre di meno (difatti, si è alzata l’età media delle nozze)? La risposta è sconfortante: la grande maggioranza non ha i soldi per affrontare un matrimonio (e parliamo di nozze semplici, senza sfarzo). Se non c’è la copertura dei genitori, sposarsi diventa una nuova, insostenibile, situazione di debito. Quindi, sì alla convivenza (non ci sono spese accessorie), ma dalla precarietà di coppia è difficile anche solo ipotizzare di far crescere la famiglia. Mancano in primo luogo l’assistenza dello Stato (che non investe sulle nuove generazioni) e si avverte l’assenza di un welfare destinato proprio a motivare e incentivare la natalità. Basti guardare nei vicini Paesi europei come viene affrontato il problema: fino a poco tempo fa c’era pure l’iva sui pannolini e sul latte della prima infanzia. Ma dove vivono i nostri governanti? La ministra Roccella assicura che sta facendo salti mortali per cambiare le cose, ma non basta l’impegno solitario (e meritorio) della titolare del dicastero: serve la decisa e precisa convinzione del Governo che occorre davvero un nuovo modo di affrontare il problema denatalità.

E lo stesso vale per lo spopolamento: con lo smart working i nostri giovani potrebbero tornare a vivere nei luogi di nascita, tra il mare e la mointagna, circondati dagli affetti familiari e adagli amici, se solo non ci fosse il gap della Rete che non c’è. Lasciamo pe run momenti da parter i problemi di mobilità – anche se importanti – ma se il collegamento a internet si ferma  pochi mega, come si fa a lavorare in remoto?  Le relazioni della tre giorni offrono idee, spunti e proposte operative.

E che dire del panel dedicato agli investimenti al Sud? Basterebbe la dichiarazione di qualche giorno fa del Presidente della Confindustria Carlo Bonomi a Cosenza: «La Calabria è nel mio cuore», rivelando un snetimento che è comune a molti industriali del Nord che vorrebbero delocalizzare e aprire nuove imprese nel Mezzogiorno. Ma c’è qualcosa che interrompe il  circuito virtuoso che motiva la voglia di fare impresa: il problema (per mutuare un termine usato nelle connessioni di rete) è l’ultimo miglio. Come ha osservato Antonello Colosimo parte attiva di FMG, «l’investimento nel Mezzogiorno nasce come problema dall’unità di Italia e nel 2023 ha le stesse connotazioni. Manca l’ultimo miglio perché non riusciamo a fare progetti, manca la fase di ricerca e sviluppo. Abbiamo un problema di raccordo statuale delle iniziative. Bisogna, quindi, attrarre intelligenze. C’è bisogno di più Stato e più semplificazione».

In altre parole, non si possono attendere mesi per ottenere un parere (non l’autorizzazione, attenzione!) da un ufficio comunale per poter avviare un progetto esecutivo. E non bastano le buone intenzione della Zes di ridurre al minimo la burocrazia, quando poi si inciampa in lungaggini inutili e deprimenti per poter mettere appena la prima pietra del futuro stabilimento. La legge 482 ha prodotto solo investimenti farlocchi (lo testimoniano i tantissimi capannoni abbandonati), al contrario della prima Cassa per il Mezzogiorno dove l’intelligenza di chi la guidava ha favorito crescita e sviluppo in territori dimenticati da Dio e dagli uomini. Poi sappiamo com’è andata a finire, con  un’eredità mal continuata per poco dalla Agenzia per il Mezzogiorno.

Come si fa ad attrarre investimenti? Secondo il ministro Fitto la Zes unica per il Sud farà da volano. Peccato che nessuno gli abbia spiegato che la Zes unica (che non riguarda più solo le aree destinate alle infrastrututre industriali e al terziario, ma l’intero territorio del Mezzogiorno, senza distinguo alcuno) non offre decontribuzione, ma solo crediti di imposta, utili in modo straordinario, per le multinazionali e le grandi imprese del pubblico che fatturano centinaia di milioni e, quindi, hanno un bel po’ di tasse da farsi restituire, ma non offre alcun incentivo all’attività d’impresa, soprattutto alle piccole e medie aziende che sono il tessuto connettivo dello sviluppo e creano occupazione vera. Non c’è un centesimo per sostenere l’avvio d’impresa, ma – si dirà – non è questo l’obiettivo alla base delle Zes, ma non si può ragionare solo in termini di investimenti multimilionari, bisogna guardare al territorio e alla possibilità di creare occupazione e con esse ulteriore indotto. Il decreto si può ancora modificare, speriamo in meglio.

Il meglio di questa tre giorni però riguarda la cultura: con lo sfondo del tempio di Nettuno a Paestum, Sud e Futuri ha dato la parola a sovrintendenti, direttori di musei, specialisti del marketing culturale per offrire idee e contributi esecutivi a quello che è il comparto più importante per lo sviluppo del Mezzogiorno, naturalmente vocato a “mercificare” (nel senso più nobile del termine) l’unicità e la straordinarietà di un patrimonio culturale che il mondo ci invidia.

Non è vero che con la cultra non si mangia: bisogna saperla “vendere” perché la domanda è forte e l’offerta del Paese (escludendo Colosseo, Firenze e Venezia) è modesta, disaggregata e poco attrattiva.

Eppure, il comparto può generare occupazione in modo esponenziale, valorizzando risorse, formandone di nuove, progettando, anche attraverso l’uso delle nuove tecnologie digitali, un’offerta che diventa irrinunciabile per milioni di visitatori. E il patrimonio archeologico, paesaggistico,   culturale del Mezzogiorno è sottoutilizzato, poco valorizzato. Perché oltre alla famosa mancanza di visione ci sono problemi di mobilità (provate ad andare a visitare la Venere Morgantina a Enna: è una disavventura arrivarci), di mancanza di personale, mancanza di professionalità e assoluta assenza della capacità di fare rete. Il male del Mezzogiorno è il localismo e la (stupida) gelosia del territorio che non è campanilismo ma caparbia ostinazione di primeggiare a danno degli altri: provate a immaginare in Sicilia, in Calabria, in Campania una rete (efficace) dell’offerta museale, con guide preparate, progetti di mobilità e trasporto dedicato, solo per fare un piccolo esempio. Quanta nuova occupazione, soprattutto giovanile, verrebbe fuori?

Le energie del Sud ci sono e aspettano solo di essere liberate: il meritorio lavoro di Nino Foti, affiancato dall’on. Saverio Romano e da una schiera di eccellenti collaboratori, mette in campo non parole al vento di chi ama soltanto citarsi addosso, bensì idee, prospettive, progettualità da realizzare. C’è solo da fare tesoro del grande patrimonio di idee che è venuto fuori a Castellabate e Paestum e mettere in pratica le idee che faranno il futuro: non si può pensare solo al presente (cosa che fa regolarmente la politica attuale), ma guardare al futuro. Anzi ai “futuri” (rigorosamente al plurale) che Nino Foti, Romano e Colosimo sono convinti si possano disegnare e rendere realtà, per le nuove generazioni. (s)

“AGIRE” E NON AFFIDARSI ALLA SPERANZA:
LA RIGENERAZIONE PASSA DALLA CULTURA

di ETTORE JORIO – Il peggiore dramma che si vive nella nostra regione è stato sempre quello di vedere la povertà tramandata da padre in figlio. Ciò fatta eccezione per quei figli che sono riusciti ad emergere grazie alle loro cocciute capacità. A raggiungere mete ambite, tanto da vederne qualcuno oggi alla testa di multinazionali importanti americane (solo per fare due esempi General Electric Company e Amazon). Ma anche per quelli – e questo è un fatto gravissimo – passati dall’onestà intellettuale dei padri – di frequente monoreddito con familiari a carico – al carrierismo senza scrupoli.

Alcuni non si sono neppure fermati lì, hanno intrapreso una vita borderline e anche oltre. Insomma, brutti esempi quelli dei giovani che devono vincere, senza sgobbare sui libri, senza sudore e senza i necessari sacrifici.

Orribili quei “giovani e forti” che si mettono in gara ricorrendo a mezzucci per guadagnare uno scranno negli staff, in strutture e nelle compagnie pubbliche e private dei decisori. Così facendo si  è venuta a creare una popolazione a sé stante, formata da una sorta di dannoso maggiordomismo, spesso venduto con curricula costruiti con pseudo-intellettualismi, facili ad implementare via web, così come le lauree acquisite online con facilità estreme. Carriere, queste, di sovente colposamente applaudite da padri e madri, felici di vedere un figlio che conta, con il telefonino pieno zeppo di selfie da esibire a cominciare dai propri coiffeur.

Non è così che si potrà rigenerare una regione alla deriva da sempre. Non è così che i giovani si entusiasmano per la propria terra d’origine. Così la si manda ad infrangersi sugli scogli, senza registrare alcun superstite.

Un esodo provocato da politiche da macello

Troppi i giovani che vanno via. Tantissimi (ahinoi) quelli che con la borsa piena di titoli sudati e guadagnati con i quattrini dei genitori che hanno scelto l’impegno sulla cultura dei figli e nipoti alle stravaganze, ma anche alle cose serie. Molti hanno dedicato a ciò persino i soldi necessari alle loro cure dentarie e al vestiario che avrebbero meritato, pur di fare studiare figli e nipoti.

Risultati per tanti, vicino allo zero: sono rimasti da soli. Molti, così impoveriti, visibili di prima mattina a rovistare nei resti dei fruttivendoli, che di ciò sono autentici testimoni.

La Calabria è terra sana, che ha generato nei secoli gente perbene, generosa, creativa. Essa va reimparata non come la vediamo, così come ridotta oggi bensì come può essere ripresa. Frequentando un percorso difficile e apparentemente impossibile. Ma possibile. Perché onesto e doverosamente dovuto ai nostri natali e quelli che in un modo o nell’altro abbiamo provocato. L’impegno sarà improbo e impegnativo. Occorrerà cominciare ad evitare – per esempio concretizzante – sindaci e assessori che non sanno fare una O con un bicchiere, ma che sanno spesso fare del male alle casse degli enti e alla gente che li ha votati.

La Calabria è affetta da cancro. Basta non liquidarlo come incurabile e darsi da fare. Essa va letta nel suo potenziale reale: anime che la abitano e la terra che le nutre.

L’invito proviene dalla cultura che se ne è innamorata

Un insieme tanto attrattivo da essere riscoperto e rigenerato. Come lo ebbe a conoscere Norman Douglas in Old Calabria, edito in italiano nel 1967. Leggendolo e soprattutto guardando il suo ricco album di foto per capire cosa ci siamo giocati nella più atroce incoscienza, puntando alla slot che la politica ci ha somministrato come minestra quotidiana.

Douglas era un grande anticonformista straniero e con una cultura gigante, sia teorica che vissuta. Odiava la stupidità dei ricchi, il loro sciatto disordine. Amava la gente povera che trovò in Calabria viva, autentica molto meglio degli “inamidati” del nord.

Non solo. In un tale convincente processo conoscitivo di chi eravamo, con l’obbligo di ritornare ad esserlo, necessita guardare con attenzione le foto di Gerhard Rohlfs (1922-1924), che si ha la fortuna di ammirare nella “Calabria contadina”, edita grazie alla Regione Calabria presieduta da Agazio Loiero, definita “uno scavo linguistico” del primo Novecento.

E ancora. Sarà fondamentale leggere, uno dei grandi di tutti i tempi, grande amico di un calabrese eccellente, il palmese Leonilda Repaci (il nostro Sciascia): Pier Paolo Pasolini. Il poliedrico eccellente, al di là della cruda critica su Cutro sulla quale si prese una querela dei cutresi, diede nel 1959 una descrizione della Calabria e dei calabresi stupendamente realista, girata con una Fiat 1100. Così come la ebbe a conoscere nei suoi viaggi del 1959 e 1964, tanto da fargli scrivere in La lunga strada di sabbia una denuncia che i giovani devono portare in tasca tutti i giorni: «In Calabria è stato commesso il più grave dei delitti, di cui non risponderà mai nessuno: è stata uccisa la speranza pura, quella un po’ anarchica e infantile di chi vivendo prima della storia ha ancora tutta la storia davanti a sé». Con tutto il rispetto per l’Uomo che insegnò a tanti con suoi scritti (Paese Sera 27-28 ottobre 1959, Lettera sulla Calabria) e le sue regie: dobbiamo fare di tutto per smentirlo.

Il Pier Paolo nazionale urlava in proposito ad un calabrese indifferente: «Se volete fare come gli struzzi, affar vostro. Ma io ve ne sconsiglio. Non è con la retorica che si progredisce».

Qualcuno di mia conoscenza liceale mi avrebbe detto: prendi e porta a casa!

Riprendiamoci la speranza e la dignità di processare politicamente i responsabili del massacro sociale, di cui è stata vittima la terra che fu dei nostri padri ed è nostra molto de residuo. Ripartiamo! (ej)

DOVE INDIVIDUARE LE RISORSE PER I LEP
NODO CRUCIALE PER LA LORO ATTUAZIONE

di PIETRO MASSIMO BUSETTABagnarsi le mani e scoprire l’acqua calda. Affrontare problematiche con risvolti economici rilevanti e scoprire da giurista il concetto di equità. Con affermazioni anche pittoresche “Sui Lep si è fatto finora “flatus voci”, cioè discorsi privi di consistenza. 

L’audizione del  professore Sabino Cassese, presidente del Comitato per l’individuazione dei Lep, alla commissione Affari Costituzionali del Senato nell’ambito del disegno di legge sull’Autonomia, riserva grandi sorprese. Sembra la reazione di un alieno che, arrivato in Italia,  scopre grandi verità che però sono state assolutamente studiate, diffuse e acquisite dalla maggior parte di coloro che indagano le problematiche del Mezzogiorno e che sono argomento di battaglia intellettuale e politica. 

Per avere contezza basta guardare i tanti lavori prodotti dalla Svimez oltre che i suoi rapporti annuali per rendersi conto che nell’audizione scopriamo la ruota e l’arco. La prima scoperta é che i diritti di cittadinanza nel nostro Paese sono diversi a seconda dei territori in cui si vive, ma che ciò  dipende da una mancanza di conoscenza e dalla carenza di volontà .   

«Ritengo importante il lavoro che è stato fatto» dal Comitato sui livelli essenziali delle prestazioni «perché è stata una esplorazione in una terra incognita».  

Non sorge il dubbio al professore Sabino Cassese che il motivo della mancanza dei Lep e della loro attuazione non sia tecnico, ma economico e conseguentemente politico? Si chiede il professore se è conseguente alla mancanza di risorse? 

In realtà si ma lo risolve facilmente: «Se le risorse sono più limitate, sono più limitate per tutti e se sono più ampie sono più ampie per tutti, questa è una preoccupazione fondamentale della Costituzione». 

Tradotto in cifre significa che poiché gli asili nido a Reggio Emilia, con una popolazione di  169.908  al 31 dicembre 2021, sono 66 e a Reggio Calabria, con 172.479, sono  3 la soluzione consiste, in previsione di crescite contenute o negative, di chiudere 31 asili nido in Emilia Romagna per darli alla Calabria, in modo che l’una città ne abbia 35 e l’altra  34?  O che il diritto dell’agrigentino di fare 150 km in una ora su strada per arrivare a Palermo sarà garantito. O che si avrà la possibilità di una sanità che non costringa a prendere l’aereo?

E tutto questo può accadere senza sconvolgimenti sociali? 

 Ma continuiamo con l’audizione: «Il Comitato per la determinazione dei Lep dovrebbe finire il suo lavoro entro ottobre, poi occorrerà mettere una cifra accanto ai Lep». 

Tutto legittimo ma per arrivare alla conclusione che le risorse necessarie, quantificabili in 100 miliardi l’anno, non ci sono?

Purtroppo nella commissione sono stati coinvolti pochi economisti ed evidentemente la loro mancanza si fa sentire. Cassese in grande buona fede, conoscendo l’uomo,  afferma «La mia prima preoccupazione è stata che non venisse ignorato un solo diritto civile e sociale del cittadino su tutto il territorio nazionale” ed ha poi spiegato  che è stato predisposto un elenco di 223 Lep “primari”, che a loro volta contengono livelli non quantificabili».

Scoprirà presto che saranno solo buone intenzioni, come si sono resi conto che rischiavano di essere strumentalizzati da Calderoli coloro che si sono dimessi dalla Commissione. Gli ex presidenti della Corte Costituzionale Amato e Gallo, l’ex Presidente del Consiglio di Stato Pajno e l’ex Ministro della Funzione pubblica Bassanini non lavoreranno più al progetto: «Non ci sono più le condizioni per una nostra partecipazione. Il nodo sta nell’individuazione delle finanze necessarie per procedere con la riforma e nello scarso ruolo attribuito al Parlamento».

Nell’audizione il Presidente si preoccupa anche dell’aspetto della messa a terra dei Lep, dimostrando che veramente crede che potranno essere attuati: «La quantificazione dei Lep e delle risorse necessarie sono il penultimo miglio, ma c’è l’ultimo miglio da fare e dipende dalla qualità dell’amministrazione che gestisce. I divari di capacità amministrativa in Italia ci sono e non li possiamo risolvere con la definizione dei Lep”…».

Dimentica il grande professore tutta la polemica della diversa spesa pro capite, che se fosse uguale in tutto il Paese porterebbe al Sud una quantità di risorse maggiori di quelle disponibili e pari a 60 miliardi l’anno. Che poi sono la causa della differenza nelle diverse capacità amministrative dei Comuni.

 Come peraltro è stato documentato da diverse istituzioni nazionali e come è stato calcolato dall’ormai in smantellamento dipartimento per le politiche di coesione, problematica sulla quale il Quotidiano del Sud ha impostato una battaglia di conoscenza. 

Introduce poi  un elemento di novità nel suo ragionamento e cioè che i Lep siano strumento per un centralismo. Finora avevamo pensato che autonomia differenziata e conseguentemente i Lep, passaggio subito da Calderoli per attuarla, fossero propedeutici ad un percorso federalista. 

Invece Cassese sostiene che «introducono uniformità e cercano di bilanciare diversità e unità. Dobbiamo equilibrare l’unità con la diversità e a questo servono i Lep. La loro funzione è quella di creare un sistema di valori e cercano di bilanciare le due esigenze che hanno percorso tutta la storia italiana». Risponde così alla domanda «se non ci sia il rischio di uno Stato arlecchino con l’autonomia differenziata», il costituzionalista. 

Mi pare che il nostro Presidente, nel solco del rispetto che si deve ad una legge costituzionale modificata con il titolo V, cerchi di prendere il buono che da essa viene fuori. E certo se l’effetto dell’attuazione dell’autonomia differenziata fosse che i diritti di cittadinanza diventassero simili nelle diverse parti del Paese si sarebbe raggiunto un obiettivo di equità che supererebbe molti dei problemi della dualità che attengono all’Italia. la cosa più probabile é invece che il punto di arrivo dia legittimità alla spesa storica.

Gli obiettivi potrebbero essere virtuosi ma non bisogna dimenticare che la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni. Il timore che ci si limiti all’individuazione e si passi all autonomia pervade molta parte dell’opinione pubblica meridionale oltre che molti studiosi. D’altra parte non bisogna dimenticare che stiamo andando in cordata con chi può tagliare la corda in qualunque momento e che ha interessi, provinciali, contrapposti a quelli del Sud.  (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

LE ZONE ECONOMICHE MONTANE SIANO LO
STRUMENTO PER RAFFORZARE ZES UNICA

di KLAUS ALGIERI – Con l’istituzione della Zes Unica siamo in presenza di un cambiamento di paradigma economico che segue un approccio macro territoriale (le 8 regioni del Sud Italia, Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sicilia, Sardegna) rispetto a quello seguito per la costituzione delle Zone Economiche Speciali (introdotte nel nostro ordinamento dal Decreto legge 20 giugno 2017 n. 91, convertito con modificazioni dalla legge 3 agosto 2017 n. 123) di tipo micro territoriale.

La Zes Unica si differenzia dalle Zes su aspetti di principio e di contenuto:  La prima, segue un approccio più specifico finalizzato a favorire gli investimenti aziendali in un territorio molto vasto (il “Mezzogiorno”). La gestione è maggiormente centralizzata, anche sotto gli aspetti gestionali-organizzativi, con l’istituzione di una Cabina di regia Zes insediata presso la Presidenza del Consiglio e una “Unità di missione per la Zes” dipendente direttamente dal Ministro per gli affari europei, il sud, le politiche di coesione e il Pnrr. Essa prevede un “Piano strategico della Zes” (durata triennale) che individua (in coerenza con il Pnrr), anche in modo differenziato per le regioni che ne fanno parte, i settori da promuovere e quelli da rafforzare, gli investimenti e gli interventi prioritari per lo sviluppo della ZES e le modalità di attuazione.

La seconda, segue un approccio più generale di sviluppo di specifici territori, dimensionalmente (alcuni comuni) e numericamente limitati (solo 8 ZES in totale al Sud) con una gestione-organizzazione delle singole Zes autonoma e decentrata sul territorio.

Sotto l’aspetto degli incentivi, la Zes Unica si concentra sul credito di imposta e su singoli progetti che abbiano un valore di almeno 200mila euro, scelta che di fatto andrà a penalizzare gli investimenti delle micro imprese. Al contrario, la Zes prevedeva il credito di imposta senza un “limite minimo” relativo ai singoli progetti e sgravi del 50% sul reddito di impresa.

La Zes Unica, nonostante i suoi interessanti e indubbi vantaggi, tuttavia non sembra rappresentare uno strumento efficace per la valorizzazione delle zone di montagna e della loro economia.

Da alcune rilevazioni emerge che l’Italia, è il primo Paese dell’Unione europea a 27 per Pil realizzato in province montane (fonte: Eurostat) dove si concentra il 47,8% della popolazione nazionale e il 51,1% delle presenze turistiche totali e il 50,7% delle presenze turistiche straniere e dove si produce il 44,9% del valore aggiunto nazionale.

Allo stesso tempo le aree montane da molti anni, in particolare nel Mezzogiorno, sono caratterizzate da elementi di forte criticità come lo spopolamento (in particolare dei giovani) e la delocalizzazione di imprese verso aree di pianura e/o urbane.

Al fine di invertire queste tendenze e rilanciare l’economia della montagna, nell’ambito della Zes Unica, sotto forma di integrazione/complementarizzazione e affiancamento del “modello Zes” si potrebbe introdurre il modello delle “Zone Economiche Montane” (Zem) con “fiscalità dedicata”, che abbiano come destinatari i Comuni di montagna e che diano priorità a investimenti (nazionali e esteri) dedicati alla transizione green per tutelare il patrimonio ambientale della montagna pur garantendone lo sviluppo (ad esempio favorendo la filiera del legno, la filiera agro-alimentare, la filiera turistica, etc,) e alla transizione digitale al fine di superare le “barriere infrastrutturali e naturali” dettate dalla carenza di dotazioni infrastrutturali materiali e immateriali e dalla morfologia del territorio.

Le Zem non si pongono assolutamente in contrasto con la Zes Unica delle Regioni meridionali, anzi la integrano e la rafforzano, trattandosi per l’appunto di uno strumento solo integrativo delle opportunità già previste e complementare alle stesse, volto a favorire quei territori che, rispetto alla generalità delle aree del Mezzogiorno, scontano una condizione naturale di maggior sfavore. La Regione Calabria che a tal proposito, rappresenta un caso emblematico di forte presenza di economia della montagna, secondo i dati della Regione infatti, il 42% circa della superficie della Calabria è montuosa. Qui vive il 24% circa della popolazione distribuita in 205 comuni definiti “montani” su 404 comuni, con tutte le sue fragilità.

Inoltre si potrebbe pensare alle opportunità di vantaggio già previste dalla Zes Unica ed in stretto raccordo con gli organi regionali e nazionali deputati all’attuazione, si potrebbero utilizzare come strumento, per il sostegno economico della misura, gli Investimenti Territoriali Integrati (Iti) un nuovo strumento attuativo che consente di riunire le risorse di più assi prioritari di uno o più programmi operativi per la realizzazione di interventi multi-dimensionali e intersettoriali e si caratterizza per la previsione di un regime di gestione ed attuazione integrato”.

A livello nazionale l’Accordo di Partenariato individua l’ITI quale strumento privilegiato per l’attuazione della Strategia per le Aree Interne. Tale strumento consentirebbe di utilizzare le fonti finanziarie previste da più fondi a favore del Mezzogiorno ed in particolare della Regione Calabria (FESR – FSE – FEASR – FSC – PNRR – PNC – PON), nell’ottica di realizzare una strategia territoriale di sviluppo integrato che ponga in evidenza la necessità di ridurre gli svantaggi delle popolazioni montane e di favorire il contrasto allo spopolamento di queste aree, fenomeno che registra dati sensibilmente più alti rispetto alle zone di pianura o costiere.

Lo strumento Iti a favore delle Zem proposto in piena autonomia dalle Regioni nel rispetto della normativa Ue e coordinato con le agevolazioni previste dalla Zes Unica costituirebbe quindi un volano di notevole efficacia per lo sviluppo dei territori montani come quelli calabresi e più in generale del Sud Italia, riducendo le condizioni di marginalità delle popolazioni montane e favorendo la crescita di quei territori.

Auspico pertanto che il Presidente della Regione Occhiuto, insieme agli altri presidenti delle regioni del Sud, si facciano portavoce con il Ministro Fitto affinché le Zem diventino parte integrante della Zes Unica. Se le due cose non cammineranno insieme difficilmente si otterranno risultati concreti a livello di rilancio economico. (ka)

[Klaus Algieri è presidente di Confcommercio Calabria]

CONFINDUSTRIA PUNTA SULLA CALABRIA
MA SENZA INVESTIMENTI È TUTTO INUTILE

di FRANCESCO CANGEMI – «La Calabria è nel mio cuore, ecco perché vengo spesso. E sono vicino all’intero Mezzogiorno, perché soffre di più. Fare l’imprenditore al Nord è più facile, voi avete grande capacità e vi ammiro perché fate impresa in condizioni molto complicate a partire dalle infrastrutture». Lo ha detto il presidente di Confindustria nazionale Carlo Bonomi intervenendo all’assemblea pubblica degli industriali della provincia di Cosenza che ha eletto nuovo presidente Giovan Battista Perciaccante, già presidente provinciale e regionale di Ance che subentra all’uscente Fortunato Amarelli.

All’assemblea, sul tema “Innovazione sostenibilità. Imprese protagoniste del cambiamento”, hanno partecipato anche Federica Brancaccio, presidente nazionale dell’associazione dei costruttori edili, il presidente della Regione Roberto Occhiuto, il presidente di Unindustria Calabria, Aldo Ferrara.

Il numero uno di Confindustria, quindi, torna prepotentemente a mettere al centro del dibattito il tema dello sviluppo della Calabria e degli investimenti necessari. La Calabria, infatti, ha un costante e continuo bisogno di investimenti sulle infrastrutture per ottenere, finalmente, quello sviluppo di cui tutti parlano. L’investimento, oltre che dal governo centrale, può e deve arrivare anche dal mondo dell’imprenditoria.

A parlare di questo tema anche gli altri ospiti della sezione locale cosentina dell’associazione degli industriali.

«In questo momento – ha aggiunto Bonomi – il Governo non ha a disposizione risorse infinite e preparare una legge di bilancio quando ci sono ancora partite molto grosse aperte, diventa complicato. Siamo stati chiari, ci sono tre obiettivi: gli investimenti che vanno stimolati, le riforme e abbassare le tasse sul lavoro».

«La priorità – ha sostenuto dal canto suo Brancaccio – è fare un lavoro di qualificazione delle nostre imprese. Le nostre imprese devono e fare un grande percorso di innovazione per farsi trovare pronte alla sfida del futuro. Al Governo chiediamo coraggio». Il presidente della giunta regionale della Calabria Occhiuto nel suo intervento ha messo in evidenza l’attenzione che Regione rivolge a innovazione e sostenibilità sottolineando che «vanno incentivati gli sforzi» e «il nostro compito è sempre incentivare».

«Se crediamo nella Calabria, e noi ci crediamo – ha sostenuto il neo presidente di Confindustria Cosenza, Perciaccante – dobbiamo cambiare approccio. Un occhio particolare alla criminalità, è necessario che la Calabria si liberi di questo macigno che la tiene bloccata».

Ma quindi quali sono gli investimenti primari per la Calabria di cui tutti parlano? Sicuramente bisognerebbe fare un lavoro concreto sulle infrastrutture viarie. Basti pensare alle ultime vicende legate ai lavori di ammodernamento della galleria della Limina nel reggino. Tutti hanno, comprensibilmente, gran paura che una eventuale chiusura, qualunque essa sia, possa compromettere le attività del territorio.

Se si fossero potenziate le altre strade, a quest’ora non ci sarebbe bisogno di tutto questo dibattito. Ma tutte le grandi strade calabresi non possono essere lasciate allo sbando senza investimenti concreti che le migliorino. Su tutte l’A2 Salerno-Reggio Calabria che è un continuo cantiere che non conosce una fine ma lo stesso si può dire della Statale 106 che attraversa tutta la fascia jonica e che, per la sua pericolosità, viene chiamata la “strada della morte”.

Ma la fascia jonica calabrese aspetta da tanti anni, troppi, un altro ammodernamento che sembra essere difficoltoso ma che, allo stesso tempo, è assolutamente necessario: l’elettrificazione della rete ferroviaria. Come si può pensare, ad oggi, che ci possa essere sviluppo se in quella grande parte di Calabria i treni sono ancora a gasolio e il traffico merci praticamente non esiste? L’unica nota positiva di quel territorio arriva dal treno Sibari-Bolzano ma, anche qui, si tratta di una tantum troppo sola.

Va detto, però, che qualcosa, proprio in questi giorni, sembra muoversi per la ferrovia jonica. È stato approvato, con ordinanza del Commissario straordinario di Rfi Roberto Pagone, il progetto definitivo del potenziamento del collegamento Lamezia Terme–Catanzaro Lido–Dorsale Jonica.

Il progetto di Rete ferroviaria italiana, società capofila del Polo infrastrutture del Gruppo Fs, sarà realizzato in tre lotti funzionali: Velocizzazione, mediante rettifiche di tracciato, della tratta Lamezia Terme–Settingiano, ed elettrificazione della tratta Lamezia Terme–Catanzaro Lido; Elettrificazione della tratta Sibari–Crotone ed Elettrificazione della tratta Crotone–Catanzaro Lido.

A conclusione del primo lotto, sarà realizzata una velocizzazione di circa 29 km nel tratto Lamezia Terme–Settingiano, grazie a varianti di tipo plano-altimetrico e di sopraelevazione dell’attuale linea, che consentiranno un innalzamento della velocità di percorrenza dagli attuali 80/90 km/h fino a 140 km/h. A tali interventi si aggiunge l’elettrificazione dei 43 km della tratta Lamezia Terme–Catanzaro Lido.

Il secondo lotto prevede la realizzazione di circa 112 km di elettrificazione della tratta Sibari–Crotone, mediante la realizzazione di otto Sottostazioni elettriche e il completamento dei lavori di allestimento di pali e fili di contatto lungo linea, già in corso di esecuzione a partire dal 2018.

Anche il terzo lotto prevede la realizzazione di circa 60 km di elettrificazione della tratta Crotone–Catanzaro Lido, con la realizzazione di tre Sottostazioni elettriche e il completamento della posa di sostegni e filo di contatto avviata nel 2018.

Gli interventi di elettrificazione permetteranno di incrementare la sostenibilità ambientale e acustica del trasporto ferroviario calabrese, oltre a migliorare il servizio offerto in termini di comfort e prestazioni; grazie ai nuovi treni elettrici sarà anche garantita la continuità del servizio. Gli interventi di velocizzazione renderanno inoltre possibile una riduzione dei tempi di percorrenza lungo la direttrice Lamezia Terme–Catanzaro Lido.

Il progetto permetterà quindi una migliore interconnessione tra i centri urbani di Lamezia Terme, Crotone, Catanzaro Lido e le aree del litorale ionico a forte vocazione turistica, creando le condizioni per nuove opportunità di servizio con le dorsali Tirrenica, Jonica e Adriatica.

Nello sviluppo della progettazione, grande attenzione è stata posta alla gestione dei cantieri, in particolar modo alle misure da adottare per il contenimento del rumore, della polvere e del traffico, per ridurre al minimo gli effetti dei lavori sul territorio.

L’intervento complessivo, dal valore di circa 438 milioni di euro, è finanziato anche con fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza, con attivazione prevista entro il 2026.

«In soli 80 giorni siamo riusciti ad ottenere tutti i nulla osta e i pareri necessari a Rfi per giungere nella giornata di ieri all’approvazione del progetto definitivo relativo all’elettrificazione della dorsale jonica, e quindi del collegamento Sibari-Catanzaro Lido-Lamezia Terme che oggi è stato pubblicato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Adesso si procederà con l’appalto integrato». È quanto dichiara il senatore di Fratelli d’Italia e componente della commissione Giustizia, Ernesto Rapani, che in questi mesi tanto impegno ha profuso affinché si centrasse l’obiettivo con un’opera di mediazione tra enti e ministeri.

«L’approvazione del progetto definitivo – sottolinea il parlamentare – è l’ultima tessera di un puzzle tra filiera istituzionale, collaborazione tra enti e istituzioni, e quell’impegno che sin dall’inizio del mio mandato non sto lesinando. Un progetto che ha superato un percorso ad ostacoli grazie alla collaborazione costante e continua con il commissario straordinario dell’opera, l’ing. Roberto Pagone. Sento il dovere di ringraziare quanti si sono resi disponibili adoperandosi per il superamento delle difficoltà burocratiche, il Ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano per aver sollecitato le Sovrintendenze di Crotone, Catanzaro e Cosenza ed al viceministro alle Infrastrutture, Galeazzo Bignami; il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto, per la celerità con la quale ha deliberato in giunta il parere di competenza; l’assessore all’agricoltura Gianluca Gallo e il direttore generale del dipartimento Giacomo Giovinazzo per aver inteso, attraverso i poteri sostitutivi previsti dalla legge, sostituirsi ai comuni inadempienti per il rilascio dei pareri sugli usi civici».

«Questa è una risposta agli allarmismi infondati di Pd e Movimento 5 Stelle: i fondi ci sono, non sono stati mai dirottati in altre aree del Paese e l’iter sta seguendo il suo corso con l’obiettivo di giungere all’appalto integrato che prevede l’approvazione del progetto esecutivo e l’avvio dei lavori nel secondo semestre del 2024 con la previsione di concluderli nel primo trimestre del 2026. Quello sarà l’anno della svolta che consentirà alla fascia jonica di uscire dall’isolamento alla quale è stata segregata colpevolmente per decenni e collegarsi col resto del Paese e del continente in tempi “europei”. Con la conclusione dell’opera di elettrificazione potrebbe iniziare a trasformarsi in realtà un’infrastruttura che sto suggerendo e prospettando da molti anni: la metropolitana leggera di superficie tra Sibari e Crotone-Sant’Anna».

Dall’altro lato della costa abbiamo il porto di Gioia Tauro che troneggia sul mar Tirreno come un eterno monumento allo sviluppo che potrebbe essere ma che ha difficoltà a prendere il volo. Si parla da sempre di nuovi investimenti sul porto per renderlo una “fermata” imprescindibile del Mediterraneo ma, anche qui, poco si fa. (fc)

NECESSARIO UN PIANO STRATEGICO PER
TUTELARE E CURARE IL MARE CALABRESE

di SALVATORE BARRESI –  Terminata l’estate, arrivato l’autunno, si possono fare i conti su come è andata la nostra vita in ambito ambientale rispetto alla sostenibilità, cioè sull’utilizzo responsabile delle risorse naturali. Il mare, per esempio, nella mia Calabria, quest’anno è stato trattato bene dall’uomo. Ognuno ha fatto la sua parte, le istituzioni, da una parte, gli imprenditori turistici, dall’altra e infine i cittadini, vacanzieri e residenti, hanno capito che il mare è il nostro unico futuro possibile. Non è strano dire che il mare può rigenerare la vita sulla terra di Calabria per garantire cibo buono, sano e naturale per tutti.

Il mare è l’unico capitale naturale in grado di garantire benessere e sostenibilità alla nostra vita presente e futura. Sicuramente non bastano le azioni istituzionali messe in campo a salvaguardia del mare calabrese, sono una parte che non devono rimanere “spot”, ma devono diventare sistema per proteggere la sua biodiversità. Il mare è la nostra risorsa più importante. Ora, ci sono tutti gli elementi per poter creare una nuova stagione per proteggere il mare calabrese, costruendo un’economia realmente a misura d’uomo, fatta di rispetto, innovazione, ricerca, energie rinnovabili, tutela, risparmio, recupero, rigenerazione e circolarità delle sue risorse. Ora, ci sono tutti gli attori pubblici e privati, consapevoli che il Mare non può più essere la discarca della Terra, e che prima di tutto dobbiamo imparare a conoscerlo e rispettarlo.

Sono fondamentali le esperienze affettive legate alla biodiversità nella nostra terra di Calabria, e lo è ancora di più la loro rilevanza per comprenderne il valore. Sono pienamente convinto che la biodiversità costituisce un valore per la vita umana. Ma, di che tipo di valore si tratta? Quali sono le ragioni per considerare la biodiversità degna di essere un destinatario della nostra cura e della nostra responsabilità? Dare valore al Mare, come fonte economica, significa innanzitutto esprimere l’esigenza di una presa di coscienza radicale che induca un intenso coinvolgimento morale e un netto posizionamento politico-culturale. I decisori politici non devono dimenticare che la sostenibilità ambientale è importante per una serie di motivi.

In primo luogo, è necessaria per garantire la sopravvivenza dell’umanità. Il pianeta sta affrontando una serie di sfide ambientali, come il cambiamento climatico, l’inquinamento e la perdita di biodiversità. La sostenibilità è la chiave per affrontare queste sfide e costruire un futuro sostenibile per tutti. In secondo luogo, la sostenibilità ambientale è importante per la crescita economica. Un ambiente sano è essenziale per la prosperità economica. L’inquinamento e il degrado ambientale possono danneggiare la salute umana, ridurre la produttività e aumentare i costi di produzione. In terzo luogo, la sostenibilità ambientale è importante per la giustizia sociale. Le comunità più vulnerabili sono spesso le più colpite dai problemi ambientali.

La sostenibilità ambientale può aiutare a ridurre le disuguaglianze e creare un futuro più equo per tutti. Noi non conosciamo il mare. Lui ci protegge ma noi non proteggiamo lui. È il vero motore del pianeta: la metà dell’ossigeno che respiriamo viene dal mare e viene prodotto dagli organismi marini che lo abitano. Malgrado la sua importanza, soprattutto in Calabria, rimane un ecosistema poco esplorato e conosciuto. Nessuno se ne occupa in modo sistematico, in pochi lo studiano e non esiste una reale consapevolezza diffusa dell’importanza della sua tutela come patrimonio comune e indivisibile dell’umanità tutta, presente e futura. Rappresenta un’assicurazione per la vita della nostra Regione e uno dei principali fattori di resilienza contro la crisi climatica.

È mia convinzione, da sociologo economista, che la conoscenza, la protezione e la conservazione della vita e della biodiversità marina calabrese è tra gli obiettivi principali da perseguire per salvaguardare il benessere umano. Una biodiversità che stiamo perdendo e che ancora oggi non conosciamo del tutto. Bisogna agire subito per proteggere questo fragile ecosistema. Le ricerche, i dati e gli studi ci indicano che il mare calabrese è una fonte di enorme ricchezza economica; l’economia del mare è centrale per uno sviluppo sostenibile e green della Regione più a Sud dell’Europa. Come tutte le altre filiere produttive, l’economia del mare, ha bisogno di innovazione,  ricerca, risparmio e recupero di materie prime, conservazione, tutela e rigenerazione degli habitat marini. È evidente la preoccupazione che gli effetti della crisi climatica e della distruzione degli habitat marini e costieri stanno determinando le migrazioni e in alcuni casi la scomparsa di alcune specie animali e un elevato livello di contaminazione di molti organismi che noi mangiamo, con effetti potenzialmente molto negativi sulla salute dell’uomo. Per assicurare il maggior rendimento possibile, sostenibile e diversificato della pesca e la conservazione della biodiversità marina è necessaria una programmazione e una regolazione dell’attività ittica con metodi non distruttivi e in accordo con i tempi biologici di ripristino delle riserve marine naturali. Dobbiamo consapevolizzare, inoltre, che il mare è un grande macrorganismo, un serbatoio di vita, un produttore di ambiente, ma le risorse del mare non sono infinite. Vanno preservate.

La politica, le istituzioni devono, con urgenza, elaborare una strategia sistemica e circolare che lo preservi e gli consenta di rigenerarsi nel tempo, perché le sue funzioni sono infinite. L’ho sentito dire, ed ha ragione il Presidente della Giunta Regionale della Calabria, Roberto Occhiuto, quando dice che “Tutti i problemi del mare calabrese vengono dalla terra”, e che il  mare non può essere la discarica dei nostri rifiuti, perché gli effetti dell’inquinamento e l’impatto dei rifiuti scaricati in mare hanno ripercussioni negative sullo stato di salute di tutto l’ecosistema naturale. C’è una tentativo, che dobbiamo portare a sistema, promuovere la conoscenza di tutte quelle buone pratiche che consentono di ridurre l’impatto ambientale delle attività dell’uomo a salvaguardia del mare, con una richiesta, forte, della  corretta applicazione di tecnologie già esistenti, dai depuratori degli scarichi fognari e industriali alla raccolta e riciclo della plastica. Tutti siamo parte di un unico sistema e per la vita del mare della Calabria, le istituzioni, attraverso interventi normativi e incentivi, devono promuovere un’economia sostenibile del mare, cioè elaborare strategie di sviluppo e tecnologie innovative avvalendosi delle caratteristiche e delle dinamiche di funzionamento degli organismi presenti in natura per contrastare il disequilibrio ambientale che le attività dell’uomo possono determinare.

La Calabria ha bisogno di un piano strategico che aiuta a definire e condividere la direzione delle istituzioni che prenderanno nei prossimi tre-cinque anni. Il piano dovrà includere la dichiarazione di visione, la mission e gli obiettivi della Regione Calabria, l’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente della Calabria, le Province e i Comuni, oltre alle azioni necessarie per raggiungere questi obiettivi. Anche Papa Francesco, nel Messaggio del 2023 per la Giornata mondiale di preghiera per la cura del Creato, ha evidenziato come il cambiamento climatico sta modificando la nostra vita, ed ha richiamato tutti ad alzare la voce per fermare l’ingiustizia verso i poveri e i nostri figli.

La cura e la tutela del mare è dunque la premessa per la transizione ecologica, è sotto gli occhi di tutti l’emergenza legata all’inquinamento. Il Papa è in assoluto oggi la persona più vicina ed attenta alle questioni ambientali, Dio ha reso l’uomo custode e non padrone del Creato. Il Papa suggerisce tre vie per trasformare gli stili di vita nelle nostre società e contribuire al fiume potente della giustizia e della pace: primo, serve cambiare i nostri cuori per una conversione ecologica, rinnovando il nostro rapporto con il creato affinché non venga più considerato come un oggetto da sfruttare, ma come un dono di Dio da custodire; secondo, occorre trasformare i propri stili di vita iniziando col pentirci dei nostri peccati ecologici, che danneggiano non solo il mondo naturale, anche i fratelli e le sorelle.

Sprecare di meno e riciclare i rifiuti; la terza via è quella del cambiamento delle politiche pubbliche che governano le nostre società e modellano la vita di oggi e di domani. (sb)

[Salvatore Barresi è sociologo ed economista]

UN FRECCIAROSSA DA SIBARI A MILANO
SAREBBE UNA SVOLTA PER IL TERRITORIO

di ROBERTO GALATISi è tornato a discutere, con una grande eco mediatica, della proposta di istituzione di un collegamento Frecciarossa tra Sibari e Milano Centrale via Adriatica: come i nostri lettori sicuramente ricorderanno, si tratta di una proposta che l’Associazione Ferrovie in Calabria, in collaborazione con il Comitato Magna Graecia e l’Unione delle Associazioni della Riviera dei Cedri e del Pollino, aveva più volte indirizzato agli organi regionali e nazionali preposti.

Ovviamente, l’Associazione Ferrovie in Calabria sostiene pienamente la campagna mediatica in corso: se il ferro va battuto quando è caldo, sicuramente questo è il momento giusto!

I benefici in termini di mobilità che questo collegamento offrirebbe al territorio della sibaritide (dove ricordiamo insiste la terza città della Calabria, Corigliano – Rossano) e indirettamente anche del crotonese, sarebbero ovviamente molteplici.

Ma riteniamo opportuno spingerci anche un po’ oltre: probabilmente la migliore soluzione sarebbe quella di attestare a Cosenza (stazione di Vaglio Lise, oggi non servita da treni a lunga percorrenza) il collegamento ferroviario proposto.

Tecnicamente infatti il convoglio non dovrebbe effettuare alcun cambio banco, e semplicemente proseguirebbe la sua corsa da Sibari fino a Cosenza, dove verrebbe attestato in orario serale, per ripartire la mattina successiva. Dettagliatamente trattandosi di Frecciarossa Cosenza – Sibari – Taranto – Bari Centrale – Bologna Centrale – Milano Centrale, verrebbero offerte ai territori serviti nuove ed inedite opportunità di collegamenti tra importanti città, anche dello stesso Sud Italia. Qualche esempio: – Relazione Cosenza – Taranto – Bari Centrale

– Relazione Cosenza – Sibari – riviera Adriatica (città come Pescara ed Ancona sono di fatto irraggiungibili ad oggi in treno dalla Calabria)

– Relazione Cosenza – Sibari – Bologna Centrale e Milano Centrale.

Lo stesso collegamento, quindi, andrebbe a colmare ben tre gap trasportistici, esistenti da anni, ed in alcuni casi quasi da sempre.

Come renderà realtà questo servizio? Dal punto di vista economico, sono ovviamente necessarie valutazioni congiunte con Trenitalia – Divisione Passeggeri Long Haul e Regione Calabria: chiaramente, il nuovo collegamento, dovrà essere gestito a mercato direttamente da Trenitalia, se l’impresa ferroviaria valuterà conveniente ciò – ed a nostro parere potrebbe esserlo, per lo meno durante le festività e durante il periodo estivo – o bisognerà perseguire anche in questo caso la modalità “Sibari – Bolzano”, con cofinanziamento regionale, previo reperimento delle risorse, al fine di sostenere economicamente l’effettuazione di questo collegamento, da Taranto fino a Sibari e/o Cosenza. Sicuramente attestarlo a Cosenza, città che con l’hinterland rendese supera i 100.000 abitanti, renderebbe più plausibile l’ipotesi del servizio a mercato.

E giungiamo quindi alla fattibilità tecnica, dal punto di vista di tracce orarie e materiale rotabile.

Il nuovo Frecciarossa Cosenza – Sibari – Milano Centrale via Adriatica, potrebbe non essere un servizio istituito ex novo, ma un prolungamento di un collegamento già esistente tra Milano Centrale e Taranto.

Nel dettaglio si tratta infatti della coppia di treni Frecciarossa 8807/8820 Milano Centrale – Taranto e viceversa, effettuata con ETR 500.

Nel caso del treno 8807, oggi si parte da Milano Centrale alle 11.05 per giungere a Taranto alle 19.46, fermando a Parma, Reggio Emilia, Modena, Bologna Centrale, Cesena, Rimini, Cattolica-SanGiovanni-Gabicce, Pesaro, Ancona, San Benedetto del Tronto, Pescara Centrale, Termoli, Foggia, Barletta, Bari Centrale e Gioia del Colle.

In senso inverso, si parte da Taranto alle 9.16 per giungere a Milano Centrale alle 17.54, effettuando le stesse fermate.

Com’è possibile notare, si tratta di una traccia oraria che perfettamente si presta ad un prolungamento verso Sibari e Cosenza. Senza dover scendere nei dettagli in questa fase, risulta molto semplice dedurre che, un prolungamento/arretramento a Cosenza di questo collegamento, significherebbe giungere a Sibari, da Milano e relative fermate intermedie, attorno alle 21.00, mentre a Cosenza, attorno alle 21.40.

Al mattino, si partirebbe da Cosenza attorno alle 7.10, mentre da Sibari attorno alle 8.00.

Le fermate intermedie che potrebbero essere effettuate, sono le “classiche” Trebisacce, Policoro-Tursi e Metaponto.

A Sibari andrebbe sicuramente impostato un nuovo servizio Regionale in coincidenza alla Freccia, in direzione Crotone. In direzione opposta, da Crotone e Sibari, calibrando l’orario sulla base della Freccia sarebbe possibile servirsi del già esistente 5660, in partenza da Crotone alle 6.12 con arrivo a Sibari alle 8.02.

Com’è possibile notare, quindi, non si tratta di nulla di trascendentale: indubbiamente saranno necessarie le dovute valutazioni di Trenitalia e Regione Calabria sopracitate. Importanti risultati dal punto di vista dei trasporti su rotaia Regionali e turistici, condivisi con la nostra Associazione, sono stati raggiunti negli ultimi mesi, grazie al forte impegno dell’Assessore ai Trasporti e Welfare Emma Staine: siamo quindi certi che non mancherà l’impegno da parte dell’Assessore e del suo staff, relativamente ad una proposta che, se realizzata, porterebbe ad una nuova, piccola ma importante rivoluzione per il versante jonico calabrese, con particolare riferimento a sibaritide, crotonese e cosentino, in attesa del completamento dell’elettrificazione della tratta Sibari – Crotone – Catanzaro Lido. (rg)

[Roberto Galati è presidente dell’Associazione Ferrovie in Calabria]

PONTE: NON ESISTE UN “CASO PRESTININZI”
MA SOLO DISINFORMAZIONE O MALAFEDE

di SANTO STRATI – Ormai, la lotta politica ha raggiunto una virulenza senza limiti: ogni pretesto è buono con attaccare e contrastare l’avversario, con ogni mezzo, mettendo in piedi, quando possibile, una poderosa macchina del fango appoggiata da aggressive campagne mediatiche. Campagne che è facile sospettare pilotate, da una parte o dall’altra, con risultati che sfiorano l’indecenza, tra disinformazione, malafede e falsità.

L’ultima campagna di disinformazione e di offese gratuite riguarda il Ponte, su cui – risulta chiaro – si sta per giocare una partita estremamente importante per i futuri scenari del Paese.  La nuova “vittima” della campagna diffamatoria orchestrata da Cinque Stelle e diversi esponenti della sinistra è uno stimatissimo ex docente della Sapienza, geologo e scienziato della Terra, appena scelto nel Comitato Tecnico Scientifico che dovrà vagliare tutti gli aspetti della progettazione e realizzazione della colossale opera. Nominato nel CTS è stato indicato dal ministro Salvini coordinatore dello stesso CTS, e subito sono partiti gli strali contro uno scienziato il cui curriculum parla da solo: il prof. Alberto Prestininzi, originario di Caulonia, a Roma da una vita, con alle spalle decine di pubblicazioni (tra cui quelli dedicati alla Calabria nella collana L’Italia e le sue regioni edita da Treccani) e pubblici (nonché meritati) attestati di stima da tutto il mondo, oltre a prestigiosi riconoscimenti come il premio Roma dedicato ad Aurelio Peccei.

Se solo si avesse la pazienza o la voglia di leggere la sua introduzione al documentatissimo volume Dialoghi sul clima edito da Rubbettino curato dal prof. Prestininzi, si capirebbe subito che è ingeneroso e mistificatorio parlare di “negazionismo” del mutamento climatico. Prestininzi (che comunque è stato chiamato da geologo a valutare la qualità della progettazione e non per occuparsi di clima per il Ponte) scrive nell’introduzione al volume: “Il solenne impegno costituzionale che abbiamo assunto con il Paese, come Professori Universitari, di favorire sempre la diffusione e i contenuti della conoscenza, rappresenta l’elemento che ci spinge a rendere possibile la nascita di questo volume. Il dovere costituzioonale di parlare chiaro, facendo della Parresia (un termine che va ben oltre il diritto di parola e di critica) ma che entrando nel vivo della coscienza rappresenta l’espressione non priva di sofferenza di dover proporre in termini chiari e comprensibili quali sono i modelli scientifici rappresentativi delle diverse realtà fenomeniche. Dire la ‘verità scientifica’, ovvero esporre i fatti,cosa assai diversa ‘dal dire sempre di sì’ e, certamente, comporta il rischio di uno scontro tra poteri, grandi o piccoli che siano. Assumere questo impegno appartiene dunque al ruolo che è stato assegnato al Professore universitario, soprattutto quando svolge la sua attività in un Paese che ha bisogno di nutrire la democrazia attraverso dialoghi e confronti ‘veri’ su tutti i temi e, nella fattispecie, su quelli che hanno una matrice scientifica e sono detsinati a produrre garndi impattui sul piano sociale ed economico. Questo esercizio è fondamentale perché svolge, tra l’altro, la funzione di educare i giovani alpensiero critico attraverso il confronto, libero e plurale”.

Questa posizione chiara del massimo rispetto alla scienza e del rifiuto totale di narrazioni catastrofiste che nascondono (spesso) interessi molto opachi (di multinazionali e società energetiche), ha procurato al prof. Prestininzi insulti gratuiti, frutto di ignoranza e malafede. Anche al bella manifestazione di Florindo Rubbettino (Sciabacà) in corso a Soveria Mannelli a cura dell’omonima Casa editrice, non sono mancate le critiche al professore di Caulonia (che da una vita vive a Roma). Non uno scontro nel senso proprio del termine con Giuseppe Caporale (autore, sempre per Rubbettino, di Ecoshock) ma un confronto un po’ rude viste le posizioni antitetiche: il prof. Prestininzi ha ribadito, dati alla mano, che il riscaldamento globale non sia da ascrivere agli effetti dell’inquinamento bensì a una naturale evoluzione del nostro pianeta; Caporale invece, che nel suo libro riporta il parere di numerosi scienziati, ha sostenuto che sebbene non si possa negare che certi cambiamenti ci siano sempre stati, quelli in atto rivestono una forma di eccezionalità e, soprattutto, si deve constatare come dietro a questi ci sia senz’altro l’azione profonda dell’uomo.

Ma che c’entra il clima con il Ponte sullo Stretto? Il pretesto di usare il presunto negazionismo di Prestininzi (che non esiste, sia chiaro) era troppo ghiotto perché i no-ponte e parte di Verdi, Cinque Stelle e sinistra non lo sfruttassero per attaccare il governo e nello specifico Matteo Salvini, ministro delle Infrastrutture, il principale sostenitore della necessità di realizzare il Ponte.

Salvini si sta giocando la faccia e il futuro politico con il Ponte e, pur mantenendo i meridionali qualche perplessità nei suoi confronti, il lavoro che sta facendo gli dà ragione. Per un semplice motivo: al di là degli interessi politico-partitici che la realizzazione del collegamento stabile tra Calabria e Sicilia sottintende,  c’è un’evidenza che nessuno può contestare. Il Ponte è il volano per una profonda revisione dell’impegno infrastrutturale del Paese nel Mezzogiorno: non avrebb e senso costruire il Ponte se insieme non si realizza l’Alta Velocità ferroviaria (ad Alta Capacità, in grado davvero di ridurre le distanze), non si realizza il completamento della SS 106 (che dovrà diventare un’altra autostrada se si vuole lo sviluppo del territorio ionico) e non si riatttiva in maniera seria la totale funzionalità dell’Aeroporto dello Stretto.

L’area dello Stretto, che include necessariamente, anche il Porto di Gioia Tauro, è strategica per le opportunità che all’Italia offre il Mediterraneo. Il Ponte è un’opera di valore mondiale, dove le competenze e le capacità dei progettisti italiani hanno modo di mostrare la loro eccellenza a tutto il Pianeta.

Le voci dissonanti contro l’Opera che trasformerà gli scenari del Mezzogiorno (ma anche dell’intero Paese) continuano a disegnare apocalittiche visioni mettendo insieme ambiente e territorio “violati”, irrealizzabilità del Ponte sospeso, disturbo a uccelli e pesci, e mille altre corbellerie che una persona con un poco di sale in testa dovrebbe facilmente respingere se non altro per una ottima ragione: parlano tutti senza avere alcuna competenza. Si viaggia a ruota libera se si deve “demolire” l’idea del Ponte e qualsiasi occasione si presta a mantenere e sostenere l macchina del fango, il cui meccanismo – misterioso – rimane sempre inarrestabile, grazie anche a una stampa compiacente e sfacciatamente di parte.

La macchina del fango questa volta è andare a colpire un’altra persona per bene (l’elenco cresce continuamente) e il prof. Prestininzi (che, peraltro, aveva già fatto parte del precedente Comitato Tecnico Scientifico poi disciolto nel 2011 dal Governo Monti insieme con la cancellazione del Progetto e della società Stretto di Messina) s’è trovato suo malgrado una patente (immeritata) di “negazionista del clima”.

La cosa che più colpisce è l’accaimento che un giornale nazionale importante e serio come La Stampa di Torino, non perde occasione per attaccare tutto ciò che ha a che fare con il Ponte. Lo aveva fatto molti mesi addietro pubblicando un servizio contestato da scienziati, ingegneri e costruttori di ponti.  Protesta inutile, visto che non sono state ospitate le opinioni che smontavano le tesi farlocche del giornalista (pubblicate però da Calabria.Live). E lo stesso ha fatto con il presunto “caso Prestininzi” dicendo che il prof è “sostenitore di tesi antiscientifiche” e affibbiandogli l’etichetta di “noto negazionista del cambiamento climatico”. Stupisce che un attacco del genere arrivi da un quotidiano solitamente rigoroso e attento, ma tant’è. Se bisogna attaccare il Ponte e tutti quelli che ci hanno a che fare, ogni mezzo è lecito. Tutto è permesso, anche se si offende l’intelligenza del lettore e si condiziona in maniera evidente l’opinione pubblica sciorinando dati privi di qualunque contenuto scientifico.

Il problema del Ponte è anche questo: la disinformazione che accompagna qualsiasi iniziativa. I nomi del Comitato tecnico Scientifico rappresentano il meglio delle competenze italiane nell’ambito delle grandi infrastrutture. Qualcuno su Facebook sta facendo circolare un’immagine della prima Autostrada del Sole: non la voleva nessuno, oggi chi può farne a meno?

Allora, sarebbe opportuno che si rispondesse con elementi scientifici e numeri certi alle bufale sul Ponte. Che si contrastassero, con garbo ma irrinunciabile fermezza, tutte le sciocchezze che ogni giorno media (giornali, tv, testate online, web) pubblicano come se fossero unici detentori della “verità”.

Non importa se ci sono migliaia di documenti scientifici realizzati prima che l’insensato atto di Mario Monti cancellasse con un semplice tratto di penna un progetto eccezionale (a quest’ora viaggeremmo sul Ponte già da qualche anno), non importa se le aziende che dovranno realizzarlo hanno firmato e realizzano opere infrastrutturali ammirate e apprezzate in tutto il mondo, non importa se l’Italia ha i migliori progettisti a livello internazionale: valgono le miracolistiche (e funeree)  previsioni di nuove Cassandre in cerca soltanto di quel piccolo quarto d’ora di notorietà (copyright Andy Warhol) che non si nega (ahimè) a nessuno.

Se ci sono le condizioni (e sembra che ci siano tutte) il Ponte andrà fatto. Ma smettendo di insultare pretestuosamente professionisti di alto livello. Prestininzi è il primo, vorremmo non dover riferire di nuovi attacchi gratuiti a progettisti e scienziati chiamati a realizzare l’opera più incredibile e straordinari che il mondo aspetta di vedere.  (s)

ALLARME SU PNRR, LA CALABRIA RISCHIA
DI PERDERE I FONDI: MANCANO I TECNICI

di ETTORE JORIOIl Pnrr arranca ovunque. In Calabria, è persino difficile individuarne traccia. Nella sanità il quasi nulla, con conseguente rovinosa realtà. Negli enti locali va peggio.
Se ne vedranno delle belle sul piano realizzativo.
L’affanno si trasformerà in apnea, sino ad arrivare alla morte per soffocamento di una occasione stupenda ma sprecata. Con tantissime risorse europee mandate in fumo. Andrà peggio nel Paese nella fase di controllo sulle realizzazioni secondo la regola degli stati di avanzamento, sarà meno tollerante di quanto sta avvenendo riguardo alle modifiche programmatiche in itinere.

Nella Calabria dei Comuni vuoti di personale e di competenze tecniche, il Pnrr passerà come le rondini. Da primavera ad autunno senza che nessuno le consideri.
Il Recovery Fund è stato generato come strumento seguendo le logiche di oltremanica, ove la scadenza è tale sempre e comunque.
Ove l’opera finanziata deve essere usufruibile.
Non venduta sul piano del marketing illusorio o peggio ancora fatta passare come piena piuttosto che dannosamente vuota.

Fin quando in tempo, occorre correre ai ripari, prima concettuali che operativi. Il distacco tra vis politica governativa e quella realizzativa di Regioni ed enti locali è notevole. Gli enti territoriali sono ben lontani dalle logiche degli adempimenti puntuali.

Così come il Governo è ben lungi dal considerare la conformazione del Paese e la distribuzione della Nazione.

Ha come idea la Città, prioritariamente quelle metropolitane.
Viaggia tenendo in conto la loro immagine aerofotogrammetrica, i loro servizi diffusi, le loro economie, le loro infrastrutture, le loro banche e tutto quanto fa realtà urbana di buon livello europeo. Simbolo per eccellenza Milano.
Questo è il grande limite italiano che ha come conseguenza gli errori vitali che si registrano nel Paese, quello vero.
Quello fatto di tantissimi comuni, molti dei quali in spoliazione demografica e da tempo denudati dei servizi che avevano: poste in primis, sportelli bancari, uffici pubblici. Presidi sanitari e di assistenza sociale neppure a parlarne.

La foto della distribuzione demografica presenta: 2025 comuni da 0/1000; 2427 da 1001/3000; 2250 da 3001/10mila.
Quanti dei più piccoli nella nostra regione? La maggioranza!

La domanda nasce spontanea, come nota esplicativa agli adempimenti per mettere a terra le opere del Pnrr.
Con quali supporti tecnici questi piccoli comuni dovrebbero rispondere all’appello, atteso che molti di loro sono oramai ridotti con quasi la metà del fabbisogno del personale e tantissimi sono in condizione di dissesto?

Una risposta pretesa, cui dovrebbe in primis proporsi l’Anci che francamente sta agendo anch’essa secondo la foto sbagliata della maggior parte dei comuni rappresentati. Pensa infatti di parlare in nome e per conto delle Città metropolitane e di quelle che non sono tali ma che costituiscono, secondo l’immaginario collettivo, i siti istituzionali destinatari delle opere del Pnrr.
Non è così e bisogna correggere il tiro.

Necessita ridare anche ad una siffatta importante organizzazione associativa del Paese un criterio diverso di rappresentatività, ma non di secondo, terzo o quarto piano.

Sono infatti circa 24 anni che a rappresentarla, fatta eccezione della presidenza ad interim di Osvaldo Napoli (sindaco di Valgioie), sono i primi cittadini di grandi e importanti città, aventi fotografie ben diverse dai piccoli centri dei quali si compone il Bel Paese.

Riconoscendo a quello attuale (Decaro) un impegno improbo in tal senso, forse sarebbe il caso che si tenesse in considerazione, in questo particolare momento, l’album fotografico di quella periferia che il sindaco di Bari conosce ampiamente, nei suoi pregi ma soprattutto nei suoi difetti strutturali.

Per non parlare di ciò che occorre in Calabria, ove la presidenza dell’Anci è stata mantenuta irresponsabilmente vuota per anni.

Necessita che la nuova presidente, proprio perché espressione di una periferia, amabile ma difficile, ponga sul tappeto della fruibilità delle risorse Pnrr un ineludibile impegno a rinforzare i ruoli operativi dei comuni, magari prendendoli in prestito dal sistema universitario e da quegli organismi che sbraitano statistiche senza dare nulla di concreto al Mezzogiorno. (ej)